I Giorni di Maratea e di Amantea
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Anteprima del libro
I Giorni di Maratea e di Amantea - Eugenio Maria Gallo
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Introduzione
Ritenendo di fare cosa gradita ai lettori, ho deciso di ritornare sul tema della rivolta antifrancese in Calabria per approfondirne alcuni aspetti e, spaziando sull’orizzonte della lotta, mi sono portato verso nord. Mi sono imbattuto, così, nella figura di Alessandro Mandarini e nelle rivolte che interessarono la città di Maratea ed i centri di confine fra Calabria e Lucania. Ne sono rimasto profondamente toccato e, nella mia mente, di getto è nata l’idea d’un confronto fra Maratea e Amantea, fra Alessandro Mandarini e Rodolfo Mirabelli. Storie e vite parallele sono, in fondo, quelle dei due centri e dei suoi due difensori, storie e vite parallele per il tempo in cui si sono svolte e per il comune nemico, storie e vite parallele come tante nell’ambito della storiografia relativa alle varie epoche e alle varie terre.
Questa volta, però, le storie e le vite parallele hanno avuto in me un altro senso ed un altro fascino e mi si sono proposte nella dimensione d’una Storia che ha segnato l’inizio, nel nostro Paese, d’un processo politico-culturale di portata più ampia che, in larga misura, ha accompagnato il nostro Risorgimento. Si sia stati e si sia, infatti, a favore dei giacobini e del giacobinismo o si sia stati e si sia a favore dei borboniani e di re Ferdinando, resta tuttavia il fatto che fu proprio in quegli anni che la lotta allo straniero prese corpo e l’ideale della patria cominciò a nutrire il cuore della gente. Proprio in quegli anni, infatti, l’idea dell’indipendenza dallo straniero cominciò a farsi strada sensibilmente e ad affermarsi concretamente con l’opposizione dei massisti e dei cosiddetti briganti contro il francese invasore. A questa lotta sono ritornato con nuovo entusiasmo e con nuovo fervore di studio e di ricerca e vi ho ritrovato, integri ed intatti, un mondo ed un impegno che mi hanno attratto ed affascinato, sostenendomi nel corso dell’analisi di testi e di documenti e nel corso del lavoro.
Ho ripercorso, allora, quei mesi del 1806-1807 e mi sono accompagnato con gli uomini che li hanno vissuti e caratterizzati e, fra questi, con figure interessanti e valide come quelle di Alessandro Mandarini e di Rodolfo Mirabelli. Forse, in passato, si è dato tanto lustro al fenomeno del giacobinismo e ai nostri giacobini e, a dire il vero, si è fatto bene. Questi ultimi, in fondo, non solo rappresentavano le nuove idee della rivoluzione francese, che avanzavano insieme con le armi dei soldati di Napoleone, ma aspiravano anche ad un nuovo Stato e ad una nuova forma di espressione del potere.
Altrettanto importante è, però, non dimenticare gli uomini che, fedeli al re Borbone, sotto l’idea legittimista difesero il Regno di Napoli dall’invasione francese, sacrificandosi, con abnegazione e con entusiasmo, in quel processo di lotta allo straniero in cui non è poi errato rinvenire anche i prodromi del nostro Risorgimento. In quei mesi, si delineò in termini concreti l’idea di patria
e per essa si combatté dalla parte dei nostri giacobini e dalla parte dei massisti e dei legittimisti.
A distanza di due secoli, ormai spento il clamore degli uomini e il furore delle armi, si può serenamente affermare che, dall’una e dall’altra parte, si lottò per un’idea e che, nell’una e nell’altra parte, condannati e disprezzati gli eccessi e gli uomini malvagi che, presenti in entrambe le formazioni, compirono atti di atroce violenza e feroci assassinii, si segnalarono anche tantissime persone dabbene che combatterono per un’idea, persone degne di essere annoverate fra gli eroi della nostra terra. Anche a queste persone sono ritornato con questo mio lavoro e, ora che le vicende cominciano a farsi sempre più lontane e più sbiadite diventano le pagine di quanti le hanno narrate, ho voluto ricordare ancora una volta le une e le altre, per tornare a fermarle nella storia della loro epoca prima che il tempo finisca col collocarle in secondo piano, magari all’ombra di altre storie e di altre vite parallele.
L’Autore
I
Alessandro Mandarini e Rodolfo Mirabelli
Non è dato sapere quel che pensasse Alessandro Mandarini quando, caduta Maratea, dopo aver rifiutato le onorificenze che avrebbe ottenuto, se fosse passato dalla parte dei francesi, si mise in viaggio verso la Sicilia. Certo il fedelissimo suddito di re Ferdinando, lasciando i luoghi in cui aveva guidato la lotta al francese invasore, non doveva essere particolarmente felice. Chi potrebbe esserlo, dovendo constatare che, alla fine, era risultato inutile l’impegno profuso in Lucania e in Calabria contro il francese e vano il sacrificio di uomini, che avevano versato il proprio sangue per la causa legittimista? Chissà, forse quegli uomini, in quel momento, ritornavano alla sua testa, tornavano a passare davanti ai suoi occhi come fantasmi d’una impresa e d’una avventura, di cui forse dentro restava ancora vivo l’orgoglio.
Sì, l’orgoglio! In fondo, Alessandro Mandarini aveva combattuto non per sé o per i propri interessi, ma per l’ideale d’una patria che era stata la culla dei suoi natali. Egli era, infatti, venuto alla luce in Maratea nel 1762 e per Maratea e per la sua popolazione, in piena fedeltà al sovrano legittimo, aveva guidato i propri uomini contro lo straniero. Alessandro Mandarini, al momento della lotta, aveva risposto con tutto il proprio ardore e non si era mai lasciato andare allo sconforto. Aveva 44 anni ai tempi dell’assedio di Maratea, 44 anni fino ad allora spesi e vissuti onoratamente, con tanta dignità e con tanto cuore. Fin da giovane era stato uomo generoso, coerente e buono: per dirittura di giudizio, – scriveva L.M. Greco – per bella e dignitosa persona, per cuore benefico, per modi semplici e cortesi, veniva, giovane ancora, in buona voce, e qual privato, e come esercente parecchi municipali uffizi gratuiti. Aveva in Basilicata molta dipendenza; di qua e di là del Faro protettori molti, autorevoli e potenti
[1].
Da sempre aveva goduto della stima di tutti e dei sovrani, che egli ricambiava con assoluta fedeltà e, per le sue qualità, aveva una propria ascendenza sul popolo, che gli voleva bene e lo ascoltava. Ora, lasciando la propria terra ed il campo di battaglia, dove si era battuto con abnegazione e con onore, rispettato anche dagli avversari francesi, si ritirava in Sicilia, dove ancora sventolava alta la bandiera della patria e del regno borbonico. Tanti pensieri, in quel momento, di certo affollavano la sua mente e si accavallavano e, con essi, si agitavano ancora, nel suo cuore, i giorni di Maratea, i giorni dell’isola di Dino, la resistenza sulla rocca della cittadina del golfo, dove si trovava il castello dell’ultima opposizione all’invasore francese. Giorni difficili, pieni di fatica e di sacrifici, ma anche ricchi di prove e di gloria contro il potente esercito del Bonaparte, che aveva seminato morti e mietuto vittorie in vari luoghi d’Europa.
Quanti ricordi tornavano alla mente in quelle ore in cui viaggiava verso l’isola siciliana, quanti momenti di riflessione, nel corso dei quali magari aveva anche ripensato ai piani di difesa, ai progetti di lotta al nemico francese, chiedendosi forse se si sarebbe potuto fare altro per la patria. Sì, perché un caldo sentimento di amor patrio l’aveva indotto alla lotta per la liberazione della propria terra dall’occupazione straniera, un caldo sentimento d’amor patrio che vibrava ancora intatto ed integro nel suo generoso cuore. Chissà, forse meditava e sospirava al pensiero dell’impegno profuso in Calabria e in Basilicata per scacciare il francese invasore, un invasore che portava sulla punta delle proprie armi i principi del giacobinismo ed il verbo della rivoluzione, tradendoli di fatto con un’occupazione che era solo una tappa verso la realizzazione del sogno Mediterraneo di Napoleone Bonaparte.
Altro che libertà e diritti! I francesi erano degli occupatori e l’avevano dimostrato, sin dal primo momento, con l’atteggiamento degli stessi soldati, che si erano comportati da conquistatori, pronti spesso alle devastazioni, alle distruzioni e alle rapine, proprio come comunemente si faceva