Pane e margarina
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Info su questo ebook
Il 7 ottobre 1943 Vittorio Cerracchio, Capitano dei Reali Carabinieri, ricevette l’ordine di presentarsi in caserma per essere disarmato, con tutti i militari del reparto, ed essere avviato in una imprecisata località.
Guidato da sentimento d’onore e da senso del dovere, non si dette alla fuga ma eseguì l’ordine, rimanendo anch’egli prigioniero dei tedeschi per sette lunghi mesi in Polonia.
Questo libro raccoglie una parte dei suoi numerosi scritti e delle sue memorie; in particolare contiene un lungo diario di prigionia che ha il suo inizio il giorno 7 ottobre dell’anno 1943.
La prigionia subita gli lasciò un lungo strascico sia nel corpo che nell’animo. Egli tornò in Italia con il pesante fardello di aver aderito al nuovo Stato creato da Mussolini, benché detta adesione fosse stata estorta sotto la minaccia di un danno ingiusto. A causa dell’atto di adesione, si tentò di gettare fango sul suo nome per molti anni. Alla fine, però, per la sua fedeltà e lealtà, gli fu annullato ogni addebito, e per il suo impegno gli furono riconosciuti numerosi meriti, fino a portarlo a ricevere, nell’anno 1972, la promozione a Generale di Brigata.
Francesca Floccia
Francesca Floccia è nata nel 1973 a Roma dove ha ottenuto il diploma di maturità classica nel 1992 e si è laureata in Scienze Biologiche nel 1997. Ha iniziato a lavorare presso un’agenzia di informazione medico-scientifica e in seguito ha lavorato presso un’azienda farmaceutica nel settore marketing. Attualmente lavora alle dipendenze dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel dipartimento Difesa della Natura. Sposata con due figli: Pietro e Luca, è appassionata di romanzi e di storia. “Pane e margarina” è la sua prima pubblicazione non scientifica.
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Anteprima del libro
Pane e margarina - Francesca Floccia
Francesca Floccia
Published by Giuseppe Meligrana Editore at Smashwords
Copyright Meligrana Editore, 2012
Copyright Francesca Floccia, 2012
Tutti i diritti riservati
ISBN: 9788897268611
Disegno di copertina: Pietro Forleo
Meligrana Editore
Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV)
Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041
www.meligranaeditore.com
info@meligranaeditore.com
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INDICE
Frontespizio
Colophon
Licenza d’uso
Francesca Floccia
Dedica
Premessa
Pane e margarina
1. Dies a quo
2. Da Roma a Meppen
3. Da Meppen a Biala Podlaska
4. La prigionia a Deblin Irena
5. La prigionia a Przemysl
6. Redde rationem
Conclusioni
Ringraziamenti
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Grazie per il rispetto al duro lavoro di questo autore.
Francesca Floccia
Francesca Floccia è nata nel 1973 a Roma dove ha ottenuto il diploma di maturità classica nel 1992 e si è laureata in Scienze Biologiche nel 1997. Ha iniziato a lavorare presso un’agenzia di informazione medico-scientifica e in seguito ha lavorato presso un’azienda farmaceutica nel settore marketing. Attualmente lavora alle dipendenze dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel dipartimento Difesa della Natura. Sposata con due figli: Pietro e Luca, è appassionata di romanzi e di storia. Pane e margarina
è la sua prima pubblicazione non scientifica.
Contattala:
francesca.floccia@gmail.com
A Pietro, Matteo, Luca, Davide e Francesco.
Per voi ho voluto tenacemente questo libro,
affinché conosciate le radici della famiglia di cui fate parte
e ne ricerchiate tracce dentro di voi.
Sento il bisogno e il desiderio di sapere, perché nonno prima di ora era per me solo quella foto scattata nel settembre 1976, poco prima della sua morte, quella foto che ritrovo in tutte le nostre case perché è l’ultima che lo ritrae: in essa ci siamo io e Daniela, accanto a lui che è seduto su una sdraio sulla terrazza di Pontelandolfo; ne posso immaginare l’aria fresca, il vento, il profumo.
Noi sappiamo che per i morti è troppo tardi.
Per loro, abbandonati da Dio e traditi dall’umanità,
la vittoria è venuta troppo tardi.
Ma non è troppo tardi per i bambini di oggi, i nostri e i vostri.
È solo per loro che noi testimoniamo.
Elie Wiesel, Premio Nobel della pace,
sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti
La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino.
Costituzione della Repubblica Italiana, art. 52, c. 1
Calma, severa, tacita, compatta,
ferma in arcione, gravemente incede
la prima squadra, e dietro al re s’accampa
in chiuse file. Pendono alle selle,
lungo le staffe nitide, le canne
delle temute carabine. Al lume
delle stelle lampeggian le sguainate
sciabole. Brillan di sanguigne tinte
i purpurei pennacchi, erti ed immoti
come bosco di pioppo irrigidito.
Del re custodi e della legge, schiavi
sol del dover, usi obbedir tacendo
e tacendo morir, terror de’ rei,
modesti ignoti eroi, vittime oscure
e grandi, anime salde in salde membra,
mostran nei volti austeri, nei securi
occhi, nei larghi lacerati petti,
fiera, indomata la virtù latina.
Risonate, tamburi; salutate,
aste e vessilli. Onore, onore ai prodi carabinieri!
La Rassegna di Novara, Costantino Nigra, 1861
Premessa
Vittorio Cerracchio, mio nonno materno, nacque a Capua il 23 giugno 1910 e morì a Pontelandolfo il 23 settembre 1976, a soli 66 anni.
Figlio di un ufficiale superiore di Fanteria, si arruolò come volontario nell’Esercito, frequentando l’Accademia Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena e successivamente la Scuola di Applicazione di Fanteria di Parma negli anni 1928-1931.
Promosso tenente, nel 1933 partì per la Tripolitania, nella Libia occidentale, nel Regio Corpo delle Truppe Coloniali. Dopo un anno rimpatriò per frequentare il corso di abilitazione per il passaggio nell’Arma dei Carabinieri Reali e, con il grado di tenente, prestò servizio dapprima a Fiume e poi a Vittorio Veneto. Nel 1938 fu trasferito d’ufficio in Africa Orientale, partecipando con il Battaglione di manovra Carabinieri e Zaptiè alle operazioni di grande polizia coloniale dello Scioà¹.
Nel maggio del 1940 rientrò in Italia, territorio dichiarato in stato di guerra, e venne decorato della medaglia commemorativa delle operazioni militari in Africa Orientale Italiana. Nel 1941 fu trasferito a disposizione della Legione di Roma e in seguito, divenuto capitano, fu destinato alla Compagnia esterna prima di Palermo e poi di Roma. Nel 1942 gli venne conferita la Croce al merito di guerra² e fu trasferito al Comando Supremo a disposizione della Legione di Firenze mobilitata.
Il 26 settembre 1943, pochi giorni dopo l’armistizio dell’8 settembre, fu trasferito alla Legione territoriale di Roma dove assunse il Comando della Compagnia Servizi Presidenziali, addetta alla vigilanza del Capo del Governo e dell’Ambasciata germanica.
Il 7 ottobre dello stesso anno, Vittorio Cerracchio ricevette l’ordine di disarmare i propri militari; così fece e contestualmente venne catturato dai tedeschi e subì una prigionia di sette mesi, facendo ritorno in Patria nell’aprile del 1944, poco prima della liberazione di Roma che avvenne il 5 giugno dello stesso anno.
Questo libro raccoglie una parte dei suoi numerosi scritti e delle sue memorie; in particolare contiene un lungo diario di prigionia che ha il suo inizio il giorno 7 ottobre dell’anno 1943 e il suo termine il 10 marzo dell’anno 1944.
La prigionia subita lasciò un lungo strascico sia nel corpo sia nell’animo di mio nonno. Egli, per poter riottenere la libertà, che in quel momento significava non solo sopravvivere e tornare a casa, ma anche continuare a prestare la propria opera al servizio del legittimo governo dell’Italia liberata
, fu costretto a firmare, nel gennaio del ‘44, l’atto di adesione alla Repubblica Sociale Italiana. Per le stesse motivazioni, nell’aprile del ‘44, ad Acqui, dove di fatto continuava lo stato di prigionia, fu costretto a giurare fedeltà alla Repubblica di Salò. Pur non avendo mai tolto le stellette né le sigle reali, né avendo mai indossato la camicia nera
, con la successiva norma retroattiva del luglio ‘44 (R. D. 27 luglio 1944 n. 159 Sanzioni contro il Fascismo
), si tentò di gettare fango sul suo nome per molti anni dopo la fine della guerra. Nonostante ciò, alla fine, per la sua fedeltà e la lealtà, gli fu annullato ogni addebito, e per il suo impegno gli furono riconosciuti numerosi meriti, fino a portarlo a ricevere, nell’anno 1972, la promozione a Generale di Brigata.
Pane e margarina
contiene frammenti di gravi e significativi avvenimenti che hanno fatto la storia del nostro Paese; ancor più, contiene emozioni e valori, di cui credo che la mia generazione abbia soltanto una vaga idea: il valore militare, l’amore per la Patria, il senso del dovere e del sacrificio per gli altri.
Nonno ha scritto il suo diario su un blocco-note tedesco dalla copertina di colore grigio, riempito su ambedue le facciate dei fogli con una scrittura chiara e fitta su tutte le righe.
Ho ricevuto il diario dalla mia famiglia e non mi sono accontentata di trascriverlo e stamparlo, ma ho voluto per nonno l’eternità che solo la copertina di un libro sa donare. Tanti ufficiali hanno annotato le vicende personali in un diario, per evadere dal dolore del momento, e anche per futura memoria e per timore che, nel caso fossero tornati a casa, nessuno avrebbe creduto ai loro ricordi.
Nelle librerie, nelle biblioteche e nelle pagine di internet vi sono tanti diari e memorie di prigionia nei campi nazisti della Seconda Guerra mondiale, eppure ciascun documento è di per sé unico. Da sempre un diario è una memoria importante affinché l’esperienza vissuta non rimanga vana e non sia dimenticata: il diario è la memoria individuale che diviene storia collettiva.
Perché Pane e margarina
?
Perché lo spettro di quella terribile fame, repressa quasi esclusivamente con pane e margarina, non ha abbandonato il diario neanche un giorno.
La suddivisione quotidiana del rancio era un momento speciale che concentrava l’attenzione di tutti: dalla minuziosa descrizione delle quantità di cibo ricevute ogni giorno si può immaginare vividamente la scena in cui i viveri venivano affidati a un componente del gruppo, il quale tagliava, misurava, pesava e compensava per raggiungere razioni il più possibile uguali.
Il diario degli ultimi mesi diviene monotono: una rassegna di pagine uguali che descrivono gli appelli, i pasti e i giorni vuoti. In circostanze così miserabili, s’innescavano impensabili azioni di solidarietà fra gli internati, probabilmente perché la partecipazione alla sofferenza altrui compensava le privazioni cui era sottoposto il singolo. Nonno in quei campi conobbe la fame, il freddo, l’umiliazione, le privazioni e la violenza.
Quelle che seguono sono pagine che esprimono la condizione di profonda solitudine e di terribile abbandono di uomini che furono privati di qualsiasi diritto e condannati soltanto a sopravvivere.
I titoli, le citazioni e le note (così come la suddivisione in capitoli dell’opera) non fanno parte degli appunti di nonno ma sono stati da me inseriti per agevolare il lettore a comprendere meglio sia il contesto storico sia gli stati d’animo di Vittorio Cerracchio.
Francesca Floccia
1
Dies a quo
³
Un paese che ignora il proprio ieri,
di cui non sa assolutamente nulla
e non si cura di sapere nulla,
non può avere un domani.
Indro Montanelli,
giornalista, scrittore e storico, 1909-2001
L’armistizio⁴
«Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.»
Proclama di armistizio, 8 settembre 1943, Pietro Badoglio
Memoria
L’8 settembre 1943 ero a Roma di passaggio. Proprio in quel giorno avevo trasferito nella capitale la famiglia, composta da mia moglie, le due bambine e la domestica, avendo appreso ufficiosamente di essere stato trasferito dalla Legione⁵ di Firenze, ove mi trovavo a disposizione perché reduce da licenza di convalescenza, alle dipendenze della Legione territoriale CC. RR.⁶ di Roma.
Dovendo trovarmi il 9 successivo a Firenze per essere sottoposto, nell’ospedale militare, a visita medico-legale⁷, lasciai i miei a Roma presso parenti e alle 23:40 dello stesso giorno 8 partii per Firenze.
Terminato il servizio non potei ritornare a Roma perché i tedeschi già controllavano la linea ferroviaria, sicché rimasi in forza alla Legione di Firenze quale ufficiale a disposizione.
La Legione era allora comandata dal colonnello Contreras Annibale; nella stessa caserma era però anche il Comando della brigata, retto dal generale Carlino Pietro.
Il giorno in cui i tedeschi giunsero a Firenze, non ricordo se il 13 o il 14 settembre, tutti gli ufficiali, i sottoufficiali e i carabinieri del capoluogo furono consegnati in caserma; alle trattative che si svolsero tra le autorità militari italiane e quelle tedesche per risparmiare alle città gli orrori della guerra, partecipò anche il generale Carlino. Quando il generale fece ritorno in caserma, egli comunicò a tutti gli ufficiali presenti che nelle trattative era stato convenuto che i carabinieri non sarebbero stati disarmati e avrebbero continuato indisturbati il loro servizio di istituto.
Così fu infatti; per quel che mi consta nessun militare dell’Arma fu disturbato e, per conseguenza, nessuno si sbandò.
Al contrario numerosissimi carabinieri di altri reparti affluirono a Firenze; furono a mano a mano interrogati sui motivi del loro sbandamento e in seguito presi in aggregazione e riequipaggiati.
Il 26 settembre, essendo pervenuto dal Comando Generale dell’Arma l’ordine del mio trasferimento a Roma per i costituendi battaglioni mobili motorizzati, partii per la capitale.
Per ordine del colonnello comandante della Legione, Maceri Salvatore, rimasi due o tre giorni a disposizione, poi, convocato telefonicamente e urgentemente al comando dallo stesso col. Maceri, mi fu affidato il comando interinale⁸ della Compagnia Servizi Presidenziali.
Il comandante titolare del Gruppo Servizi Presidenziali era il magg. Scivicco Giuseppe, ma poiché questi era anche momentaneamente addetto al Ministero della Guerra⁹, lo sostituiva interinalmente il magg. Stacciali Nicola.
La Compagnia Servizi Presidenziali era comandata dal cap. Morrone Luigi, in quel periodo ammalato.
Il reparto non aveva compiti territoriali; suddiviso in tre nuclei, ciascuno al comando di un ufficiale, e smistato in varie caserme di Roma, provvedeva alla vigilanza esterna della Villa Badoglio e dell’Ambasciata tedesca. Una buona parte di carabinieri era però distaccata all’Aeroporto dell’Urbe e dipendeva per impiego dal comando territoriale avente giurisdizione su detto aeroporto.
Trovai la compagnia in pieno dissolvimento: i carabinieri fuggivano senza ragione più per riunirsi alle proprie famiglie che per non collaborare con i tedeschi, perché in realtà essi non avevano nessun contatto con le truppe occupanti; quelli rimasti non ubbidivano più e non riconoscevano più l’autorità dei superiori; i sottoufficiali si barcamenavano e non davano garanzia. Gli ufficiali, due tenenti in servizio permanente effettivo¹⁰, erano militarmente a posto, ma entrambi erano al reparto soltanto da pochi giorni e non conoscevano i propri uomini neppure di nome.
Questa situazione non mi consentiva di avere sottomano gli uomini in caso di necessità; ero convinto, come molti altri colleghi, che presto o tardi si sarebbe combattuto per le strade contro i tedeschi e