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Lucertole divine
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E-book35 pagine27 minuti

Lucertole divine

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Info su questo ebook

L’arte che distingue questo libro non è piccola, è l’arte di fermare un momento le cose che guizzano via leggere, senza far rumore, i momenti che io chiamo lucertole divine”. Questa citazione di Nietzsche nelle primissime pagine spiega il titolo di questo libro di Salvatore Fazia, autore tra i più originali tra quelli sin qui incontrati, autentico esteta della parola, con uno speciale gusto per la calligrafia, intesa sia etimologicamente come scrittura bella da vedere, sia in senso lato come concetti ben esposti, scritti con stile originale, con un uso non scontato del vocabolario. In questa pubblicazione Fazia dà sfogo a questa sua passione ricercando, tra autori dei generi più svariati (filosofi, storici, scrittori, giornalisti, scienziati, cuochi...), frasi particolari sia per il senso, sia per l’originalità, sia per la forma.
Più che ad una raccolta di citazioni o di massime, questo libro fa pensare ad un’antologia scolastica, di quelle che raccolgono di tutto un po’, per dare agli studenti un’infarinatura generale sulla letteratura. Qui l’infarinatura è molto più ampia, dedicata sicuramente non solo agli studenti ma a lettori di ogni età. Certo, non sempre le scelte sono comprensibili e le citazioni non sono tutte di facile comprensione. Ma “Lucertole divine” è una lettura stimolante, anche perché le frasi riportate non seguono un ordine preciso a meno che non sia il lettore stesso che, lasciandosi guidare dal piacere della lettura, non voglia trovarne uno.
LinguaItaliano
Data di uscita22 set 2014
ISBN9788884496980
Lucertole divine

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    Anteprima del libro

    Lucertole divine - Salvatore Fazìa

    autori

    Lucertole divine

    2000 citazioni, tessere auree della modernità mosaico

    L’arte che distingue questo libro non è piccola, è l’arte di fermare un momento le cose che guizzano via leggere, senza far rumore, i momenti che io chiamo lucertole divine (Nietzsche)

    Introduzione

    Eco:

    «tu hai messo nel film

    quello che nella critica postmoderna si chiama doble cooding, la doppia codifica.

    Un racconto si svolge

    a un certo livello di complessità, di strizzate d’occhio, di citazioni,

    ma uno che non le coglie

    può godere il racconto ugualmente. La tua opera vorrebbe che ci fosse anche il lettore

    che coglie il gioco citazionistico. Ma a me quel lettore

    darebbe un po’ sui nervi. Vorrei che riconoscesse qualche citazione,

    ma non vorrei che le cogliesse

    tutte».

    Benigni:

    «Se le cogliesse sarebbe insopportabile.

    Vorrei che lo spettatore amasse delle frasi senza sapere che questa o quella

    è, ad esempio,

    una frase di Montale o di Majakovskij»

    Le citazioni hanno forma e figura di cose letterarie ora segrete e chiuse, ora esposte e aperte a certe trasparenze del caso. Non se ne danno le fonti, affinché siano pensate e lette come formule autonome e assolute, secondo il valore anonimo e libero che le rende simili ai proverbi, alle sentenze popolari e alle massime eterne. Su questa analogia è venuto meno ogni altro intento rappresentativo, anche quello di creare un qualche ordine enciclopedico, secondo il problema se dare loro, o no, una classificazione tematica o un inquadramento storico o almeno un ordine per autore. Tutte queste soluzioni potevano avere il vantaggio di costruire una qualche area di relatività attorno al loro punto di insorgenza, ma era proprio questo che bisognava evitare: un’idea citazionistica, che non ha nessuna intenzione pratica, che è nata solo all’interno di un’ammirazione estetica, deve proprio evitare ogni referenzialità di campo, ogni empirismo utilitario. Un’idea del genere, se vuole soddisfare l’estasi della lettura, deve sfumarne la lettura stessa, lungo gli infiniti aperti in tante direzioni. Al posto dell’interesse scientifico ponendo il sublime edonistico, quello che alla fine crea l’accoglimento delle cose e ne apre l’ebbrezza del godimento: è come dice Eco, il lettore che ne cogliesse il quadro citazionistico darebbe sui nervi, e sarebbe insopportabile aggiunge Benigni. Se è l’idealità della lettera che ne emerge ogni volta, e se ogni volta la lettera prende l’idealità di un senso, perché

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