Tullio Pinelli - L'intervista ritrovata
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Anteprima del libro
Tullio Pinelli - L'intervista ritrovata - Demetrio Salvi
Demetrio Salvi
TULLIO PINELLI
l’intervista ritrovata
i misteri della scrittura e quarant’anni
del miglior cinema italiano
raccontati da un grande sceneggiatore
Demetrio Salvi
TULLIO PINELLI
l’intervista ritrovata
i misteri della scrittura e quarant’anni
del miglior cinema italiano
raccontati da un grande sceneggiatore
ISBN 978-88-909589-4-6
prima edizione dicembre 2014
Fotografia e grafica Rosa D’Avino
©Edizioni Malebolge
Via Trivice 55 – Napoli
edizionimalebolge@gmail.com
L’intervista ritrovata
Cosa volevo sapere da Tullio Pinelli, trent’anni fa?
Mi incuriosiva scoprire cosa si celasse dietro a una professionalità - quella dello sceneggiatore - che sembrava sfuggire a qualunque definizione, che costringeva gli intellettuali a prendere posizione, che spesso metteva a disagio chi la praticava, quasi fosse un’onta mettere la propria scrittura al servizio di un’industria, dominata dall’idea di far soldi.
Poi, magari, era Pasolini, nel suo Empirismo eretico, a parlare di struttura che vuol essere altra struttura
, a ipotizzare, per la sceneggiatura, una sorta di eventualità letteraria che rivendicava, proprio grazie a questo desiderio di diventare altra cosa, una forza che le permetteva di assurgere a tipologia di opera letteraria a se stante, dotata comunque di valore artistico...
Riflessioni... antiche, parole desuete, ormai, e, forse, senza più senso.
Dopo trent’anni le cose sono di molto cambiate e certa manualistica americana, che ha accompagnato la presenza, in Italia, di un guru qual è Robert McKee, ha cambiato le carte in tavola: oggi, chiunque voglia avvicinarsi a questo mondo, ha percorsi ben tracciati e riferimenti chiari da seguire.
Per certi aspetti, scrivere una sceneggiatura, capire cosa sia, come funzioni, quali siano le caratteristiche anche ritmiche della scrittura cinematografica, non è più un mistero.
Questo, ovviamente, in teoria. Perché la pratica è tutt’altra cosa - il nostro è un cinema che langue, che non riesce a stare a passo con i tempi, che cede sia alla mastodontica correttezza di certo cinema americano (piaccia o non piaccia, provengono da lì i film che dominano nelle nostre sale), sia alla forza di tante altre cinematografie, più determinate della nostra, più disposte a rischiare, sostenute, magari, da politiche culturali più attente, più intelligenti, più sottili (il cinema francese ne è un esempio assieme a tanto cinema asiatico...)
Rileggendo questa intervista, però, sono stato colto anche dai fremiti e dai ricordi di un cinema che, meravigliosamente, funzionava, che sapeva imporsi clamorosamente su quello che era non solo il mercato internazionale, ma proprio l’immaginario comune: tra neorealismo e commedia all’italiana, Pinelli ha attraversato gioiosamente - dicendo chiaramente la sua - certi anni e certi registi che restano un punto di riferimento proprio di tutta la storia del cinema, non solo quella nazionale.
Pinelli era un artigiano, come tanti altri grandi nostri scrittori. Uno che sperimentava, che, facendo appello alla sua cultura squisitamente teatrale, non temeva a ricomporre la propria scrittura e a sottometterla a quelle che erano le imprecise regole - ancora tutte da stabilire - proprie del cinema.
Per circa settant’anni, Pinelli inanella una serie di capolavori che condivide piacevolmente con registi quali Fellini, Germi, Lattuada, Monicelli...
La sua rimane una presenza discreta, sempre pronta a farsi da parte, a evitare i red carpet di tutto il mondo - una sola volta è andato a Venezia, per prendere i fischi d’un suo film lì presentato (intendiamoci: film oggi ritenuto un capolavoro assoluto, quale è Il bidone). Una discrezione virile
, molto affermativa, che non si assoggettava a nessun gran nome della cinematografia nazionale o internazionale, che non ha mai collaborato in subordine
con nessun regista, come afferma lui stesso.
Ho effettuato questa intervista il 10 e l’11 settembre del 1984: avrebbe fatto parte della mia tesi di laurea e, a rileggerla, colgo le ingenuità di chi, testardamente, insegue un’idea - quella di voler far venire fuori una coscienza della scrittura che proprio non poteva esserci. Pinelli era un artista che aveva vissuto fisicamente
l’apprendimento della narrazione letteraria e filmica, che era, appunto, diventata pratica
e non teorica
.
Le scoperte che ritrovo ora riguardano, invece, il cinema, nella sua accezione più ampia, e Pinelli mi riassume, avendolo vissuto in prima persona, un pezzo di storia del nostro cinema migliore, del cinema migliore per tutti. Mi racconta, con lucida leggerezza, di un cinema appassionato, schietto, sincero, che non aveva timore a sperimentare, ad avvicinare la gente, a mettere assieme arte, artigianato, intelligenza, forza, coraggio, braccia, muscoli, semplicità... Un cinema che aveva la forza trascinante d›una generazione che aveva sofferto e che voleva rinascere, piena e ricca di desiderio di cambiare, di crescere, di trasformarsi in qualcos›altro. Un cinema che aveva l›Italia quale sua nazione d›adozione e che si faceva forte delle spinte locali, di una provincia ancora frastagliata e originale, capace di raccontare infinite storie a chi avesse orecchie buone per sentire, per lasciarsi ammaliare da un popolo e da un territorio che si portava dentro una storia millenaria, per niente pacifica, per niente lineare.
Eppure, ciò nonostante, certe riflessioni sulla scrittura, sullo scrivere una sceneggiatura, risultano chiarificanti se non illuminanti. Sono riflessioni che utilizzo a tutt›oggi, durante i miei seminari di sceneggiatura, lezioni che mettono assieme le teorizzazioni più avanzate degli americani, ma che non si lasciano sfuggire ciò che di grande e di importante abbiamo realizzato noi.
Questa intervista è rimasta per molto tempo in un cassetto. Mi sembra giusto, ora, darle la possibilità di vivere liberamente.
Una breve biografia
Tullio Pinelli (Torino, 24 giugno 1908 – Roma, 7 marzo 2009), proveniente da un’antica famiglia aristocratica piemontese, studia al Liceo Massimo d’Azeglio e si laurea in giurisprudenza, esercitando l’avvocatura fino agli anni Quaranta. Scrive testi teatrali, molti dei quali sono messi in scena con importanti riconoscimenti di critica e di pubblico.
La Lux Film gli dà la possibilità di accedere al mondo del cinema e, subito dopo la Seconda Guerra mondiale, Pinelli si trasferisce a Roma: la sua attività professionale è assorbita quasi completamente dal cinema e