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E-book233 pagine2 ore

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Info su questo ebook

4° volume della collana "Cinema del '900".

A cura di Massimo Moscati.

Prefazione di: Giulia Tellini

Una nuova collana che, attraverso il ritratto di dieci attori/registi, rievoca 100 anni di cinema italiano, tracciandone le coordinate stilistiche e tematiche. Un'arbitraria, quanto rigorosa istantanea, di una grande e lunga stagione del nostro cinema, dagli albori fino alla fine del secolo scorso.

La storia di Filoteo Alberini da Orte, pioniere spericolato e ingenuo, genio visionario e naif che, sedotto da Edison e dal sogno di catturare e riprodurre il movimento, rischiò di inventare il cinema, non riuscendoci per un soffio. E che, una volta bruciato al fotofinish nell'invenzione del secolo, seppe risorgere dalle ceneri dello smacco e della delusione proponendosi via via come inventore, gestore di sale cinematografiche, regista, operatore, produttore, padre indiscusso - ma non riconosciuto - del cinema italiano, ispiratore di quel gigantesco paese dei balocchi che sarebbe diventato Cinecittà.

Una vita incredibile, attraverso cui leggere e comprendere quelle vicende e quegli anni tumultuosi che diedero forma, regole e grammatica all'arte più popolare del mondo.

Una storia ingiustamente perduta e dimenticata che questo libro recupera e sottrae alla polvere stantia delle catalogazioni accademiche restituendole il ruolo che più le spetta e compete: quello di origine e alba di un sogno chiamato cinema.

LinguaItaliano
Data di uscita10 mar 2022
ISBN9788869347566
Alberini '00
Autore

Riccardo Lestini

Riccardo Lestini (Passignano sul Trasimeno, 1976), è scrittore, regista, saggista e insegnante. Ha scritto, tra gli altri, i romanzi Il Piccolo Principe è morto (Edizioni Fogliodivia, Premio Storm Festival, 2019) e Firenze, un film (id., 2020), la raccolta di racconti Ogni fottuto Natale (id., 2021) e il libro di poesie Solitudini (Portaparole, 2013). Per la saggistica, è autore di People are strange (Les Flaneurs, 2022), prima biografia italiana dedicata a Jim Morrison. Per il teatro ha firmato numerose regie, per molte delle quali è anche autore del testo e interprete. Tra queste, il monologo Con il tuo sasso (oltre cinquecento repliche), interamente dedicato al G8 di Genova. Sullo stesso argomento ha scritto la sceneggiatura del fumetto L'estate ritorna, pubblicato, assieme a testi e disegni di Zerocalcare, Erri De Luca e altri, nel volume Nessun rimorso (Coconino Press, 2021), e il monologo breve Genova Libera, con cui ha aperto i concerti dei Modena City Ramblers. Ha una pagina social, http://facebook.com/riccalestini, e un sito internet, www.riccardolestini.it

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    Anteprima del libro

    Alberini '00 - Riccardo Lestini

    Riccardo Lestini

    Alberini ‘00

    L’uomo che inventò il cinema italiano

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, marzo 2022

    e-Isbn 9788869347566

    È vietata la copia e la pubblicazione,

    totale o parziale, del materiale

    se non a fronte di esplicita

    autorizzazione scritta dell’editore

    e con citazione esplicita della fonte.

    Tutti i diritti riservati.

    Direttore della collana Cinema del ‘900: Massimo Moscati

    Editing: Cesare Paris

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    Riccardo Lestini

    Riccardo Lestini (Passignano sul Trasimeno, 1976), è scrittore, regista, saggista e insegnante.

    Ha scritto, tra gli altri, i romanzi Il Piccolo Principe è morto (Edizioni Fogliodivia, Premio Storm Festival, 2019) e Firenze, un film (id., 2020), la raccolta di racconti Ogni fottuto Natale (id., 2021) e il libro di poesie Solitudini (Portaparole, 2013). Per la saggistica, è autore di People are strange (Les Flaneurs, 2022), prima biografia italiana dedicata a Jim Morrison.

    Per il teatro ha firmato numerose regie, per molte delle quali è anche autore del testo e interprete. Tra queste, il monologo Con il tuo sasso (oltre cinquecento repliche), interamente dedicato al G8 di Genova. Sullo stesso argomento ha scritto la sceneggiatura del fumetto L’estate ritorna, pubblicato, assieme a testi e disegni di Zerocalcare, Erri De Luca e altri, nel volume Nessun rimorso (Coconino Press, 2021), e il monologo breve Genova Libera, con cui ha aperto i concerti dei Modena City Ramblers.

    Ha una pagina social, facebook.com/riccalestini, e un sito internet, www.riccardolestini.it

    Cinema del ‘900, attraverso il ritratto di dieci attori/registi, rievoca 100 anni di cinema italiano, tracciandone le coordinate stilistiche e tematiche.

    A cura di Massimo Moscati, una nuova collana, volutamente arbitraria, ma rigorosa istantanea di una grande e lunga stagione del nostro cinema, dagli albori fino alla fine del secolo scorso.

    Dieci volumi per dieci autori esperti della materia e grandi conoscitori della settima arte.

    Una collana volta alla riscoperta di grandi capolavori perché il Classico, per sua natura, è sempre contemporaneo e sempre all’avanguardia.

    Un gigante sulle cui spalle possiamo salire per vedere un tratto in più di orizzonte che, altrimenti, rimarrebbe nascosto.

    I titoli della collana:

    Alberini ’00 di Riccardo Lestini

    Pastrone ’10 di Luca Mazzei

    Bertini ’20 di Letizia Cilea

    Camerini ’30 di Beppe Musicco

    Blasetti ’40 di Maria Triberti

    Totò ’50 di Massimo Moscati

    Tognazzi ’60 di Alessandro Garavaglia

    Fellini ’70 di Nicola Bassano

    Moretti ’80 di Antonio Autieri

    Verdone ’90 di Gianluca Cherubini

    Per Andrea,

    ovvero il Vecchio Giangi,

    da sempre e per sempre

    la mia infallibile coscienza

    in 35 millimetri

    Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio

    Federico Fellini

    Premessa

    Ristabilire i fatti

    Dice un proverbio: Con i se e con i ma la storia non si fa. Ma questo saggio, dal forte taglio narrativo, dedicato a Filoteo Alberini cerca almeno di ristabilire la verità.

    Prima dell’invenzione passata alla Storia come dei fratelli Lumière, precisamente nel 1894, Alberini scopre a Firenze un Kinetoscopio Edison. Si tratta di una specie di grande scatola in legno dotata di un foro sulla sommità per poter guardare all’interno: immagini in movimento attivate manualmente con una manovella. Una sorta di cinema individuale che diventerà spettacolo collettivo l’anno seguente grazie ai fratelli francesi. Alberini studia il macchinario, animato da un’intuizione precisa: «Non sarebbe forse meraviglioso poter far vedere quella fotografia animata a centinaia di persone col mezzo della proiezione luminosa sul tipo della vecchia lanterna magica? Da quel giorno incomincia la mia vita cinematografica».

    E così, dopo mesi di impegno, realizza un marchingegno – il kinetografo – in grado di imprimere su pellicola 1.000 fotogrammi al minuto (che poi significa 16 fotogrammi al secondo), permettendo di proiettare le riprese contemporaneamente ad un vasto pubblico.

    È la nascita del cinema. Ma Alberini commette alcuni passi falsi. Parte col piede giusto, richiedendo il deposito del brevetto, ma allo stesso tempo incontra a Lione Auguste e Louis Lumière, che si occupano di fotografia e stanno a loro volta lavorando ad un brevetto che è il preludio alla pellicola cinematografica. Si ignora il motivo del fallimento di tale incontro, del fatto che non nasca una collaborazione, ma sta di fatto che i due francesi brevettano uno strumento molto simile a quello di Alberini presentandolo al mondo il 28 dicembre 1895 nella famosa proiezione cinematografica parigina de L’arriveé d’un train en gare de La Ciotat al Grand Cafè di Boulevard de Capucines. La nascita del cinema è francese.

    Uno smacco che è anche la testimonianza dell’elefantiaca burocrazia italiota: il Ministero dell’Industria e Commercio si prende oltre un anno dalla presentazione per rilasciare il brevetto. Quando avviene nel dicembre 1895 è troppo tardi, i Lumière hanno già resa pubblica la loro invenzione.

    Alberini, e lo leggiamo in queste pagine, non si perde d’animo e avvia la sua mirabolante carriera di esercente cinematografico, produttore e regista. Certo, incappa sempre in qualche ingenuità: come quando inventa la ripresa panoramica – elogiata da David W. Griffith – per cederla subito alla Fox (Natural Vision) che, non c’è da stupirsi, se ne intesta la paternità.

    Ma la pubblicazione di questo saggio a lui dedicato assolve anche alla funzione di un risarcimento a posteriori, molto a posteriori. Perché per molti anni la sua storia è stata singolarmente dimenticata dall’Italia.

    Deceduto sotto ai ferri, nel 1937, Alberini viene pressoché ignorato dalla stampa del tempo (si rammenta giusto un coccodrillo pubblicato dalla rivista Cinema, diretta da Luciano De Feo). Sembra quasi un mistero. Così come il fatto che viene dimenticato anche dagli addetti ai lavori. Sostanzialmente non lo cita nessuno fino all’apparizione di un saggio di Roberto Chiti (Contributi alla storia del cinema muto italiano: Filoteo Alberini, Bianco e nero: quaderni mensili del Centro sperimentale di cinematografia, A. 24/1963), che incomincia ad inquadrarne l’importanza.

    Chissà, forse il passato come disegnatore dell’Istituto Geografico Militare (per il quale, del resto, mette a punto un processo fotolitografico per la stampa diretta su lastra di zinco, che anticipava il sistema Polaroid, eliminando la negativa fotografica e quindi permettendo un risparmio del 90%, e una riduzione della tempistica) non creava le condizioni per promuovere, nel pensiero comune e a tutti gli effetti, Filoteo Alberini al ruolo di artista. Eppure, in fatto di creatività il nostro non difettava come attesta questa sua testimonianza apparsa sul quotidiano La Tribuna del 1° febbraio 1923: «Fin dalla mia fanciullezza sono stato un tipo alquanto bizzarro, e vi dirò subito che, mentre ero poco inclinato allo studio, avevo invece uno sfrenato desiderio di conoscere ed imparare tutte le arti e tutti i mestieri, desiderio questo da me raggiunto nel volgere degli anni. Non credo sia sfacciataggine la mia se vi dico che oggi io sarei disposto a darvene prova col fare, per esempio, un lavoro da falegname, un lavoro da fabbro, un lavoro da stagnino, saprei tagliare e cucire un vestito, fare un paio di scarpe, dipingere un quadro ad olio o a tempera, fare un ritratto a carboncino, fare un lavoro d’arte muraria e… potrei ancora seguitare a citare altre di queste stramberie. Cosa volete, la mia natura era così, ma riflettendo bene pensai che a seguitare di quel passo nulla di buono e di concreto nella vita avrei concluso, e mi fermai. Contribuì a questo una nuova arte che per puro caso mi si presentò: la fotografia! Rammento allorché per la prima volta vidi riprodurre nel vetro smerigliato della macchina fotografica le immagini capovolte e a colori, non vi saprei descrivere ciò che io provassi in quel momento!».

    Sfogliando questo libro si ha modo di scoprire un personaggio poliedrico, inventore, imprenditore, infine artista.

    Massimo Moscati

    Prefazione

    La verità sta in molti sogni

    Il y a tant de choses sur la Terre que nous ne comprenons pas,

    et tant de choses incroyables qui sont vraies.

    (François Truffaut)

    Ricostruire vita e carriera di Filoteo Alberini (classe 1867), originario di un’umile famiglia di Orte da lui lasciata diciassettenne perché «sente che la vita si trova altrove», significa ripercorrere tutta l’epopea del cinema delle origini, descriverne la progenitura, il concepimento e l’infanzia; l’età dei miti e l’inizio dell’avventurosa storia del cinematografo inteso come laico rito collettivo, ma non solo: significa anche raccontare l’avvio dell’industria cinematografica in Italia; la nascita della Cines; la rivoluzione, oltreoceano, del cinema sonoro. Sì, perché Alberini, sebbene in gran parte dei casi i suoi meriti non siano riconosciuti, è sempre dietro le quinte. Spesso artefice di invenzioni che, quando gliene viene riconosciuta la paternità, sono o leggermente in ritardo sui tempi o decisamente troppo in anticipo.

    Ma chi è Filoteo Alberini? È lo stagista ventenne che, mentre lavora all’Istituto Geografico Militare di Firenze, inventa un sistema di riproduzione fotografica che permette di abbattere i costi del 90%; è l’uomo che il 21 dicembre 1895 brevetta il kinetografo, poco meno d’un anno più tardi rispetto al brevetto del cinématographe da parte dei Lumière; è l’esercente che nel 1899, spostando i luoghi deputati al cinema dai tendoni periferici degli ambulanti al centro città, inaugura a Firenze una delle prime sale cinematografiche stabili sul territorio nazionale; è il fondatore della prima casa di produzione italiana nonché, nel 1905, il regista del primo film a soggetto della storia del cinema italiano, ossia La presa di Roma; è l’inventore della pulitrice meccanica per pellicole (nel 1907), del cineorologio (nel 1911), della cinepanoramica (nel 1914 ca.), della prima avveniristica multisala (nel 1920), di una macchina adibita alla riproduzione di foto rapide e di un dispositivo ottico, brevettato tre mesi prima di morire (nel 1937), per la visione binoculare in 3D.

    È tutto questo e molto altro: è una figura affascinante di ambizioso homo novus che abbandona la provincia alla conquista di Roma e poi di Firenze e infine dell’America; è un inventore geniale al servizio dei propri sogni; è un pioniere proteiforme che cade e si rialza migliaia di volte, che non si ferma e non si arrende mai, che trascorre l’esistenza incalzato dalla passione per la manualità e per i mestieri del cinema (lui regista, lui operatore, lui produttore, lui esercente…), oltre che dalla necessità di inseguire il futuro, di precorrerlo, di oltrepassarlo.

    Con impianto narrativo che ricorda quello della Storia morantiana, il libro di Lestini propone la storia del suo protagonista, rocambolesca e non abbastanza nota (si ricorda solo una monografia a lui dedicata, uscita di recente e firmata da Giovanna Lombardi), alternata a spassionate parentesi su alcuni aspetti della Storia del cinema. In tal modo risalta con evidenza ancora maggiore come Alberini sia un protagonista di assoluto rilievo della Storia del cinema con la S maiuscola, tanto da muoverla, determinarla, cambiarla.

    Pagina dopo pagina, la parabola umana di quest’uomo, che, fra brevetti e regie, fra successi e fallimenti, fra debiti e partenze, è talmente straordinaria da risultare quasi inverosimile, cattura e seduce il lettore, che si ritrova immerso nella storia come dentro a un film di Steven Spielberg. Fra i personaggi d’eccezione che popolano questo grande affresco di un’epoca che va dalla Belle Époque fino alla metà degli anni Trenta, troviamo Edison col suo kinetoscopio, i fratelli Lumière e i fratelli Skladanowsky, colui che la leggenda vuole inventore del montaggio (Méliès) e il produttore Charles Pathé, oltre a Leopoldo Fregoli e a Dante Santoni, con cui Alberini fonda la sua casa di produzione (la Alberini&Santoni, appunto). I luoghi nei quali la vicenda di Alberini si dipana? Dal piccolo natio borgo selvaggio nel viterbese alla Roma «decadente e melmosa» di fine Ottocento, dalla Firenze che «vive l’onda lunga della vivacità dell’Ottocento leopoldino» alla luminosa Livorno settembrina dove, il 16 settembre 1905, avviene l’anteprima della Presa di Roma.

    Col piglio del romanziere smaliziato ma al contempo del saggista che mira alla precisione e all’essenzialità, Riccardo Lestini cattura con affabulatoria levità alcune vividissime istantanee di una vita favolosa e, intorno a un personaggio principale che è fatto della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, tratteggia un mondo del cinema che, nella patria della grande Commedia dell’Arte vale a dire della spettacolarità itinerante, è più che mai legato alla realtà, così suggestiva e cara a Fellini, delle fiere di paese e dei circhi, delle arti di strada, delle attrazioni popolari da baraccone di periferia.

    C’era una volta… un ragazzo che, senza un soldo ma con la passione per la fotografia, partì da Orte nel 1884 e che, nel 1895, in ritardo di una manciata di mesi su due fratelli francesi che erano gli «eredi illustri di una fabbrica leader mondiale nel settore fotografico con oltre trecento operai a libro paga», brevettò una macchina del tutto simile alla loro e poi, una decina di anni e di avventure dopo, inventò il cinema italiano…

    Giulia Tellini

    Prologo

    È il 16 settembre del 1905 e a Livorno è ancora estate.

    I turisti continuano ad affollare le spiagge e le vie del centro, le giornate sono lunghe, il clima è ideale e la sera, anche nei giorni lavorativi, si esce volentieri.

    Per molti, livornesi e villeggianti, tappa centrale di quelle serate, tra una sosta al caffè e due passi sul lungomare, è via Vittorio Emanuele II (oggi via Grande), una lunga strada che dalla centralissima piazza Carlo Alberto (oggi piazza della Repubblica) caracolla dritta fino alla darsena, dove al civico 47, appena tre mesi prima, ha aperto i battenti il Cinematografo Artistico. Una sala all’avanguardia, la prima in città esclusivamente dedicata alle proiezioni e nata con l’intenzione di stare aperta tutto l’anno.

    Eppure, per quanto una realtà commerciale come l’Artistico sia del tutto nuova, a Livorno il cinematografo, già nel 1905, è tutt’altro che una novità. Da queste parti infatti, la diavoleria inventata dai fratelli Lumière dieci anni prima e destinata a scaraventare l’umanità intera nel Novecento, ha conosciuto una fortuna clamorosa e immediata. Da quando, fresco di brevetto e poco più che un gingillo, aveva varcato le Alpi tra fuochi d’artificio e baracconi come le pozioni miracolose delle carovane zingaresche, il cinematografo si era subito imposto come il passatempo ideale della borghesia in villeggiatura sul litorale.

    Dall’estate del 1896, quando al parco di divertimenti Eden Montagne Russe era stato montato il primo tendone per le proiezioni, fino all’apertura dell’Artistico, un pubblico straordinariamente eterogeneo composto da vacanzieri di ogni nazionalità e da una vivacissima cittadinanza, era cresciuto con il cinematografo, ne aveva seguito le evoluzioni e i progressi, era passato dai tendoni alle sale in muratura, dallo stupore per le vedute panoramiche all’attenzione per i primi esperimenti narrativi. Si era fatto critico, esperto ed esigente, creando una domanda altissima e innescando, almeno nella stagione estiva, una competizione già spietata tra diversi esercenti.

    L’intenso via vai internazionale che elettrizzava quelle lunghe estati di fine secolo, aveva spinto i Lumière, nella loro strategia commerciale di esportazione, a investire su Livorno al pari delle grandi città italiane come Roma, Napoli e Milano. Un azzardo azzeccatissimo e uno sforzo ripagato in pieno.

    Quel 16 settembre del 1905, nel fitto brulicare del

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