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Alain Delon: L'ultimo divo
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E-book292 pagine3 ore

Alain Delon: L'ultimo divo

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1° volume della collana "Cineuropa".

A cura di Massimo Moscati.

Una nuova proposta editoriale incentrata su registi e attori che hanno fatto grande il cinema europeo.
Figure iconiche, capaci di sovvertire il mondo della settima arte e di imporsi nell'ambito della moda, del costume, della società, qui riscoperte secondo una nuova ottica critica, capace di coglierne gli aspetti più interessanti, controversi, nascosti.
Una collana che analizza nel dettaglio la carriera di artisti a tutto tondo e il loro percorso professionale che, in molti casi, ha coinciso simbioticamente con la loro dimensione esistenziale.

Alain Delon è una delle più grandi star francesi emerse nel dopoguerra, riconosciuta a livello planetario.
Figlio trascurato, poi adottato da un macellaio, vive un’infanzia turbolenta prima di arruolarsi giovanissimo per l’Indocina in cerca di disciplina. Rientrato giovanissimo in patria, aiutato anche dal suo fascino magnetico, fa il suo ingresso nel mondo del cinema come protagonista di opere di notevole qualità. Con il tempo diventerà uno dei simboli del film noir francese negli anni ’60 e ’70.
Dotato di un talento indiscusso ha recitato per René Clément, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Jean-Pierre Melville, Henri Verneuil, Jacques Deray, Valerio Zurlini, Joseph Losey, Jean-Luc Godard.
Attore, produttore, regista Alain Delon ha condotto una vita personale fatta di "luci e ombre".
Questo saggio ne ripercorre la vita e la carriera, realistico nel taglio biografico e artistico. Ma con l’occhio di un appassionato, molto più libero, meno vincolato da giudizi critici ed estetici, ancora disposto a credere che Alain Delon sarà per sempre “quello” del Grande Schermo.


LinguaItaliano
Data di uscita18 nov 2022
ISBN9788869348204
Alain Delon: L'ultimo divo
Autore

Massimo Moscati

Massimo Moscati,  giornalista e sceneggiatore, ha scritto numerosi libri sul cinema fra i quali: Manuale di sceneggiatura (Mondadori), Ammazza che fusto (Rizzoli, scritto con Alberto Sordi), Il monumentale Grande dizionario dei film (Hobby&Work), Filmania-Enciclopedia multimediale del cinema (Expert System), Introduzione al cinema (Lattes), Benignaccio con te la vita è bella (Rizzoli-Bur) e il libro-intervista collettivo Bollicine di futuro (Rizzoli-Bur). Creatore della serie mondadoriana Nero italiano, ha pubblicato inoltre Guida al cinema dell'orrore (Il Formichiere), Western all’italiana (Pan), I predatori del sogno (Dedalo), James Bond-Missione successo (Dedalo), Breve storia del cinema (Bompiani). Di prossima uscita: Manuale di sceneggiatura e Totò ’50 (Bibliotheka).  

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    Alain Delon - Massimo Moscati

    Massimo Moscati

    Alain Delon, l’ultimo divo

    © Bibliotheka Edizioni

    Piazza Antonio Mancini, 4 – 00196 Roma

    tel: (+39) 06. 4543 2424

    info@bibliotheka.it

    www.bibliotheka.it

    I edizione, novembre 2022

    e-Isbn 9788869348204

    Tutti i diritti riservati.

    Direttore della collana Cinema del ‘900: Massimo Moscati

    Editing: Cesare Paris

    Foto di copertina:

    © Reporters Associati & Archivi Srl – RomaAlain Delon sul set di Il clan dei siciliani (1969)

    Disegno di copertina: Riccardo Brozzolo

    Massimo Moscati

    Massimo Moscati, milanese, scrittore, giornalista, direttore editoriale, docente presso la Civica Scuola di cinema Luchino Visconti, ha scritto numerosi libri sul cinema fra i quali: La fantacoscienza – Il cinema di fantascienza dopo il 1968 (WoW), Western all’italiana (Pan), Dizionario delle videocassette (Rizzoli Bur), Guida al cinema dell’orrore (Il Formichiere), I predatori del sogno (Dedalo), James Bond – Missione successo (Dedalo), Manuale di sceneggiatura (Mondadori), Ammazza che fusto, con Alberto Sordi (Rizzoli), Il Grande Dizionario dei Film (Hobby & Work), Filmania – Enciclopedia multimediale del cinema (Expert System), Breve storia del cinema (Bompiani), Introduzione al cinema (Lattes), Benignaccio con te la vita è bella (Rizzoli-Bur), Scrivere un romanzo (Bibliotheka), Scrivere una sceneggiatura (Bibliotheka), Totò ’50 (Bibliotheka), John Steinbeck al cinema (Book Time/La Vita Felice).

    È stato script-analyst di Reteitalia (per Carlo Bernasconi), creatore della serie Nero italiano (Mondadori Originals), curatore della collana Cinema del 900 (Bibliotheka).

    Ha esordito in narrativa nel 2021 con 1958 – C’era una volta in Almeria (Golem).

    Cineuropa

    Cineuropa è una nuova proposta editoriale incentrata su registi e attori che hanno fatto grande il cinema europeo. Figure iconiche, capaci di sovvertire il mondo della settima arte e altresì di imporsi nell’ambito della moda, del costume, della società, qui riscoperte secondo una nuova ottica critica, capace di coglierne gli aspetti più interessanti, controversi, nascosti.

    Una collana che analizza nel dettaglio la carriera di artisti a tutto tondo e il loro percorso professionale che, in molti casi, ha coinciso simbioticamente con la loro dimensione esistenziale.

    Alain Delon monstre sacré

    I francesi parlano di mostro sacro quando si riferiscono ad Alain Delon, eccentrico, unico per il suo carattere insolito, per la sua imprevedibilità.

    Secondo Thierry Frémaux, direttore del Festival di Cannes: «L’espressione mostro sacro non può essere applicata a molte persone, ma forse è un’espressione che è stata inventata per lui. Non gli abbiamo dato il Premio Nobel per la pace, ma celebrato la sua carriera di attore». Il commento a margine del riconoscimento della Palma d’Onore durante l’edizione del festival del 2019.

    Un premio che nessuno ha discusso in termini cinematografici, ma fortemente controverso per l’immagine veicolata dell’attore francese dalla carriera vastissima ma costellata di polemiche costanti. Ecco perché è un mostro, ma sacro.

    Non appena il premio di Cannes è stato annunciato, è apparsa in rete una petizione pubblica affinché non venisse assegnato perché razzista, omofobo e misogino. La rappresentante del movimento MeToo in Francia, Carole Raphaelle Davis, ha ricordato pubblicamente le dichiarazioni che l’attore ha fatto negli anni, alcune anche in tempi recenti (compreso di aver picchiato le donne: «Se uno schiaffo è macho, allora sono macho», ha detto, chiarendo che anche le donne lo avevano colpito).

    Delon ha quattro figli: Christian Aron Boulogne nato dalla sua relazione con la cantante tedesca Nico; Anthony Delon (titolare anche di una carriera piena di polemiche romantiche e mediatiche), frutto del matrimonio con Nathalie Delon – per la quale ha lasciato Romy Schneider; e Alain-Fabien e Anouchka, entrambi figli della modella Rosalie van Breemen.

    Solo con Anouchka ha un rapporto stretto e normale, lei è stata l’unica ad averlo accompagnato a Cannes durante l’evento a lui dedicato. I suoi tre figli più piccoli si sono cimentati tutti in carriere cinematografiche, ma tutti hanno detto molte volte che il cognome è stato più un problema che una risorsa. «Il nome suscita rifiuto. È stato difficile per lui capirlo», ha detto Anouchka. «I produttori non vogliono lavorare con me a causa del mio nome».

    L’attore ha sempre riconosciuto di essere un attore per caso, il cinema è venuto da lui fortuitamente. Il suo fascino è stata la porta d’ingresso per il Cinema, ma nascondeva un talento naturale che è stato la chiave di una filmografia che abbraccia sei decenni e che ha deciso di chiudere a 81 anni.

    Gli anni Cinquanta e Sessanta (e in parte Settanta) rimangono i suoi migliori al Cinema.

    Figura controversa che, in Francia, va oltre le sue dichiarazioni contro gli omosessuali (considera innaturale che adottino bambini) o il suo sostegno alla pena di morte. La sua amicizia con l’esponente di estrema destra Jean-Marie Le Pen torna regolarmente nelle prime pagine dei giornali, anche se ha sempre detto di non aver mai votato per il Fronte Nazionale.

    Polemiche passate e polemiche che non si dimenticano, come la morte della sua guardia del corpo Stevan Markovic, il quale ha lasciato una lettera in cui si diceva che se mai si fosse ritrovato morto sarebbe stata colpa di Delon e del suo padrino François Marcantoni, un noto mafioso. Quell’incidente ha aperto un’indagine che ha rivelato scandali sessuali in cui erano coinvolti anche l’allora primo ministro Georges Pompidou e sua moglie.

    La star ha spesso sostenuto che in Francia ci sono due tipi di carriere per gli interpreti: «I comici sono quelli che hanno studiato, si sono preparati. Io, invece, sono un attore della razza come Lino Ventura, individui che sono diventati interpreti davanti alla cinepresa. Non ho mai recitato, sono stato me stesso [nda. che è, poi, il rimprovero che gli fa certa critica]. La cosa incredibile è stata la rapidità con cui mi sono sentito a mio agio nel nuovo mestiere. La cinepresa era una donna che mi guardava ed è così che la sentivo. Nel 1957 ero uno sconosciuto e nel 1959 ero già una star. All’epoca di In pieno sole mi sono trovato a cena da René Clement, c’erano anche e i produttori. Stavano esitando ad assumermi, e alla fine della cena la moglie di Clement, dalla cucina e sparecchiando, ha gridato: Il ragazzo è perfetto!, e mi hanno ingaggiato».

    Delon tende a far passare il concetto di casualità quando, nella realtà, ha costruito la sua carriera con tenacia (e anche molti errori). Ha recitato in almeno una dozzina di capolavori, un buon risultato per una carriera d’interprete. In un certo numero di film d’azione di buona fattura. Non pochi i film scadenti.

    Alain Delon è stato una delle più grandi star francesi emerse nel dopoguerra, la sua notorietà è stata sufficiente per giustificare un festival dei suoi film alla Cinémathèque Française di Parigi nel marzo 1964, prima che avesse compiuto 30 anni. Henri Langlois, il direttore della Cinémathèque, lo celebrò come «il nostro giovane attore francese di punta», lodandolo per il suo impegno per il cinema di qualità. In effetti, il divo si era immediatamente fatto un nome in tre importanti film d’arte italiani: Rocco e i suoi fratelli (1961) e Il gattopardo (1962), entrambi di Luchino Visconti, e L’eclisse (1962) di Michelangelo Antonioni – oltre a due thriller francesi di alto profilo, Delitto in pieno sole (1960) di René Clément e Colpo grosso al Casinò (1962) di Henri Verneuil.

    Ha recitato per René Clément, che lo ha formato, Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Jean-Pierre Melville, Henri Verneuil, Jacques Deray, Valerio Zurlini, Joseph Losey, Jean-Luc Godard. Come gli disse Visconti: «Una carriera è come un edificio, senza solide fondamenta, crolla».

    Ha lavorato con i più grandi: Bourvil, Lino Ventura, Burt Lancaster, Jean Gabin, Jean-Paul Belmondo, Richard Burton; ma anche Brigitte Bardot, Romy Schneider, Monica Vitti, Annie Girardot, Claudia Cardinale, Jane Fonda, Lea Massari…

    Ancora nel 2013, ormai lontano dai riflettori, l’attore sorprende. Le Parisien/Aujourd’hui en France commissiona un sondaggio che interroga i francesi sull’immagine che hanno di Alain Delon. Per l’82% rimane una star, per il 70% un mostro sacro, per il 62% attraente, per il 59% carismatico. Tuttavia, il sondaggio registra anche che il 55% dei francesi ha una cattiva opinione di lui perché considerato megalomane, provocatorio, eccessivo e reazionario, e per l’86% è un uomo di destra o addirittura di estrema destra.

    È un uomo che fa ancora discutere, ed è ben presente nell’opinione pubblica.

    Lo conferma, nel 2019, il documentario di France Télévisions Alain Delon, la solitude d’un fauve, che non esita a definirlo il più grande attore francese del dopoguerra.

    Pur consapevole delle luci e ombre del personaggio, soprattutto sotto il profilo ideologico, da tempo pensavo di scrivere un saggio sull’attore, mio indiscusso eroe della giovinezza (insieme a Sean Connery). Tranne qualche rara eccezione, da spettatore ho visto tutti i suoi film. L’ho seguito con dedizione al cinema, recuperato in TV e in home-video. Mi divertivano soprattutto i suoi film d’azione. Per la verità tutto il polar francese: Gabin, Ventura (L’uomo che non seppe tacere, Dai sbirro, Morti sospette, Alzati spia), Trintignant (Senza movente, La corsa della lepre attraverso i campi, Funerale a Los Angeles), Belmondo (100.000 dollari al sole, Rapina al sole, Gli scassinatori, Il clan dei Marsigliesi… e tanti altri), tutto Josè Giovanni (Ultimo domicilio conosciuto, Solo andata…), le ingerenze del Bronson francese (L’uomo venuto dalla pioggia, L’uomo dalle due ombre, Qualcuno dietro la porta).

    Opere più o meno riuscite, spesso con la presenza delle rocambolesche prodezze automobilistiche coordinate da Rémy Julienne.

    Ora c’è questo libro, necessariamente smorzato nei toni, realistico nel taglio biografico e artistico (almeno spero). Ma l’appassionato di un tempo rimane molto più libero, meno vincolato da giudizi critici ed estetici, ancora disposto a credere che Alain Delon sarà per sempre quello del Grande Schermo.

    Massimo Moscati

    Un bambino infelice

    L’aneddotica su Alain Delon lo descrive giovanissimo combattente in Indocina. In realtà, quando lui si arruola nell’esercito, la Francia ha già perso la sua guerra contro l’esercito vietnamita guidato dal mitico generale Giap. Il giovanissimo Alain non si scontra con una guerra che non c’è più ma con le attività per assicurare il rimpatrio e l’alloggio delle forze e dei profughi, e vigilare sul deposito delle attrezzature collocate attorno all’ex imperatore Bao Dai stanziato a Saigon dove, dopo otto anni di combattimenti, si sono installate le truppe francesi. In sostanza, il compito del giovane marinaio è partecipare alla protezione dell’arsenale.

    All’inizio della carriera Alain ci marcerà un po’ su questa esperienza, dicendo e non dicendo, facendo credere di aver combattuto contro i Viet. Comunque trasferirà sempre il ricordo di una grande esperienza immolata al cameratismo e all’amicizia. A diciassette anni, con il CAP (Certificato di Idoneità Professionale) in tasca, è destinato a entrare nel mondo del lavoro: lo attende un posto di macellaio nell’azienda di famiglia. Una prospettiva che non vuole. L’opportunità che lo fa sognare è diventare pilota aeronautico: lo toglierebbe dai salumi. Assecondato dal suo patrigno, che interpreta questo suo desiderio come un modo per occupare e incanalare suo figlio, il giovane apprende presso l’ufficio dell’aviazione francese che il prossimo reclutamento avverrà solo sei mesi più tardi. Non vuole aspettare così a lungo e ripiega sulla Marina.

    Il giovane Alain Delon vive nella periferia sud di Parigi, a Bourg-la-Reine, dove è cresciuto. Questa cittadina di diecimila abitanti, situata a quindici chilometri dalla capitale, sembra lontanissima da Parigi: il ragazzo vi si reca di rado, la conosce pochissimo. Qualche gita scolastica, un cinema col patrigno e i fratellastri, il velodromo. Il giovane Delon è appassionato di sport, sogna di diventare un campione di ciclismo, è un grande sostenitore della gloria nazionale di boxe Marcel Cerdan (il genitore lo sveglia durante la notte per ascoltare con lui alla radio i suoi match oltreoceano). L’universo familiare presta poca attenzione alle arti e alla cultura. Il suo padre naturale, Fabien Delon, dirigeva una sala cinematografica (spesso coadiuvato dalla moglie Edith – donna bellissima figlia di una modella di Lanvin – che, non sperando più di diventare una star, apre le programmazioni con dei siparietti musicali al pianoforte). Anche Fabien ambiva a diventare un attore. Ha fatto la comparsa in alcuni film negli anni ‘30, ha scritto articoli sul cinema, ha pure costruito proiettori. Il piccolo Alain lo osservava, che sia stato influenzato dal padre? Da adulto non farà mai riferimento a questo elemento del passato familiare ribadendo, piuttosto, che il suo ambiente domestico non aveva alcun legame con l’universo che presto conquisterà.

    L’adolescente, poi il giovane, infine l’uomo ha rapporti complicati con i suoi genitori (vecchi e nuovi) e la sua infanzia. Fin dai suoi primi successi, si presenta come reduce da un’infanzia difficile, un ragazzino terribilmente infelice, un adolescente in fuga, arruolatosi per fuggire dall’universo familiare. Una famiglia sulla quale non poteva contare.

    Il giovane Delon si costruisce un’immagine da duro, da ribelle senza causa alla James Dean o Marlon Brando in contrasto con la famiglia e il suo ambiente, la società tutta. Da tempo fa parte di un universo di piccoli prosperi macellai e avere una madre iperprotettiva non fa bene alla causa. Dirà sempre di essere stato un bambino trascurato, da qui la rottura con la famiglia a sedici anni.

    L’affermazione di un passato doloroso genererà, molto presto, rapporti conflittuali con i suoi genitori che gli rimprovereranno la sua ingratitudine. Ma Alain è già un abile calcolatore, sta costruendo il suo futuro, compreso l’alibi per il suo carattere impossibile: «Un enfant terrible è un bambino terribilmente infelice».

    Alain parla di sé come di un ragazzo eternamente solitario. Descrive gli anni trascorsi in una famiglia surrogata, composta da una coppia rappresentata da un ferito della Grande Guerra, padre adottivo, e da una madre distratta. Sostiene di ricordare di aver passato la prima infanzia nel cortile di un carcere, nel periodo in cui era stato affidato ad una famiglia adottiva (dai 4 agli 8 anni) della quale il capofamiglia era guardiano, quando i genitori divorziarono. Il bambino soffre di questa situazione. Sua madre, a sua volta orfana a due anni, nutre un amore travolgente per il figlio e non lo ha mai abbandonato. Ma dopo il divorzio dei genitori, il bambino si sente tradito dal fatto che l’ex-signora Delon si è risposata e ha concepito una figlia, mentre il padre ha avuto due figli con la nuova moglie. Alain non riesce a trovare il suo posto in questa famiglia mista. Più che il divorzio, il bambino ha sofferto soprattutto la fine dell’amore esclusivo che lo circondava.

    Tutto nasce dalla sua gelosia nei confronti dei suoi fratellastri e della sua sorellastra: anche prima del divorzio non poteva sopportare che altri bambini si avvicinassero a sua madre, al punto da diventare violento. Non accetta i nuovi arrivati.

    In seguito finirà in collegio, prima di approdare nella nuova famiglia con la madre e il suo nuovo marito.

    Deciderà di scrivere la sceneggiatura della sua vita ridefinendo la realtà del suo passato.

    Il bambino che rifiuta il divorzio dei genitori diventa un ragazzo difficile, frequenta molte scuole perché viene espulso tre volte. Viene iscritto a numerosi istituti religiosi della periferia parigina, ma è uno studente turbolento e interrompe gli studi a quattordici anni. A questo punto il destino sembra segnato: imparare il mestiere di macellaio e poi lavorare nell’azienda di famiglia gestita da sua madre, Edith, e suo marito, Paul Boulogne. In effetti, fino al CAP di garzone di macellaio ci arriva (anche se ometterà sempre di ammetterlo).

    D’altro canto la situazione della famiglia Boulogne è quella dei ricchi commercianti e al bambino Alain, poi adolescente, non manca nulla. Anche durante l’Occupazione, dove molti francesi soffrivano di limitazioni e approvvigionamenti episodici, il piccolo Alain, grazie ai suoi genitori, non soffre la fame. Il fatto vero è che la futura star è un ribelle a prescindere. Vive un’infanzia piccolo borghese nei sobborghi di Parigi. Ma di questo passato Delon non vuole conservare ricordi. Talvolta sembra quasi che non voglia nemmeno rammentare di essere nato l’8 novembre 1935 a Sceaux, quindici chilometri dalla capitale.

    Alain non ha nessuna intenzione di ereditare l’impresa del patrigno e a diciassette anni sceglie la fuga nell’esercito. Non tornerà più.

    Congedato

    Dopo caserme e prigioni militari, spogliato dell’uniforme e rilasciato alla vita civile, il bel ventenne si aggira per le strade di Pigalle. Tra il 1955-1956 prende come base un alberghetto malfamato del quartiere e si rifiuta di tornare a trovare i parenti da cui è fuggito tre anni prima. Apparentemente non ambisce ad un’esistenza tranquilla e ordinata, non sogna la vita familiare o un conto in banca. Conscio delle sua bellezza e del suo fascino, è pronto ad affrontare la Parigi degli anni Cinquanta in pieno sviluppo, dove la disoccupazione non esiste, che può dare speranze a un’intera generazione di artisti che hanno conosciuto le ore buie della guerra. Sembra che non ci sia da preoccuparsi per il futuro, basta farsi sotto. È giovane, è bello e non ha grandi preoccupazioni. Assapora la libertà, scopre la vita frenetica della notte parigina, approfitta con gioia dell’attrazione che il suo fisico suscita negli altri. È come se, finalmente, la sua esistenza senza luce delle periferie parigine fosse definitivamente dimenticata, come se fosse finalmente diventato padrone della vita che vuole condurre.

    Non c’é chiarezza su come ha fatto a mantenersi prima di arrivare al Cinema. Lavoretti, donne anziane, amici, prostitute? Creerà la sua leggenda di giovane seduttore malizioso, frequentando luoghi oscuri, avvolgendo la sua biografia in un velo di brividi.

    È consapevole di essere dotato di una bellezza raffinata, quasi effeminata, specularmente controbilanciata da una frivolezza e una virilità non comuni. Con queste armi si fa spazio nella vita: è sicuro di sé, insolente, arrogante, ribelle, trasgressivo. Pericolosamente attratto dalle cattive compagnie.

    Ma Alain non si consuma negli slum, nella miseria o nell’indigenza, non è fatto per essere un gigolò. Vuole arrivare, diventare qualcuno. Frequenta la rive gauche e l’ambiente artistico, anche se privo di diploma e di cultura, non legge, ignora tutto di teatro o di filosofia, di pittura o di letteratura, conosce solo qualche film western. Ma vuole acculturarsi, colmare i vuoti, recuperare il tempo perduto come studente scavezzacollo. Soffre degli sguardi e dei commenti, del disprezzo, da parte dei colti che ha deciso di frequentare. Si dedica alla lettura dei classici. È bellissimo, ma anche complesso, profondo, misterioso e intelligente.

    Primi passi nel cinema

    E così Alain arriva al Cinema. Dopo un breve periodo sabbatico, a vent’anni riesce ad assicurarsi il suo primo contratto professionale: ha la fortuna di essere individuato molto rapidamente, appena sbarcato a Parigi e senza dover superare prove particolari nei backstage degli studi o nei corsi teatrali. Frequentando le feste di Saint-Germain-des-Prés (da rue Saint-Benoît a rue des Canettes, da La Pergola al Club Saint-Germain), si fa notare da Jacques Prévert ma soprattutto da Juliette Gréco, Roger Vadim e Simone Signoret. E non solo.

    Il bel ragazzo deve sedurre anche un po’ di fanciulle prima di trovare quella giusta che lo introduca nel cinema. Si tratta di Brigitte Auber, che è già una piccola diva dopo il successo personale ottenuto con Le sedicenni (Rendez-vous de juillet, 1949), di Jacques Becker, nel ruolo di Thérèse: terzo nome in cartellone dopo Daniel Gélin e Maurice Ronet. Di quest’opera Jacques Queneau scrive: «Il jazz è rimasto il simbolo dell’affermazione di questa gioventù. Anche in un modo senza dubbio un po’ bizzarro, è ricercando la purezza del vecchio stile New Orleans che Claude Luter ha determinato un movimento che ha finito per stabilire un contatto fraterno fra i Neri americani, anche loro oppressi, e la gioventù francese. Luter e la sua orchestra officiavano ai Lorientais, in una cantina, la prima, in rue des Carmes; anche se ho ben poca inclinazione per le espressioni di religiosità, si era obbligati a pensare in questi termini a quell’ordine; soltanto degli iniziati frequentavano queste nuove catacombe

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