Il castello di tufo
Di Elvio Porta
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Il castello di tufo - Elvio Porta
rotte."
I
'Yar'uwa (Sorella) A'isha Ikenda, dell'ordine delle Suore Domenicane di Lagos, lavorava all'ambulatorio medico gratuito del convento dei Frati Cappuccini di Ibadan, nello stato nigeriano di Oyo, quando i Nanger le fecero pervenire una esplicita minaccia di morte rappresentata dalla testa troncata di una omonima gazzella Nanger
chiusa in una scatola di cartone legata con lo spago.
A'isha aveva dato rifugio ad un amico d'infanzia più giovane di lei, tale Manasseh Mwuaganga, che aveva lavorato come corriere appunto per i Nanger, ramo nigeriano di una organizzazione internazionale specializzata nel traffico di stupefacenti. Manasseh le raccontò di essere stato obbligato ad ingerire quasi trenta ovuli di droga e ad unirsi ad un gruppo di quei disperati che dalla Libia attraversano il Mediterraneo diretti in Europa su quei pericolosi ed affollatissimi barconi.
Durante il viaggio aveva rischiato due volte di finire fuoribordo per il mare agitato, ed a Lampedusa aveva anche temuto di non potersi liberare in tempo del suo pericoloso carico quando la polizia italiana lo avevano bloccato in un cosiddetto Centro di Accoglienza
. Ma dei corrispondenti della stessa organizzazione criminale lo fecero evadere e, dopo avergli fatto consegnare
il suo fardello, lo trasferirono a Napoli e di là, sotto falso nome, lo rispedirono a Lagos. Ma poiché Manasseh non volle più ripetere quella terrorizzante esperienza, i Nanger lo condannarono a morte bruciandogli la casa. Manasseh si salvò per miracolo, ma i criminali continuarono a dargli la caccia.
Con l'aiuto del Vescovo Van Claet, A'isha riuscì a fargli raggiungere il Ghana. Ma i Nanger, convinti che lei ancora nascondesse il fuggitivo, le inviarono il pacco regalo
di cui sopra. Ed anche lei fu costretta ad espatriare. Ma prima di farlo comunicò al Vescovo che Manasseh le aveva dato i nomi di parecchi esponenti non solo del ramo nigeriano dell'organizzazione di trafficanti, ma anche di quello Napoletano. E che, una volta al sicuro, avrebbe fornito, ma solo ed esclusivamente alle autorità Vaticane, tutta la collaborazione necessaria a portare all'arresto di quei criminali. Van Claet riuscì a farle raggiungere sana e salva il Sudafrica, e subito dopo comunicò alla Santa Sede le intenzioni della suora. Il Vaticano passò la notizia alle autorità italiane, e queste provvidero a mettere in moto i loro servizi d'intelligence.
Sorella A'isha Ikenda partì la sera del 21 Maggio del 2014 da Johannesburg, arrivò all'alba a Monaco di Baviera e passò tutta la giornata in attesa del volo per l'Italia al Bayerischer Hof, nella graziosa stanza che le era stata prenotata ufficialmente dal Segretariato di Stato Vaticano, in realtà dell' Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna
italiana.
A Guglielmo Colonnese, quarantun anni, sposato e padre di tre figli, Commissario di Polizia distaccato all' AISE
, fu ordinato di andare a prendere Sorella A'isha Ikenda in Germania e scortarla in Italia spacciandosi per tal Mons. Sebastiano Manzù, esponente del Segretariato di Stato Vaticano, come aveva richiesto la suora.
Va detto che il Commissario Colonnese non amava vestirsi da prete. Anche se trovava molto elegante il clergyman
, la sua profonda educazione cattolica gli dava la sensazione di commettere un sacrilegio, anche se per ottimi fini.
Ma fu costretto ad obbedire perché era l'unico che conoscesse la lingua hausa
, che pareva fosse l'unico idioma parlato dalla religiosa nigeriana. Così nel primo pomeriggio del 22 Maggio un elegantissimo anche se un po' turbato Mons. Manzù, con regolare passaporto dello Stato della Città del Vaticano, fu ac-compagnato da due rispettosi funzionari dell'aeroporto di Fiumicino attraverso il passaggio riservato al cerimoniale e s'imbarcò sul volo della Lufthansa diretto a Monaco.
L'appuntamento era all'aeroporto Strauss alle otto di sera al gate del volo per Napoli dove per precauzione avrebbero atterrato per poi proseguire fino a Roma con un'auto predisposta per Colonnese dal Dr Miletti, suo amico d'infanzia e Capo Divisione dell'AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) nella città Partenopea. Cosa sarebbe accaduto dopo, e se i suoi colleghi di Roma avrebbero continuato a far credere ad A'isha di avere a che fare col Vaticano, Guglielmo non lo sapeva. E tutto sommato neanche gli interessava. Non pensava ad altro che a tornare presto a casa. Il giorno successivo sarebbe stato il compleanno di Giorgetto, suo terzo figlio di cinque anni. E lui non vedeva l'ora di consegnargli la fiammante bicicletta rossa che aveva acquistato per lui già da una settimana.
Mentre attendeva si mise a giocherellare col suo accendino d'oro, un vecchio Dunhill con su incisa una affettuosa dedica di sua moglie Elvira. Guglielmo Colonnese non fumava, ma per lui ormai era diventata un'abitudine portare sempre in tasca quell'accendino quasi fosse un talismano.
Non gli fu difficile identificare 'Yar'uwa A'isha Ikenda dal momento che era l'unica donna di colore vestita da suora nel gruppo di passeggeri che affollava il gate. Lo colpì la notevole statura della religiosa.
Avrà i tacchi a spillo.
Ma poi si vergognò di averlo pensato. Quando mai le suore portano i tacchi a spillo? Per cui le si avvicinò e sorrise un po' imbarazzato:
'Yar'uwa A'isha Ikenda?
(Sorella A'isha Ikenda?)
Lei ricambiò con un sorriso sincero:
Baba Manzù?
(Padre Manzù?)
"I. Kina jin turancin? (Si. Parli inglese?)
Dan kadan.
(Soltanto un poco). Ma si capiva dal tono esitante della sua risposta che forse non lo parlava affatto.
Per fortuna in quel momento chiamarono l'imbarco e furono troppo occupati a sistemarsi a bordo per mettersi a fare conversazione. Poi, appena decollati fu servita la cena, e tutti e due dovettero combattere coi filetti di quegli strani pesci coperti di salsette indefinibili che a volte possono capitare in sorte in aereo. Subito dopo il pasto la suora appoggiò la testa allo schienale, chiuse gli occhi e si addormentò. Guglielmo fu contento di non doversi sforzare ancora a parlare quella lingua così lontana dalla sua, e si dedicò a pregustare col pensiero la piccola festa che sua moglie Elvira aveva organizzato per il compleanno di Giorgetto.
Per tutta la durata del volo A'isha continuò a dormire cambiando spesso posizione, vittima di chissà quali sogni inquieti forse dovuti proprio alla tensione di quella sua fuga.
Guglielmo la osservò. Aveva l'aria di un'antica guerriera. Dal naso stretto si capiva che forse la sua famiglia doveva avere origini etiopi, o somale, magari. Chissà che razza di storia ha. Chissà come ha deciso di farsi suora. Sempre che l'abbia deciso lei. E preso da questi pensieri si mise a sonnecchiare anche lui lasciandosi cullare dal leggero ondeggiare dell'aereo.
Ma quando il velivolo iniziò la discesa verso Napoli e sobbalzò nell'attraversare le nuvole lei si svegliò:
"Me yake furuwa? (Cosa succede)
Guglielmo si accorse che A'isha sembrava respirare a fatica, ed aveva anche un leggero sudorino sulla fronte:
Kina lafi ya?
(Non stai bene?)
Mugu ciki.
(Mal di pancia.)
Nell'aerostazione, passati i controlli di polizia, la suora cominciò a guardarsi intorno mormorando:
Yaji kifi.
(Pesce cattivo)
Guglielmo le indicò l'ingresso delle toilette. Lei ringraziò con un cenno del capo e sparì rapida oltre la porta.
Poveraccia
pensò lui e si sedette ad aspettarla su uno dei sedili allineati sotto il grande orologio digitale che segnava le 23,31.
II
Cardiomiopatia dilatativa
. Quando le comunicarono la diagnosi che giustificava le gravi difficoltà respiratorie di suo figlio Mariolino, lei neanche capì di che si trattava. Ma poi glielo spiegarono. E le dissero anche quanto sarebbero costate tutte le cure e gli interventi necessari. E lei non mangiò per quattro giorni.
Carmela Pagano era di corporatura esile. Per cui quel digiuno fece presto a darle la sensazione di non farcela più neanche ad alzarsi dal letto.
Ma la mattina del quinto giorno, mentre tentava di mettersi in piedi per affrontare un'altra giornata di difficoltà senza averne la forza necessaria, le cadde l'occhio su un'immaginetta di Sant'Alfonso Maria De' Liguori che forse il vento aveva fatto cadere dalla mensola in alto ed ora la fissava dal comodino, appoggiata alla piccola sveglia digitale. Ed in quel momento le accadde un fatto sorprendente.
Carmela sentì che il suo corpo cresceva, si espandeva fino a raggiungere le dimensioni di quello di un plantigrado. Di un'orsa, per la precisione. Un'orsa pronta ad usare tutta la sua forza in difesa del suo cucciolo. E da quel momento la sua vita cambiò.
Quando uscì continuò a verificare in ogni specchio, in ogni vetrina che incontrava la stranezza del suo nuovo stato. Il suo corpo minuto sembrava essere rimasto inspiegabilmente lo stesso, anche se lei sapeva di essere alta quasi tre metri e di pesare almeno due quintali. Se non tre. Certo quelle sue immagini riflesse che si ostinavano a negare la verità le fecero nascere dei dubbi. Ma furono dubbi che durarono poco.
Quella stessa mattina il direttore della banca dove Carmela aveva il suo conto perennemente a rosso, forse intuendo la sua intenzione di chiedere un ulteriore prestito, le fece dire dalla sua segretaria di non essere in sede. Ma Carmela riconobbe l'amata e rilucente Golf
blu dello stesso direttore regolarmente parcheggiata davanti all'agenzia. E, sotto gli occhi della guardia giurata che presidiava l'ingresso, sfogò la sua rabbia colpendola con un calcio. Ed accadde un altro evento inspiegabile.
L'auto del Direttore non solo sobbalzò sotto il colpo, ma continuò a muoversi. E, sfuggendo a Carmela che le correva dietro cercando inutilmente di fermarla, acquistò velocità lungo la discesa detta del Redentore
ed andò a schiantarsi contro l'antico cancello antistante l'omonima chiesa, svellendolo del tutto dai cardini. E, proprio mentre Carmela stava finalmente per raggiungerla, la Golf esplose fragorosamente distruggendo i vetri delle auto vicine e danneggiando la piccola vetrata policroma a destra del portone della chiesa stessa.
Carmela, sapendo di essere stata lei la causa di quel disastro, decise di far perdere le sue tracce rifugiandosi proprio all'interno della chiesa. E mentre un nugolo di Suore Domenicane del convento annesso, incuriosite dallo scoppio corsero fuori attraversando la navata principale come uno sciame di farfalle bianche, lei si nascose nella penombra della piccola cappella laterale. C’era il piedistallo marmoreo di una statua che brillava per la sua assenza. Vi si leggeva D. Alfonso De Liguori, Rettore massimo della Congregazione del Santo Redentore
Carmela sobbalzò. E sobbalzò anche Don Carlo Sinibaldi, il Parroco della chiesa che le chiese sorridendo bonario:
Che c'è, figlia mia?
Lei indicò il piedistallo:
E' Sant'Alfonso Maria de' Liguori?
Il prete che lottava da anni per ottenere i fondi per il completamento del restauro di quella statua, replicò con autoironia:
Eh. E' uscito un momento per fare un miracolo. Ma se aspetti cinque minuti lo vedi tornare.
E si allontanò diretto anche lui all'esterno..
Carmela rimase molto colpita dalle sue parole. Ovviamente non credette alla lettera a quello che Don Carlo le aveva detto, ma si convinse ancor di più che la sua improvvisa possanza, capace addirittura di spostare un'auto con un calcio, poteva spie-garsi soltanto come effetto di qualcosa di trascendente, magari legata proprio a quel Sant'Alfonso Maria de' Liguori che era già due volte che si manifestava quella mattina.
La ragione per cui non confidò al parroco quanto le stava accadendo è da far risalire alla sua infanzia. Ed in particolare ai racconti di Donna Virginia Catapane che quando Carmela era bambina veniva ogni mattina a pettinare sua nonna Ersilia. Secondo Donna Virginia i fatti miracolosi positivi se vengono divulgati spariscono così come si sono manifestati. Donna Virginia in verità si riferiva a prodigi operati dal leggendario Munaciello
o dalla Bella Mbriana
, fantasmi dispettosi o benefici che abitavano le antiche case di Napoli. Ma Carmela li collegò immediatamente a Sant'Alfonso che forse le aveva dato quella forza straordinaria per aiutarla ad affrontare i suoi problemi.
Fatto di cui si convinse definitivamente quando quello stesso pomeriggio il direttore della banca, il Dr. Luigi Starrabba, si presentò personalmente a casa sua.
In verità non si può fare una colpa alla nostra Carmela se vide anche in quello che avvenne una ulteriore manifestazione del generoso Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Di certo lei non poteva sapere che lo Starrabba, pur dopo averne tratto lauti vantaggi, aveva cercato di interrompere da pochi giorni i suoi rapporti (e quelli della sua agenzia) con una organizzazione criminale dedita al traffico di stupefacenti, la famiglia Fellusso, che settimanalmente gli faceva trovare una valigetta piena di denaro da riciclare proprio dietro il piedistallo orfano della effigie di Sant'Alfonso Maria de' Liguori nella vicina chiesa del Redentore. Ovviamente i malviventi avevano scelto quel luogo perché poco frequentato dopo il trasferimento della statua al suo annoso restauro. Ma questo è sufficiente a spiegare l'equivoco nel quale caddero sia Carmela Pagano sia il Dr. Starrabba durante quel loro colloquio pomeridiano.
Quando Carmela aprì la porta del suo modesto appartamento e si vide davanti il Direttore della banca, la sua prima sensazione fu di paura. Paura del fatto che Starrabba, informato dalla guardia giurata, fosse venuto a pretendere da lei il rimborso dei danni subiti dalla sua macchina. Paura di minacce, di denunce, di altri guai.
Ma poi chissà, forse quella stessa sensazione di potenza che si sentiva addosso le dettero la forza di chiedersi: E che cosa mi può fare? Mi minaccia fisicamente? Un altro calcio e fa la fine della sua auto. Civilmente? E che mi può portare via in tribunale, il debito che già ho con la sua banca? Penalmente. Forse quello si. Ma la polizia crederà mai che un fuscello come me abbia potuto spostare un'auto con un calcio? Comunque stiamo a vedere. E lo fece entrare senza parlare.
In realtà anche il Dr. Starrabba in quel momento aveva le sue paure. Quella che l’esplosione della sua auto avrebbe potuto portare la polizia a scoprire i suoi passati legami con quei delin-quenti, e quella che Carmela fosse venuta a sapere qualcosa pro-prio di quei suoi traffici. E si, perché se lei da una parte gli aveva salvato la vita facendo spostare la sua Golf che era esplosa senza ucciderlo, dall’altra doveva sapere che qualcuno ci aveva na-scosto dentro una bomba. E magari anche il perché. Così cercò con attenzione le parole per aprire il colloquio:
Stamattina... io lo so quello che è successo.
Ed attese.
Anch'io.
Replicò Carmela e attese anche lei.
E' tosta.
Pensò Starrabba e cominciò a sudare:
E visto che lo sa, secondo lei di chi è la colpa di quello che è accaduto?
Carmela provò a tergiversare:
Colpa? Semmai merito. Lei si è accorto che stamattina qualcuno le ha salvato la vita?
Naturalmente lei si riferiva al Santo, ma Starrabba non lo poteva immaginare. Così pensò:
Allora lo sapeva che c'era la bomba?... O no?
Decise di chiarire la cosa:
E... questa persona che mi ha salvato la vita come ha fatto a sapere che sarebbe successo... quello che è successo?
Quello sa tutto quello che deve sapere. E nella sua gene-rosità ha voluto aiutarla anche se poco prima lei si era fatto negare proprio ad una persona che aveva bisogno del suo aiuto.
Ma nossignore, quello è stato solo un equivoco!
Protestò lui senza accorgersi di cadere così in un equivoco ancora più grande. Per cui aggiunse:
Signora Pagano, mettiamo le carte in tavola. Chi devo ringraziare per quello che è successo?
Carmela lo guardò a lungo, e decise di dirgli la verità:
Sant'Alfonso Maria de' Liguori.
Cazzo, lo sa!
Pensò lui, e sebbene si sentisse morire, prese il toro per le corna:
E lei ha intenzione di rendere pubblica tutta questa storia? Magari di parlarne in giro, o alla...
Ed avrebbe concluso con la parola Polizia
, ma Carmela lo interruppe prima sentenziando, memore della famosa Donna Virginia:
Certe cose se non si tengono accuratamente nascoste puntualmente finiscono male.
Starrabba dentro di se tirò un respiro di sollievo, anche se era chiara la minaccia di un ricatto:
Senta... me lo dica chiaramente: quanto vuole?
Lei lo guardò senza capire e lui insistette:
Diecimila le bastano?
E pose davanti a lei la busta rigonfia che aveva preparato per la bisogna.
Carmela la aprì e vide la mazzetta di banconote da 50 euro:
E come ha fatto a saperlo? Io stamattina non sono riuscita neanche a dirglielo...
Me lo sono immaginato.
E si mosse per uscire. Ma lei lo fermò di nuovo:
Aspetti. E gli interessi?...
Ovviamente Carmela voleva conoscere l'entità degli interessi sul prestito appena avuto, ma lui rimase prigioniero del suo equivoco:
"Pure