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I segreti di sua altezza: Harmony Destiny
I segreti di sua altezza: Harmony Destiny
I segreti di sua altezza: Harmony Destiny
E-book229 pagine5 ore

I segreti di sua altezza: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

CONTIENE UNA NOVELLA dal titolo "Il cuore o la carriera?" di Yvonne Lindsay.

È più sconvolgente scoprire di essere un uomo sposato o che la propria moglie è in realtà una principessa in incognito?


È stato un errore, almeno per la neosposa dell'architetto milionario Jonah Landis, che infatti lo ha lasciato il mattino dopo il loro impulsivo matrimonio. E così, dopo avergli sconvolto l'esistenza, Eloisa Taylor è sparita, con la firma ancora fresca sulle carte del divorzio. Ma se Jonah pensa di essersi liberato di lei si sbaglia. Non solo il ricordo della bruna conturbante lo tormenta giorno e notte: a un anno di distanza, scopre che l'annullamento non è valido e loro due sono ancora sposati. Basteranno due settimane insieme a chiarire ogni equivoco? Forse, ma le "nobili" sorprese non sono finite.
LinguaItaliano
Data di uscita8 set 2017
ISBN9788858972472
I segreti di sua altezza: Harmony Destiny
Autore

Catherine Mann

Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.

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    Anteprima del libro

    I segreti di sua altezza - Catherine Mann

    Titoli originali delle edizioni in lingua inglese:

    The Tycoon Takes A Wife

    © 2010 Catherine Mann

    Traduzione di Giuseppe Biemmi

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5897-247-2

    Prologo

    Madrid, Spagna: un anno prima

    Voleva coprirla di gioielli.

    Jonah Landis fece passare le dita lungo le braccia nude della donna che gli dormiva accanto e immaginò quali dei preziosi di famiglia si sarebbero adattati ai suoi capelli neri. Rubini? Smeraldi? Un filo di perle d’acqua dolce? Le sue nocche le sfiorarono la spalla, scivolandole sulla clavicola, mentre con l’ombra di barba della ricrescita le solleticava la pelle vellutata.

    Di solito non attingeva al tesoro di famiglia. Preferiva vivere con il denaro che si era guadagnato grazie ai propri investimenti. Ma, per Eloisa, avrebbe fatto un’eccezione.

    Le prime luci del mattino filtravano attraverso le griglie in ferro battuto della finestra nella dimora signorile del diciassettesimo secolo che aveva preso in affitto per l’estate. Una leggera brezza agitava il drappeggio di lino che circondava il letto a baldacchino. In un primo tempo, non si era neppure reso conto che era americana, dato che gli era sembrata così a suo agio mentre si aggirava tra le rovine del castello spagnolo di cui stava curando la ristrutturazione. Senza contare che aveva un’aria esotica e gli dava l’idea di essere tremendamente focosa. Mentre lei procedeva fra le impalcature prendendo appunti, lui aveva perso il filo della conversazione con i suoi colleghi.

    Molti lo ritenevano l’elemento impulsivo della sua famiglia. Oh, non che gli importasse ciò che pensavano gli altri di lui. D’accordo, correva regolarmente dei rischi nel campo professionale e nella vita privata, ma questo non significava che non avesse un piano ben delineato. Ed era un atteggiamento che aveva sempre pagato.

    Finora.

    La sera precedente, per la prima volta, non aveva pianificato un bel niente. Si era semplicemente gettato d’istinto su quella donna sorprendentemente intrigante. Non sapeva a cosa avrebbe portato alla lunga la sua decisione, ma sentiva che avrebbero condiviso un’incredibile estate.

    Per il resto, avrebbero vissuto alla giornata.

    «Mmh» sospirò lei, girandosi sul fianco e cingendogli la vita con un braccio. «Ho dormito troppo?»

    I suoi occhi erano ancora chiusi, ma il loro ricco colore scuro gli ricordava la nobile alterigia di una regina ottomana. Jonah aveva passato parecchio tempo a interrogarsi sulla donna che si nascondeva dietro di essi durante gli incontri sotto le impalcature del castello.

    Consultò la sveglia digitale collocata su un tavolino in noce riccamente intarsiato. «Sono appena le sei. Abbiamo ancora un paio d’ore prima della colazione.»

    Eloisa affondò ulteriormente la testa nel soffice cuscino, lasciando che i suoi capelli neri si stagliassero in modo tentatore sulla federa immacolata. «Sono ancora così assonnata.»

    Le credeva sulla parola. Erano rimasti svegli per la maggior parte della notte a fare sesso, appisolandosi per poi concedersi una doccia e ritrovarsi daccapo avvinghiati l’uno all’altra. E il fatto che avessero bevuto più di un drink certo non aiutava.

    Per la verità, lui si era limitato a due, ma la botta che gli avevano dato non era stata affatto indifferente. Osservandola, le accarezzò i lunghi capelli corvini, così lisci che gli sfuggivano tra le dita così come gli erano sfuggiti quando lei era stata prima sopra e poi sotto di lui.

    Fremette di desiderio al pensiero di possederla di nuovo, ben sapendo che a quel punto avrebbe dovuto ritenersi appagato per un po’ e che lei aveva bisogno di riposare.

    Sospirando, scese dal letto, sentendo direttamente sulla pelle la fresca aria del mattino. «Chiamerò perché ci mandino qualcuno dalla cucina con la colazione. Se hai delle preferenze, dillo pure.»

    Lei si voltò sulla schiena, continuando a tener chiusi gli occhi mentre si stiracchiava, i seni perfettamente rotondi e sodi bene in vista non appena il lenzuolo le scivolò sulla vita. «Mmh, mi va bene qualsiasi cosa.» Le sue parole erano strascicate per via del sonno. «Stavo facendo un sogno meraviglioso...» Eloisa si interruppe, corrugando la fronte. Quindi sbirciò attraverso le ciglia appena dischiuse, il cui mascara si era sbavato nel corso della notte di passione. «Jonah?»

    «Sì, sono proprio io.» Lui infilò prima una gamba e poi l’altra nei boxer e prese il telefono.

    Svegliandosi di soprassalto, lei fece saettare lo sguardo attorno a sé nel tentativo di orientarsi. Afferrò il lenzuolo e lo tirò su, portandosi la mano fin sotto al mento. All’improvviso, si ritrovò come paralizzata e con la fronte aggrottata.

    «Cosa ti prende?»

    Non era possibile che si rivelasse timida dopo la notte appena trascorsa. Notte in cui non avevano nemmeno spento le luci.

    «Ehm, Jonah?» La voce le divenne stridula.

    Lui si lasciò ricadere sul bordo del letto e aspettò, pensando già ad almeno cinque modi diversi con cui poterla distrarre nel corso dell’estate.

    Lei allungò un braccio, dilatando le dita. I raggi del sole che filtravano attraverso la finestra si rifletterono sulla semplice fede nuziale d’oro che lui le aveva infilato la sera prima. Eloisa sbatté le palpebre velocemente, gli occhi pieni di orrore.

    «Oh, mio Dio» mormorò, girando e rigirando l’anello nuovo fiammante che aveva all’anulare. «Che cosa abbiamo fatto?»

    1

    Pensacola, Florida: un anno dopo

    «Felicitazioni alla futura sposa, mia principessina!»

    Il brindisi del padre della sposa si levò dal ponte del piroscafo, trasportato dal vento caldo umido di Pensacola fino a Eloisa Taylor che si trovava sul molo. Eloisa se ne stava seduta con i piedi doloranti a mollo nelle acque del Golfo della Florida, stanca morta fino alla radice dei capelli raccolti in una coda di cavallo per aver aiutato nella pianificazione della festa di fidanzamento della sorellastra. Il suo patrigno si era svenato per Audrey, ma niente era mai troppo per la sua principessina. Anche così, però, aveva dovuto accontentarsi di prenotare per un lunedì sera, perché il gala potesse essere abbordabile per le sue tasche.

    L’eco dei bicchieri che si toccavano, tintinnando, si mescolò allo sciabordio delle onde contro i piedi di Eloisa. La cena era archiviata e la gente così ben rimpinzata che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Era in gamba ad aiutare la gente, mantenendo al contempo un basso profilo.

    Organizzare quel party di fidanzamento era stato qualcosa di agrodolce, dato che l’aveva costretta a ripensare alle promesse che aveva scambiato lei stessa un anno prima. Promesse non mantenute. Ignote perfino alla sua famiglia. Grazie a Dio, il divorzio l’aveva svincolata dall’impulsivo matrimonio di mezzanotte quasi con la stessa rapidità con cui l’aveva contratto.

    Solitamente, riusciva a soffocare certi ricordi, ma come poteva non pensarci adesso che la favola a lieto fine di Audrey le veniva sventolata sotto gli occhi ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni alla settimana? Per non parlare del criptico messaggio vocale che aveva trovato quella mattina sul cellulare con la sua voce. Perfino a un anno dall’ultima volta che lo aveva sentito, riconosceva ancora la voce bassa e sensuale di Jonah.

    Eloisa. Sono io. Dobbiamo parlare.

    Lei si scostò dal viso la coda di cavallo agitata dal vento, rabbrividendo all’assurda sensazione che fosse la mano di lui a sfiorarle il volto. L’uomo incontrato un anno prima si era rivelato totalmente sbagliato, con una vita di alto profilo che minacciava il mondo che la riguardava e che lei proteggeva accuratamente. Minacciava i segreti che custodiva con circospezione.

    Eloisa scacciò i ricordi di Jonah, che erano fin troppi considerato il breve tempo trascorso con lui. Ora che avevano divorziato, facevano parte del passato. Non che il loro matrimonio di ventiquattro ore contasse troppo ai suoi occhi. Poteva benissimo ignorare la chiamata e cancellare il suo numero. Oppure aspettare almeno che sua sorella pronunciasse il fatidico prima di ricontattarlo.

    In lontananza, un pesce guizzò sulla superficie dell’acqua, ricadendo con un lieve tonfo, mentre le cime delle barche a vela tintinnavano urtando gli alberi. Quei ritmici rumori familiari la rasserenarono. Eloisa ascoltò altri suoni tipici di casa, traendone con avidità tutto il conforto che poteva mentre si guardava attorno. Le acque di un verde smeraldino riflettevano la luna piena. Il vento faceva stormire le foglie delle palme.

    Di colpo, da una certa distanza giunse il rombo del motore di un’auto in avvicinamento ed Eloisa decise che il momento solitario che si era concessa a tarda sera poteva dirsi concluso.

    Si asciugò prima un piede e poi l’altro, e si lanciò un’occhiata alle spalle. Una limousine stava avanzando a bassa velocità. Invitati che arrivavano in ritardo? Decisamente in ritardo, visto che le danze seguite alla cena si stavano svolgendo da parecchio.

    Prendendo i sandali, osservò l’auto avvicinarsi lentamente al corso d’acqua navigabile. Il profilo del veicolo in ombra era difficile da distinguere ma, al chiar di luna, riuscì a scorgere la mascherina inconfondibile di un’esclusiva Rolls-Royce. I vetri fumé proteggevano i passeggeri dalla vista, ma la lasciarono in preda alla sensazione di essere una farfalla sotto il microscopio di un entomologo. Essendo in una proprietà privata, avrebbe dovuto ritenersi al sicuro. Ma c’era forse un posto che potesse considerarsi completamente sicuro, soprattutto nell’oscurità?

    Con la pelle d’oca e la gola all’improvviso secca, si infilò le calzature, rimproverandosi perché si stava comportando da sciocca. Era un dato di fatto, però, che il fidanzato di Audrey avesse conoscenze non proprio cristalline. Certo, il suo patrigno non vedeva altro che i segnali che sottintendevano soldi e potere, in apparenza incurante della via contorta attraverso la quale quel denaro era arrivato.

    Non che uno qualsiasi di quei discutibili contatti avesse motivo di farle del male. Comunque, sarebbe tornata sull’imbarcazione sulla quale si teneva il party galleggiante.

    Eloisa si alzò in piedi.

    L’auto accelerò.

    Lei deglutì a fatica, rimpiangendo di non aver frequentato un corso di autodifesa mentre si guadagnava la laurea in biblioteconomia.

    Okay, non era il caso di farsi delle paranoie. Si costrinse a stare calma e s’incamminò. Una trentina di metri e avrebbe potuto contare sui membri dell’equipaggio che sostavano accanto alla scaletta di imbarco. Poi avrebbe potuto mescolarsi alla folla impegnata a ballare sul ponte sotto varie file di luminarie. Il rumore del motore alle sue spalle si fece più incombente. Eloisa accelerò il passo.

    Con il respiro sempre più affannoso, le sembrò quasi che l’aria salmastra le stuzzicasse i pori ipersensibili della pelle in un modo anomalo. Il tacco basso le si incastrò tra le tavole della pavimentazione in legno a bordo acqua. Eloisa barcollò per un attimo proprio mentre l’auto le si fermava di fronte.

    Senza nemmeno attendere l’intervento dell’autista, una delle portiere posteriori nere si spalancò, sbarrandole ogni via di fuga. Eloisa non poteva più procedere dritta davanti a sé, ma doveva scegliere se girarsi da un lato, salendo in macchina, oppure dall’altro, finendo in acqua. Per la verità, poteva anche fare dietrofront, ma questo l’avrebbe allontanata dall’imbarcazione. Convulsamente, cercò un qualche aiuto. Almeno uno dei settantacinque potenziali testimoni che al momento stavano scatenandosi in pista sulle note di una canzone dei Kool and the Gang avrebbe pur dovuto notarla o sentirla, no?

    Una gamba vestita di nero sbucò dalla limousine, il resto del suo proprietario ancora nascosto alla vista. Tuttavia il mocassino in coccodrillo di Ferragamo bastò a trasmetterle un tuffo al cuore. Aveva incontrato un unico uomo che indossava quel tipo di calzature, e il suo non era affatto un ricordo piacevole.

    Eloisa indietreggiò, studiando l’uomo che stava apprestandosi a scendere dall’auto. Sperò, anzi pregò di scorgere un segnale che la tirasse fuori dai guai. Dei capelli grigi? Un accenno di pinguedine?

    Qualsiasi cosa che non appartenesse a Jonah.

    Ma non ebbe una simile fortuna. Il tipo prestante che le si presentò alla vista indossava un completo scuro con i primi bottoni della camicia slacciati e la cravatta allentata. I capelli castani gli arrivavano quasi sulle spalle e nel suo volto spiccava la mascella pronunciata.

    Una mascella assai più familiare di qualsiasi scarpa, pensò, accusando un certo nervosismo.

    Facendo perno sul tallone, lui si girò e i raggi della luna sottolinearono i riflessi chiari nei capelli mossi. Un paio di occhiali da sole le impedirono di vedere quegli occhi. Lenti scure di notte? Per mantenere l’incognito oppure per puro narcisismo?

    Non aveva importanza, si disse lei. Ciò che contava era che il suo ex marito non si era accontentato di telefonare lasciandole un messaggio. No, non sarebbe stato da Jonah. Il potente rampollo di famiglia altolocata dal quale aveva divorziato un anno prima era tornato.

    Jonah Landis si sfilò gli occhiali da sole, consultò l’orologio che aveva al polso e sogghignò. «Scusa il ritardo. Ci siamo persi la festa?»

    All’inferno qualsiasi festa. Jonah Landis voleva scoprire perché Eloisa non gli aveva raccontato tutta la verità quando aveva chiesto il divorzio, un anno prima. Voleva anche sapere perché la sua appassionata amante lo aveva così spassionatamente estromesso dalla sua vita.

    L’espressione sconcertata sul volto di Eloisa mentre se ne stava impietrita sul molo sarebbe stata impagabile se non fosse stato così arrabbiato per il segreto che gli aveva tenuto nascosto e che stava inceppando i meccanismi della loro sentenza di divorzio.

    Naturalmente, quando l’aveva incontrata a Madrid un anno prima, era stato distratto dal travolgente magnetismo esploso fra loro. E guardandola adesso, vedendo la sua naturale eleganza, immaginò che gli si potessero concedere delle attenuanti per essersi lasciato sfuggire dei particolari che avrebbero dovuto aprirgli gli occhi.

    Il fatto era che Eloisa era una sventola da far girar la testa.

    Il vento che soffiava faceva sì che il vestito di seta beige aderisse peccaminosamente a ogni singola curva del suo corpo. Al resto ci pensarono la scarsa illuminazione notturna e la sua immaginazione, dandogli quasi l’impressione che fosse nuda. Si era resa conto di quell’effetto quando aveva scelto quel capo di abbigliamento? Probabilmente no. Eloisa sembrava ignara della sua immagine, cosa che non faceva che accentuare il suo appeal.

    Si era raccolta i capelli lisci e neri in una coda di cavallo che metteva in risalto i luminosi occhi castani. Senza neppure un filo di lucidalabbra, avrebbe potuto gettare nell’ombra la maggior parte delle modelle professioniste.

    Una volta che fosse riuscito a far mettere il suo nome sui documenti del divorzio, e su quelli ufficiali stavolta, non avrebbe mai più dovuto avere a che fare con lei. Almeno, questo era il piano che si era prefissato. Non aveva bisogno che gli rinfrescasse la memoria riguardo al suo carattere terribilmente volubile. Per la verità, anche lui aveva le sue colpe per non aver interpretato correttamente certi segnali. Nella fattispecie, per non essersi reso conto che lei era ubriaca al momento del . Questo però non significava che lei dovesse volatilizzarsi dalla faccia del pianeta senza una sola parola. Ma, comunque fosse andata, si era messo alle spalle Eloisa.

    O così almeno aveva pensato. Poi l’aveva rivista e aveva accusato quella specie di calcio nello stomaco che aveva creduto esagerato dalla sua memoria.

    Cercando di soffocare l’attrazione, si concentrò per portare a termine la sua missione. Aveva bisogno della firma di Eloisa e per qualche motivo si rifiutava di demandare la cosa agli avvocati. Forse aveva a che fare con la volontà di chiudere definitivamente.

    Eloisa sfilò il tacco che si era impigliato nelle tavole della passerella e sollevò il mento. «Cosa ci fai tu qui?»

    «Sono venuto per accompagnarti alla festa di fidanzamento di tua sorella.» Lui appoggiò il gomito sulla portiera aperta della limousine, mentre l’autista restava in attesa al volante come da istruzioni ricevute in precedenza. «Non posso lasciare che mia moglie si presenti sola.»

    «Ssh!» Avanzando su gambe malferme, lei schiaffeggiò l’aria davanti al suo volto, smettendo solo per timore di sfiorargli la bocca. «Io non sono tua moglie.»

    Lui le afferrò la mano, sfregandole il pollice sull’anulare privo di qualsiasi anello. «Dannazione, devo essermi sognato tutta quella cerimonia nuziale a Madrid.»

    Eloisa tirò indietro con forza la mano e si passò il palmo contro la gamba. «Ne stai facendo una questione di semantica.»

    «Se preferisci saltare il party, potremmo andare a mangiare un boccone per discutere

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