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Tre gialli pavesi
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E-book234 pagine2 ore

Tre gialli pavesi

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Info su questo ebook

C’è un qualcosa - soprattutto in un tranquillo ambiente di provincia - che rende più interessante il ritrovamento di un cadavere.
LinguaItaliano
Data di uscita10 nov 2015
ISBN9788893214858
Tre gialli pavesi

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    Anteprima del libro

    Tre gialli pavesi - Enrico Nicola

    633/1941.

    MORTE IN PIANURA

    DOMENICA

    La comitiva arrivò, con leggero ritardo, verso le quindici del pomeriggio, consentendo la miglior preparazione dell’accoglienza. Erano partiti dalla chiesa di san Lazzaro, dopo una breve benedizione del prete, per avviarsi verso est con meta il piccolo oratorio di san Giacomo della Cerreta, circa quindici chilometri,a piedi,su stradine periferiche e di campagna con ampi tratti non asfaltati.

    Il percorso della famosa Via Francigena, poco nota agli stessi pavesi, peraltro anche male indicata con rari cartelli stradali. Ma l’assessore provinciale aveva organizzato e propagandato egregiamente l’evento, al punto da raccogliere quasi cinquanta camminatori/pellegrini. A circa metà strada era prevista la sosta alla cascina Vaccarizza graziosamente messa a disposizione dalla proprietaria, la sig.ra Giulia Sangermani, amica del promotore dell’iniziativa, nonché interessata a far conoscere la sua storica costruzione, in vista, forse, di un utilizzo a scopo turistico.

    All’esterno nell’antico muro si poteva ammirare la copia di un famoso bassorilievo in pietra arenaria dell’XI-XII secolo, con il Cristo crocifisso a gambe piegate. Secondo la fantasiosa tradizione: per non bagnarsele durante le piene del vicino fiume Po.

    Per il resto si trattava del tipico cascinale lombardo, isolato nella campagna, cinto da mura, con la grande aia centrale, le stalle, le abitazioni dei famigli, la cappella e ampi spazi per il ricovero degli attrezzi agricoli. L’intero lato sud, l’abitazione padronale, era stato restaurato di recente. Con i vecchi pavimenti in cotto e la maggior parte della mobilia antica, l’impianto termico e gli infissi erano nuovi. La signora, appassionata di fiori, aveva riempito gran parte dell’aia e il portico di grandi vasi di oleandri multicolori, per i quali aveva una vera predilezione.

    Nel complesso quindi una costruzione signorile, moderna e antica assieme, da cui si poteva condurre una avviata attività agricola e allo stesso tempo ritirarsi quasi come in un castello.

    La signora Giulia trascorreva almeno metà dell’anno in campagna, evitando solo

    l’afa estiva con le odiate zanzare e la fredda nebbia invernale. Vaccarizza, antico insediamento della ‘campagna sottana’ di Pavia, costituiva comunque il principale luogo di ricordi infantili e di parte della sua vita matrimoniale.

    Eccola quindi: alta, magra, occhi chiari vivacissimi, foulard di seta al collo, mani lunghe e sottili, da pianista. Energica, sempre in movimento.

    Sorride nell’accogliere i ‘pellegrini’, nel servire acqua fresca, the e dolcetti, o a farli accomodare anche all’interno della casa.

    Tutti sono mobilitati. Le tre famiglie di affittuari accompagneranno gli ospiti alla stalla, alle grandi tettoie degli attrezzi agricoli, al magazzino di raccolta e lavorazione del riso. Di questo prodotto autoctono sono pronti quaranta sacchettini da distribuire alle signore a scopo promozionale: andranno a ruba.

    Accanto a Giulia, la inseparabile Marta Colombo, simile nell’abbigliamento e nell’aspetto di donna di classe. Assieme, una tranquilla coppia di mature sessantenni. Si sono conosciute a Milano, cinque anni prima, alle sfilate primaverili di moda: l’inizio di una coinvolgente simpatia o, meglio, la fine di due solitudini.

    Giulia è single dopo la fuga del marito, trentasette anni prima, improvvisa, con un semplice biglietto scritto a mano. Mai un cenno della vicenda con chiunque, ma prima era un’altra persona.

    Marta si definisce una creatrice di moda, libero professionista o, se si vuole, collaboratrice a chiamata, sia pure di alto livello. E’ vissuta anni in Spagna e Marocco, sempre sola. Si era stabilita da anni a Milano, ove paga ancora l’affitto di un piccolo appartamento, ma Giulia l’ha convinta a venire a stare da lei in campagna ove può lavorare ugualmente bene. Le due appaiono comunque inseparabili, anche se Marta è molto attenta a non invadere spazi o a approfittare. Nella grande cascina occupa una semplice stanzetta del tutto marginale. Quando vanno assieme in vacanza, i biglietti di viaggio e le camere sono separate.

    Le due anfitrione, certamente atipiche nel contesto della bassa campagna padana, costituirono una gradevole sorpresa per la piccola folla di cittadini.

    Una sosta, nel mezzo della camminata, veniva a fagiolo per tutti. La giornata, seppure primaverile, era già abbastanza carica di umidità. Quindi l’acqua delle brocche venne bevuta in un attimo, come del resto sparirono subito i dolcetti. Giulia si rammaricò con assessore provinciale che aveva previsto solo una trentina di partecipanti e volle scusarsi con tutti. Ma Marta e i famigli furono abili nell’intrattenere gli ospiti, che conservarono- si può dire tutti- una gradevole impressione della visita.

    A un certo punto la padrona di casa salutò tutti e annunciò che si ritirava. Non era comunque per accelerare la partenza degli ospiti – e lo disse chiaramente all’amico assessore – quanto per un lieve improvviso malore. Sul volto, ma solo da vicino, si poteva notare un certo pallore cereo, mentre le labbra si muovevano autonomamente, ma in misura quasi impercettibile da lontano.

    Scusate, ma la pressione qualche volta mi fa scherzi..

    Marta intervenne subito con discrezione:

    Ti porto di sopra.

    No, resta con gli ospiti, mi basta star coricata un attimo….

    La comitiva si era radunata per la ripartenza, ma nessuno, a quel punto, pareva aver intenzione di muoversi. Gli sguardi convergevano sul volto della padrona di casa, ove il sorriso era già comunque ricomparso.

    Andate, partite, la via è ancora lunga..

    Marta, a quel punto, ruppe gli indugi. Passò il braccio al fianco dell’amica per avviarla alle scale e contemporaneamente annunciò:

    Aspettatemi un attimo, poi facciamo insieme una scorciatoia…

    Trascorsero solamente due o tre minuti alla ricomparsa di Marta.

    Tutto a posto, possiamo andare..

    La gente aveva già parzialmente lasciato il cortile, mentre l’anziana, con un passo inaspettatamente gagliardo, si mise alla testa della comitiva per avviarla su una stradina di campagna non asfaltata.

    La sosta a Vaccarizza era terminata. I famigli erano già scomparsi dalla scena dopo la distribuzione delle bevande: la domenica è per tutti. In un attimo la cascina era tornata al silenzio e alla tranquilla di sempre.

    Dopo una buona mezz’ora entrò in azione Ambrogio, l’affittuario di più lunga data, uomo di fiducia e amico dei proprietari, praticamente il capo- cascina. Tutti se ne erano andati, ma lui sapeva come fossero restati bicchieri e forchettine di plastica da smaltire. Se ne fece carico anche senza aver avuto disposizioni o richieste specifiche, ma doveva comunque sentire la signora Giulia.

    Non la trovava nell’aia, non era nel portico. La chiamò a voce, ma con discrezione, sulla porta, sapeva che era in casa. Alla fine entrò, ma solo di poco non osando andare oltre. Gli venne in mente, a quel punto, di ricorrere sua moglie Clelia, la quale, a differenza di lui, aveva libero accesso all’ala padronale della cascina.

    Clelia non era certo il tipo di farsi eccessivi problemi di etichetta. Dopo aver chiamato a voce ben udibile, salì senza indugio le scale al piano superiore. Sapeva della sindrome ipertensiva della padrona, aveva già assistito in altre occasioni a un improvvisa crisi da sbalzo di pressione con impellente necessità di coricarsi. D’istinto, la sensazione improvvisa di qualcosa di drammatico le fece alzare ulteriormente l’intensità del richiamo verbale.

    Signora!... Signora Giulia!

    Ora il grido poteva essere sentito ovunque nello stabile: nulla. Chiamò di sopra il marito. I due si affacciarono assieme alla camera della padrona, quasi rassegnati al peggio.

    La signora era seduta immobile sulla vecchia poltrona di pelle con la testa reclinata posteriormente. Gli occhi sbarrati quasi fuoriuscivano dalle orbite, la bocca semiaperta lasciva vedere la punta della lingua, il volto appariva tumefatto e congesto, in contrasto con il pallore cadaverico degli arti superiori penzolanti dai braccioli in abnorme postura.

    Anche se semplici contadini fecero subito diagnosi di exitus.

    Il corso vitale di Giulia Sangermani era stato, in qualche misura, da romanzo.

    Figlia unica di un facoltoso proprietario terriero, si era laureata in lettere nella vicina Università di Pavia per fare solo qualche sporadica supplenza alle scuole medie. La famiglia era ricca, non c’era bisogno di lavorare. Soprattutto aveva trovato subito il suo ‘lui’ in un rampollo di industriali milanesi, a quel tempo all’apice del successo. Luigi, bocconiano, tennista di buon livello, quanto inserito attivamente nell’azienda di famiglia, l’aveva agganciata, mediante una MG decapottabile d’epoca, in una memorabile estate alla Canottieri Ticino. Le gite al Canarazzo sull’ argine del fiume a bordo della bassa quanto rigida vettura facevano parte dei migliori ricordi di sempre. Una volta, per esempio, erano andati fuori strada per evitare un cane, ma un contadino era riuscito provvidenzialmente a trascinare la macchina in carreggiata con il trattore. Bei tempi…

    Si sposarono presto, dopo un fidanzamento ufficiale come d’uso a quei tempi, insediandosi in centro a Milano. Luigi conduceva l’impresa di famiglia con successo, lei scopriva la grande – e allora effervescente- città. Una coppia apparentemente felice e comunque fortunata. Dopo un paio d’anni scompaiono in un incidente stradale entrambi i genitori di Luigi, che diventa, automaticamente, il patron della ditta. Ma cambia. Qualcosa non va più. Il bel ragazzo, cordiale, affabile, brillante diventa chiuso, scontroso, intrattabile. Giulia non si raccapezza, ritiene la crisi legata alla responsabilità della conduzione della ditta. Cerca motivi di spiegazione plausibili fuori della cerchia famigliare, senza risultato. In fondo non è successo nulla, ma …Un bel giorno, (si fa per dire) Luigi scompare dal mondo. Non è stato un colpo di testa momentaneo o improvvisato. Si scoprirà presto il conto in banca svuotato, ma l’azienda trasferita alla moglie.

    In un laconico biglietto la informa della sua decisione di sparire. La prega di non cercarlo, non ha nulla contro di lei, che- anzi- ringrazia per i bei momenti passati assieme, la ama ancora, ma deve farlo, non può non farlo. …Addio..

    Un bel colpetto per la giovane Giulia..

    Sono i genitori di lei a farlo cercare da una agenzia investigativa, ma le mosse del fuggitivo sono state studiate anche in questa previsione. Si arriva Casablanca, senza poter andare oltre. In loco, a quel tempo, non esistono strutture organizzative idonee a proseguire la ricerca. Anche inviare qualcuno dall’Italia è problematico e costoso. Ma poi ne vale la pena? Anche i due vecchi se ne fanno una ragione. Amen.

    Giulia vive anni infelici.

    Ritrova l’amore, o una parvenza simile, in un artista di teatro giramondo. Certamente un teatrante autentico, perché, quando lei si scopre incinta, lui le fa sapere (neanche in modo diretto: il classico stronzo) che è sposato con altri due figli piccoli….

    Giulia deve necessariamente affidarsi all’ amore e alla dedizione dei suoi genitori per sopravvivere. Si tiene la bambina, che crescerà a Vaccarizza, avendo nel nonno un padre migliore di quello naturale. Giulia si riprende lentamente.

    Ma gli anni passano Annamaria frequenta lo stesso liceo della madre a Pavia e all’ università si iscrive a Lingue.

    Giulia è ormai una donna matura e tranquilla, quando, nella stessa estate, sua figlia annuncia il suo prossimo matrimonio e i suoi vecchi se ne vanno a breve distanza l’una dall’altro.

    La povera Clelia e il marito Ambrogio si trovarono nella classica situazione del cerino acceso in mano. La padrona era evidentemente morta, ma ugualmente la donna si sentì in dovere di chiamarla più volte, di darle qualche colpetto al volto e di penderle la mano. Insieme i due contadini decisero che non potevano lasciarla in quella posa drammatica, quasi oscena. La sollevarono di peso, constatandone l’incipiente rigidità e la posero sul letto.

    Clelia stabilì che il marito non dovesse muoversi dalla stanza. Lei corse a chiamare gli altri, sperando di trovare la sig. Marta.

    Si stabilì in seguito come, fra il diffondersi della notizia in cascina, il ritorno dell’amica, la telefonata alla figlia di Giulia, il precipitarsi di lei, passassero almeno due ore.

    La tranquilla Vaccarizza era sconvolta.

    Marta, quando aveva appreso la notizia, al ritorno, era salita- naturalmente- in camera e- di fronte al cadavere dell’amica- era svenuta. Quando arrivò il dott. Austoni, della guardia medica festiva, si trovava ancora nella sua camera isolata a letto con la borsa di ghiaccio in testa, incapace quasi di parlare. Le fu misurata la pressione sanguigna e somministrato un Tavor. Quanto a Giulia, la guardia medica era accorsa per nulla: poteva solo constatare il decesso ( e erano venuti non fidandosi della parola di altri), ma non redigere il certificato di morte, da effettuarsi, dopo quindici ore al massimo, da parte del medico necroscopo ( un medico legale dell’ASL)

    Alle diciassette arrivò Annamaria.

    La figlia era definibile come ritratto della madre. Alta, magra, quasi minuta, si sarebbe detto fragile, mentre si rivelava subito una tutto muscoli, scattante e resistente. Gli occhi nerissimi, ben distanziati, erano quelli- come qualcuno aveva notato- dell’amica di Giulia. Parlava velocemente, mangiandosi qualche sillaba. In genere era attenta alle ragioni degli altri e sapeva anche dare spazio. A Pavia aveva prolungato, in un certo senso, la sua vita universitaria come borsista alla facoltà di lingue con un compenso quasi al di sotto del minimo vitale. Ma in Istituto si trovava bene, poteva ritagliarsi ampi spazi di tempo per l’amato running al parco della Vernavola ed era in ogni caso inserita nell’ambiente accademico sia pure con una possibilità di carriera, a dir poco, remota. Da un anno era supplente al Liceo linguistico cittadino.

    La fase del matrimonio con Fernando si situava ancora in quella del famoso piccolo strato iniziale del barile (di miele, soprastante quello di merda) nonostante fossero insieme da cinque anni.

    Lui, medico radiologo del Policlinico S. Matteo, lo potevi prendere per un salariato agricolo o un pastore di pecore della bergamasca, per l’aspetto massiccio, un poco incurvato, la muscolatura degli arti superiori ben rappresentata con il particolare delle mani enormi e pelose. Inoltre, la voce baritonale, in contrasto di quella stridula della moglie, il tratto calmo, ma fermo, il frequente intercalare in dialetto dell’Oltrepò- di cui era originario -lo facevano definire come il contadino. Era ingrassato modicamente di pancia dopo aver dovuto lasciare l’amata attività del judo, al grado di cintura marrone. In ogni caso, judo o non judo, a vederlo pareva subito il tipo con cui non venire mai alle mani.

    La morte della madre, peraltro prematura e improvvisa, deve essere- probabilmente- uno dei passaggi emozionali più importanti per qualsiasi figlia.

    Ma Annamaria, in quel drammatico frangente, seppe dominarsi quasi perfettamente. La fida Marta la prelevò all’entrata della cascina, abbracciandola in lacrime, mentre lei restava mutacica.. Aveva già intuito quanto era successo, dal tono della telefonata. Nel breve tragitto da Pavia si era preparata mentalmente alla scena. Restò quindi quasi impassibile al letto, chiese dettagli del ritrovamento a Clelia e una sigaretta (cosa eccezionale per una ex fumatrice) ad Ambrogio per ritirarsi sulla veranda a guardare l’interno della cascina. Gli occhi erano asciutti.

    Terminava così, a trentacinque anni, la giovinezza.

    Il padre non l’aveva mai neanche conosciuto, era sparito nel nulla quando lei era bambina di quattro anni. Sua madre-abbandonata- non aveva neanche voluto tenerne ricordi, foto o quant’altro. L’aveva cancellato dalla faccia della terra, sepolto, dimenticato. Guai a farne cenno, anche garbatamente, fra adulti.

    Ora la intristiva la prospettiva di interrompere, probabilmente per sempre, il legame con Vaccarizza, la cascina della sua infanzia, cui tornava sempre con gioiosa trepidazione. Anzi era come un ritornare nell’utero materno, come un parto all’indietro a una condizione di rahma. Come aveva

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