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Le Ali e le Catene
Le Ali e le Catene
Le Ali e le Catene
E-book331 pagine4 ore

Le Ali e le Catene

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Info su questo ebook

Due settimane prima dell’inizio di un concorso nazionale per band emergenti, quattro giovani musicisti rock organizzano un tour di preparazione al concorso. Il giorno prima della partenza, il chitarrista e leader del gruppo si frattura il braccio. Il loro sogno rischia di infrangersi ancora prima di iniziare, ma all’ultimo momento i ragazzi incontrano per caso Alberto, un impiegato delle Poste che ha molta voglia di andare via dalla sua città.

Alberto ha un carattere dimesso, la convivenza con i ragazzi del gruppo che vivono all’opposto in maniera scapestrata, farà nascere scontri e situazioni sempre più complicate ricche di equivoci ed inganni che culmineranno in un incidente disastroso, dove oltre agli strumenti musicali, andrà in pezzi anche il sogno di partecipare all'agognato concorso nazionale. Alberto dovrà tornare ad una realtà che sente non apartenergli più, e convivere con un senso di colpa opprimente. I giovani musicisti, saranno costretti a fare i conti con il ritorno alla vita reale, spogliati della protezione a guscio data dal rincorrere il loro sogno.
LinguaItaliano
Data di uscita2 mar 2016
ISBN9788892556393
Le Ali e le Catene

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    Anteprima del libro

    Le Ali e le Catene - Novello Spinna

    Note

    1

    È quel momento, e il susseguirsi di tutti gli altri. Quel vortice di emozioni brutali, mescolate alla distorsione più roca, del metallo più pesante. Sono quelle botte continue, quel pestare come a voler distruggere solo con la forza delle mani. E l'amalgama dell'armonia, della grazia di una musica che nasce quando la trascendenza dell'anima è all'apice. Quello è il momento in cui vogliono stare, in cui si sentono dentro il mondo per cui sono nati.

    Marica sta facendo l'amore col suo basso, dell'ebano dei migliori Fender Jazz, e guarda dritto negli occhi Michele, il suo omone di cento chili buttati addosso alla chitarra, alla Stratocaster bianca, candida tanto quanto è distorta nel suono e sotto la forza delle sue mani. A cantare, a massacrare l'ennesimo microfono c'è sempre lui.

    Seconda voce e pianista celestiale, Giorgio controlla nello stesso tempo le sue due tastiere enormi che una sull'altra, gareggiano fra loro in tecnologia e limpidezza. Lui è l'artista dei quattro, il contrappunto essenziale. Dietro tutti, Paolo, poco più alto solo di Marica. L'animale lasciato libero ogni volta che si mette alla sua batteria. Che pesta furioso, e sembra voglia sfondare le pelli, tirate ogni sera da lui stesso con la medesima cura che impiegherebbe per accarezzare una donna, e dirle con quelle dita quanto si è perso in lei.

    Sono rinchiusi da più di quattro ore, nel garage della casa del pianista e del batterista, tappezzato ai muri da cartoni di uova che faticano fino allo stremo a trattenere i turbini pulsanti dagli amplificatori. Sudati per lo sforzo e per la mancanza d'aria, quasi al buio perché c'è solo una lampadina che ciondola impaurita, hanno un pubblico di bottiglie vuote di Jack Daniuels, vino e un tappeto di lattine di birra.

    Gli RWND, l'acronimo del credo di ognuno di loro Rock Will Never Die, si stanno sballando dell'unica vera droga per cui si alzano ogni giorno.

    Sono le due di notte passate quando finiscono Welcome to the Jungle, dei sacri Guns and Roses. Michele respira alcuni secondi, cercando di riprendere fiato.

    «Basta.»

    Dice, mentre senza aspettare la risposta degli altri si sfila la chitarra, la poggia sul piedistallo e va da Marica. Lei ha i capelli appiccicati al viso e spettinati, qualcuno di essi s'è impigliato nel piercing al sopracciglio. Il chitarrista, come fa ogni volta che smette di suonare, le libera con dolcezza la piccola ciocca, l'afferra per la vita sollevandola un poco, e le da un bacio lungo e irruento.

    La loro azione, provoca la reazione, sempre la stessa, di Paolo, il quale spaccando le bacchette, si alza e va all'armadio degli alcolici, piglia una bottiglia a caso e ne scola quanto più riesce a sopportarne il suo stomaco, poi la lancia a Giorgio e si accende una sigaretta.

    «Che cazzo, vattene fuori.»

    Gli ringhia Marica.

    Il batterista esce in strada, con la piccolissima, inutile soddisfazione di averla costretta a staccarsi per il consueto vaffanculo, allarmata che il fumo rovini la loro amplificazione.

    Si guarda attorno, poi in fondo alla strada, al bar, a quest'ora chiuso, dove va tutti i pomeriggi con Giorgio prima di iniziare le prove. Si lascia refrigerare dal vento leggero, i jeans e la bandana sono umidi di sudore, la maglietta con le rose e le pistole, bagnata, ma è normale. Fra i quattro lui è quello che si scatena di più, lasciandosi trasportare da quella rabbia sorda che lo perseguita, ingabbiata, durante il resto delle altre ore. Finisce una sigaretta, ne riaccende un'altra. Gli arriva un messaggio sul cellulare, il solito sms della sua collega magrebina passo fra un quarto d'ora lo avverte, il batterista si innervosisce. Ogni sera da quando si sono messi d'accordo per usare una macchina in tre e spartire la benzina, quella donna lo avverte sempre allo steso orario che, sempre tra lo stesso intervallo di tempo passerà da lui. Sopporta però questo fastidio, il lavoro, trovato due anni fa, come operaio di una ditta di pulizie, non è ne esaltante ne pagato decentemente, ma gli permette di pagare il garage per le prove, con l'aggiunta del buco al piano di sopra dove può dormire, e soprattutto è coordinato alla perfezione con lo stile di vita per lui, e per Giorgio, più naturale.

    Per quattrocentocinquanta euro ciascuno, entrambi puliscono uffici e cessi dalle tre di notte fino alle sette e mezza. In questo modo hanno tutto il tempo di suonare, e vanno a dormire quando tornano a casa dal lavoro, fino alle tre o le quattro del pomeriggio.

    Finita anche la seconda, ne getta a terra il mozzicone, al rientro trova Michele a bere un bicchiere di JB, con indosso la chitarra nella custodia, già pronto ad andarsene. Giorgio seduto ancora dietro le tastiere e Marica accanto a lui, stanno guardando nello schermo del tablet del pianista.

    «Ci sono già dei commenti.»

    Dice lui, lei li legge, fa una smorfia.

    «Che hai fatto?»

    Gli chiede il batterista, il pianista gira lo schermo, gli fa vedere il video dell'ultimo pezzo appena suonato, registrato e postato sul blog che lo stesso Giorgio ha creato per la loro band. Paolo non dice nulla, il pianista rigira il tablet e insieme a Marica finisce di guardare il video, si rivolge a lei.

    «Dobbiamo dire che non ci saremo per un po', lo faccio adesso.»

    «No. Domani, a cose fatte.»

    «Sono d'accordo.»

    Interviene Michele, che poi posa il bicchiere vuoto sull'armadio degli alcolici. Paolo fa per lamentarsene, la bassista lo anticipa.

    «Ci penso io.»

    Il chitarrista le si avvicina, la prende riempiendole la vita con la mano, la bacia.

    «Ci vediamo domani.»

    Dice dopo essersi staccato, poi aggiunge.

    «L'ho quasi finita.»

    Sul viso di Marica si apre un sorriso.

    «Davvero? La voglio leggere.»

    «Non ancora, stasera sistemo due o tre versi, poi ve la porto, così lui.»

    Accenna al pianista che ha gli occhi già frementi, dietro le lenti tonde.

    «Può cominciare a lavorarci.»

    Marica fa per aggiungere qualcosa, ma un clacson dall'esterno la anticipa. Come un segnale codificato, tutti sanno cosa devono fare.

    «A domani.»

    Michele esce dalla stanza accompagnato dalla sua ragazza, raggiungono la sua macchina.

    «Vieni con me?»

    «No. Sistemo e chiudo io stanotte.»

    «Ok. Io non posso, non voglio restare sveglio tutta la notte, e voglio assolutamente finire la canzone. Domani c'è da fare un nuovo ponteggio.»

    Marica gli sorride, si baciano ancora a lungo, si separano.

    Tornata nel garage, ferma Giorgio che ha iniziato a scollegare i cavi.

    «Faccio io, andatevene.»

    Il pianista apre la bocca, lei fa prima di lui.

    «Li sistemo per il furgone.»

    «Ma…»

    «Non fare lo stronzo.»

    «Però…»

    «Appena finisco chiudo. A chiave.»

    «E…»

    «Ve la venite a prendere domani al laboratorio, tanto io sarò per forza là.»

    «Va bene.»

    Dice alla fine, rassegnato.

    Il batterista e il pianista escono dal garage. Paolo va a prendere il furgone blu e bianco di proprietà del gruppo, Giorgio e la donna magrebina prendono dal cofano della macchina di lei gli attrezzi per la pulizia. Montato tutto su, partono.

    La bassista resta da sola in garage, è stanca, ma anche eccitata, sente una vibrazione costante scorrerle lungo il corpo. Smontare ogni pezzo, scollegare i cavi e sistemarli nei due zaini, è un lavoro delicato, richiede una certa attenzione, e questo la distrae. Sa già che non potrà dormire, si sente in ansia per la responsabilità che gli altri le hanno voluto addossare, nonostante i suoi tentativi di sottrarsene. Ad ogni secondo in meno che la separa dal suo compito, cresce dentro di lei la paura che qualcosa possa capitarle, che possa mandare tutto a puttane. Come già le è successo cinque anni fa.

    2

    La sezione lettere smarrite delle Poste di Firenze, si trova in una sola filiale, una delle più piccole. La stanza assegnata a questo ufficio non è stata considerata un buco, solo perché il direttore è riuscito a farci infilare una scrivania e un armadio di ferro, ai due lati della finestrina alta.

    L'unico assegnatario di questo compito è Alberto, il quale, contando quello di oggi appena passato, ha trascorso più di novecento giorni in quel suo quasi sgabuzzino, redigendo rapporti preconfezionati.

    Sono le sette meno dieci della sera quando firma l'ultimo modulo, si passa la manica della camicia sulla fronte, prende da dietro la sedia la giacca e s'è l'infila. Apre la porta del suo ufficio, dall'isola di silenzio ovattato, si ritrova nella piana di carta e computer, dove i suoi colleghi si muovono come animali stanchi in cerca del rifugio. Mentre si incammina, evita con cura di farsi intercettare da qualcuno di loro. Uscito, si ferma qualche secondo oltre la soglia a respirare un poco. Il primo caldo dell'estate gli ha fatto inumidire di sudore la camicia bianca, che assieme al completo scuro variabile a seconda, da nero a grigio, funge da sua divisa da lavoro.

    Gli dà fastidio sentirsi la schiena bagnata, non gli piace presentarsi in disordine, soprattutto questa sera, il giorno della settimana in cui ha il concerto.

    Sotto un sole ancora intenzionato a restare dominante, raggiunge la sua clio grigia, sfiora di vista la chitarra e il leggio d'alluminio nei sedili posteriori, si infila in auto, parte verso via della Mattonaia.

    Giunge puntuale alla sede dell'esibizione. Si sistema il leggio, si siede sullo sgabello che si fa prestare ogni volta, imbraccia la chitarra e comincia. Il suo spettacolo, all'aperto, sul marciapiede largo a sufficienza, durerà poco più di un'ora e un quarto.

    Per la maggior parte del concerto è stato sostenuto da una brezza piacevole, fattasi avanti, man mano che il sole si decideva a scomparire. È rimasto sempre con gli occhi puntati sulla tastiera della chitarra, concentrato sulla sequenza degli accordi, battendo il piede a ritmo per darsi il tempo. Ha anche cantato, e molte volte stonato, ma nessuno ci ha fatto caso. Ora è giunto al ritornello dell'ultima canzone, Invocazione serale del giusto perseguitato, il sesto salmo religioso insegnatogli assieme agli altri dall'ideatore di queste serate, Padre Lorenzo. Di fronte a lui c'è un pubblico, in parte attento e in parte sonnecchiante, di anziani della casa di riposo S.Cecilia, che si trova in questa strada.

    Dalla parte opposta di questa stessa via, lontano un centinaio di metri, Sonia esce dal negozio di fotografie in cui lavora, ne abbassa la saracinesca e attiva l'allarme. Si muove con difficoltà a causa della pila di foto lasciatagli dal suo datore di lavoro. Terminate le operazioni di chiusura sospira e si asciuga le gocce di sudore affacciatesi sulla fronte, poi, di pessima voglia, comincia a camminare verso il concerto in fondo alla strada, la buffonata del suo ragazzo che a lei dà un fastidio viscerale.

    Mentre si avvicina, socchiude gli occhi neri, facendo salire in alto gli zigomi. I capelli corvini, lisci, vengono assaliti dalle gocce di sudore, alla stessa velocità con cui il viso le si riempie di rabbia. Si ferma di fronte Alberto in modo da farsi vedere, ma abbastanza lontana da risultare in netto distacco dal resto della scena. L'insofferenza le aumenta a ogni parola e a ogni nota, che percepisce come un insulto diretto a lei. Sbuffa e guarda l’orologio in continuazione, facendo in modo che lui se ne accorga.

    Terminato il sesto salmo, il concerto finisce, Alberto prende fiato, poi accenna un inchino.

    «Grazie a tutti.»

    Cinque dei sei anziani, sistemati in tre file da due, lo applaudono, il sesto si sveglia di soprassalto.

    «Ci vediamo la settimana prossima.»

    Nello stesso momento in cui lui pronuncia questa frase, Sonia mugugna irritata, poi mentre Alberto comincia a sistemare chitarra e fogli nella custodia, lei gli si avvicina, frapponendosi fra lui e il leggio. Alberto non se ne accorge e girandosi urta la pancia della sua ragazza, contratta per il nervoso. Lei non ha nessuna reazione, lui invece per un attimo si spaventa.

    «Dammi un minuto amore e ce ne andiamo.»

    Rannicchiato con un ginocchio a terra e il busto raccolto verso l’altro, la vede imponente, a guardarlo come se stesse per far mutare il tempo solo per addossarlo contro di lui.

    «Dovrei prendere il leggio…»

    Lei resta immobile, come non avesse sentito, l'istante dopo si volta di scatto e va via a grandi passi. Raggiunta la clio lascia sbattere sul cofano la pila di fotografie, facendo in modo che l’impatto risulti il più rumoroso possibile, l’effetto si manifesta in pieno sul viso del suo ragazzo arrivato qualche secondo dopo.

    «Amore attenta.»

    «È tardi.»

    Ha il tono come lo sguardo. Alberto, con l’aria così colpevole che se avesse avuto una coda gli si sarebbe attorcigliata alla gamba, sistema la chitarra e il leggio nel cofano e sale in macchina. In silenzio aspetta che anche Sonia sia salita, parte.

    Per quasi tutto il viaggio i due possono sentire l'uno il respiro dell'altra, poi lasciata via dello Statuto, ed imboccata la stradina che porta alla casa dove Sonia abita assieme ai genitori, Alberto trova il coraggio di parlare.

    «Giornata dura a lavoro?»

    Lei lascia passare qualche secondo, poi risponde, mantenendo lo sguardo fisso alla strada.

    «Il lavoro non c’entra niente.»

    «E allora che c’è che non va?»

    Resta zitta. L'impiegato delle Poste raggiunge la casa, si ferma.

    «Amore, qual è il problema?»

    Sonia sospira forte, l’aria dalle narici sbatte sulle foto riverberandosi in parte sul suo viso.

    «Amore mio…»

    La incalza, avvicinandosi un poco.

    «Non ne posso più.»

    Manda fuori esasperata, Alberto si ritrae.

    «Di cosa?»

    «Di te.»

    «Di me?»

    «Di te, della tua musica, delle tue stronzate.»

    «Stronzate? Ma a me piacciono, passo il tempo.»

    Lei affonda la faccia sulle foto e si morde le labbra per non dire le cattiverie che le sono nate in bocca. La rabbia le ha montato una bile nera di cui sente il sapore sulla lingua, apre lo sportello. Con fare incerto l'impiegato le si avvicina per baciarla, lei si scansa decisa ed esce.

    «Ma, amore.»

    In risposta Sonia chiude lo sportello col fianco, spingendolo con tutta la forza. Senza voltarsi raggiunge la porta e infila le chiavi nella serratura. Temporeggia aspettando di sentire la macchina riaccendersi, quindi apre e con l’orecchio al rombo del motore a poco a poco più distante, entra in casa.

    Nel momento in cui richiude, tutta la tensione scende di colpo, si sente sopraffatta dalla stanchezza. Lascia cadere il mazzo di chiavi dentro lo svuota tasche alla sua sinistra, accende la luce con il gomito, si libera della colonna di fotografie incastrandola fra il posacenere di ceramica e la miniatura della Pietà di Michelangelo.

    «La fettina è ancora calda.»

    Dalla cucina le arriva la voce di sua madre, Chiara, lei percorre lentissima il piccolo atrio. Si affaccia, i suoi genitori stanno mangiando seduti l’uno di fronte all’altra, li osserva qualche secondo.

    «Stanca?»

    Sonia annuisce, dà un’occhiata distratta alla TV, poi compiendo un movimento lento è strascicato, si stacca dal muro su cui si è appoggiata.

    «Arrivo subito.»

    Dice con un filo di voce. Mauro, suo padre, la guarda per un momento.

    Mentre si allontana tira fuori il telefono dalla tasca dei pantaloni e controlla il display, cercando di frenare il senso di ansia emergente. Sale le scale, si ferma nella sua camera, si toglie la giacca del taglieoure e le scarpe, infila un paio di ciabatte, e passa dal bagno a sciacquarsi, torna giù. Si siede fra suo padre e sua madre, Chiara gli accenna un sorriso mentre le scoperchia il piatto, Mauro prende una mela e comincia a sbucciarla.

    «Come è andata oggi?»

    Le chiede fissando la buccia gialla, Sonia lo guarda un attimo poi torna alla carne.

    «Così.»

    Mauro non l'ascolta, un servizio sulla Fiorentinalo distrae. Chiara osserva la scena muovendo svelta i suoi occhi castani, l'atteggiamento di suo marito la infastidisce, ma è una scena a cui è abituata. Torna a sua figlia.

    «Mangiane almeno un poco.»

    «Come?»

    Immersa nei propri pensieri Sonia non l'ha sentita, Chiara apre la bocca per ripetere ma viene anticipata dal cellulare di sua figlia. Lei tira fuori il telefono dalla tasca, la riga del mittente indica Roul. I solchi intorno agli occhi scompaiono, «finalmente» pensa.

    Alberto lascia l'auto nel parcheggio del condominio, sale al primo piano ed entra nel proprio appartamento. Chiude la porta a chiave e accende la lampadina nuda della sala da pranzo-cucina, la luce bianca a risparmio energetico si diffonde gradualmente sui mobili essenziali. Il litigio con Sonia lo fa sentire giù di morale, guastandogli la vigilia della grande sorpresa.

    Piega per bene i vestiti sulla sedia davanti il letto matrimoniale, va a prendere la tuta da casa in bagno, si veste e va in cucina a scaldarsi i sofficini pomodoro e mozzarella. Dopo poche forchettate riceve una chiamata al cellulare.

    «Pronto?»

    «Ciao tesoro.»

    «Ciao mamma.»

    «Ho riguardato l'orario per sicurezza, domani il treno arriva alle otto e dieci.»

    «Non ti preoccupare arriverò prima…»

    «Ah senti poi per quell'altra cosa, tutto apposto, capito?»

    «Si.»

    «Va bene tesoro allora ti saluto così finisco di preparare le ultime cose. Tu non fare tardi, e vai a riposarti.»

    «Certo.»

    Alberto rimane qualche secondo titubante, poi continua.

    «Ieri sono passato dall'agenzia.»

    Dall'altra parte sua madre, Nina, resta zitta.

    «Mi sono fatto fare un preventivo, così, per vedere quanto avrei speso.»

    Ancora nessuna risposta, lui continua.

    «Con cinquecento euro, potrei fare Madrid e un giro guidato a Barcellona, in una settimana, tutto compreso. Pensavo di andare subito dopo l'estate.»

    Sempre silenzio dall'altra parte.

    «Che ne pensi? Potrei dirlo a Sonia, un viaggetto…»

    «Ora non mi sembra proprio il caso.»

    «Come?»

    «Con tutte le spese che ci saranno, non mi pare una buona idea.»

    «Ma…»

    «Più in là magari potete pensarci, ora è meglio di no.»

    «Ma non sarebbe troppo costoso, è un'occasione.»

    «Lascia stare, è una fregatura. Ora pensa solo alla sorpresa di domani.»

    Attorno a lui scorrono diversi secondi.

    «Va bene.»

    «Allora buonanotte tesoro, a domani.»

    «Buonanotte.»

    Dopo la telefonata, gli sembra di sentire un sottilissimo retrogusto amaro nei sofficini.

    Sonia mangia tutta la carne e l’insalata, e divide la mela con Chiara.

    «Vado un momento in camera, poi ti vengo a dare una mano.»

    Mentre parla mostra un sorriso inimmaginabile qualche minuto prima.

    «Sonia.»

    Lei è già in piedi, si volta.

    «Allora confermo alla nonna che verrai anche tu?»

    Lei si sente così contenta che aderirebbe a qualunque cosa.

    «Certo. Dopodomani, giusto?»

    «Mi raccomando almeno al suo compleanno, è solo qualche ora.»

    Sonia le sorride di nuovo.

    «Stai tranquilla, verrò.»

    Sale le scale quasi correndo, Chiara la osserva pensierosa. Le è sembrata distrutta appena entrata in casa e ora è radiosa. Un pensiero subdolo tenta di aprirsi la strada nella sua testa ma lei lo scaccia, va a pulire i piatti.

    Finito di sistemare la cucina, Alberto si butta sul divano a guardare un thriller già cominciato, dopo dieci minuti lo invade una sonnolenza repentina. Si sveglia di soprassalto a causa delle urla degli ospiti del tolk show di seconda serata. Un poco stordito e molto assonnato guarda l’orario, decide di andare a dormire.

    Sulla parete di fronte la porta della camera di Sonia, sono appese due fotografie gemelle, che mostrano ognuna un cucciolo di leopardo dallo sguardo di sfida rivolto l'uno contro l'altro. Alta sopra la testata del letto c'è una foto grande quanto tutto il muro, nella quale un mare bianco di pellicani è in volo sotto un cielo lievemente velato di nuvole. Queste e altre più piccole fotografie poggiate un po' su tutta la stanza, le ha scattate lei stessa, in Africa, nell'unico viaggio effettuato allo scopo di soddisfare la sua passione per la natura e la fotografia.

    Lavatosi e cambiatosi, adesso Alberto è seduto nella propria metà del letto matrimoniale, sta guardando il cellulare alla luce fioca dell’abat-jour a forma di lume antico. Non sa decidersi se chiamare la sua fidanzata per l’abituale buonanotte, o se rinunciare per questa sera. Lascia trascorrere ancora cinque minuti tentennando, poi opta per un sms Buonanotte amore mio, scusami. Ti Amo.

    Sonia posa sulla scrivania il piccolo gruppo di fotografie prese dalla pila lasciata all’ingresso e si siede sulla sedia. Prende il cellulare, legge e cancella il messaggio di Alberto, invia la risposta a Raoul Certo che ci vediamo, stessa ora, il posto sarà perfetto. A domani.

    Comincia a controllare gli scatti, dovrebbe concentrarsi per scovare difetti di inquadrature e messe a fuoco non perfette, ma dopo poche fotografie si distrae. La sua attenzione si concentra sulla figura dello sposo, sul suo viso compare un’espressione sognante.

    3

    Marica si alza molto prima del suo solito orario, come aveva previsto ha dormito si e no una qaurantina di minuti. Nella penombra data dalla luce in cucina lasciata accesa probabilmente da suo padre si tira su dal letto, in automatico si gira verso i due letti dei suoi fratelli montati uno sopra l'altro, li guarda, uno è vuoto, l'altro no. Va a lavarsi.

    Venti minuti dopo, basso sulla schiena e busta controllata e ricontrollata, dentro la tasca grande, inforca lo scooter. Arriva alle Poste di Gavinana, del suo quartiere, convinta di essere la prima ma una folla di anziani la disillude. Senza lasciare il tempo alla delusione di affiorare, riparte, percorrendo i Lungarni riflette su quale ufficio possa esserle più vicino. Gliene vengono in mente altri due. In entrambi però il risultato è sempre analogo al primo, comincia a sentire un tremolio d'ansia, nessuna filiale è ancora aperta, ma sembrano già tutte stipate molto oltre la normale capacità di smaltimento. L'ultimo tentativo lo fa in centro, lascia il motorino prima della zona vietata e raggiunge i portici di fronte Piazza della Repubblica a piedi, rinuncia all'idea di essere la prima, spera almeno di trovare poca gente rispetto ai tanti sportelli. Arrivata davanti le porte scorrevoli si accorge che la ressa è alla stessa proporzione di quella degli altri edifici, con l'aggiunta di molti ragazzi e ragazze stranieri.

    «Cazzo!»

    Si scoraggia quasi del tutto,

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