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Il gioco degli specchi: Sanremo, il barista-investigatore e i Mondiali '82
Il gioco degli specchi: Sanremo, il barista-investigatore e i Mondiali '82
Il gioco degli specchi: Sanremo, il barista-investigatore e i Mondiali '82
E-book134 pagine1 ora

Il gioco degli specchi: Sanremo, il barista-investigatore e i Mondiali '82

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Info su questo ebook

Un omicidio che solleva un dedalo di supposizioni, un labirinto investigativo fra prospettive illusorie, ipotesi ingannevoli, sentieri monchi. Un intreccio contorto, la cui complessità travalica le esigue capacità investigative di Farfuglia e i ristretti circuiti neuronali del giornalista Parente. Elementi pulviscolari in una nebulosa di umanità contraddittoria orbitano intorno al Bar Marco. Lo sfondo però è magico, i Mondiali '82, la grandiosa vittoria di un’Italia che rinasce tra le partite di calcio, i goal di Paolo Rossi e il Presidente Pertini che accompagna il suo popolo. Mario il barista, al centro di una galassia di vite oblique, distilla nei suoi ragionamenti una tenace curiositas mai disgiunta da una pietas sincera, ben sapendo che la soluzione non appartiene all’inaccessibile sfera del mistero ma ai meandri dell’enigma, che celano sempre una spiegazione razionale. E il labirinto si trasforma in un gioco di specchi. L’identità di due disegni genetici gemelli, di due vite biologiche sovrapponibili, trasfigura in due esistenze anagrafiche speculari dove ciò che è destro, sinonimo di diritto, retto, diventa – nell’ immagine riflessa – sinistro, inquietante, minaccioso. Come nella simmetria degli specchi e il loro capovolgimento, le polarità del positivo e del negativo si invertono e ribaltano la direzione di due destini: l’agiato perbenismo di provincia si dissolve in abissi inconfessabili. Mario cerca il colpevole e vuole ostinatamente credere nella verità, cerca in quei frammenti trattenuti nello specchio che riflette finché trova il dettaglio, la nota dissonante, il particolare insignificante che svela l’elemento significante. Dopo il grido di vittoria degli Azzurri le indagini saranno ancora più sorprendenti, spinte anche un po’ dall’urlo di Tardelli e la sorpresa di Pablito.

Morena Fellegara, infermiera di professione e scrittrice per passione, è nata a Sanremo il primo maggio 1975. Ha esordito nel 2020 per Fratelli Frilli Editori con il romanzo noir Un Pastis al Bar Marco, ambientato negli anni Ottanta nel bar dei suoi genitori, che ha avuto un successo inaspettato. Una penna che descrive con immediatezza e leggerezza le dinamiche che animano e inquietano il quotidiano di vite semplici, entrando con garbo e acume negli abissi che, a volte, si spalancano dietro le maschere degli stereotipi sociali. Ha partecipato all'antologia I luoghi del noir (Fratelli Frilli Editori) con il racconto Aiga ae corde, ambientato nella storica piazza Bresca di Sanremo, dove l’enigma del giallo si intreccia con la storia.
LinguaItaliano
Data di uscita24 mag 2021
ISBN9788869435324
Il gioco degli specchi: Sanremo, il barista-investigatore e i Mondiali '82

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    Anteprima del libro

    Il gioco degli specchi - Morena Fellegara

    I

    La luce fioca di una candela illumina la tavola, tanto quanto basta per intravedere il fumo che esce dalla pentola. Zumbo ha gli occhi che brillano, inspira e assapora il profumo del piatto tanto amato, il suo preferito. È felice come un bambino. Prende il mestolo, lo immerge nella pentola e inizia a servirsi. Trippa. Appena fatta, ricca e fumante.

    Un bel piatto, stracolmo. Si versa un bel bicchiere di Rossese Superiore. Alza il ballon, lo osserva. Un rosso preciso, perfetto, rubino. Infila il naso nel calice.

    Ahhhhhh!

    E riconosce il profumo di frutta e di fiori del suo Ponente. Gli odori della macchia (timo, rosmarino, pino, elicriso) di terra e di mare. Si sente a casa, lui che è nato a Dolceacqua, in una vecchia cascina.

    Lo assaggia. In bocca sente l’amarognolo del tanninico, che nella versione di alto livello è un pochino più alcolica. Ma stasera ci vuole qualcosa di forte, un vino ben strutturato, da unire alla sua trippa. Dopotutto si deve consolare. Ha ricevuto finalmente i soldi del suo tredici ma ahimè, è rimasto senza moglie. Ma anche senza corna.

    Tutto sommato è felice. Finalmente può godersi la vita. Alzarsi quando vuole. Fumare in camera.

    Uscire e rientrare a tutte le ore.

    È pure ricco. Ha assunto una colf, Adele, che gli cucina tutto ciò che desidera, gli stira le camicie ed è pure bella. Va a casa sua tre volte la settimana per cinquantamila lire. Cosa chiedere di più?

    A volte parla da solo e dice: Ho fatto proprio un terno al lotto!.

    È vero. Si è ritrovato senza moglie e pieno di soldi. Altro che sfortuna! È passato un anno da quella brutta faccenda del furto di schedina, dal suicidio dell’amante di sua moglie e dalla sua separazione. Lei si è, da qualche tempo, trasferita a vivere in un bell’appartamentino in pieno centro. Sola e libera di aver chi vuole e in più con qualche soldo sul conto corrente donato come buona uscita dal povero Zumbo, che nonostante sia stato cornuto e mazziato, ha voluto lasciarla in maniera civile e da signore.

    Ma lui, come dice sempre la Lina, moglie del barista, è nato con la camicia!

    Finisce di assaporare il primo sorso di Rossese e finalmente infila la forchetta nel piatto. Avvolge la trippa come se fossero spaghetti, la guarda, la annusa.

    Ahhhhh! Che buona!

    Infatti è buona veramente. La trippa è un piatto di origine greca, veniva inizialmente consumata sulla brace. In epoca romana, invece, era utilizzata per preparare le salsicce.

    Un insieme di frattaglie ricavate dai bovini, eccetto l’intestino, come tanti erroneamente credono. In Italia è uno dei piatti più tradizionali in molte regioni, dal Veneto, alla Lombardia, all’Emilia, alla Liguria e ognuna vanta la sua ricetta. La Adele è di origine emiliana e la trippa la sa fare molto bene, con salsa di pomodoro e fagioli.

    A Zumbo non sembra vero.

    Che libertà!

    E si versa un altro bel bicchiere di vino.

    La solitudine per tanti non è un castigo. Anzi. È libertà. Può fare e dire quello che vuole. Non credeva di essere così schiavo di tanti stereotipi inculcati da bambino. Può avere tutte le donne che vuole, che tanto con la moglie non è che fossero rose e fiori. Ma purtroppo ha capito il perché.

    Ma il medico si è suicidato. A Zumbo neanche il piacere di farsi una bella scazzottata. Meglio così. Non gli è mai piaciuto fare a botte, neanche a scuola. Quando i bulli se la prendevano con i più deboli e lui li difendeva a suon di pugni si doveva sforzare, la violenza proprio non faceva per lui. Stavolta invece il destino ha fatto tutto da solo e lui, ora, sì che è felice.

    E la povera signora Zumbo che farà senza di lui?

    Chissà. È ancora una bella donna e forse potrà contare sul suo fascino, dopotutto sono le ultime occasioni. Prima che l’inesorabile tempo abbassi le sue tette, asciughi le sue cosce e riempia di rughe il suo bel faccino. Povera! La bellezza è effimera e chi investe solo su quella è destinato ad una fine tragica. Chissà pochi la hanno conosciuta fino in fondo, molto riservata, chiusa, sempre seria. Ora è sola e libera, e comunque a Zumbo non manca neanche un po’. Il loro amore era finito da tempo, due anime sole a condividere lo stesso appartamento.

    Ma torniamo a quel bel piatto di trippa fumante.

    A Zumbo vengono in mente i versi di una poesia, letta da qualche parte. Tra i fumi del vino da quattordici gradi non ricorda bene dove. Diceva più o meno così: "Un giorno in un ristorante fuori del tempo e dello spazio, mi servirono l’amore come trippa fredda. Dissi delicatamente all’inviato della cucina che la preferivo calda, che la trippa (ed era alla maniera di Oporto) non si mangia fredda."¹

    E mentre si scervella per capire di chi erano quei versi, gli viene in mente tutta la faccenda.

    Il tredici. I tanti Pastis. Franco lo spazzino morto. Mario, il barista, suo migliore amico e confidente.

    Le arance e le mele del suo banco al mercato. I carciofi raccolti mentre pregava. La speranza e la certezza di farcela. Pensa alla moglie, alle bugie. Ai tanti perché della vita. Gli vengono in mente tante domande. La risposta non esiste, per lo meno agli occhi dei più. La risposta è fare del proprio meglio e vivere giorno per giorno. Senza troppe domande.

    Si commuove e intanto si abbandona al sonno. Appoggia la testa sul tavolo e crolla. Lo attendono sogni di fate e sirene, di mondi da esplorare con occhi nuovi e più leggeri.

    È vero. È proprio nato con la camicia!

    II

    Il risveglio di Zumbo non è dei migliori. Verso le tre del mattino, ancora rannicchiato tra la sedia e il tavolo della cucina, viene svegliato di soprassalto da delle urla atroci:

    – Aiutoooo! Aiuto!!!!!! Qualcuno mi aiuti!!!!

    Dalla strada si sente la voce di un uomo che strilla a più non posso. Gli salta il cuore in gola, sarà anche il vino ancora in circolo ma non riesce a realizzare da dove provengano quelle grida. Si precipita giù dalle scale senza neanche riflettere, con la tachicardia e sudando come un boia. Scende i tre piani due scalini alla volta, trova il portone spalancato. L’uomo che urla in strada è Giacomo, il pasticcere, laggiù al buio in fondo al parcheggio. Zumbo si avvicina e da dietro un furgone vede Giacomo chino su un corpo disteso a terra, si intravedono dei tacchi di donna.

    Zumbo gli va in aiuto.

    Nel frattempo sono accorse altre persone del quartiere, svegliate dalla voce disperata del pasticcere. Un altro urlo, quello di Zumbo:

    – Nooooo!

    Il corpo disteso a terra è quello di sua moglie, cioè della sua ex-moglie. Mezza svestita, è morta.

    Zumbo perde i sensi.

    Si sveglia poco dopo attorniato da parecchie persone, chi gli dà acqua e zucchero, chi lo guarda con compassione. Una cosa che ha sempre odiato è sentirsi guardato con compassione. A volte la gente è talmente impressionata e prova talmente pena per il prossimo che glielo dice con gli occhi. Questo di certo non aiuta lo sventurato in questione, anzi lo fa sentire ancora peggio. Spesso, invece, quello che serve non è sentirsi dire povero te ma una voce più forte della propria, che con fermezza restituisca coraggio e spinga a reagire.

    Zumbo è in un turbine di emozioni e spavento, riesce solo a vedere i lampeggianti dell’ambulanza e di due volanti della polizia. Mentre viene steso un lenzuolo bianco sul corpo della vittima e un poliziotto circonda tutta la zona con un nastro di plastica bianco e rosso, sente una voce che lo aiuta a smettere di tremare.

    – Vieni qui.

    È Mario, stava chiudendo il bar quando ha visto sfrecciare le volanti e l’ambulanza. Ha finito di tirare giù le serrande ed è subito partito con la sua moto Guzzi a vedere che caspita fosse successo a quell’ora del mattino.

    Uno sguardo, una stretta sulla spalla. Zumbo si calma.

    Mario, arrivi sempre al momento giusto.

    III

    Le indagini sono aperte.

    – Scrivi: "Corpo ritrovato alle ore due e cinquantacinque minuti da un passante, tale Giacomo Rovazzi. La vittima, tale Ombretta Canepa,

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