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L'odore delle mimose: e altre storie
L'odore delle mimose: e altre storie
L'odore delle mimose: e altre storie
E-book128 pagine2 ore

L'odore delle mimose: e altre storie

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Info su questo ebook

Con questa raccolta di novelle, scritte nell’arco di un ventennio, l’autrice di Matrimonio in campagna torna al suo primo “amore” e cioè al racconto che, ancora una volta, è prevalentemente di ambientazione isolana.
Le storie, molto varie nei contenuti e nei toni, a volte comico-grottesche, a volte dol­­cemente rievocative, a volte drammatiche, sono raggruppate appunto per questo in tre sezioni: “Il riso e il pianto”, “Racconti di guerra”, “Ricordi, ricordi…”
Le vicende, perlopiù di pura fantasia, si ispirano talvolta a fatti realmente accaduti. In esse una folla eterogenea di personaggi emerge prepotentemente con il suo carico di vita e di esperienze, liete e do­lenti, ed ognuna di queste figure, sapientemente scolpita e caratterizzata dalla pen­na dell’autrice, ora con ironia ora con umana con­divisione, è a suo modo indimenticabile.
LinguaItaliano
Data di uscita4 mar 2015
ISBN9788882433659
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    Anteprima del libro

    L'odore delle mimose - Anna Mosca Pilato

    Anna Mosca Pilato

    L’odore delle mimose

    e altre storie

    Edizioni Lussografica

    © Copyright Dicembre 2014

    Edizioni Lussografica

    Caltanissetta

    Tutti i diritti sono riservati

    ISBN 978-88-8243-365-9

    Alle mie nipotine adorate

    Benedetta ed Elena

    Il riso e il pianto

    LA CIABATTA MIRACOLOSA

    Fu in un tiepido e gaio mattino d’aprile che donna Filippa, appena sveglia ma ancora ad occhi chiusi sotto le coltri, sentì che era di nuovo giunto il momento delle grandi pulizie.

    Si era destata molto presto per via dell’incessante tubare delle tortore sopra la gronda e per via di quel raggio di sole, radente e un poco dispettoso che, insinuatosi tra i teli del pesante cortinaggio, era venuto a punzecchiarla proprio sul naso. Via dunque le ugge del lungo inverno, pensò donna Filippa, via le malinconie e gli acciacchi. E sentendo rinascere in sé energia, mista a gioia di vivere e voglia di nuovo, balzò lestamente a terra del tutto dimentica dei suoi dolori reumatici. Si fece sull’uscio a respirare la fresca aria del mattino già gravida di novelli e piacevoli effluvi. Da dove iniziare? Non c’era che l’imbarazzo della scelta in quella grande casa di campagna che lei, pur se avanti negli anni, rigovernava da sola, così come il marito da solo badava al campo e all’orticello.

    Il capanno - disse tra sé - voglio proprio cominciare dal capanno.

    Era questo un piccolo vano fatto d’assi di legno chiodate, a ridosso della masseria, dove erano riposti alla rinfusa, oltre agli attrezzi per il lavoro dei campi, una miriade di oggetti, per lo più inutili cianfrusaglie, che Filippa ed il marito non avevano voglia di buttare perché, non si sa mai, potevano tornare utili un giorno o l’altro. Filippa sentì all’improvviso il bisogno di liberarsi di tutta quella paccottiglia, come dalla polvere di tanti anni di ansie, di fatiche e di problemi. Spalancò la vecchia porta sgangherata e fece entrare l’aria della primavera a cacciar via quel malsano miasma d’umido e di rinchiuso.

    Togli di qua, sposta di là, tira un po’ su e riponi giù, d’un tratto gli occhi le caddero su di una strana cosa, posta diritta sopra una mensola metallica.

    Era in realtà un oggetto tutt’altro che inusuale, anzi comunissimo, si trattava d’una vecchia ciabatta spaiata di don Ignazio, nient’altro che una banale ciabatta di quelle con la suola in gomma, aperta dietro e con la tomaia di spessa stoffa marroncina.

    Ma la stranezza...la stranezza...donna Filippa non riusciva a capire, non vedeva bene, si stropicciava gli occhi. Prese in mano la lampada elettrica che stava appesa ad un gancio nella parete vicina, l’accostò alla ciabatta... rimase senza fiato e senza parole. Avvicinò e allontanò ripetutamente la lampada all’oggetto, non riuscendo a credere a ciò che vedeva.

    Eppure non c’erano dubbi, quella che lei aveva davanti, impressa lì all’interno della babbuccia, straordinariamente nitida, era proprio l’effigie inconfondibile del Santo, quel Santo del quale lei, assieme a tanti altri nel mondo, era molto devota. Quegli occhi, quel cipiglio, quella barba e poi, sopra il noto sembiante, il cappuccio francescano, costituito appunto in questo caso dalla lanuta tomaia.

    Infine un grido, un grido lunghissimo le proruppe dalla strozza, indi venne fuori, stridulo, il nome del marito:

    Ignazio, Ignazio, corri Ignaziooo!

    Il pover’uomo che stava in quel momento infilandosi le braghe, a costo d’inciampare accorse trafelato, paventando una disgrazia.

    Che c’è, che succede, santa cristiana, perché strilli come una gallina alla quale stanno per tirare il collo!

    Il Santo, il Santo! ansimava donna Filippa, saltellando di qua e di là come l’avesse pizzicata una tarantola, e additava al marito la ciabatta nell’angolo, che ora, giacché la lampada era caduta a terra, appariva illuminata dal basso e dunque con effetto involontariamente teatrale.

    Ma che hai, che vai dicendo. Pazza dunque sei? Fammi vedere.

    E l’uomo, presa la cosa con delicatezza, la portò fuori, alla luce del sole, per guardarla meglio.

    L’appoggiò sul muretto presso alla fontanella e... Miracolo! gridò allora. Poi cadde basito in ginocchio, tra il limo e l’acciottolato.

    Ah Vergine Santissima, oh Gesù Sacramentato! Miracolo! Miracolo!

    Corri presto - disse Filippa con tono concitato - corri al paese, vai a chiamare padre Calamoneri, chiama i miei fratelli, la cugina Teresa, il maresciallo, il sindaco... chiama chi ti pare. Tutti, tutti devono vedere, devono sapere... Presto, presto, ma che fai piantato lì come una pala di ficodindia? Fai presto ti dico!

    In men che non si dica la notizia prese a rotolare giù per la china erbosa della collina, rimbalzò di poggio in poggio, echeggiò di roba in roba, scivolò lungo i canaloni, giunse in paese e lì dilagò per piazze e strade, senza risparmiare nessun vicolo, cantone, corte o andito, balcone, terrazza o pianerottolo.

    Ben presto dai quattro punti cardinali, dai campi e dai paesi circostanti, cominciò ad accorrere gente. Tutti, giunti sul posto, si avvicinavano all’oggetto, curiosi e a volte scettici, per vedere il miracolo e tutti rimanevano ugualmente sconvolti.

    Sì, era proprio vero, all’interno della ciabatta, che nel frattempo era stata issata e ben piantata sopra un alto cumulo di pietre, messo su col concorso di tanti volenterosi, all’interno dunque appariva, con tratti chiari sullo sfondo scuro, quasi in rilievo, il volto ieratico del Santo!

    Chi rimaneva estasiato o turbato a guardare, chi pregava in ginocchio, chi piangeva, chi cercava di spingersi avanti. Ognuno poi aveva la sensazione che gli occhi magnetici del Santo fissassero proprio lui, anche se mutava posizione, e c’era chi asseriva che sulle sue labbra apparisse a tratti l’ombra d’un sorriso. Addirittura una donna, che soffriva di asma, ebbe subito i segni di un sensibile miglioramento.

    Di giorno in giorno la folla aumentava, dapprima era accorsa la gente più semplice, ma poi, via via, giunsero anche i notabili del paese.

    Le autorità ecclesiastiche, come sempre in questi casi, raccomandarono cautela.

    Venne infine il sindaco con tutta la giunta comunale. Si avvicinava il momento delle consultazioni per eleggere il primo cittadino ed egli intendeva ricandidarsi. Dunque, tronfio e sorridente, s’era recato lì col suo seguito, soprattutto perché sperava, mostrando di essere una persona pia e devota, di accrescere il suo elettorato.

    Sindaco, sindaco -cominciarono a gridare alcuni tra la folla- avete visto il Santo, lo vedete dunque. Egli vuole che in questo posto venga eretto un santuario per lui.

    Sì, sì, è vero -confermarono tanti altri- un santuario, ci vuole un santuario, è il Santo che lo reclama.

    E la folla prese a scandire ritmicamente: San-tua-rio! San-tua-rio! San-tua-rio!

    Il sindaco, sempre col suo bel sorriso a centottanta gradi stampato sulla faccia bonaria, disse tra sé e sé che gli conveniva prendere quella palla al balzo ed inserire subito l’eventuale costruzione del santuario nel suo programma. Ciò sicuramente gli avrebbe fatto acquisire tantissimi voti da parte di tutte le beghine ed i creduloni del paese. Che poi il santuario si potesse realizzare davvero, era cosa da esaminarsi con calma, in seguito. Importante era prima di tutto vincere le elezioni.

    Così il sindaco promise il suo personale interessamento, suscitando l’entusiasmo della folla che proruppe in un lungo e fragoroso applauso.

    Egli era chiamato dal partito avversario baciapile, oltre che con molti altri nomignoli poco edificanti sui quali è meglio sorvolare. A sua volta il candidato dell’opposizione era, dal sindaco e dai suoi accoliti, soprannominato mangiapreti, nonché con un altrettanto congruo numero di spiacevoli soprannomi sui quali pure è opportuno che non ci soffermiamo.

    Quest’ ultimo, laico e pragmatico, volle recarsi pure sul posto per vedere di persona ciò che stava succedendo.

    Subito egli bollò la faccenda come assurda e ridicola, nient’altro che un piccolo ed insignificante fenomeno naturale scambiato per una manifestazione soprannaturale. Parlò di suggestione collettiva e promise al suo elettorato che il denaro pubblico non sarebbe stato sperperato per delle stupidaggini, bensì sarebbe stato impiegato per realizzare il tanto atteso ed auspicato collegamento con l’autostrada.

    Tutti gli scettici ed i miscredenti si schierarono naturalmente con lui. Entrambi i contendenti cominciarono a darsi battaglia senza esclusione di colpi, con manifesti, volantini, riunioni e comizi sulle pubbliche piazze.

    Una chiesa, una bella chiesa ci vuole - tuonava l’uno dal suo palco- ed una grande teca di cristallo che custodisca la sacra reliquia. Questo farà accorrere qui moltissimi pellegrini e produrrà turismo, cioè un volano per la nostra modesta economia.

    La parola volano era una delle sue preferite, assieme a sinergia e convergenza, per questo cercava di infilarle sempre in ogni suo discorso, anche quando non c’ entravano per nulla.

    La strada, la bretella autostradale! - rombava l’altro da un diverso pulpito- Quella ci vuole per vincere l’isolamento e sollevare le sorti della nostra disastrata economia.

    Il discorso sul vincere l’isolamento, assieme a quello delle larghe intese, e della condivisione era da anni il suo cavallo di battaglia e riscuoteva sempre ampi consensi.

    La strada verrà dopo, - replicava il primo- quando ci sarà il santuario. Accorrerà così tanta gente che nessuno più ci potrà negare la strada.

    E così per giorni e giorni. Non soltanto i due campioni erano l’un contro l’altro armati, ma anche tutto il paese si era schierato da una parte e dall’altra in quella singolar tenzone.

    Nel frattempo in casa di massaro Ignazio e di donna Filippa le acque non erano tanto tranquille.

    L’uomo, dopo l’emozione e l’esaltazione iniziale, aveva cominciato a perdere la pazienza e a mal tollerare tutta quella gente che, attraversando i campi da ogni parte, quasi fossero terra di nessuno, gli aveva devastato tutto il raccolto.

    Tanti poi, con la scusa di stare il più a lungo possibile attorno al Santo, allungavano le mani verso l’albero più vicino per coglierne mandorle, fichi e qualunque altra cosa capitasse a tiro. Pure delle galline gli avevano fatto sparite dal pollaio.

    Che guaio, ma che grande guaio che ci è capitato ! Così cominciò egli a lamentarsi, la testa tra le mani, ed a piagnucolare con la moglie, essendo per altro assalito da qualche dubbio sulla veridicità del miracolo.

    Ma che dici, sei proprio un ingrato, uno che non crede a niente- gli rispose aspra donna Filippa "Zitto, statti zitto, che è meglio. Vuoi che il Santo si arrabbi e che si metta a lacrimare per il dolore come fanno certe Madonne o,

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