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L'occhio di cristallo - l'alba di una vita
L'occhio di cristallo - l'alba di una vita
L'occhio di cristallo - l'alba di una vita
E-book250 pagine3 ore

L'occhio di cristallo - l'alba di una vita

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Info su questo ebook

Phoenix, Arizona.

Il dottor Christel Wilson si appresta ad affrontare un'altra nottata nel freddo obitorio situato alla periferia della città, stanco di quella vita vissuta di notte, lontano da sua moglie Sofia.

Benjamin Scott è un agente della polizia di Phoenix. Una chiamata inaspettata lo porta a indagare su uno strano caso: viene trovato il cadavere di un ragazzo. I primi rilevamenti parlano chiaro: Ethan Sunset è morto in modo naturale.

Ma Christel Wilson non è dello stesso parere.

Dopo un'attenta indagine, decide di riesumare dai sotterranei del laboratorio l'esploratore ottico, uno strumento in grado di riattivare i ricordi del defunto attraverso la memoria oculare.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2016
ISBN9788867825318
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    Anteprima del libro

    L'occhio di cristallo - l'alba di una vita - Francesco D. Bianco

    Francesco D. Bianco

    L'occhio di cristallo

    L'alba di una nuova vita

    Romanzo

    EDITRICE GDS

    Francesco D. Bianco L’occhio di cristallo - L’alba di una nuova vita ©EDITRICE GDS

    Editrice GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel. 02 9094023

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione e progetto copertina di ©Luca Pavan

    www.biancofrancesco.com

    www.lukpav.it

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

    Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore o, se reali, hanno valore fittizio e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti realmente accaduti e persone vive o defunte è assolutamente casuale.

    A Mathias,

    che un giorno tu possa leggere e appassionarti ai miei mondi sperduti.

    Ad Adele,

    per avermi regalato il tuo mondo.

    Si cerca di vivere la vita con dignità, di rincorrere i propri sogni senza danneggiare quelli degli altri.

    Si cerca di sopravvivere alla giornata, di resistere ai colpi della malvagità e al tocco della sofferenza.

    Si cerca di convivere con i pensieri, combattendo quelli cattivi e attizzando il fuoco dei sogni...

    Si cerca... si cerca sempre...

    Si cerca di rimanere sempre se stessi. E magari con un briciolo di serenità...

    Francesco D. Bianco

    Prologo

    Un'assordante esplosione svegliò la piccola Semjase dal sonno. Era presto, troppo presto per una bambina di quattordici anni. La sveglia olografica segnava le cinque del mattino. Un orario insolito, quasi come il fragore che, sempre più potente, frastornava le sue orecchie.

    Il sole stava lentamente spuntando dietro le grandi cupole di cristallo, che fungevano da sfondo a una città ancora addormentata. La nebbia a poco a poco stava svanendo, lasciando spazio alla meravigliosa vista della città. Alcune cupole spuntavano come funghi dalla fitta coltre di nebbia; era straordinario vedere il chiarore del sole che si rifletteva sulle vetrate curve di quelle complesse strutture sferoidali.

    Un'altra esplosione fece sussultare Semjase, risvegliando del tutto i suoi sensi. Si alzò svogliatamente, si stropicciò gli occhi, fece un enorme sbadiglio e poggiò i piedi nudi su un morbido tappetino rosa. Un fremito di paura percorse la schiena della piccola, non appena si rese conto che giorno fosse. Quel fatidico e tanto atteso momento era arrivato; non sapeva cosa le riservasse il futuro, ma una cosa era certa: vivere in casa sua, ormai, era diventato pericoloso.

    Scese dal letto, indossò la tuta termo-riscaldante e si diresse verso l'armadio. Scelse i migliori vestiti; divise quelli che usava di più da quelli eleganti e raffinati, li ripiegò con cura, meticolosa come sempre, e li ripose in una stravagante valigia. Per sicurezza ricontrollò ogni cosa, digitò un codice di sicurezza sul piccolo schermo LCD e la valigia, automaticamente, si chiuse. Infine si guardò allo specchio. Sospirò, leggermente agitata. Percepì nell'aria una sorta di tensione, un'energia negativa che la rendeva nervosa, turbata.

    Che cosa succederà oggi? pensò fra sé. Era una domanda che una ragazza di quattordici anni non avrebbe mai dovuto porsi: a quell'età non si dovrebbe pensare al futuro, ma divertirsi e lasciarsi guidare dalla fantasia, in quel breve ma intenso tratto di vita.

    Dalla grande vetrata della cameretta s'intravide una misteriosa auto nera, che avanzava a gran velocità verso il cortile sottostante; i suoi reattori al plasma, splendenti come il sole di mezzogiorno, luccicarono fra gli alti alberi del giardino e la distesa d'erba giallognola.

    Stanno arrivando... Forse è meglio che mi dia una mossa, pensò Semjase, voltandosi per prendere la valigia. Salì sulla piattaforma illuminata da un tenue bagliore azzurro e scese al piano terra, dove suo padre, Ptaah, la stava aspettando.

    «Ciao papà», disse, dandogli un caloroso bacio sulla guancia.

    «Buongiorno Sem... Sei pronta?» chiese lui con un tono preoccupato.

    «Sì papà. Faccio colazione e sono pronta per partire». Ptaah, sospirando, attese nel salotto il suo angelo dai capelli biondi.

    In cucina l'olo-tv era ancora accesa, sintonizzata sul notiziario del giorno. La piccola aprì la credenza, prese alcuni biscotti e si fermò interdetta a guardare le immagini che stavano scorrendo a mezza altezza, di fianco al proiettore olografico. Le proiezioni erano chiare, ben definite, corpose; sembrava di vivere all'interno di un mondo tridimensionale, fatto d'immagini leggere e luminescenti.

    «... È tutto confermato, - diceva l'inviato speciale parlando dietro una mascherina bianca, - il virus E.G. 22 è ormai in circolazione e sta raggiungendo ogni angolo del pianeta. I tecnici del L.R.M., il Laboratorio di Ricerca Mondiale, sono stati accusati di disastro ambientale e omicidio colposo. Stando ai primi rilevamenti, il virus potrebbe essere uscito dal laboratorio attraverso le complicate reti di ventilazione, e successivamente espulso attraverso i condotti di aerazione. Il governo Ptaah ha lanciato lo stato di allerta e consiglia di restare in casa, di disattivare i motori di depurazione dell'aria e di utilizzare le mascherine messe a disposizione dal governo. Fonti attendibili confermano che, se non si troverà in tempo un antidoto, il virus letale farà milioni di morti...».

    La città era in preda al panico, la popolazione si stava rivoltando, ma era il mondo intero a essere in subbuglio; le violente esplosioni, dovute perlopiù al crollo di alcune cupole, riempivano ormai l'aria da diversi giorni. Le immagini che seguirono erano crude e drammatiche: cupole distrutte, auto in fiamme, gente che urlava e incoraggiava chiunque incontrasse ad allontanarsi da quella città ormai allo sbando. Era molto pericoloso anche stare nelle zone limitrofe. Ecco perché Semjase, quella mattina, stava andando via di casa.

    Presa da un senso di nausea, spense l'olo-tv e si strinse nelle spalle. Papà ha lanciato lo stato di allerta e sicuramente avrà fatto partire i piani di emergenza... Ecco perché vuole che vada in missione, pensò fra sé amareggiata.

    Il destino di Semjase era segnato. Nessuno poteva capire il suo stato d'animo e i suoi pensieri; se avesse potuto scegliere, non avrebbe certo passato il resto della sua vita su un'astronave, alla ricerca di un antidoto. Il fatto che Ptaah, che non era solo suo padre ma anche governatore di quel pianeta, avesse deciso di spedirla nello spazio per proteggerla da quel maledetto virus, voleva dire che probabilmente sapeva che le possibilità di salvare il pianeta erano davvero minime.

    Con il cuore in gola si diresse verso il salotto; suo padre, in quel momento, era fuori dalla porta in compagnia dell'autista.

    «Ecco, ci siamo!» esclamò lui con un sorriso forzato. Le cinse un braccio attorno al collo e l'accompagnò alla macchina. Non voleva far trapelare la sua angoscia, non voleva che la sua unica figlia si ricordasse di lui con le lacrime agli occhi e il cuore infranto.

    Si chinò verso di lei, la guardò negli occhi e disse con gli occhi lucidi e le labbra tremanti: «Piccola mia... È arrivato il momento di dividerci... Lo so, non avrei mai pensato di arrivare a questo, ma in fondo anche tu sai che non possiamo fare altrimenti. Purtroppo io dovrò stare qui, a governare e a cercare di salvare quello che rimane di questo mondo». Semjase lo strinse a sé con il cuore a pezzi. Capiva che Ptaah doveva rimanere, ma sapeva benissimo che questo significava la sua morte. Le parole le si strozzarono in gola, e dalla bocca le uscì solamente un: «Ti voglio bene papà». «Ti voglio bene anch'io piccola... Ricordati che sarò sempre al tuo fianco... E ti chiamerò ogni giorno, te lo prometto». La piccola annuì, visibilmente sconvolta.

    Con riluttanza salì sull'auto e salutò ancora una volta l'uomo che l'aveva accudita e amata in ogni momento della sua vita. Ptaah si era preso cura di lei quando la madre era fuggita di casa e, nonostante tutti gli impegni dovuti al suo lavoro, era stato presente a ogni occasione speciale.

    L'auto si mise in moto, si alzò dal suolo e partì, mentre Ptaah dava l'ultimo saluto a sua figlia. Semjase guardò fuori dal finestrino; da quella posizione s'intravedeva la punta della più grande astronave del pianeta. Sospirò.

    Anche lei era diretta lì. Sarebbe partita con tutto l'equipaggio per chissà quale maledetto pianeta, alla ricerca di una cura per il virus. Non ne aveva nessuna voglia e non la emozionava il pensiero dell'importanza della missione: alla sua età, la voglia di assumersi delle responsabilità era ancora, giustamente, un pensiero lontano.

    L'auto attraversò la città, passò di fianco ad alcune cupole di cristallo, superò gli innumerevoli blocchi stradali e raggiunse finalmente lo spazioporto. Lì, davanti ad una porta riservata al personale, la attendeva un ragazzo dai capelli biondi e dagli occhi cristallini. Semjase scese dall'auto e si diresse a grandi passi verso di lui.

    «Ciao Semjase», la salutò il ragazzo, con un sorriso smagliante stampato sul viso.

    «Ciao», disse la piccola. Entrarono nell'edificio e percorsero un lungo corridoio. In fondo, incastonata nel muro, una porta senza vetri faceva trapelare una luce argentea.

    «Sei pronta per la partenza?» chiese lui.

    «Sì, certo».

    «Potrai stare con me nella sala comandi per tutto il tempo che vorrai. Più tardi, un ragazzo della flotta ti accompagnerà nella tua stanza e ti farà visitare l'intera astronave», concluse, aprendo la porta ed entrando nella sala.

    Ripensò per un attimo alla conversazione che aveva avuto con Ptaah la sera prima, alla promessa che gli aveva fatto di prendersi cura di Semjase, e un brivido improvviso gli percorse la schiena. Era una grossa responsabilità; tuttavia, sapeva di non avere scelta.

    Cercò di scacciare quei pensieri e provò a concentrarsi sulla procedura di lancio. Tutto attorno si sentiva un assillante vociare di persone che correvano da una parte all'altra dell'astronave; questa, di lì a poco, si sarebbe staccata dal suolo e avrebbe raggiunto, alla velocità della luce, l'universo stellato.

    Il programma spaziale di salvataggio prevedeva due astronavi: quella su cui si sarebbe imbarcata Semjase e un'altra, ferma poco più in là su una differente rampa di lancio. Entrambe erano guidate da squadre di ingegneri specializzati e diversi biologi, ed erano dirette su due pianeti diversi.

    Dall'immensa vetrata della sala comandi si poteva vedere la seconda astronave inondata dai raggi del sole. I motori si accesero e il personale dell'equipaggio si preparò per quello straordinario evento. Tutto, ormai, era pronto per la partenza. I computer, posti sulla plancia comandi, scandirono il conto alla rovescia, mentre una voce metallica, proveniente dalle casse, invitava ad allacciare le cinture di sicurezza.

    Tre, due, uno...

    I motori si accesero e le due astronavi, con un rombo, si staccarono da terra. Semjase sussultò, con il cuore in gola e la bocca spalancata per lo stupore. La prima astronave superò la seconda. Il rombo dei motori aumentò. Il cielo sopra di loro sembrava avvicinarsi sempre di più. Poi, tutto a un tratto, si sentì un'esplosione. L'azzurro del cielo svanì e il nero dell'universo prese il suo posto tutto intorno ai passeggeri. Il personale guardò fuori, controllò il radar e provò a comunicare con la torre di controllo. Ma della seconda astronave, purtroppo, non era rimasta traccia...

    Capitolo 1

    Quando Christel Wilson aprì gli occhi era già buio. Un filo di saliva gli scendeva dalle labbra, bagnando il morbido cuscino con ricami di girasoli. Si asciugò la bocca e si alzò lentamente, indolenzito e ansimante, facendo scricchiolare le doghe del vecchio letto. Poi, svogliato, si sedette sul bordo, le mani appoggiate sulle ginocchia. Si guardò in giro con aria assente, intontito dal sonno. La radio olografica, in quel momento, segnava quasi le nove di sera.

    Diavolo! Sono già le nove? pensò amaramente. Si alzò di malavoglia e, sbadigliando, si diresse verso il bagno. Si sciacquò la faccia con l'acqua, che era così gelida che gli sembrò di essere punto da mille spilli. Rabbrividì.

    I maledetti turni di notte lo scombinavano completamente; dormiva di giorno per vivere di notte e, di conseguenza, non riusciva ad avere uno straccio di vita privata. In quei periodi riusciva a vedere Sofia, sua moglie, sì e no un'ora al giorno. In fondo era la vita stessa ad essere così, incasinata, a volte instabile, proprio come quei turni. Eppure riusciva ad andare avanti. Scavalcava quella mole di problemi e riusciva, in un modo o in un altro, a vedere sempre il lato positivo delle cose. Sorrideva. Lui sorrideva alla vita e, con grande amore, ringraziava ogni giorno Dio per ciò che gli aveva donato.

    Passava i pomeriggi a dormire e si rendeva conto di buttare al vento un giorno dopo l'altro. Quanti giorni sprecati! A volte, quando fuori c'era una bellissima giornata di sole, magari una delle poche che l'inverno poteva offrire, si metteva a dormire in giardino sdraiato su una vecchia panchina arrugginita, la giacca chiusa ermeticamente e una grossa coperta sulle spalle. Pazzo! Ma come biasimarlo? Amava la vita, il sole, la luce e l'aria aperta. Adorava ogni cosa che la natura poteva offrirgli. Stare chiuso in casa davanti alla tv, per lui, era uno spreco di tempo.

    Indossò una semplice camicia, forse quella della sera prima, un paio di normalissimi jeans e le solite e consumate scarpe di cuoio vecchie di dieci anni che, ogni santo giorno, Sofia criticava, insistendo perché le cambiasse. Ogni volta, come un disco rotto, ripeteva le stesse parole: «Che figura fai con la gente che incontri? Quelle scarpe sono pietose. Sono sudice e consumate; sembrano le vecchie scarpe di Charlie Chaplin». Christel, ogni volta, lasciava che quelle frasi si disperdessero nell'aria, senza lasciarsene minimamente sfiorare.

    Andò in cucina; Sofia era ancora sveglia davanti alla tv, presa dai soliti reality show della sera. Prese il latte dal frigorifero e si sedette un momento di fianco a lei.

    «Non ti sei ancora stancata di guardare quei programmi spazzatura? Miseria, come fai a guardare quella roba? È odiosa!» sbraitò contro la moglie presa dalle intricate vicende del programma.

    «Oh, ma cosa ne vuoi capire tu? Sei vecchio e decrepito. Pensi che i programmi che guardavi da giovane sulle televisioni a tubi catodici fossero migliori?» rispose lei con un sorriso sarcastico.

    «Sicuramente erano più utili e informativi», ribatté lui.

    Improvvisamente la donna si rabbuiò. Fu come se la serenità le scivolasse tutt'a un tratto dal viso; dal suo sguardo Christel capì subito di che cosa si trattasse. 

    «Devi proprio andare, amore?» chiese lei con una voce carica di tristezza. Ogni volta che Christel doveva fare il turno di notte si rattristava. Passava la notte da sola con il letto vuoto, freddo, senza il calore e gli abbracci di suo marito e, oltretutto, con la paura che qualcuno potesse irrompere in casa e derubarla. Impotente... Così si sentiva Sofia.

    «Sì amore, lo sai che questa settimana ho i turni di notte. Vedrai, in un batter d'occhio arriverà sabato», rispose Christel avvicinandosi per darle un bacio. Alzò il viso corrucciato di sua moglie con la punta delle dita, la guardò negli occhi e le diede un tenero bacio sulle labbra. Lei ricambiò, scivolando fra le sue esili braccia, poggiandogli la testa sul petto.

    «Devo andare Sofia, sono già in ritardo», sussurrò Christel allontanandola dolcemente da lui. Prese la giacca poggiata sullo schienale della sedia e si avviò verso la porta.

    «Fai la brava e cerca di riposare, ok?» continuò aprendo la porta e richiudendosela alle spalle.

    «Va bene amore. Fai attenzione per strada!»

    Il cielo era chiazzato da migliaia di puntini luminosi che, agli occhi di Christel, parevano muoversi come se fossero tante minuscole lucciole. Respirò lentamente l'aria gelida di quella notte di dicembre. La sentiva scendere giù nei polmoni, fredda, quasi tagliente tanto era gelata. Vedeva il respiro condensarsi in galleggianti nuvolette bianche.

    Odioso! pensò.

    Gli alberi del viale erano immobili, bloccati da uno spesso strato di ghiaccio. C'era una strana atmosfera. Il mondo stava cambiando, forse irreparabilmente. L'Europa era stata invasa dall'arido clima tropicale. In Russia non esisteva più il rigido clima invernale di una volta - e di questo i commercianti erano perfino dispiaciuti, perché la vodka veniva acquistata sempre meno per via del clima mite -, mentre il continente americano si era spaccato a metà: al sud regnava il caldo arido e al nord, dal Messico in su, imperava il freddo, l'insopportabile freddo polare. Era evidente, l'inquinamento aveva rotto l'equilibrio della Terra.

    I governi di tutto il mondo, per rallentare quel processo, avevano vietato l'uso di combustibili fossili, ma il tasso d'inquinamento era rimasto sempre a livelli allarmanti. Le auto a carburante liquido erano state sostituite con nuove ed efficienti automobili al plasma; i nuovi motori, installati a volte sulle carcasse delle vecchie auto, funzionavano con una nuova e inestinguibile energia pulita. Ogni famiglia, per legge, doveva possederne almeno una. Finalmente, dopo anni, gli abitanti del mondo avevano iniziato a comportarsi in modo altruistico: la gente pensava e agiva per il bene del mondo; si operava per il bene del pianeta, per il popolo della Terra, per la razza umana, e non per i singoli governi o per i potenti.

    Molte delle fabbriche che un tempo erano destinate a raffinare i combustibili fossili erano state convertite per il riciclaggio. Plastica, carta, vetro, alluminio: ogni materiale era raccolto, smistato e riciclato. Ma tutto questo non era bastato. L'umanità si era svegliata troppo tardi, il degrado del pianeta, purtroppo, era irreversibile e imminente. Nessuno poteva fermarlo, nessuno poteva farci più nulla.

    Anche a Phoenix il clima era totalmente mutato. La città, situata vicino al deserto dell'Arizona, godeva solitamente di un clima mite anche negli inverni più rigidi. La temperatura minima invernale era sempre stata di sei, massimo cinque gradi centigradi; non di meno. Ma quell'anno era andata diversamente. Una mattina, uscendo di casa per andare a lavorare, Christel si era stupito nel vedere il deserto ricoperto di neve. Era uno spettacolo stupefacente. Riuscite a immaginare il deserto dell'Arizona ricoperto da un fresco e sottile strato di neve? Tutto bianco. Le infinite distese di sabbia rovente, trasformate in una pista da sci. Assurdo. Le temperature si erano drasticamente abbassate. E così, la gente di quelle zone si era dovuta velocemente adattare al nuovo clima: tutti ad acquistare giubbotti pesanti, cappelli, sciarpe e scarpe imbottite. Tutti tranne Christel Wilson che, munito di maglietta termica, passava la maggior parte delle giornate lavorando in un freddo obitorio di Phoenix, in compagnia di morti e di stupidi poliziotti. Lui era abituato a quelle temperature, quasi da non sentirle più.

    «Al diavolo il freddo!» esclamò Christel mentre saliva in macchina. La sua lussuosa auto, munita di un'intelligenza artificiale, interagì subito con la sua rete neurale.

    «Buonasera signor Wilson, dove la porto questa

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