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Il pesce porcello
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Il pesce porcello
E-book77 pagine49 minuti

Il pesce porcello

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Info su questo ebook

Alessandro Sole, il protagonista di questa storia, diffida dell’amore da quando, a otto anni, fu abbandonato dalla madre. Cresce con l’idea che non ci può essere amore senza abbandono, non c’è sentimento che prima o poi non venga sopraffatto dal dolore. Crede che l’amore sia come il pesce porcello che si nutre e vive nascosto nelle acque di Sarapòtëmë, che qualcuno ha visto e qualcuno no, altrimenti non si tratterebbe di un animale leggendario. «L’amore è una eco di lacrime», le sue quando pensa a sua madre.
Alessandro Sole però sa che un uomo senza amore non ha destino.
LinguaItaliano
Data di uscita12 mag 2020
ISBN9788835826149
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    Anteprima del libro

    Il pesce porcello - Maria Cifarelli

    Puente.

    Alessandro Sole

    Così come Dio ha intaccato la coscienza e lo spirito di molti e di molti altri no, così come i morti contano più dei vivi, là dove il tempo e il silenzio sono più intimi di quel che si possa immaginare, così io ho sempre creduto che la Basilicata fosse terra di mostri.

    Sia chiaro: i mostri non esistono in Basilicata, ma se questa storia mi ha reso uno dei suoi protagonisti è per aver desiderato in cuor mio che il mondo fosse governato da leggende e da sogni che ci turbano e ci appassionano. Che ci piaccia o no conducono il nostro cuore verso mete lontane.

    Un giorno, a bordo della Fiat Centotrentuno grigio metallizzata di mio padre, investii un vecchio che vagava come le vacche sacre dell’India. Aprii lo sportello della macchina con una spallata. Scesi con il timore che il vecchio fosse morto e un morto sulla coscienza non mi serviva. Mi piegai su di lui e appoggiai due dita sulla carotide del suo collo secco e stirato. L’avevo visto fare nei film.

    Il battito del cuore era netto. Respirava. Non aveva ferite sul volto e sperai che non ne avesse su altre parti del corpo. Il colorito giallognolo sul suo volto non era rassicurante, speravo che aprisse gli occhi e parlasse.

    «Come ti chiami?».

    Non rispose, ma non mi persi d’animo e mi rivolsi alla piccola folla radunatasi attorno.

    «C’è qualcuno tra voi che lo conosce?».

    «Alessandro Sole fu di Vincenzo il Capitano morto in guerra e la ciòtë rë Bottëfaranë (la scema di Bottafarano)», rispose una donna molto anziana.

    «E tu chi sei?».

    «Sua moglie».

    «Mi dispiace, non l’ho visto!».

    Non ebbi modo di dire altro, primo perché la vecchia si disperse tra la gente; secondo per l’arrivo di mio padre. Era rabbioso nei miei confronti da quando gli avevo detto che sarei partito per l’India.

    La mia scelta dal futuro incerto lo aveva ferito più della scomparsa prematura di mia madre qualche mese prima.

    «Sti giovani del cazzo, credete di fare come vi pare».

    Però, mio padre: Vito il geometra del comune, avvezzo a contenere i dissidi tra i cuori ribelli dei chèpëvirdë (cafoni) e lo strapotere dei democristiani, non si sottrasse al suo dovere di padre.

    Riuscì a scagionarmi dal reato d’incidente, convincendo i presenti che la colpa dell’accaduto era tutta del vecchio che mi aveva tagliato la strada.

    «Pare che dorme…».

    «Sogna!».

    Fu il botta e risposta tra i due barellieri che caricarono il vecchio sull’ambulanza.

    «Allora, come sta?», mi chiese mio padre.

    «Sogna», gli risposi soddisfatto.

    Vito, mise le mani in tasca per non prendermi a pugni.

    «Ehi pa!».

    «Sì?».

    «Grazie».

    «Ti pare?».

    Era così mio padre, ve lo lascio immaginare, un uomo burbero.

    Ma bastava poco per riacchiapparlo.

    Il sogno

    Alessandro Sole a ottant’anni compiuti sapeva che i sogni non dicono il vero. Nella fase onirica quando la mente cede il passo alla forza del desiderio che spinge e sorregge il mondo, Alessandro Sole era scivolato indietro nel tempo.

    Aveva diciassette anni quando si innamorò di Clotilde, la cugina del suo migliore amico Mëchëliéddë.

    Su un sentiero polveroso, lui e Clotilde avevano camminato a lungo come due fidanzati amorosi. Ed era stata nitida, inconfondibile la sua voce quando prima del risveglio Clotilde gli aveva dichiarato: «Ti amerò sempre».

    Al risveglio il suo cuore rimasto quello di un innamorato servito dalla sfortuna èrë arrëzzulatë (scivolò) nel petto come se stesse precipitando dal monte di Viggiano.

    Per non correre il rischio che le parole pronunciate in sogno da Clotilde svanissero per quella debolezza mnemonica dei suoi ottant’anni chiuse gli occhi, ripetendo tra sé rucë, rucë, (dolce, dolce) senza imbarazzo perché nei sogni l’amore non manifesta nessun pudore: «Ti amerò sempre».

    Alessandro Sole crocifisso nel letto ascoltò il rumore della pioggia e il respiro di Gisella al suo fianco.

    La pioggia batteva sul tetto della casèdde (piccola casa di campagna) senza il rispetto verso le cose vecchie che possono infrangersi al suolo da un momento all’altro.

    L’eco della struggente passione per Clotilde risvegliatasi come i dolori alle ossa in primavera, ridestava la memoria dolorosa di un amore sconfitto, ma era bello immaginare che lei

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