L'enigma del tempo tra filosofia e cinema
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Anteprima del libro
L'enigma del tempo tra filosofia e cinema - Cristina Manzo
Cristina Manzo
L’ENIGMA DEL TEMPO
TRA FILOSOFIA E CINEMA
Elison Publishing
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Elison Publishing
www.elisonpublishing.com
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Elison Publishing
Via Milano 44
73051 Novoli (LE)
ISBN 9788869630941
Ai miei cari, che mi hanno sostenuta durante questo percorso.
"Il presente non è mai il nostro fine,
il passato ed il presente sono i nostri mezzi,
solo l’avvenire è il nostro fine.
Così non viviamo mai, ma aspettiamo di vivere".
B. PASCAL
INDICE
Prefazione
Capitolo I: Il tempo di un’epoca triste
1.1 Le passioni.
1.2 Il sentire dell’anima.
1.3 Noi e il tempo.
Capitolo II: La questione del tempo
2.1 Il tempo e lo spazio.
2.2 Il tempo nella filosofia.
2.3 S. Agostino.
2.4 Le Confessioni. Libro XI. L’enigma del tempo.
Capitolo III: Il tempo nel cinema
3.1 La percezione/illusione retrospettiva del tempo, e la reminiscenza.
3.2 Crisi del modello temporale e teorie del cinema.
3.3 I fratelli Lumiere
3.4 Il tempo nel cinema-filosofia.
3.5 Sliding doors: I tempi paralleli.
3.6 Il curioso caso di Benjamin Button: Il tempo all’incontrario.
3.7 In Time: Il tempo capitalista.
3.8 Cloud Atlas: L’atlante delle nuvole
Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
Prefazione
Ognuno di noi vive il suo tempo di grazia,
talvolta più di un tempo, senza avvedersene, spesso,
così vanno smarriti certi appuntamenti, tra l’anima e la vita.
Ricordo di aver letto questa frase tanto tempo fa, incisa in un pilastro, all’interno di una banca, e non sono più riuscita a dimenticarla. Nel nostro mondo attuale, nella società sempre più capitalista, in cui viviamo venendone travolti, leggere queste parole in un deposito di soldi, potrebbe solo stare a significare che il tempo altro non è che vile denaro, che noi altro non siamo che merce di scambio, e che dobbiamo cogliere le nostre «occasioni» al volo. Tuttavia, per chi è ben disposto ancora a sperare, potrebbe proprio rappresentare una sollecitazione per fermarsi a pensare, e per decidere di cogliere il nostro Kairos, «il tempo opportuno» per la nostra anima e il nostro intelletto, di fare le proprie ragionate scelte di vita.
Così, queste parole, continuano a riecheggiarmi nella mente. Mi ossessiona e mi agita profondamente l’idea che anch’io, non cogliendo questo monito, possa aver smarrito, uno o più appuntamenti tra la mia anima e la mia vita, l’idea che possa essermi sfuggito un tempo del mio tempo; ma che cos’è il tempo? E come si può appropriarsene e controllarlo? Come si può sfuggire al tempo e avere più tempo? Inoltre qual è lo scopo del continuo cercare di risparmiare tempo, se non quello di impiegarlo per raggiungere uno scopo nel tempo?
«Buongiorno – disse il piccolo principe, Buongiorno – disse il mercante.
Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.
Perché vendi questa roba? – disse il piccolo principe è una grossa economia di tempo. – disse il mercante. – Gli esperti hanno fatto dei calcoli, si risparmiano 53 minuti alla settimana.
– E cosa se ne fa di questi 53 minuti?
– Se ne fa quel che si vuole.
– Io – disse il piccolo principe, – se avessi 53 minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana»¹.
Così, scopriamo ben presto, che nella nostra vita, bisogna venire da subito a patti con il tempo, e decidere cosa farne, di quello che ci spetta. Sin dalla nostra nascita ha inizio questo conto alla rovescia, questa partita con la nostra vita che scorre, mentre il tempo avanza inarrestabile: l’ora della pappa, quella del pisolino, il primo dentino e ci ritroviamo subito a scuola perché è ora di imparare, poi c’è la nostra prima favola che comincia sempre con le magiche parole «c’era una volta», cioè «c’era un tempo». Persino le nostre favole scandiscono il nostro tempo; «Cos’è il tempo? – chiede il cappellaio matto ad Alice, ed Alice risponde, – Non lo so, io devo battere il tempo quando studio musica – Il tempo – ribatte il cappellaio matto – Non vuol essere semplicemente battuto, se tu dialogassi con lui e fossi con lui in buoni rapporti, l’orologio farebbe tutto ciò che desideri².
Ho una grande passione, quella del cinema, a volte mi sorprendo a desiderare di poter restare rinchiusa, in una sala cinematografica, per giorni e giorni, cibandomi solo di film.
Le emozioni che trasmette il grande schermo, sono per me ineguagliabili: ci si lascia catturare completamente, da una storia che non è la propria, da un tempo fuori dal tempo, che diventa all’improvviso il proprio, così reale da cancellare la realtà. Il cinema è catarsi, è liberazione dell’anima, anche gli antichi greci pensavano che attraverso uno spettacolo, come la messa in scena di una tragedia, si potesse in qualche modo alleggerire il proprio stato d’animo e sentirsi meglio. In un certo senso il cinema può essere considerato proprio come la mitica caverna di Platone, quella dei sensi ingannatori.
«Considera degli uomini, chiusi in una specie di dimora sotterranea a mo’ di caverna, avente l’ingresso aperto alla luce e lungo per tutta la lunghezza dell’antro, e quivi così racchiusi sin da fanciulli con le gambe e il collo in catene, sì da dover star fermi a guardare solo dinanzi a se, ma impossibilitati per i vincoli a muovere in giro la testa; e che la luce di un fuoco arde dietro di loro, in alto e lontano e che tra il fuoco e i prigionieri c’era in alto una strada, lungo la quale è costruito un muricciolo, come quegli schermi che hanno i giocolieri a nascondere le figure, e sui quali esibiscono i loro spettacoli. Guarda ora degli uomini che lungo questo muretto trasportino utensili d’ogni genere, sporgenti oltre il muro, e statue e altre immagini animali di pietra e di legno, e ogni sorta di oggetti; e come è naturale alcuni di questi trasportatori parlino, e tanti altri stiano in silenzio. Simili a noi, diss’io, ché questi cotali credi tu anzitutto che di sé stessi e gli uni degli altri vedano altro fuorché le ombre riflesse dal fuoco sulla parete dell’antro di fronte a loro? E che vedrebbero degli oggetti trasportati? Non forse lo stesso? E se fossero in grado di discorrere fra loro, non pensi tu che essi prenderebbero per realtà quel che appunto vedessero? E se il carcere avesse anche un’eco dall’opposta parete? Quando uno di quei che passano parlasse, credi tu che costoro riterrebbero sia altri a parlare, se non l’ombra trascorrente? Insomma costoro sotto ogni rapporto non altro riterrebbero essere il vero, se non le ombre di quegli oggetti… Guarda ora quale sarebbe per loro la liberazione e la guarigione dai vincoli e dall’insensatezza, se cioè non avverrebbe loro naturalmente questo: qualora uno fosse sciolto e costretto d’un tratto ad alzarsi, a muovere in giro il collo, a camminare e guardare alla luce, e facendo tutto ciò provasse dolore e fosse incapace per il barbaglio di scorger gli oggetti di cui prima