Milly. La vita e la carriera di Carla Mignone
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Recensioni su Milly. La vita e la carriera di Carla Mignone
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Anteprima del libro
Milly. La vita e la carriera di Carla Mignone - Eduardo Paola
Castellano
PREFAZIONE
Schegge di ricordi
Un sipario grigio o rosso (quello del Teatro Nuovo anno 1949) e nel centro incombe una grande corbeille di rose, naturalmente rose rosse… dal cesto fuoriesce una donna elegantissima, in toilette di velluto nero, forse in crinolina… ha tra le mani (guanti lunghi neri!) alcune rose rosse dal gambo lunghissimo… …amore amor portami tante rose… E il pubblico applaude il ritorno di Milly al Teatro…1949!
Io avevo venti anni… ed ero fanatico di Teatro!
Gonna al ginocchio, camicetta nera, capelli corti, calze nere, mani sui fianchi... …tutta vele e cannoni il vascello pirata nel porto entrerà!... Milly è Jenny delle Spelonche al Piccolo Teatro di via Rovello nell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht e Kurt Weill…1956!
Ed io universitario nell’emozione di uno spettacolo eccezionale ero sempre più fanatico di vero Teatro…
Teatro Gerolamo 1960 …I hate Barocco! I hate Scirocco! I hate Rome!… Milly entusiasta applaude Laura Betti in Giro a vuoto e in camerino le esprime tutta la più sincera ammirazione, da collega a collega
, e poi chiede a me, giovane teatrante e regista di Laura, se vorrò essere regista dello spettacolo di canzoni che Paolo Grassi le ha richiesto! Mi era stata presentata quella stessa sera da Vittorio Caprioli e in quella stessa sera Milly mi proponeva la regia per un suo spettacolo. Ecco come si precisò quel magico filo rosso
che, annodando tre schegge di incontri, mi legarono ad una importantissima amicizia. Così nacque l’eccezionale collaborazione con una Artista da me ritenuta difficilmente raggiungibile e forse intrattabile!
Ecco dunque la vita di Milly, raccontata in tanti dettagli più o meno noti ed ignoti, rivelati e descritti attraverso la capillare encomiabile ricerca degli autori, vita di un grande Personaggio, indispensabile esempio per una Storia di Vero Teatro: teatro di sangue e di luci, di lacrime e fame, di allegria e di applausi, di glorie e di sconforto, di felicità e solitudine.
Venti anni di collaborazione con Lei, in fiducia e stima (difficilmente riscontrabile in una Artista famosa e ricca di tanta esperienza) mi hanno offerto la chance di realizzare spettacoli di canzoni nuove per Lei ma soprattutto per me, e creare quel genere di momento
teatrale che Roberto Leydi definì cabaret all’italiana
…
No, cara piccina no… Je te veux… Tendrement… L’uomo è fumator… Elle s’était fait couper les cheveux… Giovedì speciale… Si tu t’en vas… Moritat… Come pioveva… Chanson dans le sang… Monsieur le Presidént… Rinascerò nell’anno 3001… Morirò a Buenos Aires…
Montaggi musicali che Milly affrontava a volte con difficoltà, ma sempre con entusiasmo di neofita, si tramutavano in esperienze reciproche di continua ricerca. Schegge di tanti tantissimi ricordi musicali e nomi di autori storici appartenenti al mondo leggendario della Grande Canzone…
Satie… Ranzato… Ferré… Mercier… Lauzi… Kurt Weill… Prevert… Armando Gill… Piazzolla… Bertolt Brecht… Boris Vian… Franco Fortini… Fiorenzo Carpi…
I titoli delle canzoni si sprecavano, e i tanti Maestri che ci accompagnavano in questi incantevoli viaggi musicali erano perennemente coinvolti nelle prove, e sarebbe ingiusto non citarne almeno uno che Milly prediligeva in modo particolare, cioè Roberto Negri suo fedele pianista degli ultimi recital.
A partire da quello storico e tanto replicato Milanin Milanon (dicembre 1962) che la rivelò al pubblico del Teatro Gerolamo, con Milly affrontammo via via nel corso degli anni titoli diversi, toccando generi sempre più affascinanti. In tutti i mezzi di comunicazione che ci venivano proposti, il nome di Milly apparve e conquistò un sicuro e grande richiamo: Teatri piccoli e grandi, Televisione, Radio, Palazzi dello Sport, Arene, Festival dell’Unità, Berliner Festival.
Ma non tocca a me raccontare Milly: è arrivato il momento di leggere e scoprire le tante incredibili vicende della sua vita.
Rimane nel mio bagaglio di ricordi un’ultima scheggia che io tanto amo… indimenticabile… Piccola Scala… Milano 1975… buio totale e un piccolo cerchio di luce si fissa al centro del sipario… il pianoforte accenna pochi accordi e in silhouette Milly appare… il suo viso si accende di luce… chi siete?... io non lo so… chi siete io non lo so… ma so che gli occhi ardenti… hanno la forza di rubarmi il cuor…
Il pubblico dagli occhi ardenti
tace nella magia di quella
voce. Ecco… è il momento di voltare la pagina…
Leggiamo chi è Milly… chi è stata Milly!
Filippo Crivelli
Introduzione
L’idea di scrivere una biografia di Milly nasce da una grande passione e, soprattutto, dall’esigenza di colmare un vuoto che rischiava di diventare un accantonamento definitivo della sua presenza nel mondo dello spettacolo. Una presenza troppo grande e troppo importante per permettere che venisse dimenticata.
Grande perché nel corso della sua lunga carriera è riuscita ad attraversare trasversalmente il mondo dello spettacolo, passando con disinvoltura da un genere all’altro: dall’avanspettacolo al varietà, dalla rivista all’operetta, da Brecht ai grandi cantautori.
Importante perché ha incantato il pubblico sia con l’intemperanza dialettica e di movimenti del teatro di rivista, sia con l’intensità di raffinati recital, sia come eccezionale interprete del teatro di prosa.
La ricerca di informazioni utili per realizzare il libro, ci ha messi di fronte a notizie frammentarie, incomplete e inesatte; è stato quindi fondamentale l’incontro con Millina Mignone, nipote della grande artista, che ci ha fornito testimonianze dirette e materiale di vario genere.
Dai dialoghi con Millina è venuta fuori la vita straordinaria di una donna che, al di là delle sue qualità artistiche, aveva tutte le caratteristiche per essere raccontata. Una donna con le sue fragilità e le sue sicurezze; con il suo conformismo e le sue trasgressioni; con le sue paure e la sua determinazione; insomma, una donna di grande spessore umano. Per il nostro lavoro l’apporto di Millina è stato fondamentale e a lei va il nostro ringraziamento più grande.
Desideriamo anche ringraziare due personaggi importanti che, ognuno per le rispettive competenze, hanno contribuito a rendere possibile questa stesura: Filippo Crivelli, regista di tutti i recital di Milly e amico degli ultimi vent’anni di vita dell’artista e il professor Emilio Sala, docente dell’Università degli Studi di Milano.
Ancora grazie: ad Antonio Sciotti per aver catalogato l’intera discografia di Milly dal 1932 al 1938; a Marta Boccardo e Mario Cigallino, funzionari del Comune di Alessandria, per il reperimento dei certificati di nascita dei fratelli Mignone; a Vincenzo Cante, Riccardo Castagnari, Giuliana Alemagna, Marco Gastaldi, Emiliano Bandini e Alex Pini per aver fornito materiali e supporto.
26 febbraio 1905
Alessandria.
È domenica pomeriggio, Teresina Monti comincia ad avvertire i primi segni del parto imminente. Apre il balcone della sua casa di ringhiera ed esce sul ballatoio alla ricerca di qualcuno che possa avvertire suo marito. Mentre due donne del vicinato le tengono compagnia, un’altra si avvia a cercarlo verso il bar, poi verso la piazza, poi verso l’osteria, continuando a girare fin quando non vede il fedele cane che, come un’ombra, seguiva sempre il suo padrone. Sultan, un simpatico bull terrier bianco, era pigramente accucciato all’angolo di un vecchio portone che dava su un cortile con vari ingressi; uno di essi portava ad un bordello, uno dei tanti che in quel periodo erano presenti in città. Alla vista del cane, la donna pensò: Come al solito sta lì!
; infatti Arturo Mignone era e sarebbe stato un assiduo frequentatore di quei luoghi.
La donna, che certo non poteva salire nell’appartamento senza vedere per sempre compromessa la propria reputazione, cominciò a chiamare a gran voce da sotto: "Monsù Arturo, monsù Arturo scendete, vostra moglie sta per partorire. Da lì a qualche minuto, l’uomo, ancora scomposto nell’abbigliamento, si affacciò con tutta calma e disse:
Cominciate ad andare voi, vado a chiamare la levatrice e vengo". Effettivamente, dopo breve tempo arrivò a casa con la donna.
Teresina, che preferiva farsi chiamare Emilia perché il suo nome di battesimo proprio non le piaceva, era al suo primo parto e, visibilmente sofferente e preoccupata, si sentì sollevata dalla presenza della levatrice. Il parto non ebbe una storia particolare, tutto si svolse nella normalità e dopo alcune ore di travaglio nacque Carolina Francesca Giuseppina.
In quel momento né Emilia né Arturo potevano immaginare che avevano messo al mondo quella poi che sarebbe diventata la grande Milly!
L’infanzia
Emilia e Arturo si erano sposati probabilmente più per necessità che per amore, e certamente contro la volontà della famiglia Mignone che, essendo socialmente ed economicamente di livello superiore ai Monti, aveva sperato che Arturo avesse potuto sposare una giovane più affine al loro status e alle loro ambizioni. Il 22 dicembre del 1904 i due contrassero matrimonio, spinti sia dallo stato di Emilia, già incinta di sette mesi, sia dalle pressioni della famiglia della donna.
Dopo il matrimonio andarono ad abitare in via Guasco al civico 49, in una casa di ringhiera, tipica abitazione popolare dell’epoca. I genitori di Arturo non accettarono mai completamente quel matrimonio e limitarono i contatti con la famiglia del figlio ad incontri sporadici ed occasionali. Fin da subito fu chiaro che la loro unione sarebbe stata difficile e che neanche il vincolo del matrimonio li avrebbe tenuti uniti. Tuttavia, nell’arco di tre anni nacquero altri due figli: Ottone Giuseppe, detto Toto (o Totò come riportato da alcune fonti), il 7 novembre del 1906 e Gaetana Cesira, il 2 aprile del 1908.
Mentre Emilia si dedicava ai figli e alla casa assolvendo ai compiti esclusivi di una donna dell’epoca, Arturo viveva la sua vita come se fosse ancora scapolo, ostentando un atteggiamento irresponsabile e strafottente nei confronti della famiglia, e il cagnolino Sultan era sempre più spesso accucciato sotto il portone di qualche bordello.
Il padre di Emilia, Giuseppe Monti, si rese conto che il matrimonio della figlia stava miseramente naufragando e, preoccupato soprattutto per i suoi nipoti, pensò di creare una propria attività lavorativa. Egli era stato operaio capo-reparto della ditta Borsalino
e per lui i cappelli non avevano segreti. Oltretutto, Alessandria in quegli anni stava vivendo un periodo storico abbastanza fortunato: grazie alla nascita delle Ferrovie, all’incremento dei commerci nel Nord-Italia alla fine dell’Ottocento, alla sua posizione al centro dei collegamenti tra Torino, Milano e Genova, la città conobbe un grande sviluppo delle attività industriali e commerciali che diedero nuovi impulsi di crescita e di benessere alla popolazione.
In questo contesto si inserì l’iniziativa di Giuseppe Monti con l’apertura di una piccola fabbrica di cappelli, che fu intestata ad Arturo nel tentativo di responsabilizzarlo e coinvolgerlo in un’attività che producesse reddito per la sua famiglia. Perché fosse associata idealmente alla fabbrica già molto nota, la piccola impresa fu chiamata Borsalino
, dal nome di uno dei soci, un certo Cesare Borsalino, totalmente estraneo alla famiglia proprietaria della famosa fabbrica; ma fu un grave errore. La grande azienda alessandrina fece causa alla piccola fabbrica per utilizzo, senza autorizzazione, di un marchio registrato. Quella che era sembrata una grande idea per farsi associare nell’immaginario collettivo ad un’azienda consolidata e in notevole espansione, si rivelò fatale: la Borsalino (quella vera) vinse la sua battaglia dopo tre gradi di giudizio e le conseguenze furono disastrose; infatti la piccola Borsalino
chiuse l’attività, i soci furono costretti a vendere i macchinari e arrivarono a disfarsi anche dei loro beni privati per cercare di far fronte ai debiti, insomma furono ridotti sul lastrico! La cifra che avrebbero dovuto pagare era talmente esorbitante che non sarebbe bastata una vita intera di onesto lavoro per estinguere il debito.
Naturalmente in famiglia la tensione era alle stelle, le liti tra Emilia, Arturo e Giuseppe si succedevano a ritmi sempre crescenti: ognuno dava una spiegazione dell’insuccesso addossando la colpa agli altri due, ma nessuno si assumeva la propria parte di responsabilità. Particolarmente in questa fase, i Mignone si mantennero distanti da Arturo, dalla sua famiglia, dalle sue vicissitudini.
Intanto, quello che succedeva durante quelle liti avrebbe segnato per sempre le personalità dei tre bambini, che ovviamente non erano in grado di capire quello che stava accadendo ma, liberi ancora da sovrastrutture cognitive, vivevano il disagio di una famiglia in cui si lottava l’uno contro l’altro; la loro fu praticamente un’infanzia negata!
Arturo Mignone che, non dimentichiamo, si era sempre mostrato profondamente egoista ed egocentrico, decise di risolvere la cosa a modo suo e, un po’ per non pagare i debiti, un po’ per sfuggire all’oppressione che avvertiva costretto nel suo ruolo di capofamiglia, pensò bene di mollare tutto e tutti: decise di riappropriarsi della libertà e senza avvertire nessuno, partì per l’Argentina abbandonando moglie e figli al loro destino.
Dei tre bambini si offrì di occuparsi il titolare dell’azienda Borsalino
che aveva vinto la causa. La mamma ne fu lieta e, in un primo momento, addirittura riconoscente all’uomo, immaginando un futuro roseo per i figli che avrebbero avuto la possibilità di crescere e studiare in un collegio dignitoso. Già faceva progetti per la sua vita nell’immediato futuro, pensando che avrebbe potuto lavorare e creare per i piccoli un benessere a cui non erano abituati. Non sappiamo, ma possiamo immaginare la sua delusione quando, sempre grazie all’interessamento dell’industriale, i tre furono ospitati in due diverse strutture: Carolina e Gaetana ad Aqui, presso le Suore di San Vincenzo e Toto nel Collegio Convitto Missione a Scarnafigi; i collegi dignitosi in cui aveva sperato, si erano rivelati in realtà due brefotrofi!
Emilia Monti doveva essere molto pragmatica e intraprendente perché, dopo un primo momento di smarrimento, adeguò la propria vita alle situazioni contingenti e, abbandonata la sua condizione di madre e casalinga, si inventò soubrette, assunse il nome di Milly I e prese ad esibirsi nei teatrini di terz’ordine delle province piemontesi.
Per i parametri di quegli anni, il mestiere di soubrette era considerato equivoco e, senza entrare nel privato della vita di Milly I di cui, peraltro, non abbiamo alcuna notizia, sappiamo quali fossero le condizioni di una soubrette di quel livello in quegli anni: una donna appartenente ad una classe sociale il cui stile di vita era ritenuto discutibile.
Era il 1910 quando i tre bambini fecero ingresso nelle strutture di accoglienza; Carolina, che tutti chiamavano Carla, aveva cinque anni, Toto quattro e Gaetana due. Come si può immaginare, per i bambini fu molto traumatico passare da una condizione di già sconquassata normalità costellata da liti familiari, a quella che avranno certamente vissuto come un abbandono da parte di entrambi i genitori: i tre non ebbero il tempo di elaborare l’abbandono del padre quando, a distanza di pochi giorni, vissero l’allontanamento anche della madre, furono strappati dalle loro radici e addirittura divisi l’uno dalle altre. Insomma, peggio di così non poteva andare!
Emilia, evidentemente presa dai ritmi della nuova vita, non aveva tra le sue priorità quella di andare a trovare i figli; addirittura Toto, come racconterà in un’intervista, non vide la madre per circa due anni.
Cominciò quindi un periodo molto difficile per i tre bambini, che segnò e forgiò per sempre le loro vite e i loro caratteri. In Carla, essendo la più grande, nacque quel senso di protezione e responsabilità che avrà sempre verso la propria famiglia; in Toto, l’instabilità negli affetti e in Gaetana, quella continua e irrefrenabile voglia di rivalsa sociale.
Furono molti gli episodi che contribuirono a disegnare le loro personalità, ma uno in particolare rimase indelebile nella memoria di Carla: lei e la sorella avevano rispettivamente nove e cinque anni, e tra le attività del brefotrofio c’era l’insegnamento del ricamo che le allieve erano costrette ad imparare. Gaetana era troppo piccola e comunque non le piaceva districarsi tra aghi, fili e pezzuoline; sta di fatto che le suore si erano sempre mostrate inflessibili rispetto alle istanze delle piccole e sfortunate ospiti dell’Istituto per cui, nonostante l’oggettiva difficoltà della bambina ad eseguire il lavoro assegnatole, con modi coercitivi pretendevano che la piccola comunque lo svolgesse; in caso contrario, sarebbe stata severamente punita.
Una notte, Carla sentì la