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Era mia sorella
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E-book175 pagine1 ora

Era mia sorella

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Info su questo ebook

17 luglio.
Banks, città dell'Oregon.
Una ragazza di diciannove anni muore:Vicktoria Edge, ritrovata annegata sulla riva di un ruscello. Incidente? Suicidio? Assassinio? Queste sono le domande che la polizia si pone. "Chi è stato?" È invece l unica domanda che scuote la mente della sorella più piccola, Jeky Edge. Tra un intricata trama di bugie, sospetti, rancori ed odii, Jeky cercherà di far luce sulla morte di Vick, e di darle giustizia, ma constaterà da sola che troppe persone cercano di sviare le indagini, di nascondere qualcosa. Ma che cosa? E perché?

Avevo sempre desiderato essere famosa.
Ma mai avrei immaginato il modo in cui lo sarei diventata. La gente oggi conosce il mio nome: Vicktoria Edge, vittima d’omicidio.

"Scorrevole, curioso, intrigante.
Ti tiene la mente occupata, gli occhi fissi sulle pagine.
È normale che un thriller può farti arrivare all'ultima pagina in lacrime?"
Ladra di libri (blog)

Contatti: Rossc@outlook.it
Profilo IG Rossella_C
LinguaItaliano
Data di uscita13 ott 2016
ISBN9788822855701
Era mia sorella

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    Anteprima del libro

    Era mia sorella - Rossella C.

    ERA MIA SORELLA

    ROSSELLA C.

    © Tutti i diritti riservati.

    Rossella C.

    TRAMA:

    17 luglio. Banks, città dell'Oregon. Una ragazza di diciannove anni muore:Vicktoria Edge, ritrovata annegata sulla riva di un ruscello. Incidente? Suicidio? Assassinio? Queste sono le domande che la polizia si pone. Chi è stato? È invece l unica domanda che scuote la mente della sorella più piccola, Jeky Edge. Tra un intricata trama di bugie, sospetti, rancori ed odii, Jeky cercherà di far luce sulla morte di Vick, e di darle giustizia, ma constaterà da sola che troppe persone cercano di sviare le indagini, di nascondere qualcosa. Ma che cosa? E perché?

    Cercavo la mia anima ma non la trovavo.

    Cercavo il mio Dio ma mi sfuggiva.

    Ho avuto mia sorella, ed ho trovato tutti e tre.

    A Marika, l’altra metà di me.

    Avevo sempre desiderato essere famosa.

    Ma mai avrei immaginato il modo in cui lo sarei diventata. La gente oggi conosce il mio nome: Vicktoria Edge, vittima d’omicidio.

    PROLOGO

    Tolgo i sandali e mi bagno i piedi nell’acqua fresca. Quest’anno l’estate ha portato con sé temperature alte anche di sera.

    «Sì, certo.» Parlo al cellulare. «Sarò più cauta.»

    Il ciondolo che ho legato al telefono emette un piccolo tintinnio.

    Mi sono allontanata dalla festa per poter parlare meglio. La musica e le risate dei ragazzi non mi avrebbero concesso la mia privacy.

    «Mi sento un po’ stordita. Ho leggeri giramenti di testa» dico.

    Forse ho bevuto più di quanto potessi reggere. Di solito anche un solo drink mi fa sentire più allegra, ma adesso è diverso, mi sento come… stanca.

    Fa una battuta. Rido. Improvvisamente un brivido mi attraversa la schiena. Mi zittisco subito. Sento un rumore alle mie spalle e mi volto abbassando il cellulare, come se fossi stata colta in flagrante.

    Una mano mi afferra i capelli e mi spinge giù, verso l’acqua del ruscello. Cerco di aggrapparmi all’altra persona. Non ci riesco. Inizio a lottare, ma stranamente i miei movimenti sono più lenti e tardivi. Allora inizio a urlare, ma sono zittita dal contatto con l’acqua.

    Acqua. Solo acqua. Il mio volto è immerso nel ruscello. La sua mano sempre sulla mia testa, preme più a fondo, mentre tento ancora di combattere. Ho gli occhi aperti ma è tutto buio, non vedo niente. Ci sono solo rami che mi graffiano il volto. Trattengo il respiro. Mamma, vorrei urlare. Rivoglio la mia famiglia.

    Mi muovo agitata, cerco di aggrapparmi a qualcosa, qualsiasi cosa, ma la stanchezza è tanta. È tutto inutile. È più forte di me. Sento i polmoni bruciarmi, non riescono più a reggere la pressione.

    Mi dispiace, ripeto nella mia testa come una cantilena. Mi dispiace.

    Il dolore è troppo forte. Non resisto. Le ultime forze lasciano il mio corpo. Smetto di agitarmi. Sono stremata.

    Apro la bocca e l’acqua invade la mia gola che inizia a pizzicare, i battiti diventano sempre più lenti, il dolore diventa sempre più impercettibile e, in mezzo a tutta quell’oscurità, come se mi fosse regalato un attimo di pace, rivedo il volto sorridente di mia sorella, e tutto il terrore viene spazzato via.

    CAPITOLO 1

    Mi tiro su, tossendo. Premo una mano sul petto per calmare il bruciore che sento, o almeno credevo di sentire. Respiro lentamente, la sensazione di soffocamento scompare.

    Mi guardo intorno. Sono nella mia camera, nel mio letto. Tiro un sospiro di sollievo. Era solo un incubo.

    Scendo dal letto e mi accorgo di avere indosso ancora gli stessi abiti della sera precedente. In effetti, non ricordo di essermi spogliata.

    Scendo le scale piano per non svegliare chi ancora dorme. Vado in cucina e mi siedo al tavolo nell’attesa che la mamma mi prepari la colazione. È ai fornelli a cucinare pancake. È sua abitudine prepararli ogni domenica, e sempre più spesso da quando la scuola è finita. Mia sorella Jeky ci raggiunge e cerca qualcosa in frigo. Ha i capelli biondi scompigliati, e gli occhi ancora assonnati. Prende il suo yogurt e si mette a sedere di fronte a me.

    «Buongiorno, eh!» le dico in tono di rimprovero.

    «Buongiorno» risponde lei.

    «Buongiorno» replica mia madre. «Com’è andata la serata?» prosegue.

    «Come al solito. Tutto molto caotico» rispondo.

    «Mi sono divertita» dice Jeky mentre gusta la sua colazione.

    «Sei rientrata presto però.»

    «Sì, mi ha accompagnata Luke. Avevo un forte mal di testa.»

    Io le faccio un sorrisetto malizioso, che lei sembra non percepire.

    La mamma prosegue: «Dev’essere questo caldo. A volte ci destabilizza un po’.»

    «Ma questo sarà il tuo ultimo anno alle superiori» intervengo «dovresti uscire di più, passare più tempo con i tuoi amici.»

    Jeky continua a mangiare senza nemmeno guardarmi.

    «Te lo dico come consiglio, non prenderla male.»

    Io e Jeky frequentiamo la stessa scuola. Io ho preso il diploma il mese scorso e ho fatto domanda all’università statale. Lei inizierà in autunno il suo ultimo anno.

    «C’è qualcosa che non va, tesoro?» chiede mia madre notando il volto turbato di mia sorella.

    «Non so. Ho dormito male questa notte, e non per il caldo. Avevo una strana sensazione. Non so spiegartelo. Come se avessi lasciato qualcosa di incompleto, di irrisolto. Come se ci fosse qualcosa che non andava.»

    «Tu sei matta!» rispondo sorridendo. «Allora mamma, è pronto?»

    La porta d’ingresso si apre ed entra Johnny.

    «Buongiorno fanciulle!» Va verso mia madre e la bacia. Io e Jeky voltiamo il capo per non guardare.

    Adoriamo Johnny. E’ un uomo di mezza età, alto e robusto. È divertente, simpatico e rende felice nostra madre, ma… non è nostro padre e non potrà mai sostituirlo. Dopo il divorzio, papà è andato a vivere fuori città e mamma si è rifatta una vita. Johnny vive con noi da quasi dieci anni ormai.

    «Cosa si mangia di buono questa mattina?»

    «Pancake» rispondo «il solito!»

    «Uh, che buoni! I pancake!» dice osservandoli. La mamma li porta in tavola. «Nessuno li fa buoni come te, tesoro.»

    Io e Jeky alziamo gli occhi al cielo contemporaneamente.

    Mia madre inizia a impiattare. Una porzione per lei e una per Johnny, poi si accomoda.

    «Vorrei mangiarne uno anch’io» dico ironicamente.

    Mamma non risponde e mette gli ultimi pancake al centro del tavolo.

    «Perché non posso averli?» chiedo confusa.

    Nessuna risposta.

    Johnny e la mamma iniziano a consumare la loro colazione.

    «Va be’, vorrà dire che mi servirò da sola.» Allungo una mano per afferrare il piatto.

    «Perché non vai a svegliare tua sorella?»

    Mi blocco alla domanda di mia madre. La mia mano resta sospesa a mezz’aria sul tavolo.

    «I pancake si raffredderanno.»

    La guardo stranita. «Ma che dici, mamma?»

    «Vado su a chiamarla» risponde Jeky.

    «Ma a chiamare chi? Ma siete impazziti?»

    «Strano che a quest’ora non si sia alzata.»

    «Avrà fatto tardi.»

    «Ma sono qui!» Alzo il tono di voce un po’ agitata.

    «In effetti ieri non l’ho sentita rientrare.»

    «Ditemi che è uno scherzo, vi prego! Iniziate a farmi paura.»

    Mia madre continua a mangiare la sua porzione. Jeky sale le scale diretta alla mia stanza. Per qualche strano motivo, spero che mi trovi lì, in camera mia, magari ancora addormentata. Ma quando torna giù, il suo volto mi terrorizza. Non stanno scherzando. Loro non riescono a vedermi.

    «Mamma, non c’è. Vick non è in camera sua.» I suoi grandi occhi verdi sono carichi di timore.

    «Come? Cosa dici?»

    «Non c’è. Non è su» dice agitata.

    «Ok, stai calma, forse si è fermata da un’amica.»

    Mia madre tenta di mantenersi tranquilla, ma anche sul suo volto leggo lo stupore. Non mi allontano mai da casa senza prima avvisare la mia famiglia.

    Jeky va alla ricerca del suo cellulare. Digita nervosamente sulla tastiera. Io sono di fianco a lei e la vedo cercare alcuni nomi in rubrica. Compone un numero e resta in attesa.

    «Pronto?» Qualcuno dalla voce ancora assonnata risponde.

    «Ciao Maddy, sono Jeky, per caso mia sorella è lì con te?»

    Dopo un attimo di silenzio, chiude la chiamata.

    «Dimmi che sono da lei, dimmi che non sono a casa mia perché per qualche strano motivo ho deciso di non dormire nel mio letto e ho dimenticato di avvisarvi.»

    «Non c’è» sentenzia mia sorella.

    Si rimette al cellulare, digita e chiama almeno cinque persone diverse, ma da tutte riceve la stessa risposta: nessuno mi ha vista!

    «Ma dove sarà?»

    «Sono qui! Sono qui! Mi vedi?» Agito furiosamente le braccia davanti ai suoi occhi. «Ti prego, guardami. Sono qui!» urlo disperata.

    Non posso ammetterlo. Non posso.

    «Devo essere da qualche parte. Continuate a cercare. Ci dev’essere una spiegazione.»

    La mamma e Johnny corrono su in camera. Jeky è al telefono.

    «Amore, ti prego, vieni» dice a Luke, il suo ragazzo. «Vick è scomparsa.» La disperazione nella sua voce rende tutto reale.

    Tutto diventa chiaro. Non era un sogno.

    Io non sono scomparsa.

    Io sono morta.

    CAPITOLO 2

    Morire non è poi così male. Non c’è alcun dolore fisico dopo la morte. Tutti i cattivi sentimenti sono spazzati via. Anche i ricordi sono vaghi. La parte peggiore è restare qui, in bilico, nel mio mondo, nella mia vita, senza però viverci davvero. Bisognerebbe morire e non sapere più nulla. Trapassare in un aldilà, se esiste, e non assistere alla disperazione dei genitori per la propria scomparsa.

    Sono ormai ore che la mia famiglia mi cerca. Hanno telefonato a tutti i miei amici e a tutti gli ospedali più vicini, ma di me nessuna traccia.

    «Sapevo che qualcosa era successo, me lo sentivo.»

    Mia sorella continua a piangere, seduta sulla sedia in cucina, mentre Luke le stringe le mani e cerca di confortarla.

    Tra tutte le sensazioni che sono scomparse da quando non sono più padrona del mio corpo, quelle di Jeky sono le uniche che rimangono. Sento le sue emozioni, la sua disperazione. Le provo dall’interno del mio io, dal profondo. La percepisco.

    «Allora?»

    Quando mamma rientra in cucina, la speranza si riaccende. Ha telefonato a mio padre, nel caso lo avessi raggiunto o mi fossi messa in contatto con lui.

    «Non l’ha sentita» dice dispiaciuta. «Si è preoccupato e ha detto che sarà qui tra poco. Non è molto lontano.»

    «Basta, io chiamo la Polizia.» Jeky prende il suo cellulare e digita il 911.

    «Pronto? Vorrei denunciare una scomparsa.»

    La osservo mentre determinata parla a telefono. È coraggiosa e forte la mia sorellina. È sempre stata decisa e combattiva nella vita. E mentre mia madre sembra essere disorientata, lei  prende in pugno la situazione.

    «Mia sorella. Diciannove anni. Scomparsa ieri notte» dichiara. «Che cosa? Che vuol dire che dovremo aspettare quarantotto

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