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Genaua Kainua Genua Ianua: Genova. Le molte vite di una città portuale dal Neolitico al VII secolo d.C.
Genaua Kainua Genua Ianua: Genova. Le molte vite di una città portuale dal Neolitico al VII secolo d.C.
Genaua Kainua Genua Ianua: Genova. Le molte vite di una città portuale dal Neolitico al VII secolo d.C.
E-book342 pagine4 ore

Genaua Kainua Genua Ianua: Genova. Le molte vite di una città portuale dal Neolitico al VII secolo d.C.

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Un’esauriente e sistematica ma anche leggibile e accattivante trattazione della più antica storia di Genova. Dalle origini nel Neolitico medio al preludio del suo trasformarsi in grande capitale mediterranea e europea nell’VIII secolo, dalle capanne alle domus, da fondaco di pescatori alla sede vescovile. Ovvero preistoria, protostoria, età romana, tardo-antica e il primo, nebuloso e quasi sempre negletto, tratto dell’Alto medioevo. Un amplissimo periodo storico che di solito è sommariamente trattato nel primo capitolo delle tante “storie di Genova”.
Una storia che gli sviluppi recenti dell’archeologia urbana consentono oggi, finalmente, di scrivere, restituendo a Genova e al resto della Liguria quella dimensione ancestrale che sola può spiegare il lento e graduale affermarsi di questa città e di questa regione come area chiave dei traffici politici, economici e culturali del Mediterraneo. 

L’Autrice è l’autorità indiscussa in materia, essendo stata come funzionaria responsabile della Soprintendenza la protagonista locale di quella felice stagione dell’archeologia urbana in Italia negli anni ’80 e ’90.

Vincenzo Tiné
Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Genova e le province di Imperia, La Spezia e Savona
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2017
ISBN9788897264910
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    Anteprima del libro

    Genaua Kainua Genua Ianua - Piera Melli

    COVER_genaua.jpg

    COLOPHON

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2017 Oltre edizioni

    http://www.oltre.it

    ISBN 9788897264910

    Titolo originale dell’opera:

    Genaua Kainua Genua Ianua

    di Piera Melli

    Collana passato remoto

    diretta da Roberto Maggi

    logo_libro_x-sfondo-chiaro.psd

    SCARICA L'ARCHIVIO FOTOGRAFICO

    SOMMARIO

    Prefazione di Vincenzo Tinè

    L’archéologie urbaine est un sport de combat di Pierre Garmy

    1. Raccontare la città che non si vede

    2. Nomen omen

    3. L’ambiente naturale

    4. Preistoria di Genova

    5. Il Tirreno: un mare in ebollizione. Fra IX e VI secolo a.C.

    6. La fondazione di Genova

    7. L’emporio dei Liguri

    8. Il reimpiego

    9. La Liguria e Roma

    10. I territori intorno a Genova. La Val Polcevera

    11. Le valli intorno a Genova. Valle Scrivia, Val Bisagno e Val Fontanabuona

    12. Lo sviluppo dei commerci

    13. Diventare Romani

    14. La pace di Augusto. Tra la fine del I secolo a.C. e il I secolo d.C.

    15. Genova nell’impero romano

    16. La crisi del III secolo

    17. La ripresa del IV secolo

    18. La diffusione del cristianesimo

    19. Le invasioni dei barbari

    20. Teoderico re d’Italia (493-526 d. C.)

    21. La guerra greco-gotica

    22. I Longobardi in Italia

    23. Fra VI e VII secolo. Le trasformazioni della città e l’edilizia religiosa

    24. Una fine e un inizio: Genova nel regno longobardo

    Bibliografia

    Ringraziamenti

    ARCHIVIO FOTOGRAFICO

    Un’esauriente e sistematica ma anche leggibile e accattivante trattazione della più antica storia di Genova. Dalle origini, nel Neolitico medio, al preludio del suo trasformarsi in grande capitale mediterranea e europea, nell’VIII secolo; dalle capanne alle domus, da fondaco di pescatori a sede vescovile. Ovvero: preistoria, protostoria, età romana, tardo-antica e il primo, nebuloso e quasi sempre negletto, tratto dell’Alto Medioevo. Un amplissimo periodo storico, che di solito è sommariamente trattato nel primo capitolo delle tante Storie di Genova.

    Una storia che gli sviluppi recenti dell’archeologia urbana consentono oggi, finalmente, di scrivere, restituendo a Genova e al resto della Liguria quella dimensione ancestrale che spiega il lento e graduale affermarsi di questa città e di questa regione come area chiave dei traffici politici, economici e culturali del Mediterraneo. L’Autrice è l’autorità indiscussa in materia, essendo stata, come funzionaria responsabile della Soprintendenza, la protagonista locale di quella felice stagione dell’archeologia urbana in Italia negli anni ’80 e ’90.

    Sono stati anni davvero straordinari per lo sviluppo delle conoscenze sulle grandi città, soprattutto del Nord, dove, anche grazie ad apporti diretti della più avanzata scuola inglese, è stata introdotta e compiutamente realizzata quella tutela attiva e integrata delle emergenze messe in luce dalle grandi trasformazioni urbane e in particolare dalle opere infrastrutturali. La metropolitana di Milano è stato il cantiere-scuola di queste nuove metodologie di intervento archeologico in contesti urbani e anche a Genova, come a Roma e a Napoli, i cantieri collegati alla metro sono quelli che hanno consentito di approfondire meglio le complicate stratigrafie urbane.

    Forse non a caso si è trattato di una rivoluzione rosa. Le protagoniste di questa rivoluzione dell’archeologia urbana settentrionale sono state quasi ovunque giovani donne. Funzionarie archeologhe delle Soprintendenze, come Piera Melli a Genova o come – limitandomi alle regioni e alle persone che ho avuto il privilegio di conoscere direttamente e che mi fa piacere ricordare qui – Giuliana Cavalieri Manasse a Verona, Marisa Rigoni a Vicenza e Margherita Tirelli a Oderzo. Ci vuole una gran pazienza e una gran passione per dedicare decenni della propria carriera scientifica a ricostruire la complessa trama pluristratificata di una città moderna, connettendo tra loro flebili e isolate testimonianze e restituendo un senso storico a questa complessa serie di indizi. Loro ci sono riuscite e hanno lasciato alle più giovani generazioni un’eredità informativa pesante, su cui continuerà ad esercitarsi la critica storica e archeologica in questi nuovi tempi di semi-stasi della ricerca, conseguenza della crisi economica in generale e del sistema della tutela in particolare.

    Piera Melli non si è mai sottratta agli obblighi di pronta e piena comunicazione dei risultati conseguiti con le sue ricerche e, così, Genova è forse oggi una delle città di tradizione antica meglio nota. Oltre a innumerevoli articoli e note il lettore interessato può giovarsi di pregevoli sintesi da lei curate a distanza di pochi anni, come i fascicoli della serie Archeologia metropolitana (2010, 2015) e lo splendido volume Genova dalle origini all’anno mille (2014).

    A suggello di un’intera carriera scientifica e amministrativa dedicata a Genova antica l’Autrice propone oggi questo volume, in cui non si limita a passare in rassegna le principali evidenze messe in luce dalle sue e altrui ricerche ma le inquadra in un ampio quadro storico letterario, epigrafico numismatico, esteso all’intera area padano-alpina e a quelle contermini, europee e mediterranee.

    Perché se davvero – come anche quest’opera finisce per dimostrare – Genuensis ergo mercator, allora la storia di Genova e dei Liguri non può comprendersi senza considerare il ruolo globale di questo emporio mediterraneo per antonomasia.

    Vincenzo Tinè

    Soprintendente Archeologia,

    Belle Arti e Paesaggio per la città

    metropolitana di Genova e le province di

    Imperia, La Spezia e Savona

    … la forme d’une ville

    Change plus vite, hélas ! que le cœur d’un mortel

    (Charles Baudelaire, Le cygne)

    «L’archéologie urbaine est un sport de combat»

    I mani di Pierre Bourdieu mi perdonino se prendo a prestito e adatto questo aforisma! Si è imposto naturalmente per intitolare la prefazione del bel libro di Piera Melli che avete in mano. Prefazione che l’autrice ha avuto la gentilezza di chiedermi e che scrivo con piacere a testimonianza di una lunga amicizia forgiata nel corso di molteplici incontri – specialmente archeologici – attraverso l’Europa.

    «Combattimento/i» è proprio la parola giusta per definire l’opera tenace, paziente e determinata di Piera Melli nell’ambito del servizio pubblico dell’archeologia italiana e ligure, in particolare per la sua città, Genova, alla quale vota un attaccamento particolare, tanto personale quanto scientifico. Ella ci consegna qui una sintesi dei suoi lavori sui primi secoli urbani genovesi, dalle origini – vale a dire gli antefatti – della città fino all’estrema fine dell’Antichità, iscrivendoli nei loro contesti naturali e geopolitici. Per comporre questo bilancio l’autrice ha saputo intrecciare acutamente i dati storici con i risultati tangibili delle indagini sul terreno condotte per anni sul territorio della città. Questi non sono stati, beninteso, acquisiti sempre in serenità, ma sovente a seguito di numerose battaglie che è stato necessario ingaggiare per imporre in ogni occasione il posto della ricerca archeologica nei procedimenti della fabbrica urbana contemporanea.

    Perché, sicuramente, risulta salutare, nel campo dell’archeologia urbana, tenersi pronti senza cedimenti ad attaccare battaglia su molteplici fronti, normativo e pratico, ma anche teorico e concettuale.

    Per grande fortuna oggi da nessuna parte, almeno nei paesi europei, ci troviamo più a tentare di fermare «l’erosione della storia» secondo l’espressione immaginata nel 1972 da Carolyn Heighway per stigmatizzare le massicce distruzioni del patrimonio archeologico nei centri urbani antichi che hanno avuto luogo dappertutto, senza alcuna ricerca archeologica preventiva, nell’immediato dopoguerra e almeno fino agli anni 1960-70. La Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, detta Convenzione di Malta, siglata nel 1992, è pervenuta a mettere ordine in queste pratiche deleterie, poiché tutti gli Stati ne hanno a poco a poco trasferito le principali disposizioni nella loro normativa interna.

    Tuttavia, i problemi di ordine giuridico e di regolamentazione non sono per questo spariti e il mantenimento delle acquisizioni in materia di protezione del patrimonio archeologico e di pratica sistematica dell’indagine preventiva ai lavori necessita di una vigilanza e una mobilitazione costanti. Così in Francia, per esempio, la legge innovatrice del 2001 fu quasi immediatamente edulcorata e svuotata di una gran parte della sua sostanza da quella del 2003, votata sotto la pressione di lobbies composte da politici e imprenditori, pubblici e privati... Qui e là, in Europa, riorganizzazioni amministrative burocratiche hanno provocato una perdita di efficacia e di leggibilità della missione specifica dei servizi responsabili dell’archeologia, ormai affogati in accorpamenti disparati, quando non sono spariti del tutto, seguendo le sorti recenti del Centro Nazionale di Archeologia Urbana francese, sacrificato dal Ministero della Cultura. Soprattutto, la tendenza economica neoliberale, che ha ormai raggiunto una posizione egemonica in Europa, favorisce quasi dovunque l’apparizione e/o lo sviluppo incontrollato di imprese private di archeologi che, in nome della legge della concorrenza «libera e senza distorsioni », consacrano una tendenza all’abbassamento del livello delle ricerche, mentre le minori risorse finanziarie e il dumping sociale si sposano male con l’eccellenza scientifica. Nella maggior parte degli stati europei la «crisi» procura ai nemici d’ogni genere del servizio pubblico gli argomenti capziosi che permettono di ridurre in maniera drastica, quando non di sopprimere puramente e semplicemente, sovvenzioni, dotazioni e finanziamenti di ricerca, creazioni di nuovi impieghi, etc.

    Malgrado tutte queste difficoltà reali e ricorrenti che interessano gli scenari materiali e pratici dell’esercizio dell’archeologia urbana, bisogna tuttavia insistere sul fatto che le sfide principali, ancora oggi, sono prima di tutto d’ordine intellettuale e scientifico. Si è detto, scritto e ripetuto molte volte, ma è senza dubbio opportuno ricordarlo ancora, l’archeologia urbana si definisce come un’archeologia «della città» e non semplicemente come un’archeologia «in città». La differenza non riguarda una mera questione semantica, ma piuttosto due concetti fondamentalmente opposti. Mentre l’archeologia «in città» definisce solamente attraverso il luogo in cui si esercita, un insieme aleatorio e disparato di operazioni sul terreno fortuitamente distribuite nel tessuto urbano, l’archeologia della città fa di quest’ultima la materia del suo intervento e l’oggetto della ricerca. In questa accezione, la sola intellettualmente accettabile, l’archeologia urbana non potrebbe più essere considerata come un male necessario, una concessione ai nostalgici del passato, un tempo di «riciclo» patrimoniale prima di fare piazza pulita e di lasciare libero corso alle costruzioni e pianificazioni urbane moderne. Essa diviene al contrario per la nuova città in corso di realizzazione la garanzia di una creazione urbanistica contemporanea alimentata da rispetto documentato o la trasgressione cosciente e ragionata dell’eredità urbana, dei ritmi, delle cesure, dei vuoti e dei pieni, del dentro e del fuori, del monumentale e del rustico, del pubblico e del privato, degli assi, dei sistemi e dei flussi, tanti paradigmi dell’archeologia urbana, tante caratteristiche della città.

    Sembrerebbe scontato che le città, per eccellenza luoghi di accumulazione, di sedimentazione, di stratificazione verticale e orizzontale, di demolizione e ricostruzione, non possono essere pienamente comprese nel loro stato presente, esso stesso provvisorio, se si economizza sulle ricerche che riguardano la loro genesi e la loro evoluzione. Si ammette anche generalmente che la città costituisce la forma di organizzazione umana più complessa che si possa trovare. Nessun’altra raggiunge un tale grado di interazioni di funzioni, una tale varietà di forme e di dimensioni, non integra una tale variabilità sociale, non ha sul suo territorio e sui suoi dintorni un peso equivalente, non interagisce in maniera così deteminante con altre....

    Gli archeologi sono storici, è la loro forza e la loro motivazione, ma di una categoria particolare che si interessa alla consistenza fisica, alla materialità dell’urbano. Mentre gli storici, in senso tradizionale, interrogano fonti principalmente testuali ed epigrafiche, gli archeologi, per parte loro, devono auscultare i dati fisici della città, che comprendono spazi, forme e strutture che sono il prodotto delle società urbane. L’archeologia non può essere ridotta alle sole operazioni sul terreno, ma la consistenza materiale della città rappresenta il suo principale fondamento.

    La questione del corpus delle fonti e dei dati è evidentemente centrale nell’approccio al fatto urbano da parte dell’archeologia. Seguendo la definizione corrente e largamente condivisa dell’archeologia in generale, che ne fa una disciplina storica alimentata essenzialmente dalle tracce materiali prodotte dalle società umane, la fonte che permette di lavorare da archeologo sulla città è dunque allora la città stessa, considerata nelle sue manifestazioni fisiche. Perciò, col rischio di sembrare irragionevoli, si può sostenere che la città dell’archeologo ricupera la città contemporanea se lo scopo del suo approccio è effettivamente di ricostruire, a partire da dati materiali, l’insieme dei complessi processi che hanno formato nel corso del tempo il sito urbano come si presenta oggi. Per l’archeologo urbano la città contemporanea è insieme punto di partenza e punto di arrivo, soggetto e oggetto, fonte e progetto scientifico, che riguarda la città di oggi come risultato provvisorio dei molteplici processi sociali che si sono sviluppati nei tempi della storia urbana. La missione dell’archeologia urbana e il mestiere degli archeologi urbani consistono dunque nel trovare e descrivere questi processi, nello smontarli per capire i meccanismi all’opera nella «fabbrica urbana», intesa secondo la definizione che ne dà il nostro collega Henri Galinié come il processo mediante il quale l’interazione fra società urbana e città, nella sua realtà materiale, spazi e territori, produce un soggetto urbano specifico, in perpetua trasformazione. Questo significa anche, per contro, che la città attuale non è quella che ci si manifesta, se non perché ha subito nei tempi lunghi tutti quei processi sociali e spaziali e se non perché ha integrato i rapporti dialettici che uniscono gli abitanti nella loro diversità e la materialità dello spazio composita e unitaria, le modalità del funzionamento e della produzione di questo complesso, insieme materiale e astratto.

    Il libro di Piera Melli ci accompagna nella scoperta dei diversi stadi di vita antichi della sua città e ci propone le chiavi di lettura dei processi urbani iniziali che hanno fatto di Genova la grande città portuale che è diventata nel corso dei secoli. Ci racconta la città che non si vede, per usare parole sue, ed è un gran piacere ascoltarla ...

    Pierre Garmy

    Ex-direttore dell’UMR 5140 del CNRS di Montpellier/Lattes

    «Archéologie des sociétés méditerranéennes»

    Nîmes, Gennaio 2017

    1. RACCONTARE LA CITTÀ CHE NON SI VEDE

    ... la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano...

    (Italo Calvino, Le città invisibili, Torino 1972)

    Heirich Heine, che aveva visitato Genova nella prima metà dell’Ottocento, ne lasciò una descrizione raggelante: «Questa città è vecchia senza antichità, stretta senza intimità e brutta oltre ogni dire».

    Il severo giudizio del poeta romantico, pur mitigato più oltre da una suggestiva descrizione della veduta della città dal mare e certamente non condiviso sul piano estetico da tanti altri viaggiatori illustri, rispecchia tuttavia, per quanto riguarda le origini antiche della città, un diffuso sentire che ha continuato a perpetuarsi fino ai giorni nostri.

    Il tema della fondazione è stato declinato nel Medioevo in funzione politica con accenti favolistici, di pari passo con l’acquisizione di una coscienza urbanistica che coincise con gli esordi e il punto più alto dell’affermazione di Genova nel Mediterraneo, dall’XI/XII secolo. L’interrogativo circa la consistenza materiale dell’abitato nei suoi primi secoli di vita, in assenza di monumenti-simbolo come anfiteatri, archi trionfali, templi o strade, che servissero da appiglio conoscitivo, restò più tardi confinato agli scritti di pochi eruditi, come Odoardo Ganducio (1614), che descrisse vari ritrovamenti occorsi in città, trascrisse numerose epigrafi romane e formulò ipotesi sull’articolazione della città antica.

    Passarono più di due secoli prima che l’argomento fosse di nuovo affrontato estesamente. Dopo le volonterose ma inaffidabili ricostruzioni di Emanuele Celesia (1886) e Gaetano Poggi (1914), che continuano purtroppo a costituire la principale fonte di riferimento di chi scrive sui social network, più recenti e argomentati testi di Orlando Grosso e Piero Barbieri, Ubaldo Formentini, Nino Lamboglia e Teofilo Ossian De Negri traevano spunto dalle nuove scoperte archeologiche e da più meditati spogli critici delle fonti antiche.

    Nuovi lavori di sintesi sullo sviluppo urbano indirizzati al grande pubblico sono stati pubblicati a più riprese negli anni Novanta e Duemila, con taglio prevalentemente storico, che solo limitatamente faceva riferimento ai dati archeologici, talvolta tuttavia correttamente commentati in bibliografia. Nel 1993 usciva ad esempio la "Storia illustrata di Genova, diffusa in fascicoli settimanali allegati al quotidiano Il Secolo XIX", che costituì un primo tentativo di divulgazione attraverso i media.

    Nel frattempo aumentavano le scoperte, legate ad una più matura concezione dello scavo urbano, saldamente ancorata ai principi dello scavo stratigrafico ed a più aggiornate pratiche di documentazione: fin dagli anni ’50, dopo i primi scavi mirati e di emergenza intrapresi da Nino Lamboglia, furono eseguiti attenti controlli dei lavori in corso da parte di studiosi e volontari, che più tardi si sono moltiplicati col crescere degli interventi, specialmente nel tumultuoso periodo tra il 1984 e il 1996, che vide l’apertura di grandi cantieri destinati a ridisegnare la fisionomia della città, con drastiche conseguenze sui giacimenti archeologici.

    La puntuale opera di vigilanza della Soprintendenza Archeologica, con attenzione rivolta ai piccoli interventi privati come alle grandi opere pubbliche, nel quadro di un piano strategico complessivo di ricostruzione della realtà antica, ha permesso di raccogliere una considerevole mole di dati, confluiti in relazioni sui notiziari scientifici, specialmente Archeologia in Liguria curato dalla Soprintendenza, che offre una copertura informativa degli scavi e delle ricerche sul territorio regionale e in numerose altre pubblicazioni specialistiche.

    Alcuni interventi più significativi sono stati illustrati in mostre tematiche, indirizzate ad un pubblico più vasto, che hanno trovato eco anche sulle pagine dei quotidiani.

    Parallelamente gli archeologi impegnati negli scavi urbani si sono cimentati nel corso degli anni nel difficile compito di sintetizzare lo sviluppo della città antica, con una serie di approssimazioni progressivamente aggiornate alla luce di sempre nuovi rinvenimenti.

    A vent’anni dalla prima esposizione ("Archeologia a Genova), una mostra aperta nel 1996 presso la Commenda di San Giovanni di Pre (La città ritrovata. Archeologia urbana a Genova 1984-1994") faceva il punto sulle scoperte occorse a Genova in dieci anni di interventi, tracciando un più aggiornato profilo della crescita urbana nei primi secoli di vita dell’insediamento e della cultura materiale che l’aveva accompagnata. L’esposizione ha offerto anche ai non specialisti la possibilità – almeno nelle intenzioni dei curatori – di riappropriarsi, toccando con mano, di un passato remoto poco appariscente, ma non per questo meno ricco e vivace, che ha lasciato tracce non solo nel tessuto della città, ma anche nella lingua, nei saperi artigianali e negli usi e costumi del vivere quotidiano.

    Altre occasioni di comunicazione al grande pubblico sono state offerte dalle mostre "I Liguri, aperta nel 2004, dove un’intera sezione era dedicata alla presentazione di Genova preromana in tutti gli aspetti delle sue vicende e Archeologia Metropolitana. Brignole e Acquasola" del 2010, che illustrava tempestivamente le scoperte degli insediamenti preistorici di piazza Brignole e della sepoltura dell’età del Ferro dell’Acquasola.

    La più recente pubblicazione, del 2014, ha riunito in un’organica raccolta di saggi le voci di archeologi e autorevoli studiosi, i quali hanno proposto, ciascuno per il suo settore di ricerca, sintesi topografico-ambientali, storiche e cronologiche; da segnalare che il volume è corredato dalla carta archeologica digitale della città, aggiornata sino ai più recenti rinvenimenti.

    Proprio il lungo lavoro preparatorio di spoglio delle fonti e della bibliografia per quest’ultimo volume ha fatto emergere la poca conoscenza dei primi secoli della storia di Genova, che tuttora permane nell’immaginario collettivo cittadino. Ed è motivo di stupore constatare che anche in pubblicazioni recenti di illustri studiosi di altre discipline umanistiche la consistenza materiale della città in epoca romana è ignorata o minimizzata, con la sola giustificazione della poca entità dei resti murari antichi conservati.

    È evidente che gli archeologi devono incrementare gli sforzi per una comunicazione più allargata, per rendere più comprensibile anche ad un pubblico curioso e interessato, ma digiuno della materia, i grandi e piccoli passi che l’archeologia ha consentito di compiere nella conoscenza di una città… che non si vede. È utile tuttavia tenere presente il prezioso ammonimento di Tucidide, nel decimo capitolo del primo libro delle Storie, sul metro da adottare nel giudicare le città antiche: paragonando Sparta e Atene lo storico dice che guardando la prima da un punto di vista architettonico «sorgerebbe nei posteri un’incredulità forte che la potenza spartana fosse adeguata alla sua fama», mentre in realtà possedeva i due quinti del Peloponneso e «deteneva l’egemonia su di esso e su numerosi alleati esterni», mentre l’importanza degli Ateniesi «a dedurla dai resti visibili della città, si supporrebbe doppia di quella reale. Non conviene dunque dubitare, né attribuire maggiore rilievo all’esame degli aspetti esteriori delle città che della loro effettiva potenza».

    In questo libro le vicende della città sono calate nel più vasto quadro dell’evoluzione politica, culturale ed economica della penisola, allineando e mettendo a sistema i consistenti, anche se frammentari e puntiformi, ritrovamenti archeologici occorsi in quasi cent’anni di scoperte casuali e ricerche sistematiche. Non si intende ovviamente stabilire una perfetta equivalenza fra dato storico e ritrovamento archeologico, esercizio che sarebbe vano e fuorviante, ma solo ricostruire gli scenari entro cui si sono mossi gli uomini e le donne che sono vissuti vari secoli prima di noi a Genova e in essa hanno costruito case e edifici pubblici, lavorato, onorato le divinità, allevato i propri figli, accumulato monete o patito la fame, combattuto, spesso sofferto e sepolto i loro morti.

    La storia si dipana lungo un percorso diacronico che illustra, sia pure sinteticamente, gli avvenimenti che hanno avuto conseguenze per Genova, spostando il punto di osservazione dal livello del terreno ad una prospettiva più ampia, che – se è (o dovrebbe essere) normalmente presente all’archeologo che opera sul campo – non è sempre scontata per i non addetti ai lavori che leggano una relazione di scavo o un testo tecnico.

    Raccontare la storia osservandola dal versante dell’archeologia offre infinite possibilità: si può partire da un singolo oggetto, descriverne le funzioni, risalire all’artigiano che l’ha modellato, alla nave che l’ha trasportato, al mercante che l’ha venduto, alla città dove è arrivato, alla casa dove è stato usato e da ciascuna di queste tappe inoltrarsi in mille rivoli di indagine e conoscenza. Non tutti i quesiti ricevono risposta, molti restano aperti.

    Gli studi dell’archeologo possono quindi non solo integrare i dati dello storico, ma anche aggiungere conoscenze assai rilevati sul territorio, sull’economia e sulla vita quotidiana delle popolazioni antiche.

    Descrivere l’evoluzione della città partendo dagli innumerevoli dati raccolti negli scavi per risalire a fenomeni più generali, che possano trasformarsi in narrazione storica, permette di restituire concretezza e tridimensionalità al divenire urbano, anche se la trama complessiva che ne risulta ha, nel nostro caso, le caratteristiche più del merletto che del tessuto compatto. I limiti delle ricerche archeologiche nelle città viventi, solo raramente oggetto di programmazione mirata, sono quelli imposti forzatamente dalla casualità dei ritrovamenti, cadenzati al ritmo dell’apertura dei cantieri cittadini, costretti nelle dimensioni degli spazi disponibili all’indagine, obbligati dai tempi compressi e dalle scarse disponibilità finanziarie, che solo raramente hanno consentito la pubblicazione definitiva ed esauriente dei risultati. Per citare qualche dato, fra il 2000 e il 2015 sono stati effettuati a Genova interventi in più di 120 aree urbane – dal controllo della posa di servizi alle campagne di scavo pluriennali nei grandi cantieri della linea metropolitana – che hanno permesso di integrare i dati noti e in alcuni casi dato luogo a scoperte di grande rilevanza per la storia della città. E non sarà inutile ricordare che lo scavo nella chiesa delle Scuole Pie (1986), che ha restituito importantissime informazioni sulla città tardoantica e altomedievale, si è svolto in due piccoli sondaggi rispettivamente di soli 10 e 20 mq.

    Poiché non c’è sintesi senza preventiva analisi, dietro ogni mostra, esposizione museale o libro serio che raccontino al grande pubblico le più antiche fasi di vita di una città dal punto di vista archeologico c’è il lavoro di centinaia di persone. Archeologi che nel tempo hanno materialmente eseguito il lavoro sul campo, decifrando ogni minima variazione della stratigrafia e registrando accuratamente i risultati; restauratori che hanno pazientemente ricomposto i materiali provenienti dagli scavi; fotografi e disegnatori che hanno documentato le varie fasi delle sequenze stratigrafiche e gli oggetti rinvenuti; geologi e topografi che hanno ricostruito la morfologia originale dei siti e le variazioni degli assetti urbanistici; architetti e storici dell’architettura che hanno integrato i dati di scavo con l’analisi stratigrafica delle strutture in elevato e quindi del progredire delle tecniche edilizie; storici, archivisti, epigrafisti e numismatici; studiosi e specialisti delle varie discipline archeologiche che hanno identificato ogni reperto confrontandolo ed inquadrandolo entro tipologie note, un’attività, quest’ultima, che può sembrare arida ai non addetti ai lavori, ma costituisce l’indispensabile presupposto per qualunque studio sull’economia e la cultura materiale di ogni sito.

    E poi ricercatori di paleobotanica che si occupano della determinazione di terreni e di campioni vegetali per la ricostruzione delle tecniche agricole e dei paesaggi antichi; paleoantropologi e archeozoologi che studiano rispettivamente i resti umani e faunistici; chimici e fisici, che svolgono analisi archeometriche, cioè studi di reperti e dati archeologici con strumenti e procedimenti scientifici e sperimentali, che comprendono metodi di datazione, determinazioni di materiali e la caratterizzazione di manufatti per ricostruirne le tecniche di produzione e risalire alle aree di origine delle materie prime.

    Gli studiosi troveranno in questo volume dati già noti, ma anche suggestioni e spunti di approfondimento e (perché no?) di dibattito o di critica e ipotesi sinora nascoste nelle pieghe di pubblicazioni specialistiche e presentazioni di singoli scavi, con qualche nuova, cauta, idea da sviluppare, che serva di sprone per avviare più esaustivi processi di analisi dei tanti interventi sinora solo presentati in via preliminare, che ancora attendono la pubblicazione integrale. Nessun punto fermo, come è giusto e prudente nel campo dell’archeologia, ma un lavoro in progress, che tiene conto dei contributi precedenti e ne anticipa altri che auspicabilmente verranno. Ecco perché il testo è costellato di avverbi come probabilmente, forse, presumibilmente e i confronti sono

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