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Magari quel giorno arriverà
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E-book365 pagine4 ore

Magari quel giorno arriverà

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Info su questo ebook

“Dona il tuo cuore a un uomo alla tua altezza.” 

È questa la sua scusa perenne per mantenere le distanze tra noi. Non sa che sarei disponibile a concedermi. Se solo lui mi volesse.
Nolan Jasper è il mio malinconico vicino da quasi sei anni. Sono invaghita perdutamente di lui da altrettanto tempo, e il legame che ho sviluppato con la sua bambina rende solo più forte quel sentimento.
Sin da quando si sono trasferiti durante quella tempestosa notte, ho cercato di recuperare ciò che è andato perso. Farei di tutto per loro due. Però interpretare il ruolo della fidanzata fin troppo disponibile di Nolan mi sta stufando. Soprattutto visto che lui appare incapace di apprezzarlo.

Alla fine riesco ad ammettere che quell’uomo è una causa persa. Troppo ferito. Cinico. Schivo.
Nolan Jasper mi ha allontanata per l’ultima volta.
LinguaItaliano
Data di uscita14 apr 2023
ISBN9791220705509
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    Anteprima del libro

    Magari quel giorno arriverà - Harloe Rae

    1

    CLEA

    Uno scricchiolio inconfondibile segnala che qualcuno sta aprendo la porta d’ingresso. In un attimo, Rory e Rufus sfrecciano verso l’entrata, scodinzolando entusiasti per dare un benvenuto come si deve ai nostri ospiti. I miei cani impazziscono così per pochissime persone, dandomi un discreto indizio su chi si sia presentato inaspettatamente.

    Lo scalpiccio di piccoli piedini attraversa l’atrio, puntando direttamente verso me. «Clea?»

    «In salotto,» urlo.

    Il faccino angelico di Tallulah sbuca dall’angolo pochi momenti dopo. Lo spazio tra i suoi denti inferiori è in piena mostra quando mi fa un grosso sorriso. «Ehi!»

    Incurvo le labbra in un sorriso abbagliante. Sono passate dodici noiosissime ore dall’ultima volta che ho visto la mia vicina mignon. «Ciao, Lulah. Come butta vicina?»

    Si getta in avanti con fare teatrale. I suoi arti sembrano andare in ogni direzione mentre si lascia cadere di fianco a me sul divano. «Mi annoio.»

    Mi scappa una risata. «Prego, siediti. È sempre bello vederti, piccola.»

    «Ho quasi sette anni, sai.»

    «E sei già sfacciatissima.»

    «Il papà dice che è colpa tua.»

    Spingo le labbra di lato, fingendo di pensare. «Mi sa che forse ha ragione.»

    Le si incurva la bocca in un broncio. «Mio padre è troppo impegnato per stare con me.»

    «Sta lavorando?» Metto da parte il portatile. Tally lo prende come un invito e immediatamente si accomoda nel mio spazio personale. Non che ne abbia uno, quando si tratta di lei.

    Si accoccola più vicina, appoggiando la testa sulle mie gambe. «U-uhm.»

    Questo spiega il suo aspetto disordinato. I suoi lunghi capelli sono un tappeto di nodi. Macchie di sporco le decorano le guance piene di efelidi. È evidente che si sia vestita da sola, a giudicare dai colori e motivi stridenti. Sono abbastanza sicura che la sua maglietta sia un costume. Questa bimba è piena di risorse, per non dire resiliente.

    Le passo una mano sul braccio. In diversi punti della pelle c’è un residuo appiccicoso. Si tratta di una gomma, o puro zucchero? Non che sia importante. È un disastro. Adorabile, senza dubbio, ma pur sempre il peggior incubo di un germofobico.

    «Gli hai chiesto di stare con te?»

    Il suo sbuffo è abbastanza forte da farmi sentire una traccia del suo alito. Qualcuno si è dimenticato di lavarsi i denti questa mattina. «Ho provato a parlare con lui, ma non mi ascoltava. Mi ha solo fatto quella specie di stupido grugnito e mi ha mandata via con la mano.»

    Mi si stringe lo stomaco in un modo fin troppo familiare. Stiamo avendo versioni simili di questa conversazione fin da quando Tally ha imparato a dire frasi intere. A questo punto sono quattro anni che succede. Sto ancora sperando che Nolan si dia una svegliata e diventi più presente. Fino ad ora, niente.

    Rifletto spesso su quanto sia cambiata la mia vita dal momento in cui Nolan e Tally hanno fatto la loro comparsa. Ho conosciuta questa bambina quando aveva solo nove mesi, era così piccola e fragile. Fin da allora ho fatto tutto il possibile per diventare un forte modello femminile per lei.

    Rimane un mistero cosa sia successo a sua madre. Questo non mi sorprende affatto, considerando che Nolan è tutto tranne che un tipo aperto. L’unica certezza che ho è che sia morta, e in modo piuttosto tragico, considerando le sue reazioni estreme in certe situazioni.

    Non ho mai insistito per ricevere più dettagli di quelli che vuole svelare. Deve essere una sua scelta raccontarmelo, e lo farà, se mai diventeremo qualcosa di più. Ma Nolan non è pronto, o non vuole fare, quel passo.

    Sei anni sono un sacco di tempo per rimanere infatuate di qualcuno che non ricambia. Il bisogno si sta facendo più insistente. Di solito sono più che capace di evitare le situazioni incasinate. È solo che lui è il mio punto debole. Presto dovrò prendere una decisione. Il pensiero mi congela e quasi rabbrividisco. Non oggi. Per il momento sono più che felice di stare in compagnia di questa dolce bambolina.

    Le do un colpetto sul naso. «Ci parlerò io, okay?»

    Distoglie lo sguardo da me. «Non devi per forza farlo.»

    Un terremoto di protezione si impossessa di me. «Voglio. Deve comportarsi meglio.»

    Le sue piccole spalle si alzano e abbassano con un sospiro di sconforto. «Allora perché non lo fa?»

    Il dolore che provo nel petto minaccia di rompermi le costole. È una risposta impossibile per me da dare. Nolan è intrappolato nella sua cinica infelicità fin troppo spesso. Nonostante i miei tentativi di dimostrargli il contrario, quell’uomo prova una sorta di rancore per se stesso. Perché o percome non lo so. È chiaro che la sua sofferenza scaturisca da qualsiasi cosa sia accaduta alla madre di Tally. Se solo si fidasse abbastanza di me da confidarsi.

    «Tuo padre fa un lavoro molto importante. Deve concentrarsi davvero tanto su quei numeri o altrimenti potrebbero succedere guai,» provo a dirle. La bugia ha un sapore amaro. Considerando l’espressione triste che mi rivolge, non l’ho convinta. «Lavora solo sui computer. Non è astrofisica.»

    Per quello che ne so, potrebbe pure esserlo. Nolan è un genio dei computer con un lavoro strano che gli fa guadagnare un sacco di soldi, anche se a quel compenso generoso è associata troppa responsabilità. Lo ha usato come scusa per sommergersi di lavoro. Per quanto sia intelligente, non si rende conto che la paternità dovrebbe sempre avere la precedenza.

    «Non gli è stato appena assegnato un nuovo progetto? La consegna è a breve. Allora avrà più tempo libero.» Non capisco perché mi sprechi a difenderlo.

    «Ne inizierà subito un altro. Non cambia mai,» risponde con amarezza Tally. Il suo scetticismo non è sbagliato, e mi si spezza il cuore per lei. È troppo piccola per perdere già la fiducia negli uomini. Il fatto che questa mancanza di fiducia sia colpa di suo padre rende la cosa ancora peggiore.

    «Le cose cambieranno presto. Te lo prometto, okay?» In un modo o nell’altro qualcosa deve cambiare. Questa sua abitudine orribile non può continuare.

    «Gli importa più del suo lavoro che di me.» Le trema il labbro inferiore.

    «Non è vero, Lulah.» La tiro in uno stretto abbraccio. «Sei tutto per lui. Ti vuole un sacco bene.»

    «Non sembra.» Il suo basso mormorio trema di emozione.

    Mi viene da piangere e batto le palpebre per dissipare il bruciore agli occhi, combattendo la voglia travolgente di dirigermi immediatamente a grandi passi verso casa sua. Nolan si merita una grossa ramanzina se sta ignorando Tally più del solito. Fletto le ginocchia, pronta, ma rimango incollata al divano. Intromettersi quando è impegnato non porterebbe a nessun risultato rilevante. Però questo non significa che smetterò di provarci, ma ora devo pensare a Tally.

    Inizio a districare uno dei nodi più grossi che ha nei capelli. «Beh, indovina?»

    Fa una smorfia e mi spinge via la mano. «Sedere di gallina.»

    «Furbetta,» rido. «Sei fortunata. Oggi ho iniziato a lavorare particolarmente presto, ciò significa che ho già finito.»

    Il suo sussulto rimbalza tra di noi.

    «Davvero?»

    «Sì. Ho già finito, quindi potremo divertirci all’infinito.»

    «Ehi, fa rima.» La sua risatina è un solleva-umore micidiale.

    «Bel colpo. Sei molto intelligente.»

    «E tu sei la migliorissima.» Mi avvolge le braccia intorno alla vita e appoggia il viso sul mio torso.

    Mi si stringe il cuore al suo affetto. Nolan è proprio un idiota. «Possiamo fare quello che vuoi. Basta che me lo dici.»

    «Possiamo giocare con le Barbie? Fare un servizio fotografico? Mi porti al parco? O in piscina? Oh, oh! Che ne dici di una passeggiata con i cani?» Si dimena entusiasta, scivolando sempre più vicino al bordo del cuscino a ogni nuova proposta.

    «Sono tutte ottime idee.» Mi picchietto le labbra con un dito, facendo una pausa teatrale. «Ma credo che prima ci voglia un bagno.»

    Nella stanza degli ospiti conservo una borsa con la sua roba proprio per situazioni come questa. Ho imparato la lezione a mie spese. Alcuni vestiti di scorta sono una necessità quando si tratta di bambini. I suoi occhi verdi si illuminano. «Nella tua grande vasca con schiuma extra?»

    Rido. «Come se si potesse fare in modo diverso.»

    «Evvivaaa!» Tally cade giù dal divano e il suo sedere atterra sul tappeto con un rumore sordo e attutito. L’impatto non la rallenta, però. Prima che possa battere le palpebre, lei è già in piedi e sfreccia verso le scale. «Chi arriva prima in bagno vince!»

    «Lulah, non vale! Hai barato!» rido.

    Una fragorosa risata proveniente dal pianerottolo mi conferma che sta aumentando il vantaggio. «Come se potessi battermi.»

    Non protesto. Mi sollevo dal divano con leggermente meno entusiasmo. «Vincerai sempre con me, piccola. Qualsiasi cosa accada.»

    2

    NOLAN

    Il primo segnale sono i suoi passi pesanti e determinati che attraversano le assi sopra di me. Le sue falcate sicure sollevano particelle di polvere dal soffitto. Il suo incedere è rapido e convinto, non tenta di non farsi notare. Clea vuole che la sua presenza venga annunciata forte e chiara. Messaggio ricevuto.

    Poi si sente il cigolio delle scale di legno mentre scende nel mio covo. Faccio un profondo respiro e chiudo gli occhi, preparandomi a resistere al desiderio di sbranarla come vorrebbe la bestia selvaggia in cui mi trasformano questi istinti primordiali. Il sangue nelle vene inizia già a pulsare più forte. Il bisogno sta diventando sempre più insistente. Mi chiedo spesso cosa accadrà quando non riuscirò più a trattenermi. Cerco di non far notare il subbuglio interiore che mi crea la sua vicinanza. I miei sentimenti devono rimanere sotto controllo, o rischierei di rovinare il gradevole equilibrio che si è formato. Non posso permettermelo. Tally sarebbe devastata senza di lei.

    A dire il vero, Clea Montague è la mia ossessione. È una fantasia, una possibilità e una realtà mischiate a formare un insieme invitante. Sei anni sono un tempo dannatamente lungo per cuocersi lentamente nel calore del proprio desiderio. Il solo sapere che sia vicina me lo fa diventare duro.

    Si avvicina alla scrivania, pretendendo la mia attenzione mentre le sue scarpe risuonano sul cemento del pavimento. È determinata. «Stai scherzando?»

    È finita la farsa. Non posso più ignorarla, non quando si trova a pochi centimetri da me. Alzo lo sguardo e me ne pento subito. Rimango senza fiato alla sua vista. Tossisco per nascondere la mia reazione. «Ciao, Patra.»

    Clea sbuffa, incrociando le braccia in una postura difensiva. «Non chiamarmi così. Un nomignolo carino non ti salverà.»

    «No? Sembra funzionare abbastanza bene.» Una volta fatto l’errore di paragonarla a Cleopatra, non ho più potuto rimediare. E ora non riesce a liberarsi da quel nome. Ma non è quello il problema ora.

    Scuote la testa. «Non più. Che stai facendo di così urgente da non potere prestare attenzione a Tally?»

    «Non capisco cosa intendi.» La bugia è così sfacciata da apparire come un’insegna luminosa sulla mia testa. Sono davvero bravo nello sviluppo dei software per la sicurezza. Fare il padre, invece? Non proprio.

    «Niente giochetti. Non ho la pazienza per quelli.»

    Do un’occhiata all’orologio, guardando con attenzione il quadrante luminoso. «Perché sei qui così tardi? Non dovresti essere già a letto?»

    Appoggia una mano su uno dei suoi seducenti fianchi. «Sono appena le dieci di venerdì sera. Sto uscendo con le mie amiche.»

    Il commento devia i miei pensieri e mi fa farfugliare. Poi noto il suo vestito. I suoi capelli castani sono stati arricciati in setose onde che le ricadono sulle spalle. Indossa una gonna abbastanza corta da fermare il traffico. La scollatura della maglietta glitterata mostra troppo seno. Non riesco nemmeno a guardarle le scarpe con il tacco senza immaginarmele sottosopra sulle mie spalle. Quando quell’immagine mi compare nella mente sento il sangue pulsarmi verso l’uccello. L’ultima cosa di cui avrei bisogno ora è di farmelo venire duro.

    Incontrerà qualcuno… e conciata così, lo farà di sicuro. Stringo le mani a pugno. Dannazione, la voglio per me. Lo so, sono uno stronzo egoista.

    «Dove andate?»

    Alza un sopracciglio con fare consapevole. «In un bar.»

    «Non fare l’evasiva con me, Clea.»

    Alza gli occhi al cielo. «Oh, parli proprio tu. E i miei piani per la serata non centrano nulla con la questione.»

    Mi tocco la mascella, il che mi ricorda che è ora di farsi la barba. «E qual è il punto di questa invasione?»

    Getta un braccio di lato per la frustrazione. «Tally ha bisogno di te!»

    Mi alzo in piedi barcollando e facendo cadere la sedia alle mie spalle. «Si è ferita? È malata?»

    «È stata trascurata,» mi corregge Clea.

    Scuoto lentamente la testa. «Non di nuovo.»

    «La trascuratezza emotiva esiste.»

    «Grazie per la lezione di psicologia. Quel singolo corso al college deve essere stato di prim’ordine.»

    Clea sbatte i denti, probabilmente immaginando di staccarmi la testa a morsi. «Non sei uno stronzo, quindi non comportartici.»

    «Cazzo.» Mi passo una mano tra i capelli. Non volevo mancarle di rispetto. «Hai ragione, e mi scuso. Non avrei dovuto dirlo.»

    «Tutto a posto.» Mi stringe con gentilezza una spalla.

    Ci vuole tutto il mio impegno per non gemere e sussultare alla sensazione di piacere che mi scorre nelle vene. Questa donna non mi tocca mai abbastanza. Non aiuta il fatto che io non riceva abbastanza contatto umano in generale.

    La mia sanità mentale è costantemente in discussione quando si tratta di Clea. Mi fa perdere la ragione. Non capisco più dove sia il limite… o se ne esista ancora uno. Ho perso il mio buonsenso. Diavolo, è sparito da così tanto che non ricordo nemmeno più cosa sia la razionalità. Vorrei solo possederla alla vecchia maniera, e dubito che la cosa sarebbe benaccetta.

    Non sa che sto faticando a ricompormi. La sua mano rimane ferma lì, bruciandomi la pelle come un marchio. «Nolan, non mi pesa aiutarti con Tally. Sai che sono sempre disponibile per lei. Ma ci devono essere dei limiti. Certi giorni ho l’impressione che dovrei farmi tatuare in fronte la parola sottona

    Mi si stringe la gola finché non rimango senza fiato. «Cazzo, Patra. Non voglio assolutamente che tu ti senta così. Ti avevo avvertita che ne avrei approfittato. Ti offri sempre di aiutare…»

    «Qui si tratta di qualcosa di più,» mi interrompe. «Non sto aiutando… sto praticamente facendo tutto da sola. Non sei per nulla presente. Datti una svegliata, Nolan. Quella bambina ha bisogno di te.»

    Clea ha tutte le ragioni per sgridarmi come lo stupido ignorante che sono. Da quando si è laureata al college ed è tornata a casa la scorsa primavera mi sono isolato più che mai, e nel corso degli ultimi otto-dieci mesi sono riuscito soltanto ad allontanarla. Il fatto che in autunno Tally abbia iniziato ad andare a scuola di certo non ha migliorato le cose.

    Lavorare con i computer è semplice. A questo punto mi riesce quasi più naturale di respirare. Ho permesso che i compiti più semplici avessero la precedenza, ignorando le parti più impegnative della mia vita. Sono stato un codardo, lieto di scaricare le mie responsabilità agli altri invece di farmi carico dei problemi.

    Inizia a mancarmi l’ossigeno. Temo che stia per accadere il peggio… che alla fine Clea abbia raggiunto il punto di rottura.

    «Ce l’hai con me?» le chiedo. Non so cosa farei se dovesse confermare i miei dubbi.

    Dopo essere fuggito da Madison, tentando disperatamente di ricominciare da capo, questa donna mi è sempre stata vicina con parole rassicuranti e accogliendoci a braccia aperte. Il contatto fisico è riservato soprattutto per Tally, ma questo è colpa mia.

    «No.» Arretra, le sue dita mi sfiorano la manica prima di allontanarsi completamente. «Almeno, non ancora.»

    Il suo tocco già mi manca. Un dolore viscerale mi attraversa l’addome per la perdita. «Ma sto dipendendo troppo da te.»

    Annuisce, dandomi la conferma di quello che già intuivo. «Sapevi che mezz’ora fa Tally è sgattaiolata a casa mia perché ha avuto un incubo? Ha deciso di vagare verso la casa a fianco piuttosto che scendere da te.»

    Sussulto all’implicazione. «Non mi sorprende. Tu le offri comfort e premure.»

    «Ma sei tu suo padre. Ti sta praticamente implorando per un po’ di attenzione. Hai visto com’era vestita oggi?»

    Mi vergogno di ammettere la verità. L’amara sensazione che mi ribolle nello stomaco dice già tutto. «Sono stato più impegnato del solito con il lavoro.»

    «Che novità,» borbotta.

    «Questo progetto è stressante, e la mia pazienza più scarsa proprio per quello. Ho pensato che starmene isolato sarebbe stato meglio per entrambi.»

    Sospira. «Capisco che tu abbia un lavoro importante, ma Tally dovrebbe essere la tua priorità assoluta.»

    «Lo è. Sempre.» Il mio tono non è molto convinto. Sono consapevole di trascurare mia figlia, e la donna che ho di fronte.

    «Allora dimostralo, Nolan. Anche un’educazione molto liberale ha dei limiti.»

    Aggrotto le sopracciglia. Parla un linguaggio che non conosco. Un’altra prova delle mie mancanze. «Hai ragione. Di nuovo. Sistemerò la situazione, dimmi solo cosa devo fare.»

    Clea si sistema i capelli scuri dietro un orecchio. «Fai il genitore.»

    «Lo faccio.» Un tono difensivo risuona nella mia voce. Non vincerò il premio di padre dell’anno, ma non sono un incompetente completo.

    «Fallo meglio.»

    «Sono migliorato.» O Tally è diventata più brava. Ha sei anni, ma sembra averne diciassette.

    «Pochissimo. La maggior parte delle volte è da me.»

    «Ti stai lamentando di quello? Pensavo ti facesse piacere averla da te.»

    Un groppo le si muove nella gola quando deglutisce a fatica. «Mi fa piacere. Ma non c’entra.»

    «E allora qual è il problema?»

    Distoglie lo sguardo. «Non ci sei mai. Sarebbe meraviglioso se ci fosse più gioco di squadra in questa situazione.»

    È una dichiarazione piena di significato. È inquietante quanto le nostre menti siano spesso in sincronia. Mi si chiude le stomaco. Quello fa parte del sogno impossibile.

    In passato Clea mi guardava con interesse e desiderio, ma, ultimamente, il desiderio ha lasciato posto a evidente delusione.

    «Non so come si cresca una bambina piccola.» La debole scusa viene ignorata.

    «E pensi che io lo sappia?»

    «Senz’ombra di dubbio. Ci sei portata, Clea. Tally ti si è affezionata fin dall’inizio.» Il loro legame spontaneo ha fatto sì che fosse più facile per me defilarmi. Impreco sottovoce. Ecco che lo faccio di nuovo, trovo un’altra via d’uscita dal senso di colpa.

    Mi rendo conto troppo tardi che Clea è rimasta in silenzio troppo a lungo. Mi sta guardando con occhi lucidi. «Ma non è una mia responsabilità quella. Lei non è mia, Nolan.»

    Sobbalzo alle sue parole. Potrebbe esserlo. Vorrei che Clea fosse legata ufficialmente a me e a Tally. Ma non è possibile. Proseguire lungo questa linea di pensiero porterebbe solo alla delusione.

    La mia postura si affloscia più velocemente di un palloncino bucato. «No, non sei sua madre…»

    «Puoi parlarne con me,» propone.

    Si riferisce ai segreti che tengo nascosti riguardo alla madre di Tally. «Non capisci.»

    Le sfugge un leggero sbuffo. «E di chi è la colpa? Non mi dici mai nulla, che non riguardi Tally. Conosco i tuoi codici di sicurezza. Ho la chiave di casa tua. Ma non so cosa infesta i tuoi sogni. Perché ti spaventi ogni volta che qualcuno ti si avvicina troppo. Vedo una luce disillusa nel tuo sguardo, ma non ho idea di cosa ce l’abbia messa.»

    «Non sono pronto.» È una scusa pietosa che ultimamente ho rigurgitato molto spesso.

    Gli occhi azzurri di Clea fissano i miei come oceani che con dolci onde mi invitano a immergermi nella marea. Sono a un passo dall’annegare in lei. «Beh, sarei pronta ad ascoltarti, se me ne dessi la possibilità.»

    «Non posso. Non ancora,» aggiungo come compromesso. «Devo solo finire il lavoro e le cose miglioreranno.»

    Il suo sospiro è profondo. Il suono rivela la sua fiducia in me che scompare. È peggio di una pugnalata nel cuore, eppure non faccio nulla per ricucire lo strappo. Anzi, l’opposto.

    «È quello che dici sempre.»

    «Dico sul serio questa volta.»

    Un peso spaventoso grava su di me, un avvertimento che dovrei ascoltarla. Se dovessi di nuovo deludere Tally… Clea, potrebbero non perdonarmi più, e forse me lo meriterei.

    «D’accordo.» Mi punta un dito contro, risoluta. «Ti prendo in parola.»

    «Lo spero.» Siamo molto vicini, ma quei pochi centimetri che ci separano potrebbero anche essere chilometri. Una dolorosa brama mi trafigge. Come sarebbe stringerla per qualcosa di più che un abbraccio tra amici?

    La rabbia svanisce dalla sua postura rigida e lei si appoggia al muro. Avvolge una ciocca lucida intorno al dito guardando nel vuoto. «Non avrei mai pensato di diventare una brontolona, soprattutto non alla veneranda età di ventiquattro anni.»

    «Non la sei.» Sono più grande di tre anni, eppure lei è molto più saggia.

    Alza lo sguardo verso me. «Di sicuro mi ci sento. Questa conversazione l’abbiamo avuta molte volte.»

    «Un altro motivo per chiederti scusa.» Il legame tra noi non mi è mai sembrato così teso. Devo risolvere la situazione prima che sia troppo tardi.

    «Ho ricevuto fin troppe scuse da te. Preferirei azioni concrete. Cosa posso fare per portarti fuori dall’ombra?» Indica gli angoli bui e la luce fioca.

    «Nulla.» Il mio tono è impacciato. «Sto lavorando troppo. Smetterò.»

    «Quella bambina ha bisogno di te.»

    «Lo so, Patra.»

    «Davvero?»

    «Certo.» Ho già un piano in mente.

    «Okay, ottimo. Ti lascio ai tuoi impegni.» Sospira e mi dà le spalle. Prima di raggiungere le scale mi lancia un’occhiata da sopra una spalla. «Non voglio permetterti di essere un padre assente. Comportati meglio. Per Tally. Si merita almeno quello.»

    Poi sparisce dalla mia vista.

    L’impulso di seguirla è istintivo. Un battito incessante nelle mie orecchie che pretende di essere ascoltato.

    Non voglio che se ne vada. Non lo vorrei mai.

    Ma la lascio comunque andare via.

    3

    CLEA

    La mano di Vannah picchia sul tavolo davanti a noi. «Okay, ascolta.»

    Stringo le labbra in risposta alla rossa seduta di fronte a me. «Devo prepararmi per una delle tue ramanzine?»

    «Divertente,» risponde seriosa, alzando gli occhi al cielo mentre il suo tono trasuda sarcasmo. «Basta deprimersi, Clea. Siamo qui per divertirci. Sputa il rospo così possiamo darti dei consigli e risolvere il problema.»

    «Non è così semplice.» Distolgo lo sguardo da lei, concentrandolo sul barman che sta lanciando in aria tre bottiglie di superalcolici per intrattenere un pubblico parecchio interessato. Tre ragazze stanno praticamente sbavando sulle loro birre.

    Il ringhio di Vannah riporta la mia attenzione su di lei. «‘Fanculo Nolan. Avrei dovuto saperlo che era colpa sua. Che ha combinato questa volta?»

    Fisso la mia migliore amica, mi viene in mente di aver già fatto una conversazione simile, non troppo tempo fa. Allora era lei quella in una situazione scomoda. Certo che le cose cambiano in fretta.

    Le altre mie due migliori amiche sono sedute in attesa. Audria si sporge in avanti, pronta a balzare sulle ultime indiscrezioni. Non che gliene faccia una colpa. È rimasta imbucata in un minuscolo paesino dell’Iowa per due anni. Mi scappa uno sbuffo di disapprovazione, è per me stessa. Ammetto che questa mia amarezza sia fomentata dall’invidia. Bampton Valley è molto carina, così come suo marito.

    Nel frattempo Presley è tutta un sorriso mentre ci ascolta battibeccare. Nei suoi giorni peggiori quella donna caga arcobaleni. Se fossi ottimista come lei, la mia situazione con Nolan sarebbe completamente diversa.

    Noi quattro non ci vediamo molto spesso da dopo che ci siamo laureate. È per questo che ci siamo parcheggiate intorno a uno dei tavoli traballanti di The Library. Era il nostro posto preferito quando frequentavamo il college. Il solo fatto di stare su queste impietose sedute di legno è un balsamo per i nostri problemi da adulte; come un rassicurante e caloroso abbraccio. Eppure sto comunque rovinando la serata comportandomi da guastafeste.

    ‘Fanculo Nolan sul serio.

    Dissipo l’atmosfera tossica con un’imprecazione silenziosa. È trascorsa solo mezz’ora. La serata non è per nulla finita.

    Nell’aria si spande l’odore di popcorn al burro, perdita di inibizioni e nostalgia. Faccio un grosso respiro, lasciando che i ricordi mi sommergano. Dopo aver studiato per ore, ci rifugiavamo qui per rilassarci. Che si trattasse di giocare a biliardo o sculettare sulla pista da ballo, questo bar è sempre stato una manna dal cielo per noi. Mi appare il ricordo di Tally e Nolan che ballavano nel loro salotto. Riesco quasi a sentire le risatine che le scappavano quando lui la sollevava mentre giravano vorticosamente, e come questo facesse girare loro la testa talmente tanto da farli cadere per terra. Lui era più partecipe allora, come dovrebbe esserlo un genitore. Quando sono tornata a casa è cambiato tutto. Forse sarebbe stato meglio se fossi rimasta via, se fossi passata a trovarli solo nei fine settimana.

    «E l’abbiamo persa di nuovo.»

    Grazie alla voce divertita di Presley mi scrollo dalla testa il ricordo. Dannazione. Quell’uomo riesce sempre a infilarsi nei miei pensieri, soprattutto quando non c’entra nulla.

    Vannah prende un lungo sorso dal suo drink. «La mia peggiore metà è bloccata a Chicago. Distraetemi, così che non mi venga voglia di chiamarlo come farebbe la mogliettina sottona in cui mi sta trasformando.

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