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Amori e Misteri - Raccolta Volume 2
Amori e Misteri - Raccolta Volume 2
Amori e Misteri - Raccolta Volume 2
E-book1.167 pagine17 ore

Amori e Misteri - Raccolta Volume 2

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Info su questo ebook

Per i lettori che non si accontentano di un solo romanzo ma ne vogliono leggere più di uno, per chi ama gli amori romantici e paranormali, le antiche leggende popolari e mitologiche, le storie fantasy e di fantascienza, per chi adora i racconti brevi di vari generi letterari, questa raccolta in ebook di 7 romanzi che mixano amore, passione, fantasia, mistero e paranormalità, e 17 racconti brevi con trame variegate e accattivanti è perfetta per stuzzicare la fantasia e appagare il desiderio di sognare leggendo. Tra romanticismo e surrealismo, la lettura piacevole è garantita! In aggiunta, una manciata di poesie contemporanee a conclusione della raccolta per una lettura che spazia da un genere letterario all’altro.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2017
ISBN9788826089546
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    Anteprima del libro

    Amori e Misteri - Raccolta Volume 2 - Paola Secondin

    Paola Secondin

    Amori e Misteri

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    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Note Editoriali

    Paola Secondin

    Amori e Misteri

    Raccolta di romanzi e racconti

    Copyright © Paola Secondin 2017

    © Tutti i diritti riservati all’Autore

    Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il previo assenso scritto dell’Autore.

    Quest’opera è il frutto della fantasia dell’Autore. Qualunque riferimento a luoghi e nomi di persona realmente esistenti o esistiti e a fatti o avvenimenti realmente accaduti è puramente casuale.

    Il segreto di Isabel

    1

    Quand’ero bambina, molto prima che i miei genitori lasciassero il Messico per trasferirsi in California e portarmi con loro, abitavamo in un quartiere popolare della periferia di Puebla. La nostra casa era una bassa costruzione dai muri in pietra viva che si affacciava su un cortile sterrato con un vecchio pozzo al centro. Nelle sere d’estate, quando il clima secco non scendeva mai al di sotto dei trenta grandi, le anziane donne che vivevano nelle case erette intorno al cortile si sedevano sui gradini dei portoni d’ingresso con i nipotini in grembo, e sciorinavano una dopo l’altra antiche leggende e storie popolari messicane. Una di loro, la più anziana, era solita portare in cortile una seggiola di legno e paglia per sedersi accanto al pozzo e recitare in silenzio il rosario dai grani di vetro rosso scuro che teneva fra le mani ossute e rugose. Il suo nome era Itzel, e di lei si sapeva molto poco. Era una donna che passava il suo tempo rinchiusa in casa, non parlava mai con nessuno, e sembrava non gradire essere disturbata dalle altre donne, per questo tutti la lasciavano sola limitandosi ad osservarla senza farsi notare troppo. Mia madre, Soledad, mi raccomandava sempre di non parlarle, quasi temesse che potesse dirmi o farmi chissà cosa, ma Itzel m’incuriosiva troppo, ed io, incurante degli ammonimenti di mia madre che ogni sera si appartava con mio padre José nella loro camera da letto dopo avermi spedita in cortile a giocare con gli altri bambini, gironzolavo attorno a Itzel ascoltando il mormorio delle sue preghiere. Lei mi osservava attraverso le palpebre semichiuse, e quando finiva di pregare si rimetteva il rosario nella tasca della gonna – vestiva sempre di nero, come fosse in lutto perenne – e alzava gli occhi al cielo contemplando il manto stellato sopra di lei. Io la imitavo, cercando di capire cosa cercasse in mezzo a tutte quelle stelle, e se talvolta i nostri sguardi s’incrociavano, allora lei mi sorrideva, per un brevissimo istante, per poi tornare seria e armeggiare con le forcine del suo bianco chignon. Una sera, con l’innocente curiosità tipica dei bambini, mi avvicinai e le chiesi: Cosa cerchi nel cielo?. Itzel abbassò la testa e rispose in un sussurro: Mio marito. Io la fissai. Tuo marito è una stella?, domandai. Itzel annuì con un movimento del capo. E cosa ci fa lassù?... È morto?, continuai. Itzel annuì di nuovo. E’ volato in cielo molto, molto tempo fa. Sollevai la testa fissando le stelle. E come lo riconosci?. Itzel sorrise. Non lo riconosco, ma so che lui mi guarda. Continuai a fissare le stelle, stupita da quella rivelazione. Sapevo che i morti salivano in cielo perché mia madre me lo aveva spiegato quando le avevo chiesto dove fossero i miei nonni, ma non mi aveva detto che diventavano delle stelle. E’ per lui che dici le preghiere con il rosario?. Certo. Prego perché venga presto a prendermi. Ma è diventato una stella, come può tornare sulla terra?. A volte capita. I morti ritornano in mezzo ai vivi per un breve momento. La guardai, nuovamente stupita. E come fanno?. Itzel sollevò una mano dal grembo e mi fece il gesto di avvicinarmi. Senza alcun indugio, la raggiunsi, e lei mi fece sedere sulle sue ginocchia. "Ascoltami bene Isabel, perché quello che sto per dirti è un segreto che pochissime persone conoscono. Quando a volte i morti ritornano, prendono il nome di spiriti inquieti. Sono anime tormentate, che si presentano a te ovunque tu sia e in qualunque momento, prima di lasciare questa terra e raggiungere il mondo celeste. Sono come gli angeli? Con grandi ali bianche e tanta luce intorno alla testa?. No, tesoro, non sono angeli. Gli spiriti inquieti sono diversi, sono persone che hanno da poco perso la vita e non possono raggiungere Dio prima di aver risolto certe questioni lasciate irrisolte. Hanno il volto delle persone che ami, sembrano ancora vivi ma in realtà sono già morti, e sanno di esserlo, per questo ritornano dai loro cari un’ultima volta prima di svanire per sempre. E tu come sai queste cose? Ne hai visto qualcuno?. Itzel mi accarezzò una guancia con il palmo della mano un po’ ruvido e i suoi occhietti piccoli e neri si fecero lucidi. Piccola Isabel, molti anni fa, quando ero giovane e bella come tua madre, ho conosciuto un ragazzo meraviglioso di nome Santiago. Era un operaio, lavorava in fabbrica, soprattutto di notte. Mi amava, e io amavo lui. Era un uomo onesto e semplice, proprio come avevo sempre immaginato che dovesse essere il mio futuro marito. Così l’ho sposato, e lui mi ha resa felice per molti anni, anche se non riuscivamo ad avere figli. Santiago riempiva la mia vita di gioia, non mi ha mai fatta piangere, era davvero un brav’uomo. Immaginavo che saremmo diventati vecchi insieme… Ma una notte d’inverno, mentre fuori nevicava e gelava, Santiago mi ha svegliata all’improvviso mentre dormivo profondamente, mi ha abbracciata forte, e con le lacrime agli occhi mi ha detto: Itzel, amore mio, guardami bene, perché questa è l’ultima volta che mi vedrai. Il mio furgoncino è uscito fuoristrada mentre tornavo a casa dal lavoro, le ruote sono scivolate sul ghiaccio che ricopriva l’asfalto e non ho potuto fare nulla per salvarmi. Sono morto, il canale mi ha inghiottito nelle sue acque gelide. Nessuno era lì per soccorrermi. Domani, quando troveranno il mio furgoncino, verranno a dirti che ti ho lasciato per sempre. Ecco perché sono qui adesso. Per dirti che mi dispiace di essere stato distratto mentre guidavo, per dirti che mi dispiace di doverti lasciare sola, e per dirti che ti ho amato fin dal nostro primo sguardo e che non smetterò mai di amarti. Sei stata l’unico grande amore della mia vita, e ti amerò per sempre. Itzel, ti prego, non addolorarti per me, non piangere la mia morte. Un giorno, quando sarà il momento, tornerò da te, verrò a prenderti, te lo giuro, e allora saremo di nuovo insieme, e saliremo in cielo. Ma fino ad allora, tu dovrai vivere e gioire anche per me. Vivi, Itzel. E se avvertirai la mia mancanza, guarda le stelle nel cielo notturno, io sarò lassù, in mezzo a loro, a guardarti dall’alto, in attesa di tornare da te. Ora riprendi a dormire, io devo andare, questo mondo non mi appartiene più. Addio Itzel, un giorno ci rivedremo. Te lo prometto. Dopo avermi detto queste parole, mi ha rimboccato le coperte e mi ha dato un bacio. Io l’ho guardato andare via, senza dire nulla, immaginando che fosse solo un sogno, e ho ripreso a dormire tranquilla. Il mattino dopo, quando mi sono svegliata, Santiago era ancora al lavoro e quindi ho creduto davvero di averlo sognato. Ma poco dopo, come lui mi aveva detto in sogno, ho sentito bussare alla porta di casa… E non era Santiago che tornava dal turno di notte, erano due uomini, un poliziotto e il medico del paese. Allora ho capito che era tutto vero, che Santiago era venuto a salutarmi un’ultima volta prima di salire in cielo, e che non l’avrei rivisto mai più… E’ stato il giorno più brutto della mia vita. Guardai Itzel che si asciugava gli occhi umidi con un lembo di fazzoletto ricamato e dissi: Che storia triste… Mi dispiace tanto per tuo marito. Lei mi accarezzò i capelli. Isabel, tesoro, questa è la vita. Prima o poi, tutti noi siamo destinati a lasciare la terra. Ma tu sei una bambina piccola, hai ancora così tanto, tanto tempo prima che uno spirito inquieto venga a farti visita! Guarda me, sono ancora qui, vecchia e dolorante, eppure viva, e Santiago non è ancora venuto a prendermi. Pensai ai miei nonni, che non avevo conosciuto, e mi domandai perché non fossero venuti a salutare mia madre e mio padre prima di salire in cielo. Itzel, tutte le persone che muoiono diventano spiriti inquieti?. Lei mi rispose subito. No Isabel, non tutti i morti diventano spiriti inquieti, solamente coloro che non hanno avuto il tempo di farsi perdonare dai loro cari prima di morire. Per questo Santiago è venuto da te? Cosa doveva farsi perdonare?. Penso che si sentisse in colpa per non avermi dato ascolto quando gli avevo detto di non uscire con il furgoncino con la neve e con il ghiaccio. Voleva chiedermi scusa, essere perdonato per aver commesso un grave errore. Se quella notte non fosse andato al lavoro, come tanti altri operai, non avrebbe avuto quell’incidente e non sarebbe morto, lasciandomi qui tutta sola, a vivere la mia vita senza di lui al mio fianco. Credo di aver capito… Itzel, tu hai perdonato Santiago?. Ma certo… Anche se sono stata arrabbiata con lui per un bel po’ di tempo. E adesso non lo sei più?. Lei scosse la testa e mi sorrise. Poi si mise la mano nella tasca della gonna e tirò fuori il suo rosario dai grani di vetro rosso scuro. Ti piace il mio rosario? Se lo vuoi, te lo regalo. Ma ad un patto. Non dovrai dire mai a nessuno quello che ti ho raccontato sugli spiriti inquieti. Dovrà restare un segreto fra me e te. Capito? Il tono di Itzel era serio, perciò le promisi che non ne avrei fatto parola con nessuno. Lo giuro. Croce sul cuore. Itzel mi prese la mano e vi depose il rosario, poi mi fece chiudere le dita a pugno. Nascondilo. E quando vorrai parlare con Dio, usalo e prega. Lui ti ascolterà. Va bene. Grazie Itzel", dissi, stringendomi il pugno contro il petto. Lei mi fece scendere dalle sue ginocchia e io corsi in casa per rifugiarmi nella mia cameretta e nascondere il rosario dove mia madre non l’avrebbe mai trovato.

    Dopo quella notte, Itzel riprese le sue abitudini consuete, ovvero sedersi accanto al pozzo, recitare il rosario, e guardare le stelle. Non ci parlammo più, tra noi vi furono solo silenziosi scambi di sorrisi e occhiatine complici.

    Un anno dopo, poco prima del mio ottavo compleanno, Itzel morì. Se ne andò una notte di primavera all’età di 95 anni, e sentii le anziane donne del vicinato dire tra di loro che il suo cuore si era fermato nel sonno e che il suo viso era sereno, quasi fosse contenta di essersene andata. Io sapevo il perché di quel sorriso sul viso di Itzel. Santiago era venuto a prenderla come le aveva promesso, e Itzel era morta felice, salendo al cielo mano nella mano con l’uomo che aveva amato e perduto prematuramente. Conservai con cura il suo rosario, e lo usai spesso per parlare con Dio nel corso della mia infanzia.

    Avevo 12 anni quando i miei genitori decisero di lasciare il Messico. Ci trasferimmo in California, a El Verano, nella Napa Valley, dove entrambi furono assunti come lavoranti presso il grande vigneto Viña Del Sol della ricca famiglia californiana dei fratelli Francisco e Ramòn Suarez. Ero ancora una bambina, ma custodivo dentro di me il grande segreto rivelatomi da Itzel sugli spiriti inquieti, e questo mi faceva sentire più saggia di tutti i miei coetanei.

    2

    Viña Del Sol era un luogo stupendo. Un vigneto rigoglioso che si stendeva a perdita d’occhio per più di seicento acri di terra e produceva un pregiato Cabernet Sauvignon custodito in enormi botti di legno ben disposte nelle cantine sotterranee della hacienda della famiglia Suarez. Fin dal primo giorno in cui misi piede a El Verano, nel cuore della Napa Valley, m’innamorai dei colori e dei profumi di quelle terre che maturavano grappoli d’uva succosi sotto il caldo sole della California. Lasciare il Messico era stato un nuovo inizio per i miei genitori; a Puebla mio padre José aveva lavorato come agricoltore saltuario nei polverosi campi coltivati a mais per un compenso insufficiente a mantenere la nostra famiglia, motivo per cui mia madre Soledad era stata costretta a trovarsi un impiego come operaia tessile in una fabbrica che produceva stoffe d’esportazione. Mettendo insieme i loro due salari erano riusciti ad arrivare a fine mese con notevoli sacrifici, senza farmi mai mancare nulla, fino al momento in cui mio padre aveva deciso che valeva la pena di trasferirsi in California e diventare dipendenti di Francisco e Ramòn Suarez. Viña Del Sol offriva lavoro a un centinaio di lavoranti, era un’azienda familiare fondata nel 1800 dal capostipite Felipe Suarez, un contadino di origini messicane che da una piccola radice di vite aveva creato una vigna capace di fruttare fama e denaro nel corso degli anni. Passata in eredità ai figli Pablo, Marcos e Anita, Viña Del Sol aveva continuato a crescere, ed ora il vasto vigneto era diviso in due parti uguali gestite rispettivamente da Francisco e Ramòn, i nipoti di Felipe, e dalle loro mogli Gabriela e Beatriz. Le due famiglie vivevano in una sola grande casa coloniale costruita sul punto più alto della valle in cui si estendeva la vigna e dominava l’intera proprietà terriera con la sua facciata bianca e i balconi tinti di verde. La finca, come veniva chiamata la casa padronale, ospitava al pianterreno gli alloggi dei dipendenti, modesti appartamenti con due camere da letto, un piccolo bagno, e una cucina con tinello. Accanto alla finca sorgevano i padiglioni per gli attrezzi e le macchine agricole, le stalle dei cavalli con il loro recinto da pascolo, e le salas de cosecha, ovvero i capanni dove si radunava il raccolto e si svolgeva la vendemmia con la pigiatura dell’uva dentro enormi tinozze, mentre le cantine erano scavate nei sotterranei della finca. Viña Del Sol divenne la mia nuova casa, e i miei genitori iniziarono subito a lavorare come guardiani dei filari di viti, raccoglitori d’uva, e vendemmiatori, con uno stipendio che ci permise di vivere senza sacrifici. La mia infanzia in Messico diventò ben presto un ricordo sbiadito, insieme con il quartiere popolare di Puebla rimpiazzato dalle valli soleggiate e verdeggianti di El Verano.

    Il giorno del mio quindicesimo compleanno, il 21 Giugno del 1989, ricevetti in dono dai miei genitori un giovane puledro dal manto color miele e il crine nero. Il regalo inaspettato era un gentile omaggio di Francisco e Gabriela Suarez, il patrón e la dueña di Viña Del Sol, che non avendo figlie femmine si erano particolarmente affezionati a me. Sebbene fossi una giovane adolescente messicana dalla pelle ambrata, i capelli castani ricci e ribelli, e gli occhi nocciola dal lieve taglio a mandorla, sia Francisco che Gabriela – di origini franco-spagnole – non avevano mai mostrato alcuna forma di discriminazione nei miei confronti, anzi, molto spesso Gabriela si fermava a parlare con me mentre passeggiavo nel giardino della finca o quando mi sedevo sulle panchine del cortile antistante gli alloggi dei dipendenti per fare i compiti con i quaderni sulle ginocchia. Era una donna raffinata dai lunghi capelli biondi sempre sciolti sulle spalle e gli occhi azzurri elegantemente truccati, i suoi modi di fare erano gentili, e trattava con riguardo tutti i lavoranti della hacienda. Il suo interesse per me era dovuto al fatto che il suo unico figlio, Alejandro, frequentava il college nella città di San Francisco e viveva nel campus studentesco. La sua lontananza da casa la rendeva triste e malinconica, e per questo riversava il suo affetto su di me, facendomi spesso dei regali – un vestito, un profumo, un braccialetto – e invitandomi all’interno della finca per insegnarmi a suonare il pianoforte o il violino, due strumenti che ella stessa suonava abilmente. Le attenzioni di Gabriela verso di me non infastidivano mia madre, anzi, le faceva piacere che ricevessi un’istruzione musicale sommata agli insegnamenti che acquisivo presso la scuola pubblica per immigrati messicani di El Verano. Quel giorno, quando ricevetti in regalo il puledro, la mia gioia fu immensa, e dopo aver ringraziato i miei genitori corsi immediatamente a cercare Gabriela. Con mia sorpresa, la trovai nel soggiorno di casa con il patrón Francisco e un ragazzo alto e magro dai capelli biondi tagliati corti che assomigliava a Gabriela nei tratti del viso e nello sguardo azzurro. Imbarazzata, dissi tutto d’un fiato:

    " Patrón, dueña… Scusatemi se sono entrata senza bussare. Volevo solo ringraziarvi di cuore per il vostro meraviglioso regalo di compleanno… Il puledro è bellissimo, lo adoro, grazie infinite."

    Non aggiunsi altro e scappai via di corsa, tornando al recinto dei cavalli dove mi attendevano i miei genitori. Poco dopo, rimasta sola con il puledro, sentii dei passi alle mie spalle e mi voltai.

    " Hola, chica… Come ti chiami?"

    Era il ragazzo che avevo visto insieme a Francisco e Gabriela, e sebbene non l’avessi mai incontrato prima di allora, già sapevo chi era.

    Il mio nome è Isabel… Isabel Fernandez.

    Io sono Alejandro. Il figlio dei Suarez.

    Lo guardai, mentre lui squadrava me dalla testa ai piedi.

    "Sei guapa, quanti anni hai?"

    Quindici. Li compio oggi.

    Sembri più grande, osservò lui fissandomi il seno messo in evidenza dalla maglietta aderente che indossavo sopra gli shorts di jeans. Forse voi ragazze messicane diventate donne più in fretta.

    Fissai il mio puledro e ignorai volutamente Alejandro Suarez. Sapevo che aveva diciotto anni, e anche lui sembrava più adulto, ma il suo commento non mi era piaciuto, non era quello il modo di presentarsi a una perfetta sconosciuta.

    Hey, ti sei offesa?... Ti ho fatto un complimento, non volevo insinuare nient’altro.

    Non mi piace come mi guardi.

    Oh, scusami… E’ solo che sei carina, ho pensato che ti facesse piacere sentirtelo dire. E comunque, buon compleanno.

    Mi voltai a guardarlo. Non sembrava affatto uno studente modello di Berkeley un po’ fricchettone come me l’ero immaginato. Era bello, un tipico ragazzo degli stati uniti del Sud in t-shirt e blue-jeans con uno Stetson bianco sulla testa e stivali di cuoio da mandriano ai piedi. Mi ricordò James Dean nel film Il gigante, aveva la sua stessa aria da ribelle e lo sguardo da sbruffone combina guai.

    Grazie, mormorai, lisciando la criniera del mio puledro.

    Mio padre ha scelto un bel cavallo per te. Gli hai già dato un nome?

    Non ancora.

    Il mio si chiama Apache. E’ un cavallo più grande di questo, e ha il manto più scuro. E’ il figlio di uno stallone selvaggio di razza Mustang che mio padre ha acquistato da un allevatore texano.

    Anche il mio puledro è di razza Mustang?

    Alejandro si appoggiò alla staccionata con le braccia piegate e guardò il mio cavallo per un paio di secondi.

    Tutti i puledri che nascono qui sono figli di cavalli Mustang, è la razza migliore, sono veloci e resistenti. Gli Indiani d’America li cavalcavano per cacciare i bufali delle Grandi Pianure. Osserva le sue zampe… Vedi come sono slanciate e muscolose? E’ la qualità principale dei cavalli Mustang, sono nati per correre.

    Accarezzai il mio puledro e lo immaginai mentre galoppava nelle immense praterie del vecchio west, libero e selvaggio.

    Ho deciso, lo chiamerò Cheyenne, dissi, senza pensarci due volte.

    Alejandro sorrise. Ottima scelta. D’ora in poi avremo tre cavalli con nomi indiani qui a Viña Del Sol. Apache, Cheyenne, e Sioux, il cavallo pezzato di mio cugino Esteban.

    Esteban Suarez era il figlio di Ramòn e Beatriz, aveva la stessa età di Alejandro e anche lui studiava a Berkeley. L’avevo visto una volta sola, durante la vendemmia dell’anno precedente, mentre aiutava suo padre Ramòn. A differenza di Alejandro, Esteban aveva i capelli e gli occhi castani come la madre Beatriz, e come lui, era un ragazzo molto carino. Non avevo mai avuto l’occasione di parlargli, ma sapevo che lui mi aveva notata. A volte mi chiedevo perché a Viña Del Sol tutti gli occhi fossero puntati su di me. Non ero l’unica messicana che viveva nella vigna, eppure il mio nome era sulla bocca di molti. Mio padre ripeteva spesso a mia madre che la mia bellezza stava sbocciando e che sarei presto diventata una splendida donna capace di far girare la testa agli uomini. Cominciavo a pensare che avesse ragione, anche se ogni volta che mi guardavo allo specchio vedevo solo una ragazzina messicana uguale a tante altre, forse solo un po’ più carina.

    Allora, Isabel Fernandez, vuoi provare a montare il tuo Cheyenne?

    La voce di Alejandro mi riportò alla realtà.

    Non ho mai cavalcato un cavallo, non da sola.

    E dov’è il problema? Ci sono io qui con te.

    Prima che potessi replicare, Alejandro aveva già scavalcato la staccionata del recinto e sciolto le redini di Cheyenne.

    Coraggio, salta dentro! T’insegno io a montare il tuo puledro.

    Esitai. Non mi farai cadere, vero?

    Nemmeno per sogno, fidati di me.

    Fu in quell’istante che per la prima volta nella mia vita riposi la mia fiducia nelle mani di Alejandro Suarez, gettando le basi per quella che sarebbe stata la mia prima storia d’amore.

    3

    Le stagioni si susseguivano una dopo l’altra a El Verano mutando l’aspetto e i colori dei vigneti che caratterizzavano il paesaggio della Napa Valley. Allo stesso modo, la mia vita seguiva il suo corso regalandomi momenti di felicità assoluta. Alejandro Suarez divenne il mio punto di riferimento, prima come amico, e poi come innamorato. Dopo il nostro primo incontro, le sue visite a Viña Del Sol si fecero sempre più frequenti. Ogni weekend tornava a El Verano soltanto per stare con me, limitandosi a frequentare il college di San Francisco nei giorni settimanali, e il suo arrivo era sempre preceduto da una sensazione di trepidante attesa che mi faceva capire quanto lo amassi. La passione per i cavalli fu la scintilla che fece scoccare il fuoco del nostro amore. Prendevamo Apache e Cheyenne al sorgere del primo sole e ce ne andavamo via insieme trascorrendo la giornata intera a cavalcare nel cuore delle vallate di El Verano, Sonoma e Napa. Ritornavamo alla hacienda sempre dopo il tramonto, strigliavamo i cavalli prima di riportarli nei loro box all’interno delle stalle, e quando la sera era ormai calata ci salutavamo sul portico della finca con la promessa di rivederci all’alba del giorno seguente. La nostra intima amicizia era sotto gli occhi di tutti e sebbene fossimo entrambi due adolescenti nessuno si oppose mai alle nostre uscite a cavallo solitarie o alle serate che trascorrevamo passeggiando mano nella mano tra i filari di viti carichi di grappoli d’uva raccontandoci segreti, sogni e desideri. Alejandro era un ragazzo gentile e fin troppo educato, e se non fosse stato per me, messicana dal sangue caliente, il nostro primo bacio non sarebbe mai arrivato.

    Accadde un pomeriggio di fine Agosto, mentre ci trovavamo al piccolo lago compreso nei possedimenti della famiglia Suarez. Apache e Cheyenne pascolavano tranquilli lungo le rive erbose del laghetto, mentre io e Alejandro, in costume da bagno, facevamo a gara a chi riusciva a compiere un tuffo perfetto saltando dal pontile in legno come fosse un trampolino. L’acqua era piacevolmente fresca, e dopo i tuffi rimanemmo in ammollo a nuotare e a schizzarci come due bambini infantili. Non ci accorgemmo nemmeno delle nubi che rapidamente oscurarono il sole sospinte dal vento e in pochi attimi grosse gocce di pioggia iniziarono a scendere dal cielo crivellando la superficie del lago. Sorpresi da quel temporale improvviso, uscimmo dall’acqua di corsa rabbrividendo a causa delle folate di vento e pioggia che ci investivano e raggiungemmo la riva trovando riparo nel piccolo capanno da pesca costruito accanto al pontile.

    Abbiamo lasciato i vestiti là fuori!, esclamai, tremando come una foglia. Corri a prenderli prima che si inzuppino!

    Lascia perdere i vestiti, copriamoci con questa.

    C’era una coperta appesa a una parete del capanno, Alejandro la prese e si affrettò a gettarmela sulle spalle, poi ne afferrò un lembo e si infilò sotto stringendosi a me.

    Senti ancora freddo?, mi chiese, cingendomi la vita con un braccio sotto il ruvido tessuto di lana grezza.

    Lo fissai negli occhi azzurri come il cielo e pensai che non c’era al mondo un viso più bello del suo.

    Alejandro…, sussurrai, mentre lui mi osservava in silenzio. Tu mi piaci, mi piaci molto.

    Lo so… L’ho capito da tempo. Anche tu mi piaci, Isabel.

    Allora cosa aspetti a baciarmi?

    Lui sorrise. Aspettavo che tu me lo chiedessi.

    Nell’esatto istante in cui un tuono squarciò il silenzio con il suo boato, Alejandro chinò la testa verso di me e io mi sollevai in punta di piedi per incontrare la sua bocca. Un brivido sconosciuto mi percorse il corpo quando le nostre labbra si unirono premendo le une sulle altre. Fu un primo bacio morbido e dolce, che si prolungò finché i nostri denti non si toccarono. Allora mi ritrassi, ma solo per perdermi negli occhi di Alejandro, e subito dopo gli gettai le braccia al collo e premetti nuovamente la mia bocca sulla sua. Ci baciammo di nuovo, e questa volta anche le nostre lingue si sfiorarono. Fuori continuava a piovere e tuonare, e noi due dentro il capanno scoprivamo che baciarci e toccarci era un gioco meraviglioso che non avremmo mai voluto far finire.

    Dopo quel giorno, ogni occasione divenne il momento ideale per scambiarci baci e carezze. Non aveva importanza dove eravamo. Alejandro mi afferrava alla vita e si impossessava della mia bocca, Succedeva nei box delle stalle, sotto i portici della finca, nel giardino fiorito adiacente al cortile d’ingresso, sui gradini della porta di casa mia, tra i filari di viti, negli scantinati silenziosi dove riposavano le botti colme di vino. Una sera ci rifugiammo nel fienile accanto alle stalle e ci rotolammo sulla paglia arrivando quasi al punto di fare l’amore. Ci interruppe un rumore proveniente dall’esterno.

    Hai sentito?, bisbigliai, irrigidendomi fra le sue braccia.

    Tranquilla, sarà stato un gatto randagio.

    A me sembravano dei passi… Forse qualcuno ci stava spiando.

    Non credo. A quest’ora sono tutti dentro casa a cenare.

    Non lo so… Ho avuto la sensazione che non fossimo soli.

    Alejandro mi accarezzò le labbra con un lieve bacio, ma io mi scostai.

    Fermati, non mi va più…, gli dissi, scivolando via da lui e sistemandomi la camicetta sbottonata e la gonna sollevata fin sopra le cosce.

    Isabel, aspetta, non rivestirti… Ci stavamo divertendo… Dai, riprendiamo da dove ci siamo fermati.

    No, voglio tornare a casa. E poi è troppo presto.

    Troppo presto per cosa?

    Per fare l’amore… Ci siamo andati vicini, e io non mi sento ancora pronta.

    Di cosa hai paura?

    Non ho paura di niente. Solo non voglio che succeda questa sera.

    Allora rimandiamo a domani? Possiamo farlo in camera mia, al sicuro da chiunque.

    Con i tuoi genitori al piano di sotto? Non ci penso proprio!

    Troviamo un altro posto, magari il capanno giù al lago.

    Mi voltai a guardarlo, infastidita dalla sua insistenza.

    Perché hai tanta fretta di fare l’amore?

    Io non ho fretta, è solo che… Ti desidero da impazzire.

    Tutto qua? E’ solo desiderio che provi per me?

    Certo che no, lo sai che io…

    Tu cosa?... Avanti, dillo.

    Alejandro si mise a sedere accanto a me e mi guardò dritta negli occhi reggendomi il mento fra due dita.

    Io ti amo, Isabel Fernandez.

    Ecco, l’aveva detto finalmente! Erano le parole che aspettavo di sentirgli dire fin dall’inizio.

    Anch’io ti amo, Alejandro Suarez.

    Lo baciai sulla bocca ancora gonfia di baci e lui mi ricambiò con trasporto. Sapevo che il suo sentimento era sincero, e sentirgli dire che mi amava mi rendeva ancora più sicura.

    Dammi ancora un po’ di tempo. Voglio che la nostra prima volta sia speciale, da ricordare per sempre. Okay?

    Va bene, aspetterò. Nessun problema.

    Dopo quella promessa, Alejandro mi riaccompagnò a casa e mi salutò con un ultimo bacio prima di scivolare via nell’oscurità della notte. Il mattino seguente, Lunedì, Alejandro ripartì per San Francisco prima che albeggiasse, e al mio risveglio iniziai a contare le ore che mi separavano da lui. Era solo una settimana, ma per una ragazzina innamorata il tempo sembrava non passare mai.

    Con l’arrivo del mese di Settembre, le uve già mature furono raccolte dal vigneto e il patrón Francisco annunciò che era tempo di prepararsi per la prima vendemmia dell’anno. La cosecha era per i viticoltori della Napa Valley un momento di gran festa, e sebbene vivessi a El Verano già da quattro anni, non avevo mai partecipato attivamente alla pigiatura dell’uva nelle tinozze, limitandomi a guardare le altre donne, compresa mia madre Soledad, che saltellavano a piedi nudi sui grappoli d’uva assieme agli uomini in quello che sembrava un momento di divertimento e una sorta di danza rituale. Quell’anno però, Alejandro sarebbe tornato dal college in tempo per partecipare alla cosecha e mi aveva chiesto in anticipo di unirmi a lui. Aspettavo trepidante che giungesse il Venerdì sera per vederlo arrivare alla hacienda a bordo di un taxi giallo, e quando il telefono di casa suonò mentre stavo cenando con i miei genitori andai a rispondere senza sapere che stavo per ricevere una cocente delusione. Era Alejandro. Mi chiamava dal campus del college per dirmi che non sarebbe potuto tornare a El Verano per almeno tre settimane. Doveva sostenere degli esami importanti che aveva rimandato più volte per passare i weekend con me. Il dispiacere nella sua voce era palpabile, purtroppo quegli esami erano determinanti per mantenere alto il livello dei suoi voti scolastici e lasciare San Francisco era impensabile. Con il cuore pesante nel petto accettai il fatto che non l’avrei rivisto prima di ventun giorni e che ci saremmo persi la gioia della prima cosecha dell’anno. Mi consolai con la consapevolezza che la vendemmia si sarebbe svolta anche nel mese di Ottobre e sperai che Alejandro potesse tornare in tempo per partecipare almeno all’ultima cosecha.

    Quasi fosse uno scherzo del destino, al posto di Alejandro fu suo cugino Esteban a tornare dal college quel Venerdì sera. Era tornato apposta per la cosecha, avvenimento a cui aveva partecipato tutti gli anni da quando vivevo a Viña Del Sol. Non ne aveva mai persa una, e a differenza di Alejandro, Esteban dimostrava un maggiore attaccamento per la sua terra e le tradizioni legate ad essa. Sembrava nato per lavorare il terreno e coltivare la vigna, la passione per la vita agricola scorreva nel suo sangue molto più intensamente rispetto ad Alejandro. L’arrivo di Esteban fu accolto con la solita gioia da parte del padre Ramòn e della madre Beatriz, e prima di entrare nella finca si soffermò sui gradini per lanciarmi uno sguardo di apprezzamento e sollevare una mano sopra la testa in segno di saluto. Lo ignorai volutamente, anche se una parte di me provava un insolito piacere nel sapere che almeno lui sarebbe stato presente alla festa della cosecha. Soffocai quella sensazione sul nascere e trascorsi la notte a fissare il soffitto della mia camera pensando ad Alejandro.

    4

    Il giorno della vendemmia iniziò all’insegna di un sole splendente che illuminava il vigneto e delle voci allegre delle numerose donne che raccoglievano i grappoli d’uva matura intonando canzoncine spagnole che non conoscevo ma capivo. L’atmosfera era festosa, quasi febbricitante, e soprattutto contagiosa. Alejandro mi mancava, ma non volevo che la sua assenza rovinasse quel giorno gioioso. Uscii di casa in shorts e canotta con i capelli raccolti in una coda bassa e mi diressi al recinto dei cavalli per andare a salutare Cheyenne. Gli stallieri l’avevano già fatto uscire dal suo box e lo trovai accanto allo steccato del recinto in attesa del mio arrivo.

    Ciao bello!, lo salutai, accarezzandogli il muso con le mani.

    Dici a me, per caso?

    La voce che aveva parlato era quella di Esteban Suarez. Era al centro del recinto, intento a strigliare il manto pezzato del suo Sioux, uno Stetson nero calato sulla testa, il torace nudo abbronzato, blue-jeans sbiaditi e stivali di cuoio con intarsi rossi.

    Parlavo con il mio cavallo, non con te, risposi acidamente.

    Esteban lasciò cadere a terra la spazzola da strigliatura e raggiunse lo steccato, quindi sollevò la falda scura del cappello per scoprire il volto e gli occhi di un nocciola quasi dorato.

    "Ciao messicana", fu il suo saluto sfacciato.

    Mi chiamo Isabel, nel caso non lo sapessi.

    "So benissimo come ti chiami. Isabel Fernandez, la bellissima messicana di Puebla."

    Smettila di chiamarmi messicana.

    Ti da fastidio? Tu sei una messicana, o sbaglio?

    E allora? Devi per forza ricordarmelo?

    Ti vergogni di quello che sei?

    Certo che no! Sono orgogliosa di essere messicana. Ma non mi piacciono i razzisti come te.

    Non sono un razzista. Tu non sai nulla di me.

    Si tolse il cappello dalla testa e si passò una mano fra i capelli folti e mossi di un castano quasi ramato. Aveva un aspetto selvaggio, un po’ rude, sembrava un uomo già fatto.

    Non dovresti essere al college come Alejandro?

    Io detesto studiare. Amo la mia terra e voglio fare il viticoltore. Un giorno Viña Del Sol sarà mia.

    Solo per metà. Alejandro avrà la sua parte.

    Ovviamente. Mio cugino gestirà gli affari seduto dietro una bella scrivania di mogano lucidato mentre io mi sporcherò le mani lavorando nella vigna.

    Stai forse insinuando che Alejandro non sarà all’altezza di coltivare il vigneto come farai tu?

    Non ho detto questo. Io e mio cugino siamo diversi.

    E tu credi di essere migliore di lui.

    Può darsi… Il tempo lo dimostrerà.

    Accidenti, borioso il ragazzo.

    Sei sempre così sicuro di te?

    E’ la mia qualità migliore.

    La peggiore, vorrai dire.

    Lui sorrise guardandomi maliziosamente.

    Dovresti conoscermi meglio, sai? Non sono così male come credi. Potrei perfino piacerti.

    Non credo proprio. Non sei il mio tipo. E comunque io sto con Alejandro, sono la sua ragazza.

    Sì, lo so. Vi ho visti insieme più di una volta.

    Lo guardai stizzita, con la sensazione che avesse violato la nostra privacy senza farsi vedere.

    Ti sei divertito a spiarci?

    Lui rispose alla mia domanda con un sorriso beffardo.

    I miei occhi sono ovunque… Specialmente quando cala la sera.

    Il ghigno furbastro che si dipinse sulla sua faccia da schiaffi mi fece sorgere un sospetto.

    Aspetta un attimo. C’eri tu al fienile la settimana scorsa? Sei stato tu a fare rumore mentre noi due… Insomma, eri tu che ci guardavi?

    Lui si strinse nelle spalle con aria falsamente innocente.

    Passavo di lì per caso… Ma non ho visto nulla, non preoccuparti.

    L’idea che Esteban ci avesse guardati mentre stavamo quasi per fare l’amore mi fece ribollire il sangue nelle vene.

    Ma che razza di pervertito sei?

    Lui fece spallucce.

    "Veramente era Alejandro che voleva scoparti quella sera, non io. Forse è lui il pervertito."

    Mi sentii offesa. Lui mi ama. E quello che facciamo insieme non ti riguarda, puntualizzai, in difesa di Alejandro.

    D’accordo, hai ragione, non sono affari miei. Però lascia che ti dica una cosa… Hai scelto il cugino sbagliato, quello meno divertente.

    La sua eccessiva insolenza mi fece perdere le staffe.

    Vai al diavolo Esteban.

    Mi voltai di scatto abbandonando il recinto, e sentii la sua voce urlarmi alle spalle:

    "Ci vediamo più tardi, messicana! Ti aspetto alla cosecha! Voglio vederti ballare nella tinozza insieme alle altre donne!"

    Sognatelo!, pensai dentro di me, e andai in cerca di mia madre che stava lavorando tra i filari di viti per aiutarla a raccogliere i grappoli d’uva e non pensare ad Esteban Suarez. Era davvero insopportabile. Dovevo assolutamente stargli alla larga! I miei buoni propositi di evitare qualunque altro contatto con Esteban Suarez per il resto della giornata svanirono completamente nell’attimo in cui varcai la soglia della sala de cosecha. Le tinozze colme di grappoli d’uva erano già state riempite per la pigiatura e le donne si stavano preparando a dare inizio alla danza della cosecha, mentre alcuni uomini seduti su panche di legno imbracciavano le loro chitarre classiche pronti a suonare e cantare per tutto il tempo. Era il tardo pomeriggio, il sole tingeva d’arancio tutte le cose, il profumo d’uva impregnava l’aria mischiandosi all’aroma intenso della terra scaldata dal sole. E al centro di una delle quattro tinozze, Esteban se ne stava in piedi con i jeans arrotolati fin sotto le ginocchia, pronto a dare il via alla pigiatura insieme al padre Ramòn e alla madre Beatriz che si reggeva la gonna con le mani scoprendo le belle gambe. Prima che Esteban mi vedesse, scivolai in un angolo con l’intento di starmene in disparte a guardare la vendemmia che stava iniziando. Ma nell’arco di mezz’ora la musica e i canti riempirono il silenzio dando vita a un clima festoso, e il desiderio di partecipare a quella celebrazione prevalse su tutto il resto. Mia madre saltellava ridendo dentro una tinozza insieme con le altre donne e mio padre la incitava dal basso battendo le mani a tempo di musica. Uscii dall’ombra e mi avvicinai alla tinozza con Ramòn, Beatriz ed Esteban. Lui mi vide subito. Si fermò un istante, quindi allungò un braccio verso di me e disse:

    "Vieni a ballare, messicana! I tuoi piedi ci servono!"

    Esitai per un momento, poi mi levai i sandali e sciacquai i piedi in una bacinella di acqua mista a disinfettante. Guardai Esteban, il suo viso ammiccante che mi sorrideva, la sua mano tesa verso di me… e mi gettai alle spalle tutto quello che avevo provato in mattinata per lui. Afferrai la sua mano, lui mi strinse forte le dita nelle sue, mi appoggiai al bordo della tinozza e feci leva sui piedi per darmi slancio. L’istante seguente mi ritrovai a calpestare i grappoli d’uva che scivolavano sotto i miei piedi schiacciandosi e spremendosi.

    Oddio, reggimi!, esclamai, afferrando anche l’altra mano di Esteban. I miei piedi affondano! Cosa devo fare?

    Muovi le gambe e saltella sui piedi, forza, è come ballare!

    Ma si scivola, sento i chicchi viscidi sotto i piedi!

    Non farci caso, pensa solo a ballare!

    Feci esattamente quello che lui mi diceva, imitai i suoi movimenti, e lui mi sorresse per tutto il tempo, finché non capii cosa dovevo fare e allora iniziai davvero a danzare sui grappoli seguendo il ritmo della musica. Era una sensazione indescrivibile, strana ma bellissima.

    Allora? Ti stai divertendo?, mi chiese Esteban, che mi teneva per mano e mi conduceva in cerchio lungo il perimetro della tinozza.

    E’ bellissimo!, risposi, ridendo felice.

    Guardai Esteban, i suoi capelli ribelli che gli incorniciavano il viso, gli occhi che brillavano come stelle, il suo torace nudo e muscoloso reso lucido dalle gocce del succo degli acini spremuti, e solo allora vidi com’era veramente: un ragazzo che amava la sua terra, nato per coltivarla e per coglierne i frutti, un ragazzo all’apparenza arrogante che in realtà si rivelava semplice e modesto.

    Scusami per questa mattina, non volevo mandarti al diavolo. Mi dispiace di essere stata scortese con te, gli dissi, accostandomi al suo viso per farmi sentire nel caos della musica e dei canti.

    Non scusarti Isabel, è tutto dimenticato.

    Mi sorrise, e da quel momento il pensiero di Alejandro lontano da me e da Viña Del Sol svanì di colpo sostituito dall’ebbrezza di essere lì a festeggiare la prima cosecha dell’anno. La festa finì quasi all’alba. Al termine della pigiatura, durata almeno un paio d’ore, uomini e donne si erano spostati nel grande cortile della finca dove erano stati disposte in precedenza grandi tavolate traboccanti di ogni sorta di pietanza, dalla carne alla brace al pesce affumicato, verdure grigliate e in insalata, macedonie di frutta e tanto buon vino. La cena comunitaria che seguiva la vendemmia era altrettanto importante, e quella sera ebbi modo di mangiare in compagnia dei miei genitori seduta allo stesso tavolo dei componenti della famiglia Suarez. Era un vero peccato che Alejandro non fosse presente, ma Esteban fece di tutto per non farmi sentire la sua mancanza. Scoprii che era un ragazzo molto simpatico che amava scherzare e raccontare episodi divertenti inventati e realmente accaduti, mi rivelò che aveva intenzione di lasciare il college definitivamente e iniziare a lavorare a Viña Del Sol assieme ai dipendenti del padre Ramòn, mi parlò della sua passione per i rodei texani e del suo sogno di vincerne uno cavalcando un Mustang selvaggio. Quando terminammo di cenare, mi trascinò al centro del cortile e m’insegnò a ballare il two-steps e la line-dance che aveva imparato bazzicando i locali country del Sud degli Stati Uniti. Ballammo anche un lento, ritrovandomi stretta contro il cotone leggero della sua t-shirt e premuta contro il suo corpo accaldato. Mi piacque essere al centro della sua attenzione, aveva il potere di farmi sentire a mio agio e mi trattava come una donna, comportandosi da uomo maturo. Esteban era l’opposto di Alejandro; impulsivo, audace, sicuro di se stesso, provocante, malizioso e molto sexy. Quasi mi dispiacque quando la festa giunse al termine e dovetti salutare Esteban sulla soglia di casa. Mi lasciò strappandomi la promessa di una cavalcata insieme fino al lago del vigneto per il giorno seguente, e accettai la sua proposta con piacere. Mi stesi a letto sfinita e con le gambe doloranti, e mi addormentai mentre i primi albori del nuovo giorno tingevano di rosa le pareti della mia stanza.

    5

    I giorni volarono, e le tre settimane che separavano Alejandro dal suo ritorno a Viña Del Sol giunsero al termine. Non mi vergognavo di ammettere che avevo passato quei ventun giorni in compagnia di Esteban tra lunghe cavalcate e divertenti nuotate al lago, caldi pomeriggi trascorsi a parlare con lui distesa al suo fianco sulla paglia del fienile e fresche nottate consumate passeggiando tra i filari del vigneto o ballando il two-steps sotto la pergola dei kiwi al ritmo di canzoncine country che uscivano dalle casse di una radio portatile. Esteban si era dimostrato un perfetto gentiluomo e un amico sincero, rispettando il fatto che fossi sentimentalmente legata ad Alejandro. Aveva avuto mille occasioni per approfittarsi di me, eppure non lo aveva fatto, dimostrando di essere leale nei confronti di suo cugino. Sapevo di poter contare su di lui, e l’amicizia che avevamo stretto era tanto importante quanto il mio amore per Alejandro.

    Quando giunse il weekend, pensai di telefonare al dormitorio del campus del college di Alejandro per risentire la sua voce e chiedergli se fosse in procinto di lasciare San Francisco. Dopo che ebbi composto il numero della sua stanza, al terzo squillo rispose la voce di una ragazza. Immaginai di aver sbagliato numero, ma lei mi chiese chi fossi e chi stessi cercando. Allora risposi che mi chiamavo Isabel e che volevo parlare con Alejandro. La ragazza, che si chiamava Susan, mi disse:

    "Mi dispiace, in questo momento Alejandro non può venire al telefono, si è appena infilato in bagno per farsi la doccia. Ma se

    vuoi puoi lasciargli un messaggio."

    Perdonami, ma con chi sto parlando?, chiesi, insospettita dal fatto che quella ragazza fosse nella stanza di Alejandro.

    Te l’ho già detto, mi chiamo Susan.

    Sei un’amica di Alejandro?

    Ci fu una risata divertita al di là della cornetta.

    Spiacente, non sono affatto una sua amica, sono la sua ragazza. Tu piuttosto, chi cavolo sei? E perché telefoni a quest’ora del mattino? Stavamo dormendo, ci hai svegliati entrambi con la tua chiamata.

    Rimasi impietrita e senza parole ma trovai la forza di chiedere:

    Tu e Alejandro state insieme? E dormite nella stessa stanza?

    Mi sembra ovvio! E’ il mio ragazzo, dove dovrei dormire se non nel suo letto?

    Non potevo crederci. Alejandro aveva una ragazza. Che dormiva con lui, nel suo letto. E con cui di certo faceva l’amore.

    Scusami se ho telefonato… Io… Sono solo un’amica di famiglia, non dirgli che ho chiamato, mormorai, cercando di trattenere le lacrime.

    Come vuoi. Nessun messaggio da riferirgli?

    No… Io… Volevo solo sapere se aveva intenzione di tornare a El Verano quest’oggi… Nient’altro.

    Ho capito. Bè, puoi dire a sua madre che forse tornerà la settimana prossima, oggi ce ne andiamo a Los Angeles a prendere il sole e a fare un po’ di surf, perciò non tornerà a casa questo weekend.

    Oh… Va bene… Grazie per l’informazione.

    Schiacciai il pulsante d’interruzione di chiamata con un dito e rimasi con la cornetta in mano per alcuni secondi, incapace di reagire. Che stronzo… Mi ha fatto credere che mi amava… E invece una ragazza ce l’ha già… Bastardo!. Sbattei la cornetta sul telefono con forza e mi gettai fuori di casa correndo, gli occhi pieni di lacrime che mi offuscavano la vista e il cuore rotto in mille pezzi che mi faceva un male cane. Avrei voluto gridare per sfogare la mia rabbia, ma mi sentivo soffocare, mi mancava il fiato. Raggiunsi la finca e bussai alla porta di Ramòn e Beatriz Suarez. Una domestica ispanica venne ad aprire e con un filo di voce le domandai se Esteban fosse nella sua stanza. Alla sua risposta positiva, entrai in casa e salii di corsa la scalinata che conduceva al piano superiore, poi bussai alla porta della camera da letto di Esteban. Quando lui spalancò la porta, con i capelli umidi e solamente un telo da bagno allacciato in vita, gli gettai le braccia al collo e crollai contro di lui.

    Isabel, cosa succede?

    Abbracciami. Ti prego, stringimi forte.

    Riuscii a dire solo queste parole, dopodiché scoppiai a piangere fra le sue braccia come una bambina disperata. Più tardi, distesa sul letto sfatto di Esteban con la faccia rivolta al soffitto, cercavo di riprendere a respirare normalmente dopo aver pianto e singhiozzato senza interruzione per una buona mezz’ora. Esteban era sdraiato di pancia accanto a me, puntellato sui gomiti, e giocherellava con una ciocca bruna dei miei capelli sparsi sul suo cuscino.

    Tu lo sapevi… E’ così?. Mi voltai, e incontrai i suoi occhi. Sapevi che Alejandro si vedeva con un’altra ragazza?

    In realtà pensavo che lui e Susan si fossero lasciati… Ma Alejandro non mi dice sempre tutto, c’è molta rivalità tra noi due, e io cerco sempre di farmi gli affari miei. La sua storia con Susan è iniziata due anni fa e tra loro per quanto ne so è un continuo tira e molla… Si lasciano, si riprendono, litigano, fanno pace… Lei è una tipa tosta e riesce a manovrare Alejandro come vuole. Credo che non si lasceranno mai definitivamente, Susan gli piace troppo.

    Sospirai, affranta. Ha detto che mi amava… Sembrava così sincero, così innamorato di me… E invece mi ha solo presa in giro, e io gli ho creduto come una stupida!

    Non è colpa tua, non potevi sapere che ti stava mentendo.

    Sono stata un’ingenua, come al solito. Avrei dovuto immaginare che un ragazzo come Alejandro non poteva amare sul serio una insignificante messicana come me.

    "Hey, guarda che Susan non è nulla di speciale. E’ la classica bionda californiana tutta curve e sorriso da Barbie che attira l’attenzione dei maschi, ma il suo quoziente intellettivo è piuttosto basso. E’ superficiale, s’interessa soltanto di vestiti alla moda, shopping sfrenato e french manicure, onestamente non so perché ad Alejandro piaccia così tanto… Probabilmente è solo per il sesso."

    Che vuoi dire? Che ci sa fare a letto?

    "Bè, sì… Insomma, non è pudica come te, Susan è quel genere di ragazza che ci sta al primo appuntamento e che sotto le lenzuola fa tutto quello che le chiedi, specialmente certi lavoretti con la bocca, non so se mi spiego…"

    "Oh, che schifo! Non riesco a credere che Alejandro faccia coppia fissa con una desvergonzada del genere! Certe cose io non le farò mai, con nessun uomo, nemmeno con quello che sposerò!"

    Dici così perché non hai ancora incontrato il ragazzo giusto per te. Quando t’innamorerai veramente di qualcuno capirai che il sesso è un bel gioco se fatto con amore e passione.

    Nessuno mi amerà, non sono abbastanza bella… E poi sono una frana con il sesso, so a malapena baciare!

    Mi coprii la faccia con le mani. Detestavo essere una messicana bruna con la pelle scura, volevo essere anch’io bionda e pallida come una Barbie. Esteban mi prese le mani e mi costrinse a guardarlo.

    "Isabel, tu sei una chica bellissima, hai un viso stupendo, questi meravigliosi capelli ricci, e un corpo davvero niente male, credimi. Sbagli se pensi di essere insignificante, perché non è vero. E il sesso s’impara a farlo un po’ alla volta, con la pratica. Nasciamo tutti vergini e imbranati."

    Pensai al mio primo bacio con Alejandro, a tutte le volte in cui ci eravamo rotolati nel fieno accarezzandoci… La sua bocca era esigente e le sue mani esperte, mentre io non sapevo bene come comportarmi, ero goffa e impacciata.

    Forse Alejandro credeva che fossi come Susan, ma poi si è ritrovato con una ragazzina di quindici anni vergine che non sa fare nulla. E quella sera, nel fienile, quando non ho voluto fare l’amore con lui, sicuramente avrà pensato che non valeva la pena di sprecare tempo con me, per questo è tornato da Susan.

    Se ti ha messo da parte solo per questi sciocchi motivi allora è più stupido di quanto credessi e non si merita nemmeno una delle tue lacrime… So che non sono affari miei, ma… perché non hai voluto fare l’amore con lui quella sera?

    Mi sollevai a sedere sul letto e mi fissai le punte dei piedi.

    Ho avuto paura, confessai in un sussurro.

    Esteban si sedette al mio fianco e la sua spalla nuda sfiorò la mia.

    Paura di cosa?, chiese, scostandomi i capelli con le dita per potermi guardare negli occhi.

    E’ difficile da spiegare… Alejandro stava andando troppo in fretta, le sue mani mi stavano spogliando e io non volevo che succedesse in quel modo, così velocemente, senza tenerezza… Ho avuto paura che potesse farmi male, che non mi piacesse fare l’amore con lui… Non era il momento giusto, non mi sentivo pronta… Non so perché ho reagito così, sapevo solo che non volevo andare fino in fondo.

    Esteban mi strinse una mano nella sua e mi sorrise dolcemente.

    La prima volta fa sempre paura. E’ normale, è successo anche a me.

    Davvero? Cos’hai combinato?

    Lui rise. "E’ andato tutto storto. Ho rotto il preservativo per due volte, mi sono steso sopra la mia ragazza schiacciandola come un hamburger, volevo darle piacere e invece le ho fatto male, e poi ero talmente eccitato che dopo pochi secondi sono… esploso , lasciando lei insoddisfatta… Peggio di così non poteva andare, credimi."

    E come ti sei sentito?

    Avrei voluto sparire dalla faccia della terra, ovvio!

    Mi fece ridere, scacciando via la mia tristezza.

    Immagino che adesso sia tutto diverso.

    "Certamente. All’epoca avevo la tua età, ero un ragazzino inesperto, mentre ora, dopo un po’ di esperienza, ho imparato

    a fare l’amore e so come farlo bene."

    Hai avuto molte ragazze?

    Esteban arricciò le labbra in una smorfia buffa, quasi si vergognasse di rispondere.

    Allora? Rispondi, dai.

    "Isabel, certe cose non si chiedono… Potresti pensare che sono un ragazzaccio se ti dicessi che ho avuto parecchie, anzi, diciamo molte avventure con tante ragazze diverse… Non sono il tipo che annota il nome delle sue conquiste su un’agendina o che incide una tacca sulla cintura ad ogni esperienza, però ho una buona memoria e posso vantarmi di essermi dato da fare con ragazze anche più grandi di me… Ecco, ora sarai sconvolta, ci scommetto, ma se mi guardi bene in faccia si vede benissimo che non sono un angioletto."

    "No, non lo sei per niente... La prima volta che ti ho visto ho pensato che avevi proprio una faccia da sberle… Ti avrei mollato un ceffone, davvero. Però adesso che ti conosco meglio ti vedo in modo diverso. E non m’importa se sei un playboy, ho capito subito che tu eri l’opposto di Alejandro, e forse avevi ragione quando mi hai detto che ho scelto il cugino sbagliato. Dovevo innamorarmi di te, non di Alejandro."

    Esteban rimase stupito dalle mie parole e non seppe cosa dire. Si limitò a guardarmi negli occhi, muto come un pesce, finché non si riprese e disse:

    Sono felice che tu abbia cambiato opinione su di me. Sai, quasi tutti pensano che Alejandro sia il bravo ragazzo della famiglia Suarez e che suo cugino Esteban sia uno scavezzacollo combina guai… Grazie Isabel, era da molto tempo che qualcuno non mi faceva sentire apprezzato… E in ogni caso, visto che Alejandro ti ha delusa e ferita tornando a divertirsi con Susan, se ti fa piacere o se pensi che sia una buona idea, sei libera di innamorarti di me come e quando vuoi.

    Le sue parole mi fecero arrossire. Lo spinsi via dal letto con le braccia e lui rotolò giù sul pavimento. Controllai che non si fosse fatto male, ma si stava già rialzando in piedi e sembrava divertito.

    Saresti la mia prima e unica ragazza messicana, disse, sistemandosi il telo da bagno attorno ai fianchi.

    Smettila di prendermi in giro, lo so che non ti piaccio.

    E quando mai l’ho detto? Tu mi piaci eccome, sei il mio tipo, adoro le ragazze brune.

    Non ti credo. E poi non vado bene per te, sono troppo giovane e inesperta, tu sei abituato a frequentare le ragazze facili.

    Così mi offendi. Credi che non sia in grado di amare una brava ragazza ed esserle fedele per sempre?

    L’hai detto tu che preferisci le avventure.

    Perché ho solo diciott’anni e mi voglio divertire!

    Appunto. Con me non lo puoi fare, perciò non ci provare.

    Non lo farei mai, e lo sai. Sono tre settimane che ti sto incollato addosso e non ti ho mai sfiorato, nemmeno una volta.

    Uhm, hai tenuto le mani a posto solo perché pensavi che Alejandro facesse sul serio con me, ammettilo.

    Esteban si sedette sul fondo del letto e allungò una mano per solleticarmi la pianta di un piede.

    Adesso però Alejandro è a San Francisco con Susan… Cosa pensi di fare? Aspetterai che torni dal college la prossima settimana e gli farai una scenata? Piangerai, griderai e lo picchierai? Credi che lui cadrà ai tuoi piedi e ti chiederà di perdonarlo? Sei certa che sceglierà te invece di Susan?... Dovresti farti queste domande, Isabel, e decidere cosa è meglio per te. Mezz’ora fa eri disperata e sei corsa a consolarti qui da me, ma non credere che io sia sempre a tua disposizione per incollare i frammenti del tuo cuore fatto a pezzi da Alejandro.

    Ritrassi il piede piegando la gamba e riflettei sulle sue parole. Esteban aveva ragione. Alejandro mi aveva fatto credere di essere innamorato di me, poi era tornato al college e con la scusa degli esami da sostenere aveva prolungato la sua permanenza per tre settimane senza mai telefonarmi. Avevo scoperto da sola e per puro caso che nella sua vita c’era una ragazza con cui aveva una storia da due anni, e la delusione era stata enorme. Mentre io piangevo disperata fra le braccia di Esteban, Alejandro era partito per Los Angeles in compagnia di Susan per fare surf e prendere il sole sulla spiaggia, senza nemmeno avermi chiamata inventandosi una qualunque bugia per il suo mancato ritorno a casa. Come se io non contassi più nulla e i tre mesi d’estate che avevamo trascorso insieme non fossero stati altro che un piacevole intermezzo amoroso che gli era servito per colmare una fase critica del suo rapporto con Susan. Sapevo che Alejandro sarebbe tornato a El Verano nel weekend e che io avrei dovuto affrontarlo; mi doveva delle spiegazioni, delle scuse, e soprattutto esigevo un chiarimento. Era intenzionato a stare con me? Mi amava? Oppure mi avrebbe lasciato spiegandomi che non ero importante quanto lo era Susan? E se invece fosse tornato e non mi avesse detto niente di lui e Susan? Se si fosse comportato da perfetto innamorato, cos’avrei fatto? Potevo accettare che nella sua vita oltre a me ci fosse anche Susan?...

    La risposta a tutte quelle domande era una sola: Alejandro non era stato leale con me, mi aveva nascosto la sua relazione di due anni con Susan, qualunque cosa avesse detto o fatto al suo ritorno, io non sarei stata capace di perdonarlo. Non potevo e non volevo perdonarlo.

    Alejandro non mi merita, dissi, dopo quella silenziosa pausa di riflessione. Non ho intenzione di perdonarlo, nemmeno se mi dirà che preferisce me a Susan. Non posso accettare di essere una seconda scelta. Doveva parlarmi di Susan prima di illudermi che tra noi ci fosse un sentimento vero e profondo. Mi ha delusa, e io non voglio amare un ragazzo che non è stato sincero con me.

    Esteban sbatté le palpebre ripetutamente mentre mi osservava con espressione seria.

    Sei sicura che è questo che vuoi?

    Lo fissai e annuii con la testa.

    Sì. Non lo perdonerò.

    E cosa gli dirai?

    La verità. Che ho scoperto la sua storia con Susan e che non intendo continuare a stare con lui.

    Alejandro vorrà sapere perché non puoi perdonarlo.

    Mi sembra ovvio perché non posso. Non è stato sincero con me. Mi ha presa in giro. E io non lo voglio più accanto a me.

    Credi che questo gli basterà? Alejandro non si arrende tanto facilmente, quando vuole una cosa è disposto a lottare pur di averla.

    "Bè, mi dispiace per lui, ma non avrà me… Anzi, non mi dispiace affatto per lui, se l’è cercata!"

    Accidenti, come sei dura.

    Mi ha fatto soffrire. E io non perdono chi mi calpesta.

    Quindi finisce così? Storia chiusa per sempre?

    "Sì. Fine. Adiòs."

    Esteban annuì con il capo.

    "Okay . Se è quello che vuoi, se sei sicura e non hai dubbi, allora non c’è altro da dire."

    Si alzò dal letto e si mosse nella stanza per aprire l’armadio e prendere dei vestiti puliti. Aveva un sacco di t-shirt colorate, camicie ricamate da cowboy e pantaloni di jeans di varie gradazioni di blu.

    Che programmi hai per oggi?, mi chiese, dopo aver scelto una maglietta color senape e dei jeans blu scuri.

    Anziché rispondere alla sua domanda, saltai giù dal letto e lo raggiunsi, abbracciandolo da dietro.

    Grazie per aver asciugato le mie lacrime e placato il mio pianto. Non avrei saputo cosa fare senza di te. Ti voglio bene, Esteban.

    Lui sorrise e girò la testa di lato per riuscire a vedermi.

    "Dammi un bacio, chica. Me lo merito."

    Mi sollevai sulle punte e gli scoccai un bacio sulla guancia.

    Ti voglio bene anch’io, e così dicendo si voltò con tutto il corpo e mi strinse contro di sé con il braccio libero mentre posava un lieve bacio sulla punta del mio naso.

    6

    Quel giorno saltai la scuola. Mia madre e mio padre erano impegnati nella cura della vigna, per cui nemmeno si accorsero che non presi zaino e libri per andare al liceo. Volevo distrarmi e non pensare ad Alejandro. Così accettai la proposta di Esteban di andare insieme a lui fuori città, giusto per fare un giro. Prendemmo il vecchio pick-up rosso di suo padre posteggiato nel garage della finca, lo spingemmo lungo la strada finché il motore non si accese borbottando, quindi salimmo a bordo e imboccammo la Route 69 in direzione sud, verso l’Arizona. Era una giornata di Settembre calda e secca, tirammo giù i finestrini per far entrare l’aria nell’abitacolo della vettura e accendemmo l’autoradio alzando il volume al massimo. Con la brezza nei capelli e la musica country che quasi ci assordava, percorremmo il nastro d’asfalto nero che sembrava liquirizia liquida sciolta dal calore del sole, e per tutto il tempo Esteban non fece altro che guidare il pick-up a velocità sostenuta cantando le canzoni che trasmetteva la stazione radio di San Diego. Alcune canzoni le conoscevo anch’io, e quindi cantavo insieme a lui, ma ci veniva da ridere in continuazione perché eravamo entrambi stonatissimi. Quel giro in pick-up fu divertentissimo, e la strada infinita della Rote 69 ci portò ad attraversare il cuore della Death

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