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Raccontando storie: Racconti
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Raccontando storie: Racconti
E-book176 pagine2 ore

Raccontando storie: Racconti

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Info su questo ebook

Questi racconti sono nati sui siti di scrittura creativa The Incipit, Meetale e Braviautori. Ho scelto quelli a cui sono più affezionata, in versione riveduta e (spero) corretta.

Nove racconti, diversi per genere e argomento.
Paura, dolore, rabbia, rimpianto, speranze, amore, odio: nove storie di persone e di emozioni. Nove racconti di vite.

"...Nevio lo interrompe gentilmente: «Ulisse, perdonami, ma tutte queste storie: soldati, contadini, orsi, acrobati. Parli di posti e di gente mai vista, ci racconti le loro vite, i loro guai, ma di te non dici nulla. Le tue storie mi fanno bene, mi fanno tornare bambino, ma a volte mi chiedo se non ci prendi tutti in giro».
Ulisse scuote la testa: «[..] Che volete che vi dica, che racconto avventure belle, edificanti si diceva una volta; perché la mia vita è meschina e vorrei poterla dimenticare?
Ma non racconto balle, eh? Solo storie vere, quando non sono capitate a me, qualcuno me le ha raccontate, magari ho cambiato i posti, ritoccato i dettagli, ma è così che riesco a sopportare di stare con me stesso; se non indoro un po’ la pillola non ce la faccio più a mandarla giù.»..."

Perché le storie non guariscono, ma aiutano.
LinguaItaliano
Data di uscita8 ago 2017
ISBN9788822809377
Raccontando storie: Racconti

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    Anteprima del libro

    Raccontando storie - Marezia Ori

    cifra

    Mario e la memoria dell'acqua

    Il vento soffia leggero ma pungente, come sempre a quest'ora.

    Mario inspira l'odore salmastro a grandi boccate; cammina veloce e sicuro, concentrandosi su dove posa i piedi, l'uno dopo l'altro: sa che gli scogli sono sempre scivolosi, non bisogna distrarsi, neanche quando li conosci da sempre; forse a maggior ragione in quel caso.

    Si ferma solo una volta arrivato alla roccia più lontana, avvinghiata all'acqua. Il suo mare.

    Era qui che aveva l'abitudine di venire a pescare, ogni sera, tranne nei giorni di tempesta.

    Ha sempre amato pescare, solo o in compagnia. Lo faceva sin da bambino, dopo la scuola o la domenica mattina, accompagnato da suo padre. Fu lui a insegnargli a pescare, come lo aveva appreso dal nonno.

    A sua volta Mario lo ha insegnato a suo figlio, pescare insieme era una consuetudine e un piacere. Ora non lo fanno più, ma continua a venire qui ogni sera, dopo il lavoro.

    Non può più pescare, l'idea stessa lo fa rabbrividire. Sono mesi che non può più nemmeno pensare di gettare l'amo in quel mare, il suo mare; da quel giorno.

    Una domenica di marzo, iniziata come una splendida giornata di sole: un prologo d'estate all'uscita dall'inverno. Avevano persino osato abbandonare i giacconi, il vento era quasi immobile, il sole generoso.

    Avevano ingannato l'attesa ammirando le evoluzioni dei gabbiani, le loro picchiate in caccia di un pesce o di un granchio, le loro lotte fratricide quando l'uno di loro afferrava una preda.

    Poi i pesci avevano cominciato ad abboccare, il secchio di Luca ne imprigionava già parecchi, niente male per uno sbarbatello di undici anni.

    Aveva persino cominciato a sfottere gentilmente il padre, facendogli notare che l'allievo stava sorpassando il maestro, o che in ogni caso i pesci erano più sensibili al suo fascino.

    Mario lo aveva preso in giro a sua volta: «Sarà perché avete lo stesso odore, visto quanto poco ti piace fare la doccia.»

    Ridendo si erano concessi una pausa; le canne erano posate sui treppiedi, nuovi di zecca, era la prima volta che li usavano e ne erano molto fieri.

    Si erano tuffati nel cesto da picnic con la foga di gabbiani affamati: Rosa, come sempre, non si era limitata a panini e thermos di caffè; golosi si erano gettati sulla torta al cioccolato, già tagliata a fette, Rosa pensava sempre a tutto.

    Luca come al solito aveva insistito per avere un goccio di caffè.

    «Sei ancora troppo giovane, e sei già abbastanza nervoso così.»

    Quando ripensava a quella merenda, Mario ne traeva ogni volta la sensazione che fosse stato l'ultimo momento di spensieratezza di suo figlio. E l'ultimo momento sereno per tutta la famiglia.

    Una serenità bruscamente interrotta. Si chiedeva se l'avrebbero mai ritrovata.

    Era ancora intento a riordinare i resti nel cesto quando Luca, già rivestiti i panni di pescatore attento, gli aveva chiesto: «Cos'è quello, papà?»

    Gli si era avvicinato, stringendo gli occhi nella direzione indicata dall'indice teso di Luca, nel tentativo di mettere a fuoco l'oggetto non identificato.

    Una massa colorata: pezzi di tessuto, plastica, rifiuti insomma, si era detto; l'ennesimo orrido lascito di qualche marinaio da diporto, turisti attirati dalle bellezze del paesaggio marino, ma totalmente incuranti della conservazione di suddette bellezze.

    Si erano protesi sul bordo dell'acqua, cercando di vedere cosa fosse quell'ammasso di detriti e se fosse possibile recuperarlo per ripulirne il mare.

    Era solo sporgendosi che aveva notato che dalla massa multicolore emergeva una densa capigliatura. Lunghe chiome castane, sparse sull'acqua come una corona di alghe filamentose. Si era sforzato di soffocare l'urlo che gli opprimeva la gola, per non agitare Luca. Ma non aveva potuto fare nulla per evitargli la traumatica scoperta.

    «Papà, ma è qualcuno, una bambina, sembra.»

    Una bambina, forse dell'età di Luca, forse un po' più giovane, si era detto quando, dopo lunghi sforzi, erano riusciti a issare il corpo inerte sugli scogli.

    Un'esile spoglia, ancora cinta da un inutile giubbotto salvagente. Con la mano tremante le aveva chiuso le palpebre sugli occhi vitrei, spalancati in uno sguardo di terrore e di annientamento, sguardo da cui Luca non riusciva a distogliere il proprio.

    «Credevo che i morti avessero gli occhi chiusi, papà, questa bambina ha guardato la morte negli occhi, quanta paura avrà avuto, papà?»

    L'aveva abbracciato forte, era l'unica risposta che sapeva offrirgli.

    Aveva usato uno dei teli da spiaggia che avevano con sé per coprire il piccolo corpo, aspettando l'arrivo dei soccorsi, chiamati col cellulare.

    Al telefono, era riuscito a mantenere un tono di voce saldo, ancora si chiedeva come.

    Mentre aspettavano, tenendosi stretti, a pochi passi dalla piccola forma inerte ricoperta dal telo, avevano scorto altri detriti trasportati dall'acqua: un orsacchiotto, o quel che ne restava, uno zainetto, altre forme che non avevano saputo riconoscere. Non avevano avuto la forza di alzarsi per cercare di recuperarli, si sarebbero spiaggiati, prima o poi, portati dalle onde e dalle maree.

    Una piccola imbarcazione di migranti, poco più di un canotto, avevano spiegato loro poliziotti e infermieri più tardi. Impossibile sapere quanti passeggeri avessero fatto naufragio, dovevano avere perso il controllo della piccola imbarcazione durante la notte, a causa del vento e delle onde. Si era probabilmente rovesciata, per poi derivare e sfasciarsi sugli scogli.

    Avevano già recuperato una buona decina di cadaveri, impossibile sapere quanti ancora ne trasportasse il mare.

    Quante volte Mario aveva già sentito o letto dei naufragi di disperati, delle derive, dei migranti gettati in mare, dei tanti morti di quel mare che lui aveva sempre considerato come un amico. Ma erano solo parole, non li aveva mai visti, mai toccati con mano. Come dimenticare ora quella bambina, quella gente?

    Erano rientrati in silenzio, lui e Luca, non prima di aver svuotato i loro secchielli, rendendo la libertà ai pesci. Non potevano pensare di mangiarli, li avevano restituiti all'acqua, perché fosse scrigno delle loro anime senza riposo.

    Non avevano mai saputo il nome di quella bambina, da dove venisse, una terra del Medio Oriente, a giudicare dai lineamenti e dalle sfumature della sua pelle. Nessuna delle vittime di quel naufragio aveva mai potuto essere identificata. Morti senza nome.

    Mario non aveva mai smesso di pensare a loro, a lei soprattutto, che in cuor suo aveva battezzato Ofelia: pura e innocente vittima della follia degli uomini, come l'eroina shakespeariana. Pensava alla sua famiglia, a tutte quelle famiglie, che da qualche parte, dall'altro lato del Mediterraneo, si languivano nell'assenza di notizie, aggrappandosi alla speranza vana che i loro cari avessero infine trovato una vita migliore.

    Non può più pescare, Mario, ma ogni sera continua a venire qui, dopo il lavoro, a guardare il mare, a parlargli, ad ascoltarlo. Viene qui e si siede sugli scogli, come questa sera.

    Si siede, ascolta il mare, parla a quella bambina e a tutti quelli che come lei hanno trovato la morte in queste acque, cercando rifugio dalla guerra, dalla fame, cercando una terra in cui vivere un'esistenza migliore.

    Tutti questi morti senza nome, senza passato, senza nessuno per piangerli, per ricordarli, per consolarne i rimpianti.

    Non sopporta l'idea che siano morti dimenticati, non può dimenticarli, lui, ed è sicuro che il mare non li dimentica.

    Per questo è qui, come ogni sera, per mostrare il suo rispetto e il suo cordoglio a tutti questi morti il cui ultimo soffio aleggia ancora sul mare, trasportato dalla memoria dell'acqua.

    La domanda di Alice

    1

    Eva slaccia l'allacciatura del reggiseno e se ne libera con uno sbuffo di sollievo. Raccoglie pantaloni, camicia e mutandine accatastati ai suoi piedi per gettarli nel cesto del bucato.

    Cesto che è ormai al limite di sopportazione: domani dovrà assolutamente trovare il tempo di fare una lavatrice.

    Prima di infilarsi nella doccia si sofferma, come le capita di rado ormai, dinnanzi allo specchio.

    I solchi lasciati dalle spalline del reggiseno sono ancora ben visibili nella carne: i chili di troppo accumulati negli anni non la disturbano davvero, ma quei seni che diventano sempre più ingombranti le pesano, anche in senso figurato.

    Quelle che vent'anni fa erano due tette da pin-up, le sembra si stiano mutando in un'opulenta e ingombrante parodia.

    Tra un po' somiglierò più alla tabaccaia di Amarcord che a Jane Russell.

    Rinvia al mittente il brivido leggero che le percorre la pelle tuffandosi sotto il getto bollente della doccia.

    Lavandosi, continua a inveire bonariamente contro i sabotaggi del tempo sul suo corpo: la carne flaccida sotto le braccia, quella davvero non la sopporta, ha quasi smesso di indossare abiti senza maniche. E le rughine nel collo: sono ancora poche, ma sono le prime avvisaglie dell'arrivo imminente di un collo da testuggine.

    Per fortuna, anche stavolta, l'acqua calda è un toccasana fenomenale per il suo cattivo umore. Insaponandosi, si sorprende ad ammirare le proprie gambe: lisce, muscolose, polpacci affusolati ma vigorosi. Le spalle, ancora dritte nonostante la vita passata sui libri. Non sono ancora da buttare.

    Quando si infila nell'accappatoio l'autocommiserazione è scivolata via come la schiuma nello scarico della doccia.

    Prima di indossare il pigiama si spalma la crema, massaggiando bene fino ad assorbimento: lo stesso gesto ogni sera, da quanto, trent'anni? Senz'altro qualcuno in più.

    Pietro si è addormentato con la televisione accesa, come al solito; gli sfila il telecomando dalle mani e spegne lo schermo ormai inutile, prima di accomodarsi al suo fianco nel letto. Prende il libro sul comodino e accende l'abat-jour. Come ogni sera.

    La routine. La sua vita è fatta di routine; rodata, precisa, confortante. Eva la ama, è lei che l'ha in gran parte decisa, studiata, perfezionata negli anni. Ne ha bisogno, ne trae soddisfazione e benessere. Ne è davvero convinta, almeno pensava di esserlo.

    Fino a questo pomeriggio. Un banale giovedì pomeriggio come tanti.

    Seduta al computer cercava di lavorare sul suo racconto. Un racconto che le da filo da torcere: l'idea le era sembrata buona all'inizio, le sembra ancora buona, ma sono quattro mesi che ci lavora ed è sempre a un punto morto.

    Alice è rientrata verso le quattro e l'ha salutata con un abbraccio chiedendole perché non fosse al lavoro. Sono quasi dieci anni che non cambiano né gli orari in negozio né i suoi turni di servizio, ma i suoi figli sembrano incapaci di memorizzarli. Pazienza.

    Si sono spostate in cucina per una seduta intensa di caffè e dolcetti. Nonostante i figli siano ormai grandi, in questa casa nessuno sembra disposto a rinunciare alla tradizione della merenda. Ancora la routine.

    All'inizio la conversazione è scivolata via banale e innocua: la preparazione degli esami della sessione estiva che danno ad Alice più filo da torcere del previsto. I suoi progetti di vacanze al mare con l'attuale innamorato.

    « Sei sicura che sarete ancora insieme a luglio L'ultimo non ha resistito più di due mesi.»

    «Mamma, non cominciare: sono innamorata, stavolta, te l'ho detto.»

    Eva si è domandata mentalmente quante volte e per quanti ragazzi abbia sentito la figlia ripetere la stessa cosa, ma si è ben guardata dall'esprimere il dubbio ad alta voce per non litigare. Hanno quindi spettegolato sul nuovo presunto flirt della vicina, ridendo complici e maliziose.

    Poi così, senza colpo ferire, come se fosse normale chiedere una cosa del genere alla propria madre, la sua adorata primogenita ha spalancato quegli occhioni innocenti e caldi che fanno strage di ventenni, e non solo, e, infornando tra le fauci golose un enorme pezzo di brioche al cioccolato, ha lanciato:

    «Mamma, mi chiedevo, ma tu papà lo ami ancora?»

    Il brevissimo e imbarazzato silenzio è stato prontamente spezzato da un quasi scandalizzato:

    Ma certo, che domande sono! di Eva, quindi le due donne hanno rapidamente cambiato discorso, prima di riordinare la cucina e tornare ognuna alle proprie occupazioni.

    Ma quella domanda non era poi così strampalata: le si annida in un angolo della testa ormai da ore. E adesso, nel buio, sdraiata accanto al proprio uomo pacificamente e sonoramente addormentato, non riesce a pensare ad altro.

    Ma siamo davvero ancora innamorati, o è solo l'abitudine che ci fa continuare? La stanchezza si è ormai dileguata dai suoi occhi come dal corpo, sa che non riuscirà a trovare sonno.

    Testarda e meticolosa quale sa di essere, è ben consapevole che non avrà pace prima di essersi data una risposta obiettiva. Le resta una sola cosa da fare: analizzare la questione, e come sua abitudine, cominciando dal principio.

    2

    Erano già quasi arrivati alla solita tavola calda quando Luca aveva detto:

    «Spero non ti scocci: ho dato appuntamento a un amico, per pranzo. Viene dal paese dei miei nonni, è arrivato in città da poco e non conosce ancora nessuno.»

    «No, figurati, che fastidio può darmi.» aveva risposto cortesemente.

    Aveva ben presto cambiato idea. Terrificante: ecco l'impressione che Pietro le aveva fatto al primo incontro. Ne ridevano ancora insieme quando capitava di riparlarne.

    Ma a quel pranzo non aveva

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