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Rosa Coeli
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E-book559 pagine7 ore

Rosa Coeli

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Info su questo ebook

Vi siete mai chiesti se quanto appreso dai libri di storia corrisponde al vero? Non vi è mai sorto il dubbio che ciò che avete letto sia il risultato di una ricostruzione degli eventi non sempre fedele e veritiera? Non parlo di scetticismo ma di semplice analisi. L’esame minuzioso di ogni più piccolo particolare, anche di quello che appare insignificante, può portare alla scoperta di segni prima impercettibili, quasi invisibili. Un lavoro difficile e certosino che impegnerà i personaggi di questo racconto, costretti a scendere dal podio delle loro convinzioni per arrendersi di fronte all’evidenza di nuove verità. La storiografa Marika Corsi, giovane, bella e irruente, si lancerà in una spasmodica ricerca di prove tangibili che avvalorino la morte di un dittatore. La madre Laura, oppressa dalla paura di perdere Giorgio, suo marito e padre di Marika, in una altrettanto incessante ricerca di un amore appartenuto ad un recente passato. La prima si ritroverà proiettata in una dimensione carica di ostilità e di violenza, la seconda scoprirà quelle profondità che solo un amore vero, sincero, immenso, può raggiungere. Entrambe si scontreranno con le falsità delle loro certezze. Amore e odio. Due facce della stessa gelida moneta, come un altro freddo protagonista di questa inquietante storia: un misterioso medaglione.
LinguaItaliano
Data di uscita12 set 2014
ISBN9786050321524
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    Anteprima del libro

    Rosa Coeli - Umberto Noè

    Bibliografia

    Prologo

    Distretto meridionale del Rio Negro, Argentina.

            Ultima settimana del mese di Luglio 1945, notte.  

     Il mare lievemente increspato riflette la bianca luce lunare. Le piccole onde si spostano leggere fino a scomparire, quasi in sordina, nella spiaggia deserta, illuminata dal freddo bagliore della luna piena. La brezza marina soffia delicatamente tra le foglie delle palme che abituate ai venti di tifoni e uragani, sembrano gradire quelle soffici carezze.

    Alvaro ha tredici anni ma è già più che un ragazzo, quasi un uomo. Da quando ne aveva nove, da quando è rimasto orfano di padre, deve contribuire al sostentamento della famiglia. La sorella di due anni più grande di lui, provvede alle faccende domestiche e di giorno, insieme alla mamma, prima di andare a scuola, a vendere il pescato, nel piccolo banco del mercato, unico lascito del povero papà.

    Alvaro, quasi ogni notte, si reca alla foce del grande fiume e sistemata la sua piccola rete in una zona più prossima al mare, attende che i pesci, avvicinandosi alla ricerca di cibo, cadino nella sua trappola. E’ un luogo isolato, tranquillo, dove non viene mai nessuno, si pescano soprattutto piccoli pesci, buoni da cucinare per il brodo. Alle cinque deve essere al mercato, dove lo aspettano la sorella e la mamma. Non è faticoso, anzi, ad Alvaro piace trascorrere le notti vicino al mare, alla foce del fiume. C’è un silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie degli alberi e delle lunghe canne che si strofinano l’un l’altra, come per vezzeggiarsi a vicenda, e dal verso di qualche animale notturno.

    Quella notte era più silenziosa delle altre e Alvaro si era quasi appisolato, rannicchiato su se stesso, seduto sulla solita roccia liscia accanto all’acqua, sopra la solita stuoia. La luna, nascosta da grandi nuvole, non rischiarava più le zone circostanti e un velo di oscurità era calato prepotente, come per riprendersi il trono usurpato.

    Il suono era insolito, una sorta di gorgoglio accompagnato da un sibilo quasi impercettibile, acuto. Alvaro, istintivamente, alzò la testa rannicchiata tra le braccia e poggiata sulle ginocchia, lentamente, e osservò la sua rete, pensando a qualche grosso pesce. Ma nello specchio d’acqua tutto intorno a dove era sistemata la rete regnava la più assoluta tranquillità. Si guardò fra i piedi, osservò da ogni parte, senza notare nulla. E nel frattempo il suono diventava sempre più presente e il sibilo sempre meno acuto, confondendosi con il sordo gorgoglio. Sembrava provenire dal centro della baia.

    Alvaro, nel tentativo di vedere meglio, di scorgere qualcosa, si alzò in piedi, e cercò una posizione un po’ più elevata rispetto a quella in cui era, avvicinandosi alla collinetta disseminata di lunghe canne. Si approssimò al ciglio e scostò con entrambe le mani gli ultimi giunchi che ostruivano la visuale. Osservò il centro della baia, rimase attonito.

    Inizialmente era leggerissimo. Una sorta di spumeggiare dell’acqua, dapprima confuso con lo sciabordio delle onde poi, sempre più distinto, non solo come rumore ma anche visivamente. L’acqua, al centro della baia, sembrava diventare sempre più bianca, un gorgogliare sempre più intenso creava una densa schiuma che la luce lunare, sfuggita all’abbraccio delle nuvole, faceva risaltare come una grande macchia nell’oscurità.

    Alvaro era incredulo. Non riusciva a comprendere le cause di quello strano fenomeno. Ricordava di aver sentito i vecchi pescatori narrare di storie di mostri marini, di piovre giganti, che si aggiravano nella baia del grande fiume, ma non ci aveva mai creduto anzi, la mamma lo aveva sempre esortato a non dare peso a quelle storie, frutto di antiche credenze popolari, solo grandi fantasie per riempire la solitudine delle sere d’inverno e concedere ai pescatori quel velo di magia che mitigasse gli stenti del loro lavoro.

    Eppure Alvaro stava assistendo a quello strano evento.

    Lentamente, dal centro di quel bianco ribollire, prese a delinearsi una forma scura, sempre più nitida e solida. Dalla torre metallica che fuoriusciva cadevano piccole cascate di rivoli d’acqua. Ad Alvaro apparve subito chiaro che quella grande sagoma era la torretta di un sottomarino. Fece un piccolo passo indietro e s’inginocchiò, continuando a osservare da una posizione meno visibile. La sagoma del sottomarino affiorò completamente, era gigantesco. Nel frattempo, a un centinaio di metri di distanza, il fenomeno del ribollire dell’acqua si ripeté uguale e un altro sottomarino solcò la superficie della baia.

    I due sottomarini rimasero fermi, immobili nella loro posizione, quasi allineati, al centro della baia. Se non fosse stato per il tenue chiarore della luna le loro sagome scure si sarebbero confuse completamente con l’oscurità.

    Alvaro era terrorizzato, non sapeva se rimanere, soddisfacendo la sua curiosità, o defilarsi in silenzio prima che accadesse qualcosa di brutto. Tanto meno non poteva abbandonare la sua rete da pesca, la sorella non glielo avrebbe perdonato, ne poteva avvicinarsi a raccoglierla, tremava troppo. Decise di aspettare, ma per maggiore precauzione si distese completamente sul terreno, osservando tra le canne i due sommergibili, immobili, di fronte a lui. Da dove si trovava poteva chiaramente scorgere i due periscopi che ruotavano continuamente come cercassero qualcosa o qualcuno.

    Dopo qualche minuto, nello specchio d’acqua più prossimo alla riva, davanti e quasi al centro dei due sottomarini, ecco ripetersi il gorgoglio ed il ribollire dell’acqua. Per Alvaro era oramai evidente che un altro sottomarino stava per emergere.

    E lentamente, come i primi due, la torretta del terzo sottomarino iniziò ad affiorare, finché la gigantesca sagoma metallica non fu completamente emersa, insieme all’intero profilo dell’imbarcazione.

    Il suono stridulo e metallico provocato dal portello che si apriva spezzò il quasi totale silenzio e la piccola sagoma tondeggiante si scagliò eretta sul piano emerso dell’u-boat. Con circospezione ma movimenti decisi, dal portello uscirono quattro marinai che dalle spalle dove era agganciato, velocemente, afferrarono quella che ad Alvaro sembrava un’arma, guardandosi intorno. Due s’inginocchiarono ai bordi del sottomarino, uno più prossimo alla prua, l’altro nelle immediate vicinanze del portello. Gli altri due, sistemarono nuovamente l’arma sulle spalle e afferrarono un pesante involucro che dall’interno dello scafo qualcuno porgeva dal portello aperto, lo adagiarono sul ponte e ne afferrarono un secondo e poi un terzo. Quindi, con calcolata maestria, sollevarono ad uno ad uno gli involucri scuri, vi legarono una cordicella ad un’estremità e fissatala allo scafo li gettarono in mare, ad una distanza di un paio di metri l’uno dall’altro.

    Nell’ordine di com’erano stati gettati, gli involucri si aprirono, lasciando comparire i profili scuri di altrettanti canotti. Quasi immediatamente, dal portello aperto iniziarono a uscire altri individui, uno, due, tre, quattro uomini. Salirono sul primo canotto e svincolata la corda che lo teneva vicino al sottomarino, remando, si diressero verso la riva. Nel frattempo erano saltati fuori altri due uomini, avevano afferrato una cassa lunga e stretta e sistematela nel secondo canotto avevano seguito il primo. Trascorsero diversi minuti poi Alvaro notò una luce che intermittente, dalla riva, segnalava qualcosa agli uomini del sottomarino. Uno di questi si avvicinò al portello e con il calcio del fucile batté due volte nel metallo. Dal portello comparvero altre figure che rispetto a quelle che erano già apparse si muovevano in modo impacciato. Erano due uomini e due donne, quest’ultime Alvaro le distingueva per la capigliatura ed il seno prominente, ma anch’esse vestivano come gli uomini che li accompagnavano. Salirono sull’ultimo canotto rimasto che, come i primi due, sganciatosi dalla corda, si avvicinò verso la riva, mentre i quattro uomini armati rientravano chiudendo il portello alle loro spalle.

    Dopo pochi minuti la luce intermittente riprese a segnalare.

    A uno a uno, i tre sottomarini iniziarono ad immergersi, scomparendo lentamente tra lo spumeggiare dell’acqua circostante, fino a svanire sotto il mare increspato. Osservò la riva, dove i canotti erano approdati, ma di quegli uomini e delle loro imbarcazioni nessuna traccia, anche loro erano scomparsi.

    Il silenzio era ritornato padrone della notte, ma Alvaro non sentiva più la brezza marina soffiare tra le foglie, accarezzandogli la pelle. Era tale la paura che continuava a rimare immobile, disteso, anche se intorno era ritornata la calma.

    Alvaro richiuse il piccolo varco che teneva aperto al suo sguardo con l’aiuto delle mani e sedette, incredulo. Solo quando le nuvole lasciarono riapparire completamente la luna e i suoi riflessi luminosi rischiararono la zona circostante, Alvaro si alzò in piedi e con cautela si avvicinò alla riva, dove era sistemata la rete. Non c’era nessuno, poteva raccogliere i suoi attrezzi e tornare a casa, anche se a mani vuote, senza alcun pesce. Aveva troppa paura per rimanere. Avrebbe raccontato tutto alla mamma e lei avrebbe compreso.

    E così fece. Raccolse in fretta la rete, senza curarsi di riporla ordinatamente per evitare che s'ingarbugliasse, la sistemò alla rinfusa nel grande sacco di iuta, avvolse la piccola stuoia dove sedeva e veloce, al chiarore della luna, si avviò lungo il sentiero che dirigeva verso casa.

    Mentre camminava, a occhi bassi, senza alzare quasi mai lo sguardo dal terreno, d’un tratto sentì la terra sotto i suoi piedi tremare, poi un boato sordo che sembrava provenire dalle viscere del mondo, e un altro boato ancora più intenso e la terra ancora tremare. Alzò lo sguardo, si voltò verso il mare, nella direzione da cui sembrava provenire il boato, ed ebbe una strana visuale, gli parve come se la superficie dell’acqua si gonfiasse, per poi ritornare alla sua forma iniziale.

    Ritornò con lo sguardo sul sentiero e allungò il passo verso casa, tremava.

    Quando arrivò erano quasi le quattro e la mamma era già in piedi. Si meravigliò di vedere il figlio già a casa a quell’ora del mattino e subito intuì che doveva essere accaduto qualcosa d’insolito. Sedettero sul materasso del letto di lei e Alvaro raccontò di quanto accaduto e ciò che aveva visto.

    La madre lo ascoltò in silenzio, inizialmente quasi incredula, poi sempre più consapevole.

    Quando Alvaro ebbe terminato il racconto fu perentoria:

    - Alvaro, non raccontare niente di quello che hai visto, non parlarne con nessuno, neppure con tua sorella, hai capito?

    - Sì, ma cosa raccontiamo, perché non ho pescato nulla?

    - Non hai pescato nulla perché…

    Rimase pensierosa per qualche istante, poi riprese:

    - …perché ti sei sentito poco bene, hai la febbre, non senti come scotti!

    E così dicendo portò una mano sulla fronte di Alvaro, sorridendo, poi continuò:

    - Dai, a letto, per due giorni rimarrai in casa, chi ha la febbre alta deve riposare!

    Alvaro sorrise, anche perché l’idea si stare due giorni senza lavorare, senza andare a scuola, accudito e riverito, accanto alla mamma premurosa, gli infondeva una certa serenità. Si distese sul letto e mentre la mamma lo copriva con la leggera coperta, chiuse gli occhi e assaporò la sua mano che dolcemente gli carezzava la fronte e i capelli, si addormentò stanco, ancora impaurito, ma felice.

    1

    Italia, giorni nostri

    Quella mattina Giorgio era a dir poco euforico. Finalmente, dopo mesi di attesa, il concessionario stava per consegnarli la sua nuova automobile. Seduto accanto alla scrivania di un’avvenente impiegata della concessionaria, attendeva con impazienza la consegna delle chiavi. Dopo la firma di una sfilza interminabile di documenti la signorina in tailleur blu si era alzata e sorridendo, aveva raccolto i fogli dal tavolo ed era scomparsa nella stanza accanto. Nel frattempo Giorgio, dall’ampia vetrata dell’ufficio in cui si trovava, vedeva perfettamente la sua automobile, parcheggiata nel piazzale sottostante e con alcuni meccanici intenti ad effettuare gli ultimi controlli.

    - Prego, ecco le chiavi della sua auto…

    Disse la signorina che come per incanto si era materializzata di nuovo alla scrivania, continuò:

    - …queste altre sono i doppioni, le raccomando di tornare per un controllo appena avrà percorso i primi mille chilometri e soprattutto di attenersi alle prescrizioni che adesso i meccanici le daranno per il periodo del rodaggio, auguri per la sua nuova automobile!

    E con un sorriso, che quasi le circumnavigava tutto il viso, porse le chiavi e i documenti a Giorgio.

    Mentre guidava verso casa immaginava la faccia che avrebbe fatto Laura vedendolo arrivare con la nuova auto. Non le aveva detto nulla perché voleva che fosse una sorpresa per il loro trentesimo anniversario di matrimonio, una bella ed elegante automobile per i loro viaggi vicini e lontani. A Laura piaceva tanto viaggiare in auto ed anche guidare per lunghi tragitti e da qualche tempo fantasticavano sul comprare una nuova automobile, comoda e confortevole. Ma avevano sempre posticipato l’acquisto, le spese erano tante e pur lavorando entrambi era difficile accantonare quanto necessario per la nuova auto. Ma Giorgio, negli ultimi tre anni, in gran segreto, aveva risparmiato oltre metà del costo dell’auto e per la restante parte aveva approfittato di un finanziamento offerto dalla concessionaria a un tasso d’interesse veramente basso. Sì, sarebbe stata proprio una bellissima sorpresa.

    L’estate era alle porte e la bella stagione avrebbe permesso di provare subito, in viaggio, la comodità della nuova automobile.

    Da un paio di giorni il tempo regalava un anticipo d’estate e il tasso di umidità elevato faceva percepire una temperatura corporea ben più alta. Guardò il display del computer di bordo, era quasi mezzogiorno e mostrava anche la temperatura esterna, trentaquattro gradi! Il caldo torrido si manifestava nell’asfalto bollente con il fenomeno della fata Morgana, piccole e grandi pozzanghere che all’improvviso si dileguavano per ricomparire più in là, piccole e grandi macchie nere che ondulavano sul piano della strada per svanire come d’incanto o per magia.

    Sì, Giorgio era proprio euforico.

    Forse fu colpa dell’asfalto liscio reso viscido dal caldo, forse uno di quei miraggi era una macchia d’olio perso da chissà quale vecchio camion, forse Giorgio non aveva ancora preso dimestichezza con la nuova automobile e con la potenza del suo motore, forse…

    Quando Laura aprì la porta dell’appartamento il telefono squillava insistente.

    - Un attimo, un attimo!

    Inveì all’oggetto. Posò le borse della spesa sul pavimento dell’ingresso e corse ad alzare la cornetta. Era l’ospedale Garibaldi.

    Laura ascoltò in silenzio le parole del medico e si senti venir meno, le gambe, già rese stanche dalle scale, divennero molli e tremolanti e una sorta di terrore sordido s’insinuò nel suo ventre, su, sempre più su, fino in gola. Portò la mano libera davanti le labbra, come per impedire alla bocca di svincolare quell’urlo che la riempiva. Cadde seduta sulla sedia accanto al telefono, le lacrime le bagnarono le pallide guancie.

    Sul pavimento dell’ingresso, qua e la, alcune pesche rotolavano, scivolate fuori dal sacchetto della spesa.

    L’ospedale Garibaldi era distante una quindicina di chilometri e Laura non se l’era proprio sentita di guidare, aveva preferito chiamare un taxi. Mentre l’autista la conduceva a destinazione le parole del medico gli ridondavano continuamente nella testa:

    - … signora, suo marito è stato ricoverato in questo ospedale a seguito di un incidente d’auto, sembra che, per cause che non conosco, sia sbandato ed uscito fuori strada, al momento è in coma farmacologico…

    Laura sapeva che il coma farmacologico era uno stato profondo d’inconsapevolezza indotto da sostanze introdotte nell’organismo a tale scopo, uno stato d’incoscienza non naturale, e sapeva pure o almeno, questo è ciò che lei ricordava, che se ciò era avvenuto, se i medici avevano ritenuto opportuno utilizzare tale pratica, probabilmente il cervello aveva subito un forte trauma.

    Laura con lo sguardo fisso a osservare fuori dal finestrino, teneva le mani unite e con fare nervoso le strofinava l’una all’altra, come quando si hanno i geloni e si cerca di riscaldarle. Il cuore continuava a batterle forte in petto, come se spingesse per uscire e un nodo alla gola continuava a impedirle di gridare come avrebbe voluto fare.

    Quando l’auto si fermava a un semaforo quel rosso sembrava non volersi spegnere mai, i momenti si trasformavano in eternità, bloccati dall’incontenibile sgomento provocato dal dolore e dalla disperazione. E in quell’istante Laura odiava tutto intorno a se, il taxi che conduceva lento, gli individui che attraversavano sulle strisce pedonali, le altre auto che ingorgavano la strada, i bambini che correvano in bicicletta sul ciglio del marciapiede, la voce del tassista:

    - Signora, siamo all’ospedale Garibaldi, preferisce entrare dall’ingresso secondario?

    - No grazie, scendo qui!

    E porgendo al tassista una banconota fuggì veloce, dirigendosi verso l’ingresso principale, senza salutare ne attendere che il tassista gli restituisse il resto che le era dovuto.

    Salì i gradini quasi trattenendo il fiato e una volta dentro, con lo sguardo, cercò subito lo sportello informazioni. Era lì, alla sua destra, un lungo bancone bianco. A lunghi passi si avvicinò, ognuna delle tre addette al servizio era impegnata con altrettanti utenti ma Laura non si curò di loro, come se non esistessero e rivolgendosi alla signorina della postazione centrale chiese ansimante:

    - Sono la moglie del Sig. Giorgio Corsi, mi avete avvisato circa mezz’ora fa che è stato ricoverato qui a seguito di un incidente…

    Si fermò, come se già intuisse che era inutile continuare con il chiedere dov’era e il come fare per raggiungere la camera e la signorina, rendendosi conto dello stato di agitazione in cui Laura versava, rispose veloce:

    - Un attimo di pazienza signora, controllo subito al computer…

    Le dita della signorina si mossero veloci sui tasti, dopo pochi secondi si bloccò, aveva individuato il paziente, aggrottò le ciglia, come per distinguere meglio quanto compariva nel monitor e con una delle mani afferrò la cornetta del telefono alla sua destra e senza staccare lo sguardo dallo schermo ritornò a parlare:

    - Per favore, dite al Dott. Sartori che qui in accettazione c’è la moglie del sig. Corsi, sì, esatto, il signore dell’incidente, grazie.

    Chiuse la cornetta e portando lo sguardo su Laura, disse con tono gentile:

    -Prego signora, si accomodi che tra pochi minuti sarà qui il Dott. Sartori, desidera un bicchiere d’acqua?

    -No, grazie…

    Rispose Laura e staccandosi dal bancone su cui era appoggiata, lentamente, si diresse verso le poltroncine, lasciandosi cadere, esausta.

    2

    Bruxelles (Belgio) - Auditorium del Museo della Storia.

    Sul grande schermo della sala conferenze del museo della Storia era inquadrato, in primo piano, il volto della relatrice, una donna dai lunghi capelli lisci e biondi lasciati liberi di fluttuare sul collo e sulle spalle, parlava con estrema disinvoltura:

    - … la sorte delle ceneri e dei resti di Hitler e di Eva Braun non è mai stata accertata. E’ possibile che siano stati asportati dato che, normalmente, un fuoco all’aperto non distrugge del tutto un corpo umano. Rimane la considerazione che i russi, nel giardino della cancelleria, non trovarono nulla. Alcuni ritengono che le ceneri siano state accuratamente raccolte in una cassetta, anzi, alcune accurate testimonianze affermano siano state affidate ad Artur Axmann, il capo della gioventù hitleriana, affinché fossero conservate e trasmesse alle future generazioni. Altri invece propendono per spiegazioni più semplici e meno cariche di folklore, i russi in particolare, eseguirono minuziose ricerche, anche se non giunsero mai ad alcun risultato concreto. E’ anche possibile che i resti di Hitler e di sua moglie siano andati confusi con quelli degli altri cadaveri ritrovati nel giardino della cancelleria, tanto più che il giardino seguitò a essere investito dal fuoco dei cannoni fino al 2 Maggio, giorno in cui i sovietici riuscirono a penetrare nella cancelleria.

    La relatrice si tolse gli occhiali dal viso e prese a raccogliere i fogli sul leggio, afferrò il microfono, quindi continuò:

    - … la mia dissertazione termina qui, spero di non avervi annoiato…

    Seguì l’applauso dei presenti, aggiunse:

    - … ci sono domande o osservazioni?

    Dalla seconda fila svettò il braccio di un giovane che sbandierava la penna utilizzata per prendere appunti. La relatrice lo invitò a intervenire:

    - Prego ...

    Il giovane andò subito al dunque:

    - Da quanto ci ha esposto non si è…

    La relatrice lo interruppe con tono sarcastico ma pacato:

    - Mi scusi, ma sarebbe interessante, per me e per i signori presenti, sapere con chi abbiamo il piacere di parlare!

    - Ha ragione…

    Proseguì il giovane e alzandosi in piedi continuò:

    - …perdonate la mia irruenza, mi chiamo Luca Mariotti, laureando in Scienze storiografiche…

    S’interruppe osservando lo sguardo della relatrice in attesa di un cenno di approvazione che non tardò ad arrivare:

    - Prego signor Mariotti, continui…

    Luca riprese:

    - …come stavo dicendo, da quanto ho avuto modo di ascoltare, non si è mai avuta la prova certa e inconfutabile della morte di Hitler, chi ci assicura quindi che la sua morte non sia stata tutta una messinscena, o che il corpo avvolto nella coperta era effettivamente quello di Hitler, o che il corpo insanguinato e disteso sul divano non fosse quello di un sosia oltretutto, dopo un colpo d’arma da fuoco sparato in bocca, del volto rimane ben poco.

    Luca si accomodò al suo posto mentre nella sala si alzava un debole brusio. La relatrice rispose accennando un fievole sorriso:

    - Andiamoci piano con la fantasia, è vero, non sono mai state raccolte prove inconfutabili che gli accadimenti si siano svolti così come ve li ho descritti, ne tantomeno è mai stata accertata l’esistenza di resti umani da potere, con una certa sicurezza, attribuire alla persona di Adolf Hilter, ma dobbiamo ricordare che le testimonianze da cui sono state estrapolate le vicende che vi ho esposto sono state accuratamente incrociate e valutate, nonché poste a confronto e non dobbiamo inoltre dimenticare quello che era, in quei giorni, lo stato psicologico di Hitler. In definitiva le prove giudiziarie raccolte, unite allo stato mentale e fisico di Hitler sono tali da avere convinto sia i più scettici sia i maggiori studiosi, che la fine di Adolf Hitler sia stata proprio quella che vi ho descritto, anzi che quella descrittavi era l’unica possibile fine che in quel contesto Adolf Hitler avrebbe potuto e voluto fare.

    Un assordante fragore di piccole esplosioni echeggiò per tutta la sala facendo sobbalzare gli spettatori.

    - Non preoccupatevi …

    Disse un tizio in fondo, tra le ultime fila:

    - … oggi è la festa del quartiere e i ragazzi si divertono con i mortaretti.

    La relatrice si alzò dalla sedia in cui era, raccogliendo dal tavolo gli ultimi fogli, la penna, e il telefonino:

    - Spero di essere stata abbastanza convincente circa la fine di Adolf Hitler…

    Disse osservando Luca, poi rivolgendosi ai presenti continuò:

    - … in ogni caso, per tutti coloro che volessero approfondire l’argomento, nonché per i più increduli e pieni di fantasia, invito a leggere il saggio che ho scritto e che troverete nelle migliori librerie.

    E con un gran sorriso, chiuse le cinghiette della valigetta e si allontanò nell’applauso generale.

    Luca afferrò lo zainetto che aveva sistemato nella poltrona accanto e uscì frettolosamente dalla fila cercando di raggiungere la relatrice che con il telefono all’orecchio, con passo spedito, si allontanava dirigendosi verso l’ascensore. Si fermò, in attesa che l’ascensore arrivasse al piano, ebbe appena il tempo di riporre il telefono nella valigetta che un suono l’avvisò dell’apertura delle porte. Entrò nell’ascensore semipieno e un istante prima che le porte automatiche si richiudessero vi saltò dentro pure Luca creando non poco scompiglio tra i presenti.

    - Sempre così irruente?

    Osservò la relatrice rivolgendosi al giovane studente.

    - Mi perdoni di nuovo ma non potevo lasciarla scappare senza averle fatto qualche altra domanda…

    - E chi le assicura che abbia intenzione di rispondere alle sue domande?

    - Nessuno, ma non capisco per quale motivo non dovrebbe!

    - Intanto perché non so nulla di lei, se non il nome e il cognome e che è un laureando, ma soprattutto perché in strada mi aspetta un taxi che mi deve accompagnare all’aeroporto dove tra un’ora parte il mio aereo!

    In quel momento un altro suono avvisò che l’ascensore era giunto a destinazione, le porte si aprirono e l’avvenente relatrice sgattaiolò fuori, attraversando l’ampia sala dell’ingresso, verso la grande porta girevole. Luca le correva dietro continuando a parlare:

    - Dottoressa, la prego, sto preparando una tesi sul fenomeno del nazionalsocialismo e per me è di vitale importanza avere alcune informazioni…

    -Informazioni…

    Esclamò la dottoressa che si dirigeva verso l’unico taxi fermo innanzi alla porta, continuò mentre il tassista, aperta la portiera, la invitava ad accomodarsi:

    - …che tipo d’informazioni?

    Luca rispose accompagnando con lo sguardo la dottoressa che entrava nell’autovettura e si accomodava:

    - Informazioni sulla morte di Adolf Hitler…

    -Evidentemente…

    Continuò la dottoressa:

    - …non sono proprio riuscita a convincerla, si rassicuri, stia tranquillo, Adolf Hitler è morto e sepolto!

    E detto questo fece per chiudere la portiera ma Luca la bloccò tenendola con la mano e implorando:

    - Dottoressa, la prego, volevo sottoporle alcuni documenti che reputo interessanti, ma dei quali non comprendo alcuni passaggi…

    Questa volta fu la dottoressa con tono grave a interrompere Luca:

    - Signor Mariotti, tolga immediatamente quella mano dalla portiera…

    E rimase a osservarlo fisso negli occhi. Luca, con in viso un’espressione di sconforto, tolse la mano e fece un passo indietro mentre la portiera dell’auto si chiudeva con un tonfo secco.

    Ma l’auto non partì. Si aprì il finestrino mostrando il viso della dottoressa, sorridente, abbassò lo sguardo verso la valigetta adagiata sulle ginocchia, la aprì e ne tirò fuori un biglietto da visita, porgendolo a Luca:

    - Mi chiami fra tre giorni…

    Il tono era perentorio ma bonario:

    -… le prometto un incontro per dare un’occhiata a questi documenti a cui tiene tanto, ma la prego, adesso mi lasci andare o perdo l’aereo.

    Luca, confuso, afferrò il biglietto ma non ebbe il tempo di ringraziare che il finestrino si era già richiuso e l’auto allontanata.

    Abbassò gli occhi sul biglietto che stringeva tra le mani, dove con caratteri eleganti era scritto "Dott.ssa Marika Corsi " e seguivano due numeri di telefono, nient’altro.

    Rialzò lo sguardo ma il taxi era già scomparso nel traffico.

    Quando il telefono squillò Marika era seduta nella sala d’aspetto dell’aeroporto, in attesa che aprissero il banco per l’imbarco, osservò il display del telefono, era la mamma. Con un gran sorriso portò veloce il telefono all’orecchio, salutando ancor prima di sentire l’interlocutore:

    - Ciao Mamma, sono in aeroporto, tra un paio d’ore sono a casa, la conferenza è andata benissimo, c’erano poche persone, ma tutte molto interessate e…

    Il tono greve della madre interruppe l’euforia di Marika, spegnendo lentamente quel sorriso di felicità che gli era nato spontaneo nel vedere il nome della mamma comparire sullo schermo del telefonino e man mano che la madre continuava a parlare il viso di Marika si struggeva in una serie di espressioni cariche d’angoscia, l’entusiasmo e la felicità stavano lasciando il posto alla sofferenza e al dolore:

    - … sto aspettando che arrivi il dottore, ho paura che la situazione sia grave, ti prego, vieni il prima possibile.

    Erano state le ultime parole della madre, poi la comunicazione si era interrotta lasciando Marika a osservare il telefonino che lentamente, dall’orecchio, scendeva accompagnato dalla mano verso le ginocchia unite.

    3

    Oltre le rocce, spostando lo sguardo verso sud, Laura poteva scorgere la spiaggia. Ricordava di aver letto che il corpo umano è composto da un numero talmente elevato di cellule che liberate tutte insieme potrebbero formare una spiaggia lunga un chilometro. E quanto larga? Questo non lo ricordava. Le sue perplessità s’infransero, come le onde di quel mare, contro la fredda voce del dottore:

    - Scusi per l’attesa ma ero impegnato in pronto soccorso.

    Laura distolse lo sguardo da quel panorama che per pochi secondi le aveva concesso un istante di serenità. Il tono dell’uomo era caldo e tranquillo e adesso che Laura si era voltata a osservarlo anche l’espressione del suo viso appariva distesa, rilassata e trasmetteva una sensazione di calma. Laura ripiombò nelle sue paure:

    - Mio marito, come sta, posso vederlo?

    Chiese in tono concitato cercando nell’espressione del dottore il conforto che le mancava. Il dottore tirò fuori la mano dal camice e avvicinando il palmo al fianco di Laura, senza toccarla, la invitò ad accomodarsi nel divanetto:

    - Seduti saremo più comodi, prego.

    A seguito di quell’invito, accompagnato dal quel tono flemmatico che si usa prima di annunciare una tragedia, i pensieri di Laura cominciarono a devastarle la mente come un vortice turbolento. Perché la invitava a sedersi? E perché usava quella cadenza all’apparenza rassicurante? Sentiva il sangue bollire nelle gambe, sedette. Il dottore continuò nel tono calmo e sereno con il quale aveva iniziato:

    - … innanzi tutto stia tranquilla, suo marito non versa in pericolo di vita. E’ arrivato in questo ospedale circa due ore fa ed appena abbiamo accertato le sue generalità ci siamo premurati di avvisarla. In questo momento è ricoverato nel reparto di terapia intensiva.

    - Che cosa vuol dire in terapia intensiva?

    - …suo marito ha avuto un incidente d’auto, un brutto incidente, ma non ha riportato lesioni particolarmente gravi, solo un piccola frattura del polso che abbiamo già provveduto ad immobilizzare e qualche contusione. Ciò che preoccupa è il trauma cranico, nell’urto deve avere sbattuto violentemente la testa, probabilmente gli airbag hanno attenuato l’impatto, ma un urto c’è stato e la tomografia rileva un ematoma non vasto ma significativo. La perdita di sangue si è interrotta spontaneamente ma l’ematoma avrà bisogno di tempo per assorbirsi e non siamo ancora in grado di pronunciarci sulle eventuali conseguenze.

    - Quali conseguenze?

    - Dagli accertamenti sembrerebbe che l’encefalo non ha subito danni ma per avere delle certezze non ci resta che attendere il suo risveglio. Abbiamo somministrato dei sedativi, per evitare che eventuali sbalzi di pressione compromettano ulteriormente il trauma cranico. Quando verificheremo che le lesioni ai vasi cerebrali sono stabilizzate ridurremo la terapia, fino a che suo marito riprenderà spontaneamente conoscenza. Al momento dobbiamo avere pazienza e aspettare.

    - Ma posso vederlo?

    - Certo, mi segua…

    Il dottore si alzò con altrettanta flemma di quanta avuta nel parlare, al contrario di Laura che quasi saltò in su, come spinta da una molla. Iniziarono a percorrere l’ampio ingresso, verso uno degli ascensori. Il dottore camminava in silenzio, con le mani nuovamente infilate nelle tasche del camice.

    Mentre l’ascensore saliva al piano dedicato alla terapia intensiva, nessuno dei due parlava, Laura stringeva le braccia intorno al torace, carezzandosi con le mani la schiena, proprio sopra i fianchi. Era un gesto che la confortava nei momenti peggiori, una sorta di abbraccio rinfrancante. Nel frattempo i pensieri erano diventati meno cupi, le parole, il tono e il comportamento del medico avevano in parte eliso i più tetri presagi.

    La porta dell’ascensore si aprì su un largo e lungo corridoio. Le pareti chiare erano rese lucenti dalla luce dei neon e le uniche macchie di colore erano due strisce che correvano sul pavimento, una gialla e una rossa. Laura seguiva il dottore che con assoluta compostezza percorreva il corridoio ai lati del quale si susseguivano delle porte, tutte chiuse e con un numero stampigliato al lato. Regnava il più totale silenzio, si udiva il soffio dell’aria condizionata che fuoriusciva dalle griglie vicine al soffitto. Il corridoio terminava contro una parete vetrata, coperta da una tenda opaca che lasciava trasparire la luce ma non il paesaggio e qui continuava in due direzioni, una a destra e una a sinistra. Laura notò che in quello stesso punto anche le strisce colorate sul pavimento si dividevano nelle due direzioni. Il dottore, proseguì voltando a destra, seguendo la linea rossa.

    Una grande parete di vetro bianco li obbligò a fermarsi. Il dottore premette un piccolo pulsante al lato dell’ampia porta al centro della quale campeggiava la scritta: " TERAPIA INTENSIVA – ACCESSO CONSENTITO SOLO AL PERSONALE AUTORIZZATO ".

    Allo scatto della serratura il dottore abbassò la maniglia e tirò a se la porta, aprendola. Entrarono in una saletta dove su una serie di tavoli erano sistemati decine di monitor e tra i quali si aggiravano un uomo ed una donna in camice bianco, probabilmente due medici. Alle loro spalle tutta la stanza era attraversata da una tenda chiara. La donna si avvicinò al dottore che accompagnava Laura che senza togliere le mani dalle tasche del camice accennò una veloce presentazione:

    - Dottoressa, la signora è la moglie del paziente che è stato ricoverato questa mattina a seguito dell’incidente, desiderava vedere il marito.

    Laura allungò la mano verso la dottoressa, presentandosi. La dottoressa sorrise lievemente, allungò il braccio stringendo la mano di Laura poi, come prima fatto dal dottore, la invitò a seguirla verso la tenda. Camminando tra i monitor Laura osservò che ognuno di questi mostrava grafici, numeri e linee in continuo movimento, probabilmente, pensò, monitoravano la situazione dei pazienti.

    La dottoressa scostò la tenda e fece accomodare Laura in una sala ampia e luminosa, dove i letti erano sistemati uno di fronte l’altro, cinque da un lato e cinque dall’altro, attorno ai quali si notavano tutta una serie di apparecchiature collegate da fili e tubicini. I primi sei letti tra i quali passarono erano vuoti, perfettamente sistemati e ordinati e con tutte le apparecchiature spente. Man mano che proseguivano Laura riconosceva, sempre più intenso il suono dei cardiofrequenzimetri, tante volte udito in televisione poi, la voce della dottoressa, ferma davanti al letto che ospitava Giorgio:

    - La situazione di suo marito, come le avrà accennato il dottor Sartori, è stabile, nel senso che …

    La dottoressa continuava a parlare, a bassa voce, ma Laura, accanto a lei, non l’ascoltava, immobile osservava Giorgio che sembrava dormire. Se non fosse stato per la mascherina dell’aria, tra il naso e il mento, e quei fili che da piccole ventose attaccate tra i capelli finivano nella scatoletta sistemata accanto, sembrava proprio che dormisse. Oltretutto Giorgio dormiva quasi sempre in quella posizione che tanto, i primi mesi del loro matrimonio, l’aveva impressionata, di schiena, con le mani unite e poggiate sul ventre, come un morto dentro una bara. L’espressione era tranquilla e rilassata e in quella poca parte del corpo libero dalle lenzuola non scorgeva il minimo graffio o segno di ecchimosi.

    - …i valori sono tutti regolari e se la situazione clinica rimane tale, tra un paio di giorni, proveremo a ridurre la terapia sedativa.

    Laura, che fino a quell’istante non aveva udito le parole della dottoressa che le stava accanto trasalì nel percepire, in quegli ultimi vocaboli, un tono compassionevole, distolse lo sguardo dal viso di Giorgio e voltandosi verso la dottoressa chiese con tono deciso:

    -Come sarebbe a dire proveremo?

    La dottoressa esitò per un istante, quindi rispose, impietosa:

    - Situazioni come quella in cui si trova suo marito possono prolungarsi anche per periodi indeterminati, più o meno lunghi. Ogni soggetto che ha subito questo tipo di traumi, reagisce in maniera diversa. E’ stata elaborata una statistica ma non si può trarre nessuna conclusione senza che siano trascorsi almeno una decina di giorni. Se tra un paio di giorni ridurremo i sedativi suo marito potrebbe riprendere conoscenza sia dopo poche ore, o al contrario dopo qualche giorno. Guardi…

    La dottoressa spostò lo sguardo nel letto accanto. Laura non si era accorta degli altri pazienti. Girò lo sguardo anche lei, in tutte le direzioni, e si accorse che quegli ultimi quattro letti erano tutti occupati. Nel letto di fronte a quello dov’era suo marito riposava una donna, anziana, dai lisci capelli bianchi che ordinati le incorniciavano il viso, elegantemente distesi sul cuscino fin sopra le spalle. Accanto a lei un altro uomo, di mezza età, anche lui con una mascherina che gli copriva parte del volto, robusto e completamente calvo. Di fronte, nel letto accanto a quello di Giorgio, c’era il bambino sul quale la dottoressa aveva posato lo sguardo. Il lenzuolo lo copriva fin sopra il pube lasciando trasparire la carnagione olivastra e il corpo snello. Era il corpo di un bambino di circa dieci anni e il viso, scuro, era sormontato da una capigliatura fitta e nera. I lineamenti erano dolci e gentili, come solo quelli di un bambino sanno essere e le labbra, immobili, lasciavano trasparire, almeno così sembrava a Laura, un sorriso appena accennato.

    La dottoressa si avvicinò al bambino e carezzandogli lievemente una delle mani in tono sommesso continuò:

    -E’ qui da otto mesi. Quando l’hanno trovato era privo di sensi, seminudo, disteso nella spiaggia con il viso pieno di sangue. Abbiamo subito diagnosticato un violento trauma cranico provocato da un corpo contundente, probabilmente una spranga di ferro. Non sappiamo niente di lui, né chi sia né da dove è arrivato, non ha mai ripreso conoscenza e addosso non aveva nessun documento. Da quando è qui nessuno è venuto a cercarlo e nei commissariati dei dintorni nessuno ha denunciato la scomparsa di un bambino. Qualche notte prima del suo ritrovamento c’era stato uno sbarco di clandestini, forse è uno di loro, magari avrà avuto un diverbio con qualche suo connazionale, fatto sta che è in queste condizioni da allora e l’unica cosa che possiamo fare è aspettare che il suo cervello reagisca e dia qualche segnale di ripresa.

    Il silenzio che seguì era scandito solamente dal suono acuto degli apparecchi di monitoraggio che con cadenza sempre uguale ripetevano sempre le stesse note.

    La dottoressa staccò la sua mano da quella del bambino. Laura portò lo sguardo su quello della sua accompagnatrice e si accorse che gli occhi erano lucidi e rosati. La dottoressa sistemò il braccio del bimbo e si rivolse a Laura, con tono secco e deciso:

    -Adesso dovrebbe uscire.

    Laura fece scivolare la mano sui piedi di Giorgio la cui forma si disegnava tra le pieghe del lenzuolo, poi con lo sguardo salì lungo il corpo inerme e immobile e osservò il suo viso. La dottoressa la attendeva con la tenda aperta sorretta dal braccio, Laura attraversò i letti vuoti, si voltò un ultima volta, come per salutare e abbassato lo sguardo uscì dalla stanza. La tenda cadde su se stessa richiudendosi pesantemente alle sue spalle.

    4

    Volo di linea Bruxelles – Roma

    Marika sganciò il coprisole dell’oblò e lo accompagnò con la mano fino a scoprire per intero il vetro del piccolo finestrino dell’aereo. Era seduta nelle prime file, nella parte compresa tra la cabina di pilotaggio e le ali e subito dopo il decollo, il sole abbagliante che penetrava, accecandola, l’aveva costretta ad abbassare lo scurino poi, stanca, aveva socchiuso gli occhi e si era assopita. In effetti, a pensarci bene, la notte precedente, in albergo, aveva dormito forse quattro ore, non di più. Aveva dovuto preparare il materiale per la conferenza ed essendo molto pignola aveva controllato e riletto l’intervento per ben tre volte, aggiungendo sempre qualcosa.

    Era sempre stata così, dai tempi della scuola superiore e ancora di più all’università. Leggeva e rileggeva ogni appunto, ogni relazione, fino a quando, esausta, si convinceva che meglio di com’era quasi impossibile. Se da un lato era consapevole che questa sua pedanteria era causa di tempo rubato ad altre faccende, d’altro canto questo rigore le aveva permesso di laurearsi a pieni voti, con lode e menzione nella testata giornalistica dell’ateneo. E quasi immediatamente si erano presentate le prime occasioni di lavoro, anche a livello internazionale. Alla fine aveva scelto di lavorare per l’agenzia giornalistica Kosmos con l’incarico di collaborare alle rubriche di varie testate che trattavano argomenti storici. Ed era ciò che aveva sempre desiderato. Il suo lavoro era dinamico e vario, passava dallo studio di avvenimenti del medioevo alla rielaborazione di accadimenti contemporanei, dalla conferenza sugli aspetti socio culturali propri della rivoluzione francese, alle dinamiche migratorie della questione meridionale, ai profili del sistema economico dell’età medioevale. Ma il suo interesse principale era sempre stato lo studio dei personaggi che hanno fatto la storia, Giulio Cesare, Cleopatra, Gengis Kan, Carlo Magno, Edoardo VII, Napoleone, Mussolini, Hitler. Era affascinata da questi individui che per svariate ragioni, ma anche e soprattutto per la loro singolare personalità avevano, nel bene o nel male, inciso profondamente negli eventi dell’umanità.

    Dall’oblò semiopaco Marika poteva osservare, sotto di lei, le nuvole, una distesa di batuffoli morbidi e bianchi della quale non riusciva a scorgere i confini. Era come un deserto, immenso, infinito, e

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