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Uno sguardo un semplice sguardo
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E-book273 pagine3 ore

Uno sguardo un semplice sguardo

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Info su questo ebook

Un romanzo dedicato a tutte le donne… Una storia ambientata in molti mondi, dalla Puglia al Tibet, che attraversa il tempo problematico degli ultimi trent’anni del ventesimo secolo, in continui flashback e avanzamenti.
Amori e amicizia, dolori, violenze, speranze e Fede animano questo scritto nel quale “l'inatteso... non è mai così tale, dato che ogni cuore conosce già il momento esatto in cui si paleserà…”

"Un romanzo intenso, forte e delicato al contempo, in cui gli "insegnamenti degli ultimi"..., illuminano anime buie, desolate, inquiete e danno loro un senso per... ricominciare".
Francesco Bei - La Stampa
LinguaItaliano
Data di uscita18 ago 2017
ISBN9788822813121
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    Uno sguardo un semplice sguardo - Ghego Bianchini

    Ghego Bianchini

    Ebook

    Ghego Bianchini nasce ad Ancona nel giugno del ‘57.

    Le sue radici sono a Numana, splendida località turistica alle pendici del Monte Conero.

    Bancario dal 1979, vive a Pesaro con sua moglie Stefania e le amate cagnoline Mimì e Lulù.

    Riceve il testimone letterario da suo padre Umberto, valente sportivo e scrittore.

    Ospite, come opinionista, in varie trasmissioni televisive, sia a carattere nazionale (Il Maurizio Costanzo Show), che regionale (TVRS: Ulisse – viaggio nel nostro tempo).

    Tennista di buon livello: fa parte della squadra di Serie A di Pesaro (anni 1980-1981-1982) + due volte campione europeo di dipendenti di banca (Alassio 1980 e 1981) + medaglia di bronzo ai campionati italiani universitari di Salsomaggiore (1981).

    Tiene incontri e conferenze sui temi della comunicazione.

    A chi gli domanda: da chi ha ereditato il talento dell’energia contaminante, lui ama rispondere citando il Maestro Giuseppe Prezzolini: ...ho saputo scegliere i miei avi....

    Nel 2002 pubblica Il direttore con la pistola e nel 2008 Tra il fico e il giuggiolo (entrambi editati da Walter Stafoggia Editore).

    I nomi, i fatti, i luoghi ed i riferimenti contenuti nel presente libro, sono frutto della fervida fantasia dell’autore, consapevole che "chi racconta solo verità non è degno di essere ascoltato".

    Autore:

    Ghego Bianchini

    Seguitemi su facebook

    ghego.bianchini@virgilio.it

    Copertina:

    OFFICINA VISIVA

    Ph. Marco Trionfetti - Pesaro

    Realizzazione e Affinazione Ebook:

    PuntoEbook

    progettazione e trattamento del libro digitale

    È vietata la riproduzione dell’opera o parte di essa con qualsiasi mezzo se non espressamente autorizzata.

    Ad… Mariola

    Indice

    Prima Parte

    Modena, 20 novembre 1995

    Seconda Parte

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Fiorano Modenese (Mo), 7 febbraio 1992

    Foggia, inizio anni ‘70 - ALDONE

    Foggia, inizio anni ‘70 - MATTY

    Foggia, inizio anni ‘70 - LITTLE

    Foggia, inizio anni ‘70 - OMAR

    Modena, 30 novembre 1995

    Foggia, 20 febbraio 1972

    Modena, anni ‘70 - ‘80

    Modena, 15 febbraio 1992

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Modena, 20 maggio 1995

    Modena, 10 febbraio 1992

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Bari, 21 dicembre 1974

    Santa Torre (Fg), anni ‘70

    Modena, 15 febbraio 1992

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Bari, 21 dicembre 1974

    Foggia, 1 marzo 1972

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Foggia, 4 marzo 1972

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Maddaloni, 12 ottobre 1978

    Santa Torre (Fg), primavera - estate 1972

    Cesenatico,8 maggio 1980

    Bologna, anni ‘70 -‘80 - OMAR

    Bologna, anni ‘70 -‘80 - ALDONE

    Methoni (Grecia), estate 1979 - MATTY

    Sud-Est Asiatico, anni ‘73 - ‘77 - LITTLE

    Bologna, 12 novembre 1996

    Modena, 20 febbraio 1992

    Bologna, 12 novembre 1996

    Modena, 20 marzo 1992

    Bologna, 18 dicembre 1996

    Foggia, 7 gennaio 1997

    Terza Parte

    Ancona, estate-autunno 1992

    Bologna, 26 gennaio 1997

    Ancona, 21 marzo 1992

    Ancona, 15 aprile 1992

    Ancona, 20 aprile 1992

    Ancona, estate-autunno 1992

    Ancona, 20 ottobre 1993

    Ancona, 15 novembre 1993

    Tolentino (Mc), 30 novembre 1993

    Loreto, 18 maggio 1994

    Tolentino, 20 giugno 1994

    Ancona, 20 settembre 1994

    Santa Torre (Fg), 01 marzo 1997

    Santa Torre (Fg), 1 marzo 1997

    Foggia, 2 marzo 1997

    Modena, primavera-estate 1995

    Quarta Parte

    Modena, autunno-inverno 1995 -‘96

    Modena, 20 ottobre 1995

    Modena, 10 dicembre 1995

    Modena, 21 dicembre 1995

    Modena, inverno ‘95 - ‘96

    Modena, inverno ‘95 - ‘96

    Modena, 2 ottobre 1996

    Modena, 12 ottobre 1996

    Modena, 18 ottobre 1996

    Modena, 22 ottobre 1996

    Modena, 25 ottobre 1996

    Modena, 30 ottobre 1996

    Modena, 2 novembre 1996

    Modena, 6 novembre 1996

    Modena, 7 novembre 1996

    Modena, 10 novembre 1996

    Modena, 13 novembre 1996

    Modena,15 novembre 1996

    Modena, 17 novembre 1996

    Modena, 18 novembre 1996

    Quinta Parte

    Modena 21 dicembre 1996

    Perché l’inatteso non è mai così tale,

    dato che il tuo cuore conosce già, da sempre,

    l’attimo esatto in cui si paleserà

    Cico Mboe

    Prima Parte

    "Non è rimanendo immobili dentro false sicurezze

    che si evita la sofferenza. Sfidala, guardala in faccia e guarirai".

    Luigi Minardi

    Modena, 20 novembre 1995

    Esci anche stasera?, gli chiese sua madre senza alcun tono di rimprovero.

    Sì mamma, esco anche stasera, le rispose con voce pacata e tono paziente Freddy.

    Seconda Parte

    "Ho provato. Ho sempre fallito.

    Non importa.

    Proverò ancora. Fallirò meglio".

    Samuel Beckett

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    Il 18 novembre del 1972 era un giorno freddissimo.

    Fu quello il giorno in cui Alfredo decise di venire al mondo. Maria, per vederlo meglio, prima di lavare il corpicino ancora intriso di sangue e spasmi del parto, si era posta davanti al fuoco del camino. Un fuoco intenso e discreto al contempo, quasi non volesse essere di disturbo ad un evento tanto grande e così ritualmente fascinoso: il miracolo della nascita di una nuova creatura. Aveva già assistito a numerosi parti quel fuoco, in quella casa. Era stato testimone, negli anni, nei decenni precedenti, di molti altri analoghi miracoli. Ogni volta aveva salutato l’affacciarsi alla vita di una nuova creatura con il suo scoppiettio ben augurante, come minuscoli e domestici fuochi d’artificio.

    Lo sguardo di Maria e il fuoco del camino si impressero nell’inconscio di quell’aspirante uomo.

    Questi due elementi, almeno secondo la teoria del noto etologo Konrad Lorenz, avrebbero dovuto rappresentare, in maniera indelebile, la sua radice, il suo futuro, la sua storia. Una storia da conoscere e sperimentare giorno dopo giorno, sulla propria pelle. Una storia tutta da vivere.

    Era una casa povera, ma dignitosa, quella in cui nacque Alfredo. Una casa dove il fuoco del camino, da circa metà ottobre a marzo inoltrato, restava sempre acceso: giorno e notte. Di giorno, vivace e luminoso. Di notte, con la brace ancor viva, coperta di cenere grigiastra, sonnecchiante, silenzioso.

    Il camino, nella sua struttura portante, rappresentava, per quelle case vestite di semplice nudità, un membro importante del nucleo famigliare. Era come un grande vecchio, un asceta, un autoctono Siddharta, forte di pazienza, parco di parole. Nessuno si sarebbe meravigliato di vederlo inserito, nel registro dell’anagrafe del comune, nello stato di famiglia assieme a tutti gli altri componenti del consesso domestico. Logicamente era ansioso di fare la conoscenza di quel nuovo compagno di viaggio. Il fuoco, simbiotico ospite del camino, era un punto magnetico che da sempre attirava lo sguardo di chi gli stava davanti, quasi volesse ipnotizzarlo. La fiamma scoppiettante, sempre rinnovata, catturava non solo lo sguardo, ma anche i pensieri, i ricordi, la fantasia di chi gli stava innanzi.

    E chissà, forse anche i sogni.

    Uno sguardo accogliente e un fuoco benedicente, rappresentanti istituzionali della solidità di un nucleo che, sulla carta almeno, avrebbe dovuto sempre garantire ad Alfredo: coesione, armonia, il tenero abbraccio e la carezza amorosa di una mamma premurosa. Che avrebbe dovuto assicurargli la felicità di esserci in questo mondo, ancora tutto da scoprire, ancora tutto da immaginare. E vivaddio, anche da sbagliare.

    Maria aveva fatto nascere, nella sua lunga esperienza di ostetrica, tutti gli abitanti di Santa Torre, o quasi. Ogni volta aveva considerato la nascita come un miracolo. Il più grande miracolo di Chi aveva pensato di crearlo e come crearlo, questo universo. L’emozione, sempre, era stata fortissima. Ma quella volta, inspiegabilmente, la visse come particolare, unica.

    Perché? Perché scrutando il frugoletto che aveva tra le dita, ebbe una strana sensazione, mai vissuta prima: come se non fosse lei a guardare quell’aspirante uomo, ma fossero quegli occhi appena aperti alla vita, a fissarla intensamente.

    No, non sono occhi che guardano il mondo per la prima volta, disse tra sé e sé Maria.

    Mai e poi mai aveva provato un’emozione così forte. Pensò di essere condizionata dalla straziante storia di Sara. O anche che la sua fosse una concretizzazione, più forte e tangibile del solito, di quell’istinto materno che, ogni volta, ogni benedetta volta, si rinnovava ad una nuova nascita.

    Ma forse erano solo fantasie, le sue.

    Maria era solita accogliere ogni nuova creatura che prendeva tra le mani con una filastrocca benaugurante, che le aveva insegnato sua madre Lidia quando era ancora bambina:

    "Bimba bimbo, bimbo bimba,

    ridi al mondo che ti piglia.

    Guarda in alto, c’è una Stella,

    è il tuo faro nel cammino.

    Ridi, piangi, salta e canta,

    ti starà sempre vicino".

    Quella volta però, accolse il nuovo arrivato con un semplice: Benvenuto ragazzo.

    Ed aggiunse sottovoce: Questo mondo ti stava aspettando.

    Santa Torre (Fg), 27 febbraio 1972

    Omar e Sara, quando incrociarono per la prima volta le strade dei loro destini, erano davvero molto giovani: 15 anni appena compiuti lei. Poco più di 18 lui. Fu un vero e proprio colpo di fulmine, almeno per Omar. Mai e poi mai, infatti, si sarebbe aspettato di sperimentare un’emozione così intensa, proprio quel giorno e giusto lì, nel mezzo di una festa paesana della sua amata Puglia. Una festa che, in quel paesino dell’entroterra che aveva visto nascere Sara e la sua progenie, Santa Torre, si tramandava da generazioni. Una sorta di thanks giving day, di orgogliosa cultura pugliese però. Il ringraziamento verso il buon Dio, nella fattispecie, trovava ragioni concrete sia nell’aver consentito il passaggio indenne di un altro temuto inverno, ma anche per caldeggiare l’avvento di una nuova primavera, che si sperava fosse foriera di sole, piogge e copiosi raccolti. Quell’inverno che stava per terminare, per inciso, era stato davvero pungente: la neve era arrivata ad imbiancare pure le colline prospicenti il mare, l’Adriatico, che distava solo pochi chilometri da lì. Certo, era una festa dove non mancavano le più classiche e solenni ritualità: su tutte la processione. Questa si snodava per le vie principali del paese, tra canti lamentosi e litanie mantriche, come una sorta di lento serpentone umano.

    In prima fila troneggiava una grande statua della Regina della Pace, sistemata su un traballante baldacchino. Statua e baldacchino, ricoperti da corposi tessuti damascati, venivano portati in spalla da tanto volonterosi, quanto nerboruti pii uomini.

    Si intuiva facilmente che tutto l’ambaradan doveva pesare davvero molto. Infatti, di tanto in tanto, a impercettibili cenni del capitano della squadra, i portatori si davano il cambio per riposarsi; e questo avveniva con una sperimentata, teatrale sincronia.

    Della Madre di Gesù colpiva il volto: slavato, triste. Sicuramente chi aveva forgiato quella statua, voleva palesare le tribolazioni patite dalla Madonna circa duemila anni prima, quando cioè un manipolo di colti manigoldi aveva inchiodato, con patetici pretesti, il Figlio sulla croce. Non era da escludere però un altro motivo, più semplice e prosaico: e cioè che fossero i dodici pugnali che le trafiggevano il petto a renderla così malinconica e sofferente.

    Perché proprio dodici di pugnali?.

    Dodici è un simbolo. Rappresenta infatti le dodici tribù d’Israele, avrebbe argomentato un preparato biblista.

    Ma simbolo per simbolo, non ne sarebbe bastato uno solo? Un po’ come avviene per festeggiare i compleanni di persone centenarie: se ne mette una di candelina sulla torta. Non cento, avrebbe probabilmente pensato qualsiasi fedele presente alla processione, nella sua tanto saggia, quanto fideistica ignoranza.

    Protagonista indiscusso era il parroco di Santa Torre, agghindato con i paramenti liturgici delle feste ufficiali. Avvolto da nugoli di incenso che lo rendevano quasi etereo, conduceva, da consumato regista, il rito itinerante attraverso le labirintiche vie del paese. Dal malfunzionante megafono uscivano frasi intermittenti poco comprensibili, solamente intuibili, metallicamente amplificate: … anta … ia ... iena … di … azia … gnore … con te … ega … oi … ccatori … adesso e … ora … nostra … orte … men.

    Quattro chierichetti, agghindati come minuscoli pretini, scortavano, due avanti e due dietro, la statua della Madonna. La nutrita folla dei fedeli, tra cui spiccavano le immancabili pie donne, seguiva la statua con atteggiamento che oscillava armoniosamente tra il mortificato e il devoto. Tra una preghiera dedicata alla madre del Cristo e un canto benedicente al suo figliolo Gesù, non mancava però il poco liturgico pettegolezzo sul compaesano poco distante, colpevole di chissà quale umano peccato. E dire che soltanto poco prima, la lettura del Vangelo della Santa Messa era stata proprio quella della pagliuzza e della trave nell’occhio.

    In coda, a debita distanza, seguiva la banda del paese, diretta dal maestro concertatore. I grandi piatti ritmavano enfaticamente il cammino della folla.

    Il paese era apparecchiato come quelle tavole dei pranzi ufficiali proprio per il dì di festa. Una miriade di luci arabeggianti lo illuminavano a giorno. Vasi con fiori dei più variegati colori, preludio di una primavera incipiente, arredavano i balconi e gli usci. Da ogni finestra pendevano eleganti drappi arabescati, con stemmi vagamente e vezzosamente araldici. Nella zona pagana, cioè dove la processione non sarebbe mai arrivata, si snocciolavano, come una corona di rosario profano, decine di bancarelle di ogni genere. Colpivano quelle con la musica dei mangianastri stereo 8, sparata a volumi da concerto rock. Ma anche quelle con i giocattoli di tutti i tipi e per tutti i gusti. Degna cornice la faceva il settore eno-gastronomico-pasticcero, con sementine iper-salate, zucchero filato, liquirizie colorate e noccioline tostate che irroravano un profumo così intenso, che quasi si appiccicava addosso ai festanti. E, dulcis in fundo, anche perché erano sistemati proprio in fondo al paese, c’erano gli auto-scontro, con luci e musiche degne di una Las Vegas di provincia.

    Immancabili le giostre con, punta di diamante, la regina, questa volta non della pace, ma del divertimento: la calcioinculo, la giostra girevole che dispensava brividi forti ai partecipanti e agli spettatori. Pochi davvero erano quelli che riuscivano ad agguantare il trofeo che i giostrai posizionavano ad altezze sempre più proibitive. Era questa una tesi di laurea dei ragazzotti del paese che volevano fare colpo sulle coetanee che assistevano, elettrizzate, allo spettacolo.

    Certo, nulla di nuovo. Tutto già conosciuto, vissuto. Però, a detta di molti, soprattutto non indigeni, in quel paese, in quella ricorrenza, si respirava un’atmosfera differente dalle solite feste paesane della nostra bella Italia. Un’atmosfera che soprattutto nel rito conclusivo, quello del grande falò, faceva vivere ai presenti, sempre, una sorta di momento quasi magico. Un fuoco che in guisa di una conclamata e accettata riconciliazione tra cristiani e pagani, tra credenti ed agnostici, dava ai partecipanti la sensazione di potersi riconnettere direttamente con il creato. E forse pure con il suo Padron. Una riconciliazione spontanea, aperta a tutti, di qualsiasi razza o credo religioso. Una riconciliazione olistica insomma, al di fuori dagli schemi liturgici imposti e conosciuti. Una riconciliazione che si realizzava per giunta senza l’obbligo di passare attraverso alcun intermediario istituzionale, confessore o santo influente.

    Un fuoco dal valore purificatore, che riportava inevitabilmente l’inconscio dei presenti ad ere antiche. Ancestrali. Alle radici stesse dell’umanità.

    Santa Torre (Fg), 18 novembre 1972

    È un maschio, è un maschio, disse concitata Maria, tenendo il nuovo arrivato tra le mani ancora intrise di sangue del parto. È sano, aggiunse subito. E a voce più bassa, sperando in cuor suo che Sara non la sentisse, bisbigliò: …eee è bellissimo. E si commosse, stando bene attenta a non far trapelare l’intensa emozione.

    Il piccolo, appena nato, confermò, con il rituale vagito, che tutto era andato per il meglio.

    Sara?

    Era stremata. Lo era nel fisico. Ma soprattutto nel cuore. Un cuore ferito a morte.

    A lei non era stato chiesto alcun parere per quella scelta, la maternità. Una scelta che per qualsiasi ragazza, qualsiasi donna, dovrebbe rappresentare uno dei punti focali della propria leggenda personale.

    Altri, spietati vigliacchi, avevano deciso per lei, senza curarsi neppure dell’immenso dolore che quella ragazzina stava provando e che avrebbe provato per il resto dei suoi anni. Maria, pur immedesimandosi in quello strazio senza limiti, non rinunciò a porre il frugoletto accanto a Sara. Sperava infatti che il miracolo di quella nascita potesse portare altrettanti miracolosi, insperati frutti e le disse sottovoce, delicatamente: Saretta… il tuo bambino e glielo accostò al seno.

    Sara rimase pietrificata. Non lo guardò, non lo accarezzò, non lo baciò. Non ne aveva il coraggio e neppure la forza.

    Lo sguardo dritto verso un punto indefinito della stanza, del mondo, della storia. Della sua triste storia.

    Poi, con un filo di voce si rivolse a Maria e le disse: Ti prego Maria… non ce la faccio….

    E scoppiò a piangere.

    Fiorano Modenese (Mo), 7 febbraio 1992

    Erano almeno due settimane che si aggirava nei pressi della filiale di quella banca. Una filiale sita su una strada di grande scorrimento, in una zona semi centrale della città. Aveva studiato bene gli orari di entrata e di uscita degli impiegati.

    Familiarizzato, di nascosto, con le loro abitudini. Soprattutto aveva focalizzato l’attenzione su ciò che accadeva più di frequente attorno all’orario di chiusura pomeridiana.

    Poi, aveva deciso di agire.

    Da solo, perché lui, nonostante tutto, si sentiva solo in questo mondo.

    Il momento fatidico era giunto. Un atto criminoso vero e proprio: una rapina. Una rapina in banca. Prima solo semplici furtarelli in qualche negozio o supermercato. In ogni caso, azioni senza mai particolari conseguenze e scevre di alcuna situazione di pericolo per nessuno. E senza alcun serio danno agli esercenti o ai clienti. Non è che fosse un ladro gentiluomo.

    È che, sarà difficile da credere, aborriva la violenza in sé. Ma quella volta…

    Quando decise di agire, in quel venerdì di un febbraio qualunque, mancavano solo un paio di minuti alle 16, orario di chiusura degli sportelli della banca. Aveva notato che dentro c’erano ancora alcuni

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