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I Figli del Disastro
I Figli del Disastro
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E-book301 pagine3 ore

I Figli del Disastro

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Info su questo ebook

9 dicembre 2013. Il Disastro si abbatte sulla Terra, lasciandosi dietro milioni di morti e nessun colpevole. In seguito, i leader mondiali scelgono di firmare l’Armistizio Totale, che interrompe ogni conflitto per tutto il tempo necessario alla ricostruzione.
Due anni dopo, i destini di tre persone apparentemente comuni si incrociano: Alessandro Altavista, uno studente universitario in piena crisi esistenziale e angosciato per il futuro; Clayton Weaks, un timido impiegato costantemente vessato e umiliato dai suoi superiori, innamorato dei libri e del teatro; Kameyo Ishimori, una brillante liceale in perenne conflitto con il padre, che da lei esige sempre il massimo, al punto da voler prendere tutte le decisioni che la riguardano.
Dentro di loro è racchiuso un potere immenso, che affonda le sue radici nelle origini dell’Universo stesso, in grado di riportare la luce in un mondo ferito o di farlo piombare definitivamente nel caos. Mentre cercano di trovare la strada per la salvezza dell’umanità, la memoria del Disastro continua a incombere sulle loro vite. Qual è la sua causa? Chi lo ha provocato? Nessuno sembra saperlo. O forse sì…

L'autore

Dario Degliuomini nasce a Milano nel 1987. Gli piace collezionare libri di fantascienza e partecipare ai concorsi letterari, dove puntualmente non vince. I Figli del Disastro è il suo primo romanzo, poi si vedrà.
 
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2018
ISBN9788898754861
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    Anteprima del libro

    I Figli del Disastro - Dario Degliuomini

    io.»

    1

    2017

    GIAPPONE

    Mezzanotte.

    La città, con le sue luci e le sue architetture, brillava di una bellezza malinconica. Quelli che avevano la fortuna di abitare agli ultimi piani dei grattacieli più alti, però, quasi mai si prendevano il disturbo di ammirare il panorama che si stagliava al di là delle ampie vetrate, vuoi perché l’abitudine tende a banalizzare anche le cose più belle, vuoi perché, in fondo, non gliene importava poi molto.

    Erano trascorsi quattro anni da quel giorno e la città si era ripresa ad un ritmo incredibile. I crateri erano stati riempiti e i nuovi edifici avevano preso il posto delle macerie così velocemente che i disagi per gli sfollati erano stati minimi. In breve tempo il profilo urbano fu completamente ridisegnato. I nuovi palazzi che emersero dalle ceneri del Disastro fecero impallidire, con la loro magnificenza, quanto realizzato dall’uomo in campo edilizio fino a quel momento. Le persone entrarono in quelle case scintillanti piene di speranza e fiducia nel futuro, decise più che mai a lasciarsi il passato alle spalle. Certe ferite, però, non possono richiudersi del tutto, e quelle skyline erano un filo di sutura troppo sottile per arrestare l’emorragia del Paese. Gli animi si incupirono, trovando rifugio nell’indifferenza. Una cappa di morte era scesa sul mondo il 9 dicembre 2013 e niente di ciò che era stato fatto fino a quel momento era riuscito a strapparla. Tutto quello che potevano e volevano fare i superstiti era coprirsi gli occhi e fingere che niente fosse successo. Non stupisce quindi che nessuno, quella notte, si accorse del camion che investì in pieno Kameyo Ishimori, trascinando il suo corpo per un centinaio di metri prima di andare a sbattere contro un muro.

    1.1

    Delle centinaia di crateri che si aprirono sul suolo giapponese, alcune decine vennero scelti come siti per l’installazione di grandi obelischi commemorativi in marmo nero con incisa sopra la data del Disastro e nient’altro. Non c’era abbastanza spazio per i nomi di tutte le vittime. Uno di questi monumenti si trovava all’interno di un piccolo parco giochi. Kameyo si fermava sempre a rendergli omaggio quando rientrava dagli allenamenti. Ogni volta, la sua mente viaggiava indietro nel tempo, fermandosi sempre a quel 9 dicembre che cambiò ogni cosa. Accadde tutto così in fretta che lei, suo padre e sua madre non ebbero neanche il tempo di stupirsi nel vedere il cielo illuminarsi a giorno a quell’ora così tarda. In un attimo le fiamme divamparono, inghiottendo ogni cosa: la loro casa, il loro quartiere, i loro vicini, i loro amici.

    Un rumore di passi alle sue spalle la allontanò da quei pensieri e la riportò al presente. Kameyo attraversava quel parco per tornare a casa da più di un anno, ma fino a quel momento non aveva mai incrociato anima viva. «Non per questo deve essere per forza un malintenzionato» pensò per tranquillizzarsi, ma senza riuscirci. C’era qualcosa, nella pesantezza di quei passi, che la turbava profondamente, aveva l’impressione che tutto intorno a lei vibrasse, pervaso da un’immensa energia. Kameyo scosse la testa cercando di riprendere il contatto con la realtà, «Devi stare calma, è solo paranoia» si disse, ma la paranoia non fa oscillare una colonna alta cinque metri e dal peso di svariati quintali.

    Kameyo strinse i pugni e resistette alla tentazione di correre via, malgrado le vibrazioni aumentassero d’intensità man mano che quella oscura presenza si avvicinava.

    «È dietro di me, a neanche cinque passi di distanza, lo sento… ora si è fermato.» I sassolini attorno a lei iniziarono a saltellare come grilli, mentre la colonna le sembrò sul punto di ribaltarsi. Kameyo fece un respiro profondo, cercando di buttare fuori, assieme all’aria, anche la paura che le spingeva il cuore in gola. Aveva trascorso l’ultimo anno e mezzo a spaccarsi la schiena in palestra, era giunto il momento di mettere in pratica quanto aveva appreso.

    «Non ho intenzione di morire qui» pensò. «Quando sarà alla mia portata lo colpirò e…» la frase le si spezzò a metà nella testa, dissolvendosi tra altri mille ragionamenti. Il suo passo era leggero e delicato, per questo Kameyo non l’aveva percepito subito. «Ce n’è un altro, proprio dietro la colonna. Sono circondata.»

    Quella scoperta avrebbe potuto darle il colpo di grazia, facendola sprofondare irrimediabilmente nel panico, ma così non fu. Al contrario, il suo istinto di sopravvivenza prese il comando, mettendo da parte ogni altro sentimento. Era una molla pronta a scattare. «Non è ancora finita» bisbigliò, «posso farcela.»

    «No, non puoi.»

    La voce proveniva da oltre la colonna. Era calda e tranquilla, quasi amichevole. Kameyo aprì la bocca per rispondergli, ma ne uscì un rantolo a malapena udibile. Quelle poche parole l’avevano travolta con la forza di una valanga. I suoi pensieri iniziarono a vorticare a velocità triplicata nel tentativo di trovare una spiegazione che non implicasse la lettura del pensiero.

    «Attenta alla testa» disse ancora la voce, con fare gentile. Le sue gambe si piegarono senza che lei neanche glielo avesse ordinato. Una folata di vento gelido le scompigliò i capelli. Qualunque cosa fosse, era riuscita ad evitarla. Un rumore come di mille ossa che si sgretolano turbò la quiete della notte. Kameyo rotolò all’indietro di un paio di metri, quindi scattò in piedi, decisa a contrattaccare. Quello che vide però le fece immediatamente cambiare idea: al centro dell’obelisco se ne stava aggrappato un uomo, il braccio destro conficcato nel marmo fino al gomito. Con un gesto rilassato ma deciso si liberò da quella morsa di pietra e scivolò al suolo. Una crepa si aprì lungo il monumento, dalla base fino alla cima, troncandolo in due parti nette che, dopo qualche secondo di precario equilibrio, si sfracellarono in direzioni opposte. Un ragazzo si fece strada tra la nuvola di polvere sollevata dalle macerie, visibilmente contrariato.

    «Hai esagerato» disse all’uomo, intento a scrollarsi la polvere dalla manica della giacca.

    «Tu credi?» La sua voce era potente e intrisa di arroganza.

    «Sì. Un po’ di rispetto per i morti sarebbe cosa gradita.»

    «Ti ho già promesso che rimetterò ogni cosa in ordine. Adesso abbiamo altro a cui badare.» I due si voltarono verso Kameyo, che aveva assistito a tutta la scena senza fiatare. Non erano giapponesi, e i loro corpi sembravano attraversati da piccole scariche elettriche. «È un incubo» disse.

    «No, non lo è» le rispose pacato ancora una volta il ragazzo.

    «Ora, corri.»

    1.2

    Le scarpe da tennis di Kameyo scivolavano agilmente lungo i vicoli bui della periferia a una velocità che non avrebbe mai immaginato di poter raggiungere, soprattutto dopo una sessione di allenamento in palestra. In altre circostanze, il suo pensiero sarebbe andato immediatamente al suo coach, che così spesso l’aveva rimproverata per la sua lentezza. La paura può essere una colata di cemento sulle gambe di una persona, o un paio d’ali sulla schiena in grado di farla volare lontano da ogni pericolo, e Kameyo in quel momento stava letteralmente volando, niente avrebbe potuto fermarla. In tutta la sua vita non aveva mai provato una simile sensazione di terrore e di impotenza. Negli occhi di quei due individui aveva intravisto il fuoco e ne era rimasta sconvolta, doveva fuggire il più lontano possibile da loro. «Poco più avanti c’è una stazione di polizia» continuava a ripetersi per darsi forza «se la raggiungo sono salva. Più veloce, devo andare più veloce, non posso farmi prendere!» Benché non riuscisse a vederlo, ne percepiva chiaramente la presenza. Ogni cosa attorno a lei tremava sempre di più, l’asfalto sotto i suoi piedi si riempiva di crepe, i lampioni cadevano a terra sprigionando scintille. «È vicino.»

    Come in occasione della prima schivata, le gambe della giovane agirono da sole, frenando la loro corsa disperata appena in tempo. Il colpo arrivò dall’alto, veloce e silenzioso come un proiettile. Anche questa volta il braccio dell’uomo si conficcò in profondità nel terreno, scatenando un vero e proprio terremoto lungo tutta la strada. Lo spostamento d’aria provocato da quell’attacco la scaraventò via con la forza di un uragano. La saracinesca abbassata di un negozio lì a pochi passi interruppe il suo volo sgraziato. Kameyo sentì le sue vertebre affondare nel sottile strato di ferro. Tutto l’ossigeno contenuto nei suoi polmoni schizzò fuori. Il marciapiede sottostante la accolse con la delicatezza di un pugno alla bocca dello stomaco.

    Sorprendentemente, però, era ancora viva e cosciente. Facendo appello a forze che neanche sapeva di possedere, Kameyo si tirò in piedi.

    «Allora diceva il vero» disse l’uomo estraendo la mano dall’asfalto, «hai più tempra di quanto il tuo esile corpo non riveli. Mi fa piacere. Dilettiamoci ancora un po’.» L’uomo alzò i pugni, percorsi da raffiche di scintille bluastre, e con essi colpì nuovamente la strada con violenza inaudita. Passò un secondo, poi un altro, poi un altro ancora. Dopo quattro secondi, la strada cessò di esistere, rimpiazzata da una voragine che, partendo dalle sue mani, iniziò a espandersi verso Kameyo. La sua corsa riprese, più forte di prima. La breccia era come dotata di vita propria, la sua direzione variava in base a quella del suo bersaglio che, malgrado tutti i chilometri macinati, non voleva saperne di rallentare. Non voltarti, non voltarti, non voltarti! gridava nella sua testa tra un ansimo e l’altro mentre detriti, tubature e pezzi di automobili facevano a gara a chi si sarebbe schiantato per primo su di lei. In mezzo a quel groviglio di macerie in movimento, l’uomo la incitava a sua volta a non fermarsi. «Mostrami fin dove può spingerti la tua voglia di vivere, ragazza!» le gridò a cavallo di un’onda anomala fatta di catrame, rifiuti e liquami, pronta a sommergerla e a trascinarla nelle profondità della Terra. Kameyo non se lo fece ripetere due volte, serrò i denti e cambiò bruscamente passo. Il maremoto urbano ruggì rabbioso mentre si infrangeva alle sue spalle, mancandola di un soffio.

    I rumori si affievolirono, la voragine interruppe il suo inseguimento. «Forse stavolta l’ho seminato» pensò «e la stazione si trova oltre questo incrocio, ce l’ho fatta!»

    «No.»

    La voce del ragazzo, così calma e gelida, paralizzò ogni suo muscolo. Era lì, dall’altra parte della strada che la separava dalla salvezza, con un sorriso compiaciuto stampato sulla faccia.

    «Ora, muori.»

    Prima che un’ombra nera calasse sui suoi occhi, il suo cervello fece in tempo a elaborare tre concetti:

    "Come sapeva che sarei venuta da questa parte?

    Che cos’è questa luce?

    Che ci faccio ferma in mezzo alla strada?"

    Il camion non provò neanche a schivarla. Il cranio di Kameyo trapassò la griglia del radiatore, seguito dalle braccia e dal torace, le ruote anteriori passarono sopra le sue gambe. Solo allora l’uomo alla guida si ricordò dell’esistenza dei freni e inchiodò con entrambi i piedi. Le gomme slittarono, persero aderenza. Il veicolo sbandò prima a destra, poi a sinistra, sconfinò nella corsia opposta e infine si schiantò contro un muro di cemento armato.

    Silenzio.

    2

    2016

    STATI UNITI

    «Non credo di avere mai visto una folla del genere davanti all’Oracle» disse Al meravigliato.

    «Non è vero» lo zittì Corinne senza troppa delicatezza «l’anno scorso per un musical c’era più gente, lo ricordo bene perché ero presente, e lo sapresti anche tu se ti degnassi di assistere a più di uno spettacolo all’anno.» Al si fece rosso in volto. «Io faccio il ferramenta, mica il manager pubblicitario come te! Lo sai quanto mi costa venire in un posto così?» disse agitando le braccia verso l’immensa facciata frontale del teatro.

    L’Oracle Theater venne edificato nel 1932 da una compagnia di attori nota come Clairvoyants. Fin dai suoi primi passi, grazie alla grande abilità e al carisma dei suoi fondatori, ottenne un grande riscontro di pubblico e critica, divenendo in breve tempo un’istituzione del teatro americano. Per ottant’anni, sul suo palco ebbero modo di esibirsi le attrici più brave e gli attori più affascinanti. Fino al giorno in cui una folgore caduta dal cielo non lo ridusse a uno scheletro.

    Fu una vera fortuna che la sfera che colpì il tetto dell’Oracle il 9 dicembre 2013 non fosse particolarmente grande: la struttura portante rimase in piedi e da essa si poté partire per la ricostruzione, ultimata nel 2015. Tutta la città accolse la sua riapertura con gioia ed entusiasmo, segno che lo spettacolo dentro e fuori dalle sue mura, in qualche modo, doveva continuare.

    «Ma è proprio per questo che la nostra amata Corinne si è offerta di rimborsarci il costo dei biglietti, dico bene?» Louis mise un braccio attorno alle spalle di Corinne, che visibilmente non gradì quel gesto espansivo.

    «Non ricordo di averlo detto» replicò decisa.

    «Oh, a me pare proprio di si, anche Al ti ha sentita l’altro giorno mentre lo dicevi.»

    «Confermo tutto» gli fece eco Al, speranzoso di veder rientrare quei quaranta dollari nelle sue tasche.

    «Molto divertente ragazzi, bel tentativo.» Corinne afferrò la ragazza immediatamente alla sua destra per la manica della giacca. «Yv, almeno tu, non dar retta a questi cretini e dammi una mano!» Yvonne si girò verso di lei con occhi vacui. «Io non ero presente quando avete fatto questo discorso, mi spiace, ma se sia Louis che Al hanno sentito che dicevi questa cosa, evidentemente sei tu che ricordi male.» Corinne sospirò. «Stupida io a sperare nel tuo aiuto. Continua pure a fissare il vuoto, quello ti riesce bene.»

    «Ok» le rispose senza cogliere minimamente l’insulto. «Qualcuno ha visto Clay? Strano che sia in ritardo.»

    «Già, e contando che i biglietti ce li ha lui, sarà meglio che si faccia vivo alla svelta.»

    «Hai ragione, sarebbe un vero peccato da parte tua aver speso duecento dollari per uno spettacolo senza potervi assistere.»

    «La vuoi finire? Piuttosto, qualcuno ha il suo numero?» Tutti e tre scossero la testa. Corinne sgranò gli occhi. «Ma come? Credevo che foste abbastanza in confidenza con lui.»

    «Io per nulla, tra di noi non è mai scattata la scintilla, per questo ho trovato molto strano il suo invito a teatro. Con Al mi pareva andasse d’accordo.»

    «In realtà» disse Al «non è che ci abbia mai parlato tanto fuori dalle lezioni. Cioè, secondo me è un tipo in gamba, ma tende molto a starsene sulle sue, vero Yv?»

    «Sì, è un gran timidone, quando proviamo a fatica riesce a guardarmi negli occhi, io lo trovo adorabile! Forse ci ha invitati per fare amicizia.»

    «Tu dici?» chiese Corinne. «Beh, con me casca male. Doveva pensarci prima.»

    «Fai così solo perché sei invidiosa di lui» disse Al. Louis soffocò a stento una risata.

    La donna si girò verso di loro, pronta a scatenare una polemica infinita riguardo alla sua indiscussa superiorità nella recitazione, quando una voce conosciuta risuonò dal centro della calca poco distante.

    «Ragazzi!» Clay si fece faticosamente strada in mezzo a quel groviglio di corpi a suon di calci e spintoni.

    «Tappo» bisbigliò Louis sogghignando. Yvonne gli colpì il costato con la borsetta. «Non essere cattivo, dobbiamo diventare amici!»

    «Zitti voi due» li interruppe Corinne, «o ci sentirà… Clayton caro! Finalmente, ti aspettavamo con ansia!»

    «Scusate il ritardo, stavo leggendo e il tempo è volato, ho fatto una bella corsa per arrivare qui in orario!»

    A seconda dell’osservatore, Clay appariva sotto una luce diversa. Agli occhi di Yvonne era un tenero orsacchiotto desideroso di uscire dal guscio e conoscere nuove persone; per Al era un ometto simpatico, più bravo a recitare che a conversare; per Louis era un mezzo sfigato, niente di più; Corinne addirittura lo giudicava insignificante, sebbene fosse la prima ad ammettere che quando saliva sul palco sapeva diventare un’altra persona. Peccato che poi ritorni ad essere quello che è pensava ogni volta che la lezione terminava, e anche in quel momento, mentre tutta contenta salutava il suo arrivo, quel pensiero le attraversò la testa.

    Clay distribuì i biglietti e si mise alla testa del gruppetto. Lentamente varcarono l’ingresso.

    2.1

    «Che emozione! Sapete, questa è la prima volta che vengo all’Oracle,» disse Yvonne mentre attraversava estasiata il foyer «chissà che spettacolo fanno stasera!» Al si mise a fissarla con disappunto.

    «No scusa, vuoi dirmi che non hai idea di cosa andrà in scena tra poco? Dopo che nell’ultimo mese non abbiamo fatto altro che parlarne? Ma dove vivi?»

    «Lo sai dove vivo, nell’East Side, vicino al parco! Me lo dici o no cosa stiamo per vedere?» Al sospirò con rassegnazione, di fronte alle risposte stranite di Yvonne c’era poco da fare. All’inizio aveva addirittura creduto che la sua disarmante ingenuità fosse una geniale presa in giro, un esperimento portato avanti con una costanza e un’abnegazione che solo i più grandi attori possiedono. Peccato che durante i laboratori si fosse mostrata tutto fuorché portata per la recitazione. «Uno scaldabagno che perde acqua è più espressivo di lei» aveva commentato una volta Louis, e tra tutti era stato il più il delicato. Yvonne però non si curava dei giudizi dei suoi compagni, come del resto non si curava della gran parte delle cose che accadevano intorno a lei.

    Poco prima di raggiungere i loro posti a sedere, Clay fece dietrofront e si avvicinò goffamente a Yvonne, rischiando di inciampare sui piedi di Al, che ingoiò a fatica un’imprecazione. «Noi ci sediamo vicino, così ti riassumo brevemente lo spettacolo» disse abbozzando un sorriso. «Oh volentieri!» rispose lei entusiasta. «Fatica sprecata» commentò acido Louis a bassa voce.

    «Questa tragedia è stata scritta nel 1572 da John Virgil Stripes, un drammaturgo inglese di cui si hanno pochissime notizie. La storia si svolge in una non meglio identificata regione del nord Europa. Qui, in un povero paesino di campagna, vivono tre fratelli, due maschi di nome Arild e Algott e una femmina di nome Vilde. Un giorno, viene a far loro visita un messaggero degli dei, che comunica loro una sconcertante verità: essi sono i figli del vecchio Re, a cui quindici anni prima era subentrato il cugino in seguito al suo assassinio…»

    «Aspetta,» disse Yvonne tutta eccitata «non vorrai dirmi che…»

    «Esatto.» proseguì Clay. «Era stato proprio suo cugino a ucciderlo, per prendere il suo posto! Una volta compiuto il folle gesto, pensò di eliminare anche i figli del Re ma, mosso dalla compassione per la loro giovanissima età - il più grande, Algott, aveva solo tre anni - decise di portarli segretamente fuori dal regno e di farli crescere da una famiglia di contadini, quindi fece credere che fossero stati uccisi anche loro da un misterioso sicario.»

    «Che storia affascinante! Dimmi come prosegue!»

    «Dopo questa rivelazione, i tre fratelli sono decisi a riprendersi ciò che spetta loro di diritto e salvare il regno dall’orlo del baratro su cui era stato condotto dalla politica estera dissennata del nuovo re, che lo portava a invadere ripetutamente i regni limitrofi.

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