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Fiore
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E-book140 pagine2 ore

Fiore

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Info su questo ebook

A causa di tragiche vicissitudini famigliari, il brillante e sensibile Fiore, un ragazzo di città, si ritrova a vivere nella fattoria degli zii. Grazie a uno spirito vivace e alla sua naturale propensione allo studio, tuttavia, riuscirà a tramutare quella che doveva essere un'esperienza dura, soffocante, in un'avventura tremendamente umana, che lo farà crescere e diventare un ragazzo pieno di risorse. Considerato fra i capolavori di Giuseppe Fanciulli, "Fiore" (pubblicato dall'editore fiorentino Marzocco nel 1938) è un libro per ragazzi che, così come tanti altri classici – da "Pinocchio" a "Cuore" – è adatto a tutti, grandi e piccini!-
LinguaItaliano
Data di uscita9 mag 2023
ISBN9788728477250
Fiore

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    Anteprima del libro

    Fiore - Giuseppe Fanciulli

    Fiore

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1938, 2023 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728477250

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    È arrivato

    Il calesse girò sul piazzale, e venne a fermarsi nel fascio di luce che prorompeva dalla porta, sullo scintillìo dei sassi bagnati. Quattro, cinque ragazzi si slanciarono vociando addosso al calesse e alla cavalla, invano richiamati da una stridente voce di donna. Intanto Bista era sceso, enorme, e battendo in terra i piedi urlava:

    — Indietro, canaglia! —

    La donna si era avvicinata, e chiedeva:

    — L’hai portato?

    — Eccolo qui — disse Bista. Si curvò sul calesse, ne alzò un ragazzo che fino allora era rimasto silenzioso nel buio, e lo posò in terra. — Eccolo qui — ripetè; e poi, volgendosi al ragazzo: — Questa è la zia Lucia, e questi i tuoi cugini, canaglie. —

    La faccia del ragazzo, un po’ pallida, con due grandi occhi scuri, ora era illuminata in pieno. A un tratto tutte le voci si chetarono; e nel silenzio si udiva il rumore delle grosse gocce che dai rami nudi cadevano in terra.

    La zia Lucia disse dopo un momento:

    — Bene arrivato, Fiore... —

    Ma lo zio Bista gridò subito:

    — I saluti, dentro! Menatelo su, che sarà intirizzito, e affamato, e stanco…. mondo reo, con queste strade! —

    Era sopraggiunto un garzone, a scaricare il calesse, e staccare la cavalla. Perciò tutti si inoltrarono nel portico illuminato, dietro alla zia Lucia. I ragazzi avevano ripreso fiato; si spingevano, ridacchiavano, e lasciavano andare anche qualche pugno - un gran tonfo sulle spalle ove cadeva - tenuti un po’ in freno, tuttavia, dalle occhiate e dal brontolìo del loro babbo.

    — Restate qui, voi! — disse il babbo quando furono nello stanzone di entratura. Perciò, solamente Lucia e Fiore salirono per la scala di mattoni consunti alle camere che erano nel piano di sopra.

    Bista, prima ancora di andare a cambiarsi, entrò in cucina, girò dietro alla tavola apparecchiata, e si fermò accosto al focolare, dove la sua figliuola Stellina lo aspettava.

    — Come stai, nini? — chiese, curvandosi sulla poltrona; e il suo vocione si era fatto dolce.

    Ma Stellina rispose con una domanda:

    — È arrivato?

    — È arrivato, è arrivato!... Nemmeno fosse il principe delle Asturie! — Bista si pentì subito di quello scatto di voce, che aveva fatto sbattere gli occhi a Stellina, e aggiunse: — Vedrai, è un bel ragazzo; e pare anche buono. —

    Passò con leggerezza uno dei suoi manoni sui capelli lisci di Stellina, contento di veder affiorare un sorriso in quel visino bianco.

    Rimasero soli Stellina e il gatto, che sedeva su un angolo del camino basso e con gli occhi socchiusi si godeva il tepore dei tizzi ardenti. Si sentiva camminare al piano di sopra; un passo pesante e uno leggero.

    Poi Teresa entrò a precipizio, portandosi dietro un odore di freddo, e si dètte a far gli ultimi preparativi per la cena. Entrarono Gosto, il sotto-fattore, e Tebaldino, che era il terz’uomo; si sedettero sulla panca, tra la madia e il camino, e continuarono i loro discorsi lenti, che chissà quando erano incominciati, e chissà quando sarebbero finiti. Entrarono i ragazzi, e si misero ad aspettare, appoggiati al muro, impazienti; ma nessuno prima di Bista, che era il fattore e perciò come il capitano di quel bastimento, poteva prender posto a tavola.

    Le voci dei due uomini si alzavano a poco a poco; pareva che non potessero mettersi d’accordo, e si cozzavano ostinate. Tanto che Bista, tornando, prima ancora di dare la buona sera, gridò: — Che c’è, gente?

    — Giusto voi…. — ribattè pronto Tebaldino; e il vociferìo si rialzò, ora che vi si era aggiunta anche quella profonda canna d’organo. I ragazzi ne approfittarono per tirar calci al muro, e mandare di tanto in tanto degli stridi da falchi imprigionati. Quei clamori improvvisi - a volte, anche venti voci insieme - erano comuni nella vecchia casa; e lanciati nel silenzio di quella solitudine, parevano fiammate accese nel buio di una notte senza stelle.

    Di nuovo, il frastuono si inabissò, quando Fiore comparve sulla soglia accosto a sua zia.

    — A tavola a tavola! — disse Bista.

    La poltrona di Stellina, che aveva le rotelle, fu mossa dal suo angolo, e venne spinta fino a un capo della tavola, là dove era rimasto Fiore che aspettava di sapere quale fosse il suo posto. Stellina era emersa dall’ombra all’improvviso, e Fiore ora la guardava.

    — È la mia figliuola; — disse Lucia — tanto tribolata….

    — Ma no, non lo dite, mamma! — aggiunse subito Stellina, con un rapido rossore; e tendeva una manina bianca.

    Fiore strinse leggermente quella mano, e si curvò in un saluto pieno di garbo. Non lo misero accosto a Stellina; stava, invece, fra la zia Lucia e Lorenzo, il più grande dei cugini. Lo zio aveva preso posto con gli uomini ( altri due ne erano arrivati all’ultimo momento); anche Teresa, la serva, quando non stava al focolare, sedeva a tavola, laggiù in fondo, e mangiava con la testa piegata sul piatto. Erano quattordici, o quindici; Fiore non era riuscito a contar bene, perchè sempre qualcuno si muoveva.

    — Non mangi? — gridò lo zio a Fiore. — Che cosa guardi? Scommetto che cucine come questa non ne avevi mai vedute!... ci sarebbe entrata dentro tutta la tua casa di Milano! —

    Lo zio aveva avviato a ridere; ma la casa di Milano dovette ricordargli qualche cosa di poco lieto, perchè la risata si sviò subito, ed egli riprese i suoi fragorosi discorsi con gli uomini.

    Anche Fiore aveva riveduto con una stretta al cuore la casa di Milano. Ma voltandosi, come a nascondere il turbamento, aveva incontrato gli occhi di Stellina posati su di lui, e si era rassegnato in un sorriso. Si salutarono, Fiore e Stellina, con un piccolo cenno di testa.

    Dopo cena, la tavola fu sbarazzata, e gli uomini continuarono i loro discorsi nel canto del fuoco, riempiendo spesso i bicchieri col vino biondo, e guardandoli di contro al chiarore della fiamma, in mezzo a nuvole di fumo sempre più fitte.

    I ragazzi e Fiore, invece, si erano seduti intorno a Stellina; i due più piccini, tutti appoggiati alla panca, presso al muro. La mamma, in faccende per aiutare la Teresa, andava e veniva, e ogni tanto metteva la sua parola. Anche Lorenzo, che ormai aveva preso confidenza col nuovo arrivato, parlava liberamente; della sua scuola, lasciata già da tre anni perchè classi non ce n’erano più, di quello che faceva - tutte le giornate spese dietro alle bestie - e di quello che gli sarebbe piaciuto fare, o il viaggiatore di commercio, o l’ingegnere, ancora non aveva deciso. Tonino, un altro ragazzetto, minore di poco a Lorenzo, si vantava delle sue cacce, sicuro di far colpo. E Cecco, che sedeva su una seggiola bassa, guardava il cugino di sotto in su, con una curiosità insistente. Poi chiese d’impeto, con l’aria di chi tira una sassata:

    — E tu che cosa sei venuto a fare, qui?

    È venuto a riposarsi — disse la mamma che passava lì accosto in quel momento — e non lo disturbate. —

    I ragazzi risero tutti insieme, sinceramente, all’idea che si potesse fare un viaggio tanto lungo proprio per riposarsi.

    — Ci sono io che mi riposo da tanto tempo…. — disse Stellina, come per rimediare l’effetto di quella risata.

    Ma Cecco aggiunse subito:

    — Allora, anche lui è paralitico. —

    La mamma non era più lì, e un certo imbarazzo si diffuse nel gruppo dopo l’osservazione di Cecco.

    Fiore guardava dinanzi a sè gli uomini seduti di fianco al focolare, seguiva i loro gesti e le loro parole; gesti larghi che mandavano rapide ombre sulle pareti, a perdersi fra le travi annerite; parole in cui ricorrevano accenni a lavori difficili e pericolosi con quella orrenda stagione: argini, piogge, inondazioni…. Tutto un mondo ignoto, nel quale non osava muoversi.

    I ragazzi erano già insonnoliti. Cecco si era stancato a fissare il cugino con quei suoi occhiolini pungenti, e ciondolava; a poco a poco tanto si piegò, da appoggiare la testa, senza accorgersene, sulle ginocchia di Fiore. Era un peso grave.

    — Bùttalo giù! — disse Lorenzo, tendendo una mano.

    Ma Fiore trattenne quella mano.

    — Perchè? — disse con la sua voce grave. — Vedi che ha tanto sonno. —

    Cecco aveva socchiuso per un momento le palpebre dalle ciglia rossicce; ma poi gli occhi erano rimasti ben sigillati. Le guance lentigginose parevano un po’ gonfie, e dalle labbra il respiro usciva lento e tranquillo.

    La mamma si avvicinò nuovamente.

    — Via, via, ragazzi! a letto! — disse; e si prese Cecco fra le braccia, con la testa che le ciondolava su una spalla.

    Invece, Fiore, nel suo letto nuovo, non riusciva a prendere sonno. Le lenzuola ruvide erano fredde; ma più freddo sentiva al cuore, con inquietudine. Non lontano da lui, in quel camerone, dormiva Lorenzo più là, insieme in un letto, dormivano Tonino e Cecco; si erano spogliati i ragazzi, nell’aria diaccia, con gran frastuono, si erano cacciati sotto («buonanotte, buonanotte»), e non avevano più detto parola. Per un pezzo, invece, erano salite di giù le voci degli uomini, con frequenti scoppi e silenzi radi. Poi c’era stato uno sbatter di porte, uno scalpicciare. Due passi salivano per le scale, due voci venivano da una camera vicina. Certo, erano lo zio e la zia; forse parlavano di lui. C’era anche una striscia di luce, che veniva di sotto a una porta e brillava sui mattoni. A poco a poco quelle due voci si erano spente, e la striscia di luce era scomparsa, ritirata in fretta di sotto alla porta. Allora, nel silenzio, si erano uditi solamente scricchiolii di mobili vecchi e di travi antiche, e, fuori, lo strusciare delle frasche agitate dal vento.

    Col pensiero Fiore tornava indietro, rifaceva anelando la lunghissima strada. Sul calesse trottava per la strada fangosa, usciva a poco a poco dalla foschìa della sera bagnata, ed entrava, ancora col sole, tra le vie di una cittadina: che chiasso, le ruote e gli zòccoli! Saliva in un treno, affollato, fumoso; correva un giorno intero; tante stazioni, tante voci, e campi e campi, il buio delle gallerie a traverso i monti, ancora campi, stazioni; e in fondo, la città immensa, affondata nella nebbia delle ore mattutine, tutta

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