Katakura Gennosuke - Indagini e dolcetti
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Recensioni su Katakura Gennosuke - Indagini e dolcetti
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Anteprima del libro
Katakura Gennosuke - Indagini e dolcetti - Fosco Baiardi
Intrighi
Katakura Gennosuke - Indagini e dolcetti
di Fosco Baiardi
Immagine di copertina: a partire da un Ukiyo-e di Tsukioka Yoshitoshi, (1839–1892) dal titolo Fukami Jikyu (The full moon coming with a challenge to flaunt its beautiful brow-Fukami Jikyu)
Editing: Daniele Picciuti
Produzione digitale: Daniele Picciuti
ISBN: 9788885497139
Nero Press Edizioni
http://neropress.it
© Associazione Culturale Nero Cafè
Edizione digitale febbraio 2018
Fosco Baiardi
Katakura Gennosuke
Indagini e dolcetti
INDICE
IL MISTERO DEL PONTE
DUE OMICIDI PER L’ISPETTORE NAOE
IL DEMONE DELLA FORESTA
IL SEGRETO DELL’USURAIA
KWAIDAN
IL LADRO DI PRUGNE
I QUATTRO126 DEMONI
INTRIGO ALLA VILLA
UN’ANIMA NERA
LA NASCITA DI YAMANOSUKE
POSTILLA
L'AUTORE
IL MISTERO DEL PONTE
«Gennosuke, Gennosuke!»
Sudato e ansimante, il ragazzo arrivò di corsa davanti alla bottega di wagashi¹ e rantolò: «È successo… di nuovo!»
«Calmati, Kikujirô…» cercò di tranquillizzarlo l’uomo seduto davanti al negozio, intento a godersi i primi raggi del sole mattutino mentre sbocconcellava pigramente un manjū².
L’espressione era estasiata. «Cos’è successo di nuovo?»
«Un morto…» sbuffò il giovinetto, posando le mani sulle ginocchia ossute per rifiatare «dal ponte…»
«Cosa?» A quella notizia anche Gennosuke sobbalzò agitato. La rimanenza del manjū gli sfuggì di mano e cadde a terra; l’uomo la fissò con uno sguardo bramoso e irritato, indeciso se raccoglierla o meno.
«È già il terzo in meno di tre mesi!» berciò con voce più squillante il ragazzino.
«Già» si incupì Gennosuke, rigirando il manjū tra le dita e dandogli qualche pacca per togliere il grosso della polvere.
«Non ti azzardare a infilarti in bocca quella roba!» stridette una voce femminile. Da dietro i noren³ dell’emporio uscì a piccoli passi una donna minuta e aggraziata, ma con uno sguardo risoluto negli occhi, e si avvicinò a Gennosuke. Sembrava un tifone imbrigliato in una bottiglia.
Kikujirô, non avvezzo a vedere una donna imporsi in tal modo sul proprio marito, fece istintivamente un salto indietro. Eppure non era la prima volta che li vedeva battibeccare.
«Katakura Gennosuke⁴, dammi subito quel manjū!» intimò la moglie imperiosa, allungando la manina.
«Ma… moglie mia, è un peccato sprecare un dolce così buono…» piagnucolò lui, mentre tentava di blandirla prendendole il palmo e carezzandolo con delicatezza «fatto con le tue tenere e sapienti manine…»
La donna sembrò raddolcirsi e un debole sorriso apparve sul viso delicato, che mostrava un lieve arrossamento.
«Bene, Kiku! Andiamo al ponte a vedere?» cambiò opportunamente discorso Gennosuke, sollevando con un cigolio la sua notevole mole dalla panca.
«Sì, sì!» esclamò il fanciullo, lieto della diversione che metteva fine a una situazione per lui imbarazzante.
«A dopo, moglie mia!» salutò Gennosuke avviandosi.
La donna si produsse in un discreto colpo di tosse.
«Gennosuke!» chiamò, vedendosi ignorata.
«Che c’è?» L’uomo si voltò con aria serafica, soffocando un sospiro: ormai non poteva più fare finta di non averla sentita.
La manina era sempre lì, alzata col palmo verso l’alto.
«Ti sei dimenticato di darmi il manjū» tubò lei dolcemente, mostrando di credere alla buona fede del marito.
«Ah, giusto!» Il pasticciere tornò sui suoi passi e, quasi con gli occhi lucidi, consegnò il dolce impolverato alla donna.
«Forza Gennosuke, sbrighiamoci!» lo incitò il giovinetto, che si tratteneva a fatica dal mettersi di nuovo a correre «Sarà già pieno di gente!»
Il passo indolente dell’uomo lo esasperava.
«Ormai è morto, Kikujirô, non andrà da nessuna parte» assicurò l’altro, con le mani intrecciate dentro le maniche del kimono. Il suono cupo dei geta⁵ sulla terra battuta non cambiò. Gennosuke procedeva sempre a quell'andatura, e niente era mai riuscito a farlo accelerare.
Il ragazzo stava per esortarlo ancora, quando notò il viso serio del pasticciere. Era facile intuire dallo sguardo fisso che Gennosuke non stava guardando la strada e che era immerso nei propri pensieri. Decise di rispettare quelle profonde meditazioni: quando l’amico si concentrava era capace di intuizioni incredibili. Di sicuro stava già elucubrando circa il nuovo suicidio… sempre che fosse un suicidio…
«Bah!» sbottò il pancione poco prima di arrivare a destinazione e il fanciullo gli si fece vicino, pendendo letteralmente dalle sue labbra, in attesa di sentire quello che la mente prodigiosa dell’altro aveva partorito.
«Un vero peccato sprecare un manjū così buono!» bofonchiò invece l'altro, con disappunto.
Kikujirô per poco non cadde inciampando nei suoi stessi piedi: una smorfia di delusione gli contorse il faccino abbronzato.
All’imboccatura del ponte si era già radunato un capannello di gente e i poliziotti faticavano a tenere indietro i curiosi. Anche Gennosuke e il suo piccolo informatore si unirono alla folla; con impassibile noncuranza, sfruttando la sua mole, il pasticciere si fece strada fino agli agenti. Uno di loro, dall’aspetto giovane e inesperto, gli sbarrò la strada.
«Dove credi di andare?» lo apostrofò lo zelante poliziotto.
«Non sai chi sono?» replicò Gennosuke con voce autoritaria, mettendo le mani sui fianchi e gonfiando il petto «Fammi passare, il tuo capo mi aspetta!»
Il giovanotto esitò, cercando aiuto nei compagni.
«Vuoi forse subire un richiamo formale per aver ostacolato un consulente della polizia?» rincarò l'omaccione e – senza badargli oltre – si fece avanti, seguito da un trotterellante Kikujirô. L’altro, sbigottito, si scostò senza nemmeno provare a resistere, ricacciato indietro dalla pancia prominente del nuovo arrivato.
Al centro del ponte c’erano solo due persone.
«Buongiorno, ispettore Naoe!» salutò Gennosuke e, rivolgendo un cenno del capo al secondo investigatore: «Sergente Anayama...»
«Buongiorno…» L’altro ricambiò il saluto con scarso entusiasmo, squadrando prima l’uomo e poi il fanciullo.
«Si è avvicinato qualcuno?» interrogò il pasticciere, scrutando il terreno abbondantemente calpestato.
«Oltre a noi due e a voi due?» ironizzò Naoe «Bah! Solo un battaglione di dannatissimi ficcanaso prima del nostro arrivo. E adesso, grazie a voi, anche dopo!» concluse allusivo.
Gennosuke non lo considerò e si sporse oltre il parapetto in legno. L’acqua limpida del fiume turbinava sotto l’unica arcata, gorgogliando rumorosamente. Aveva l’aria di essere molto fredda.
«Un altro inspiegabile suicidio?» azzardò Gennosuke risollevandosi.
«Così sembrerebbe».
Anayama aveva iniziato a biascicare una preghiera ai kami⁶.
«Come?» Il pancione gli rivolse la sua attenzione.
«Sono stati gli yōkai⁷. Loro hanno sussurrato parole malvagie alle orecchie delle vittime, costringendole a buttarsi con l’inganno».
Gennosuke guardò l’ispettore Naoe, che alzò gli occhi al cielo.
«Cosa significa, Anayama?» tornò a indagare il consulente.
«Questa mattina un contadino ha assistito al suicidio».
«Che cosa?» Gennosuke sussultò con violenza e si appressò al funzionario con un’agilità inaspettata per un corpo così ingombrante.
«Ecco…» Anayama si tirò indietro, spaventato dalla vemenza dell’interlocutore «era quasi l’alba e, da lontano, ha scorto la vittima barcollare davanti a lui. Lo ha visto imboccare il ponte e fermarsi all’improvviso al centro. Si è messo a guardare di sotto…»
«Aspetta!» lo bloccò Gennosuke. Infilò una mano nella manica del kimono e, dopo aver frugato un po’, estrasse uno spiedino su cui erano infilzate tre palline colorate. Dopo aver ingoiato la pallina rosa, fece cenno di continuare. Naoe sbuffò seccato e Kikujirô strabuzzò incredulo gli occhi.
«Ecco, dicevo…» proseguì il sergente, incerto.
«L’uomo ha guardato il fiume…»
«Sì, giusto! Ha guardato giù e poco dopo si è messo a balbettare. Poi è parso più trafelato. È stato allora che anche il contadino ha udito una voce stridula provenire da sotto il ponte».
«E che cosa diceva?»
«Non lo sa. Non ha capito. È scappato via di corsa a chiamare aiuto quando ha visto la vittima alzare una gamba per scavalcare il parapetto».
Gennosuke rimuginò sulle informazioni ricevute, masticando l’ultima pallina al tè verde.
«Di sicuro è stato uno yōkai. Ha attirato gli sventurati e li ha fatti cadere nel fiume! Magari un kappa⁸…» si ripeté Anayama in un balbettio che tradiva un certo disagio «non va bene soffermarsi tanto qui...»
«Sergente!» lo richiamò con severità il superiore.
«Scusi, signore».
Il sottoposto chinò il capo, mortificato.
«Il corpo del defunto?» si intromise Gennosuke, rigirando il legnetto in bocca.
«Guarda, lo hanno ripescato e lo stanno portando qui». Naoe indicò un gruppo di uomini che stavano raggiungendo il ponte, all’estremità opposta rispetto a quella da cui era arrivato il pasticciere.
L’ispettore Naoe, il sergente, Gennosuke e Kikujirô raggiunsero il dottore che stava esaminando il cadavere in loco, contornato da una cintura di poliziotti che tenevano lontano i curiosi.
«Annegamento?» indagò l’ispettore.
«Annegamento» confermò il medico.
«È il terzo che muore nello stesso modo…» mormorò Naoe, aggiungendo un’imprecazione.
«Beh, veramente gli altri due si sono schiantati sulle rocce…» puntualizzò il sergente, guadagnandosi un’occhiata fulminante del suo superiore.
«Per forza, l’acqua era troppo poca per affogarci dentro. Ora, con l’avvicinarsi della bella stagione, le nevi si sciolgono e i fiumi si stanno ingrossando…»
Il cadavere era di un pallore che sfumava nel grigio. Il contorno degli occhi presentava un arrossamento. Aveva pochi capelli, una barba rada sul viso asciutto, braccia e torace molto muscolosi.
Gennosuke tirò fuori un altro bocchan dango⁹ dalla manica e si infilò nervosamente tutte le palline in bocca in un sol colpo.
«Cosa c’è?» chiese il ragazzino, notando l’azione convulsa del consulente.
«Io conosco quest’uomo! Si chiama Daisuke, è un boscaiolo che alla fine dell’anno passa sempre a prendere dei mochi¹⁰» rispose Gennosuke tirando da parte il ragazzo.
«Che tipo era?»
«Non lo conoscevo così bene, ma aveva l’aria di essere un tipo irascibile. E poco educato. So che frequentava spesso l’izakaya¹¹…» spiegò Gennosuke «Andiamo a fare due passi e sentiamo se qualcun altro ha visto la nostra vittima».
Salutarono i poliziotti, che reagirono a malapena.
«Come sono invidiosi!» constatò Kikujirô saltellando «Invece di esserti grati che gli risolvi i casi, quegli incapaci ti sono anche ostili!»
«Oh oh oh!» ridacchiò lusingato l‘uomo «Sono solo stato fortunato un paio di volte. Ci sarebbero arrivati comunque…»
Il ragazzo gli lanciò un’occhiata scettica e Gennosuke scoppiò in una risata tonante.
«Ehi, guarda un po’ qui» si interruppe, avvicinandosi a una chiazza di vomito vicina al muro di una casa. Si chinò a esaminarla in silenzio.
Kikujirô arricciò le labbra disgustato.
«Come fai a stare sopra a quello schifo? Senti che puzza di sake!»
Il pancione si cacciò in bocca un amananattō¹² senza esprimersi.
«E come fai ad avere voglia di mangiare?» si scandalizzò Kikujirô.
«In effetti è quasi tutto liquido e sta già asciugando» commentò pensoso Gennosuke dopo qualche secondo «tuttavia…»
In quel momento il proprietario dell’abitazione uscì, inveendo contro l’uomo accovacciato, convinto che fosse stato lui a rigettare davanti a casa sua. Aveva occhi grossi e tondi accesi dalla furia, un viso scarno dal mento lungo e a punta, un fisico secco come una scopa. Il torace nudo era una festa di costole e ossa sporgenti. Prese per il collo Gennosuke e fece per spingerlo sulla chiazza.
«Ora te la faccio pulire con la lingua!» ruggì.
Gennosuke non si scompose. Le gambe grosse come tronchi non cedettero. Facendo leva sulle ginocchia tornò eretto e l’assalitore lasciò la presa: indietreggiò intimorito, trovandosi a fissare il petto del pasticciere.
«Chiedo scusa» esordì Gennosuke in tono piatto «ci dev’essere un equivoco. Non sono stato io a fare… questo».
«Ehm…» balbettò l’altro, cogliendo al volo l’occasione di fare marcia indietro «ma è chiaro che non sei stato tu. Come ho potuto anche solo pensarlo?»
Con un lieve inchino i due contendenti si congedarono.
«Non capisco perché non gli hai dato una bella lezione, a quel prepotente!» strepitò Kikujirô «Se avessi il tuo fisico…»
«E cos’avrei ottenuto?» ribatté flemmatico Gennosuke.
Il ragazzo restò in silenzio, meditando su quelle parole.
Un gorgoglio proveniente dallo stomaco del pasticciere lasciò il fanciullo a bocca aperta.
«Finalmente l’izakaya!» esclamò Gennosuke, massaggiandosi con soddisfazione l’epa voluminosa sotto la lanterna rossa.
Essendo mattina presto non c’erano molti clienti. Dopo essersi tolti le calzature all’entrata, si accomodarono a un tavolino basso¹³ e il bottegaio ordinò un mitsumame¹⁴, al contrario di Kikujirô, che si limitò a del tè verde. La cameriera offrì loro una salvietta umida appena si furono seduti. Si muoveva con fare civettuolo e scoccò al pancione un’occhiata sfacciata.
Gennosuke salutò con cortesia la donna e andò subito al sodo, trascurando gli spudorati tentativi di seduzione e chiedendole se avesse sentito del tragico accadimento.
«No, signore!» rispose quella, abbandonando ogni atteggiamento provocante.
«Forse Daisuke, il boscaiolo, era stato qui da voi…» tentò l’uomo, allusivo. E la fissò dritta negli occhi.
La cameriera si guardò intorno, nervosa e sfuggente. Non aveva mai visto un giapponese comportarsi in quel modo¹⁵.
«Non lo so, non ho lavorato ieri…» rispose evasiva, sforzandosi di apparire indifferente. I suoi occhi sembravano dire il contrario, però potevano essere arrossati e lucidi anche per altri motivi.
«Vi porto l’ordinazione!» fece poi lei, spiccia.
Quando fece ritorno con il mitsumame, il pasticciere tornò alla carica: «Veniva spesso qui?»
La donna esitò ancora una volta.
«Sì… ogni tanto…» replicò indecisa.
«Che tipo era?» indagò Gennosuke insistente.
«Gli piaceva bere!» si lasciò scappare lei un po’ troppo in fretta «Era sempre ubriaco! Dava fastidio a tutte le cameriere!»
Subito dopo sembrò pentita d’aver parlato e se ne andò a piccoli passi velocissimi.
Essendo mattina c’era solo lei a servire ai tavoli e Gennosuke non poté approfondire la questione, così si buttò a capofitto nel mitsumame, godendosi il sapore dolce e fresco della frutta.
«Sai cosa ti dico?» riprese il ragazzo quando furono usciti dall’izakaya «Quel Daisuke ha bevuto troppo ieri sera e infatti ha vomitato. Arrivato al ponte, poi, ha perso l’equilibrio – anche il contadino ha detto che barcollava, no? – ed è caduto nel fiume! Semplice, direi. Non c’è alcun mistero!»
Gennosuke non ribatté.
«Allora? Cosa ne pensi?» lo sollecitò il piccoletto.
«Può essere, può essere…» si limitò a bisbigliare il consulente, con fare enigmatico.
La chiazza di vomito presso la casa non era ancora stata rimossa dal violento proprietario, del quale – al contrario – non v’era traccia.
Al ponte non trovarono quasi più nessuno, se non il normale andirivieni quotidiano. Durante il tragitto avevano spesso udito volare di bocca in bocca la parola yōkai.
«Vieni con me!» Gennosuke invitò il fanciullo a scendere lungo l’argine, sul terreno coperto di erba umida e scivolosa. Kikujirô mise un piede in fallo e ruzzolò giù per la scarpata, fino a raggiungere il letto sassoso.
Una volta sceso con cautela, il pancione si sincerò delle sue condizioni: «Tutto bene?»
«Sì» lo tranquillizzò il ragazzo, per sbottare subito dopo: «Mi sono coperto di fango, ora chi la sente mia madre?»
Gennosuke già lo ignorava. Stava perlustrando i lati del ponte e lo spazio ristretto sotto l’arcata, fin dove la corrente permetteva di camminare. In particolare si era fissato sul lato opposto a quello su cui si erano arrampicati i poliziotti che avevano trasportato il cadavere.
«Non devi essere stato l’unico a scivolare…» osservò poi con aria pensosa.
Il ragazzino si avvicinò, adocchiando la traccia sul terreno.
«Saranno stati i poliziotti…»
«Sono risaliti dall’altra parte. Il corpo era scivolato a valle; non aveva senso per loro scendere di qua…»
«Un pescatore, allora?»
«Chissà!»
Gennosuke si frugò a lungo nella manica ma, questa volta, non ne estrasse niente. Fece cenno che era ora di tornare sulla strada.
«Ti saluto, Kikujirô. Devo rientrare al negozio, mia moglie mi starà dando per disperso».
Il ragazzo ricambiò il saluto e non dubitò nemmeno per un istante che Gennosuke non vedesse l’ora di rincasare per rimpinzarsi di dolcetti.
Il pasticciere oziava nello stesso punto dove amava accomodarsi quando non aveva clienti o aveva finito di creare le sue leccornie. Da lì poteva tenere d’occhio la strada,