Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

I'M. Infinita come lo spazio
I'M. Infinita come lo spazio
I'M. Infinita come lo spazio
E-book245 pagine3 ore

I'M. Infinita come lo spazio

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

"E un giorno, quando avrebbero scavato per costruire al suo posto una rampa di lancio per le navicelle spaziali che anche da lì, come da ogni cittadina del mondo, sarebbero potute partire per fare un week end sulla Luna, qualcuno con la stessa identica faccia di quell'uomo avrebbe trovato l'orologio. Lei no. Jessica figlia di sua madre, così come Aurora, non erano niente di tutto questo. Non c'erano fantasmi con il suo viso da nessuna parte, non c'erano tracce e linee rette percorse per secoli e millenni dal sangue del suo sangue, case costruite dalle mani di qualcuno che portasse il suo cognome e in cui oggi lei vivesse. Loro erano alieni di un altro pianeta e questa era cosa che tutti ci tenevano a sottolineare, sempre."
LinguaItaliano
Data di uscita26 feb 2018
ISBN9788876067013
I'M. Infinita come lo spazio

Correlato a I'M. Infinita come lo spazio

Ebook correlati

Fantasy per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su I'M. Infinita come lo spazio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    I'M. Infinita come lo spazio - Anne-Riitta Ciccone

    ponte.michele@gmail.com

    A n n e – R i i t t a    C i c c o n e

    I’M

    Infinita come lo spazio

    Edizioni Il Foglio

    Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte.

    EDGAR ALLAN POE, Eleonora, 1842

    I

    néve (ant. niève) s. f. [lat. nix nĭvis].

    a. Precipitazione atmosferica costituita da minuti cristalli di ghiaccio dalla struttura esagonale più o meno ramificata, spesso aggregati fra loro in fiocchi le cui dimensioni possono raggiungere qualche centimetro: tali cristalli hanno origine dalle goccioline d’acqua che formano le nubi e che, trasportate da lenti moti ascensionali, raggiungono quote alle quali la temperatura è di parecchi gradi inferiore allo zero, dove congelano formando cristalli per lo più di forma esagonale; su questi sublima il vapore acqueo presente nella nube, dando luogo a caratteristiche formazioni geometriche che cadono continuando ad accrescersi finché la temperatura è sufficientemente bassa. In meteorologia e in geografia fisica: n. perenne, quella che rimane al suolo anche d’estate e, modificandosi, forma il nevato e quindi il ghiacciaio; limite climatico delle n. permanenti, il livello altimetrico sopra il quale la neve caduta in una zona non può fondere interamente nell’estate. N. penitente (calco dello spagnolo nieve penitente), formazione nevosa delle regioni elevate tropicali e subtropicali, frequente soprattutto nelle Ande, che si presenta per vaste estensioni sotto forma di piramidi o di coni regolari che da lontano appaiono come figure umane incappucciate e preganti.

    b. Fraseologia del linguaggio comune: la n. fiocca, si scioglie, cade a falde, a fiocchi; tùrbine, tormenta, slavina, valanga di n.; terreno pieno, coperto, ingombro di n.; ammonticchiare, togliere, spalare la n.; uno strato, un manto, un mucchio di n.; sui campi di n.; affondava fino al ginocchio, talvolta si imbatteva in sacche di n. accumulata dal vento ed allora affondava fino alle anche (P. Levi); fare le palle di n. o fare a palle di n., giocare scagliandosi neve pressata tra le mani. Prov., sott’acqua fame e sotto n. pane, l’inverno piovoso è nocivo al grano, favorevole invece l’inverno nevoso. Si dicono sport della n. gli sport invernali, soprattutto lo sci; per quest’ultimo, ha particolare importanza la condizione della n., sia per la possibilità o no di esercitare lo sport stesso, sia per l’uso di appropriate scioline (le notizie al riguardo sono di solito rese note per mezzo della stampa, della radio, della televisione e di internet, con apposite comunicazioni dette bollettino della n.); si distingue la neve in: ghiacciata, compatta, bagnata, fradicia, umida, granulosa, friabile, farinosa, dura, ecc.; più genericamente in n. sciabile o non sciabile. Come locuz. agg., da neve, adatto a terreno innevato o a chi sta tra le nevi o ne pratica gli sport: pneumatici da n.; racchette da n. (v. racchetta1); abbigliamento, giaccone, scarponi, guanti da n.; occhiali da n., con vetri colorati che assorbono parte delle radiazioni solari; per la tavola da n. usata in meteorologia, v. nivometro. In similitudini e in usi fig., per indicare bianchezza, candore, meno spesso freddezza, come di neve: Giovene donna sotto un verde lauro vidi più bianca e più fredda che neve (Petrarca); Bianca nieve è il bel collo (Ariosto); Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, Ch’a l’aura in su la neve ondeggi e vole (Bembo); e nella locuz. di neve, con valore attributivo: mani di n., bianchissime, e raramente fredde come neve (in questo senso piuttosto di ghiaccio); al fuggente nuotatore [il cigno] Che veleggia con pure ali di neve Fate inciampi di fiori (Foscolo). Tali usi fig. sono per lo più poetici o letterari; ma anche nel linguaggio fam. si dice talvolta, in tono scherzoso, la n. comincia a cadere, per indicare l’incanutirsi dei capelli; e sono di uso com. le espressioni montare, battere a n., frullare l’albume dell’uovo in modo che diventi bianco e spumoso.

    c. Nella tecnica televisiva, si chiama effetto neve un caratteristico aspetto delle immagini ricevute in condizioni di bassa intensità del segnale; i disturbi, accompagnati da rumore di fondo del televisore, si manifestano come diffusi e tremolanti puntolini biancastri.

    2.

    a. N. carbonica: anidride carbonica solida, detta anche ghiaccio secco.

    b. N. artificiale, denominazione di fiocchi di cotone o scagliette di materiale plastico bianco con cui in scenotecnica si simula la neve; anche, massa di cristalli di ghiaccio con la quale si ricoprono piste da sci quando l’innevamento è insufficiente, ottenuta spruzzando, per mezzo di adatti dispositivi (detti cannoni), acqua nebulizzata a temperatura ambientale al di sotto dello zero.

    3. Nel gergo dei drogati, cocaina.

    (Da: Enciclopedia Treccani)

    II

    Da che si ricordasse di esistere ogni risveglio era una piccola morte, un principio di attacco di panico, una specie di faticosa rinascita.

    Maria, sua madre, una volta le aveva raccontato di quando era nata. L’avevano data per morta, il battito non si sentiva più perciò avevano buttato il corpo della Madre esausto per decine di ore di travaglio su una barella e l’avevano portata in una stanza tutta bianca e verde, l’avevano aperta in due e tirato fuori lei ormai grigiastra, il collo stretto nel cordone ombelicale.

    Sua Madre l’aveva voluta morta da subito, si diceva, o forse era lei stessa che aveva avuto una certa tendenza suicida fin dalla vita intrauterina. Il cappio, peraltro, era una delle sue immagini preferite. Non per niente nella sua cameretta diversi orsacchiotti e una vecchia bambola pendevano dal soffitto attaccati per il collo da eleganti cappi di cordino, lacci per le scarpe o strisce di tessuto rosso che erano stati un tempo decorazioni di pacchi di Natale.

    Sì, perché c’era stato anche quel tempo, negli alti e bassi di Madre-non-Madre di Maria, che si era fatto l’albero e si erano distribuiti i pacchi di Natale.

    Quest’anno, visto che la figlia piccola, Aurora, era venuta a sapere della possibilità dell’esistenza di tal Babbo Natale, Maria pareva pericolosamente intenzionata a rimettere in piedi quella patetica pantomima, quella parvenza di famiglia.

    Aveva anche chiamato la propria madre, che viveva dall’altro lato del pianeta in cui tutti loro erano precipitate, tirando fuori questa cosa dello stare insieme per le Feste.

    La vecchia non aveva voluto saperne, non ci cascava più nella trappola di Maria, che tanto lo sapeva che si finiva ad inseguirsi con i coltelli, litigare e rinfacciarsi cose appartenenti ad epoche ed ere ormai perdute nel Tempo.

    Che senso aveva mettersi su un oggetto volante costato migliaia di soldi per farsi malmenare dalla propria figlia e lasciarsi vomitare addosso un milione di lacrime e recriminazioni.

    - Non fosse stato per te, io ce l’avrei fatta, nella vita! – diceva in quelle occasioni Maria, mentre la piccola Aurora continuava a mangiare come niente fosse chiusa nel suo mondo di fate e principesse, la nonna sarebbe stata lì appoggiata al lavello con le guance rosse e lo sguardo assente, e lei, lei, sarebbe stata forse sollevata perché se non altro si sarebbe saltata la cena.

    - Jessica! Jessicaaaaaaaaaaa! –

    Eccola, la Madre.

    - La scuolaaaaaaaaaaa! –

    Maria aveva una lingua tutta sua, con molte vocali.

    Anche Jessica aveva una lingua tutta sua, fatta di monosillabi e grugniti.

    - Sì. Uff. Ma… Grunt. –

    - Vififienifo afo fafirefo cofifilafizionefo? – cinguettò Aurora affacciandosi sulla porta della camera di Jessica, anche lei dotata di una lingua personale e segreta di cui era molto fiera.

    Le due sorelle non si somigliavano affatto nell’aspetto e nemmeno caratterialmente. D’altronde avevano padri diversi.

    La maggiore non era mai stata altro che taciturna, cupa, inseguita da strani presagi, asociale, diffidente, cinica. Aveva sempre odiato il rosa, i giocattoli, le scarpe che si illuminano, le favole con le principesse. La minore amava moltissimo il rosa, sognava di diventare una principessa, amava pattinare sul ghiaccio immaginando per sé un futuro in tutù e lustrini, cantava tutto il giorno, era sempre allegra.

    Jessica si era chiesta fin dal primo momento che cosa avesse di tanto bacato nella testa, quella sua mezza sorella, da sorridere sempre. Fin dalla culla, le aveva sorriso.

    Quando era stata un topino piccolo e odoroso di latte le aveva anche fatto tenerezza ma al momento non sapeva che farsene di una mocciosa tutta glitter e coroncine.

    E poi Jessica aveva deciso da tempo di non farsi fregare da elementi condizionanti quali l’amare qualcuno. La vita le aveva dimostrato che amare crea solo complicazioni.

    D’altronde aveva diciassette anni, a diciassette anni si è capito tutto quel che c’è da capire.

    Cose che aveva capito:

    la vita è una merda

    non c’è giustizia a questo mondo

    la realtà che tutti abbiamo sotto gli occhi, fortunatamente, non è l’unica realtà.

    Le piaceva disegnare. Anzi, non faceva altro che disegnare.

    Non solo disegnava molto bene ma c’era una ragione molto precisa per cui aveva trovato nel mettere su carta immagini e pensieri una vera e propria ragione di vita.

    C’è un altro mondo, oltre un pezzo di carta.

    A circa sei anni Jessica aveva scoperto improvvisamente un segreto poderoso.

    Vivevano altrove, allora, lei e sua Madre ed erano solo loro due.

    La Madre aveva allora un fidanzato, un tipo che a Jessica non era mai piaciuto: puzzava di birra e aveva il tono della voce crudele.

    Maria e il tizio puzzadibirra stavano litigando nella cucina della piccola casa dalle pareti blu scuro, Jessica si era seduta sul letto e si era messa a disegnare.

    In quel periodo aveva avuto una strana passione per la musica jazz. Billie Holiday, Nina Simone, le ascoltava la nonna, roba che aveva portato con sé dall’altro mondo, da un qualche pianeta lontano perso nel passato, un tempo in cui la vita della gente della sua famiglia doveva essere stata molto diversa. Comunque, Jessica aveva scoperto che quella musica le piaceva, ascoltava All of me di Billie in cuffia e grazie alla musica non udiva che lontane e ovattate le urla e il frastuono degli oggetti che si frantumavano contro le pareti nell’altra stanza.

    Ma nel frattempo disegnava, come sempre. Aveva disegnato, furiosamente, quell’uomo orrendo in una pozza di sangue, fatto a pezzi. Morto.

    Aveva immaginato con tutte le sue forze quel che avrebbe voluto accadesse e dalla sua immaginazione vivida ne aveva tratto un grande giovamento. Si era sentita meglio, aveva smesso di avere la tremenda oppressione al cuore che la stava tormentando da giorni, si era sentita leggera.

    Poi l’orrido fidanzato di sua Madre era uscito sbattendo la porta.

    Maria era rimasta in cucina appoggiata al tavolo, piangendo dagli occhi cerchiati di mascara e solitudine.

    Jessica era appena arrivata sulla porta della stanza con il suo disegno in mano quando entrambe, la donna e la bambina, avevano sentito delle urla provenire dalla scala del palazzo.

    Si erano guardate senza parlare, negli occhi di sua Madre un guizzo di curiosità aveva preso il posto della disperazione, si era mossa verso la porta di ingresso e Jessica le era andata dietro.

    Gli altri inquilini del palazzo erano tutti affacciati dalle scale, alcuni correvano giù. Il signore grasso che viveva all’ultimo piano con una decina di gatti alieni e cattivissimi passò accanto a Maria osservandola con un misto di dispiacere e imbarazzo. Questo le diede la sensazione che tutto quel trambusto la riguardasse, così anche lei si mosse verso il pianterreno.

    L’orrido puzzadibirra giaceva nella tromba dell’ascensore in un lago di sangue e tutto scomposto come una marionetta abbandonata.

    Non aveva mai funzionato bene, quell’ascensore, e dal sesto piano era stata una bella botta, commentarono i più dopo il tragico incidente. Era di fretta, era arrabbiato, aveva aperto la porta e…

    Ma Jessica aveva capito benissimo cos’era accaduto.

    Il lettore CD, rimasto senza cuffie, lasciava libere nell’aria le note di God bless the child.

    Una serie inequivocabile di segni.

    La sera, stesa sul suo lettino mentre Maria di là si sfogava con un’amica, la bimba fissò il suo disegno e comprese di avere avuto forse una nascita sfortunata ma che le era stato dato in dono un grande potere.

    - Mi fai un coniglio? – le chiese Aurora guardandola disegnare, seduta al tavolo di cucina davanti a una tazzona in cui quelli che erano stati dei cereali annegavano in silenzio dopo una vita del tutto inutile.

    Jessica disegnò un coniglio.

    - Sbrigatevi, su. Sto facendo tardi al lavoro. –

    - Ma vai, ce la lascio io Aurora all’asilo. – il tono di Jessica era brusco, lo sguardo concentrato sugli occhi del coniglio.

    - Sì, potessi fidarmi di te. Poi la lasci indietro per strada e finisce sotto una macchina. –

    - Ma è ridicolo che ce la porti tu, la scuola è la stessa. O ti vergogni che ce la porti io? –

    - Non mi fido. –

    - Vabbè, allora uscite, io non sono pronta. –

    - Non voglio che fai tardi a scuolaaa! Sono stanca di ricevere telefonate dalla tua insegnante. –

    - Grunt. –

    Maria fissò le sue figlie appoggiate al tavolo, una che disegnava, l’altra piegata sul foglio che seguiva la nascita del coniglio come se ogni azione della sorella fosse un piccolo miracolo.

    Le aveva sempre amate così male, pensò. Dentro di sé aveva coccole, parole dolci e lo stesso struggimento emozionato che aveva provato entrambe le volte quando le aveva sentite crescere dentro di sé. Ma ogni cosa che diceva, ogni azione che faceva quando si muoveva verso loro, soprattutto verso Jessica che era sempre arrabbiata e sembrava non perdonarle qualcosa, diventavano parole acide, gesti bruschi.

    D’altronde era così che aveva amato sua madre, che aveva rimpianto suo padre, che aveva amato gli uomini.

    Ma si era accorta, fin da piccola, che ogni volta che si era lasciata andare alla tenerezza, ad ogni ti amo, a ogni ti voglio bene era sempre seguita una qualche catastrofe.

    E quindi aveva imparato la lezione: quel che si prova, non si dice. Quel che si desidera davvero, si tiene nascosto.

    È solo così che si può controllare il magma indefinito che è la realtà.

    Aveva trascinato Jessica ovunque su quel pianeta cercando fortuna e prosperità ma ogni tappa del loro viaggio tra deserti privi di esseri viventi, di grandi città piene di fumo e polvere, luoghi colmi di gente che prega e luoghi popolati di gente che uccide, alla fine le cose erano sempre andate nello stesso modo: non era lì che avevano nascosto i sogni che Maria stava inseguendo.

    Così, viaggiando e cercando, era arrivata fino alla fine di quel pianeta bizzarro su cui erano precipitate e lì alla fine non c’era altro che ghiaccio, alberi, case di mattoni e cemento armato, edifici di legno, lupi, conigli che la gente cacciava con i fucili, persone taciturne e misteriose.

    E neve.

    Nient’altro che neve.

    Lì le aveva accucciate al sicuro in un piccolo palazzo con pochi appartamenti, aveva costruito per le sue figlie una tana di lana, legno e cuscini, e aveva deciso che piuttosto che inseguire i sogni la cosa migliore fosse tenere i suoi cuccioli lontano da ogni orrore della realtà.

    - Vorrei capire tanto perché ci hai voluto seppellire in questo pizzodimerda. – l’accusava Jessica.

    Ma come spiegarle che lei, da quando aveva avuto l’età attuale di sua figlia, quel pianeta l’aveva visitato tutto ed era stato solo violenza, cattiveria, pericoli, cose che vanno storte, tutto a rivelarle che i sogni sono stati portati via da questo mondo sull’ultima navicella spaziale in partenza verso galassie migliori, pianeti non ancora succhiati e sputati dagli esseri umani?

    Aveva cercato bene, Maria, ma non ce ne erano proprio più di sogni e aveva anche scoperto che grande pericolo possa essere desiderare, sperare, su un pianeta così arido.

    Loro, i ladri di sogni, se ne accorgono quando vuoi fortemente qualcosa e sono lì, pronti a strapparti tutto di mano proprio quando pensi di averne ingabbiato uno, seppure piccolo piccolo.

    Allora quel suo segreto, segretissimo amore per le sue figlie, quei piccoli desideri che ogni tanto purtroppo le scappavano, come il vederle felici, che realizzassero qualcosa, le metteva tutte in un tremendo pericolo. Poteva accadere qualunque cosa pur di rovesciare nelle loro vite qualche altro chiletto di dolore.

    Ecco perché lì, alla fine del mondo conosciuto, sarebbero state protette e al sicuro.

    - Andiamo, Aurora, va’. –

    Maria si mosse, la gestualità brusca, lo sguardo corrucciato. Prese il cappotto mentre la piccola le trottava dietro.

    - Ma non aveva ancora finito il coniglio! – protestò la bimba indossando la sua tutina di piume sopra i vestiti, obbediente e serena come sempre.

    - Lo vedi stasera. –

    Jessica stava rifinendo gli ultimi tocchi.

    - E non fare tardiiiii! – urlò ancora Maria prima di uscire.

    Porta che sbatte, silenzio. Ronzio del frigorifero.

    Jessica posò la matita e contemplò il suo lavoro finito.

    Come sempre, pochi secondi dopo, il coniglio uscì dal foglio, si stiracchiò e cominciò a saltare sul tavolo.

    III

    Di sua madre non aveva praticamente ricordi. Forse qualcosa di profumato che ti sveglia la mattina, ma tutto sommato poteva anche trattarsi di un sogno, d’altronde aveva cercato di immaginarla spesso.

    Spesso all’alba si ritrovava solo. Nei giorni

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1