Storia di Hamitav e altre vite
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Hamitav è un musicista, un creatore di suoni. Sarà chiamato a Isgrot come già suo padre Emil, padrone delle macchie di luce. Hamitav vuole incontrare Emil e scoprire cosa c’è su Isgrot. Riuscirà nel suo intento e scoprirà verità sorprendenti. Questa è la sua storia, la storia di Hamitav, che vivrà altre vite, in altri universi, che gli insegneranno a capire la propria realtà e il proprio essere. Insieme a lui anche noi forse capiremo qualcosa di più.
Dopo la raccolta di racconti “Luoghisogni” Giandomenico Antonioli torna a narrarci i suoi mondi fantastici in un romanzo atipico, ricco di storie e di riflessioni, i cui riferimenti dichiarati sono Eraclito, Charlie “Bird” Parker, Capitan Miki, Blek Macigno, Rocky Rider, Fiordistella e, naturalmente, tanti altri.
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Anteprima del libro
Storia di Hamitav e altre vite - Giandomenico Antonioli
Giandomenico Antonioli
Storia di Hamitav e altre vite
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A Isa, Maya, Matteo e Chiara
Ciò che vediamo da svegli è la morte
ciò che si vede dormendo sono solo sogni.
(Eraclito - frammento 21 Diels-Kranz)
Chi è sveglio
partecipa di uno stesso mondo
chi dorme
vive in un suo mondo privato.
(Eraclito - frammento 89 Diels-Kranz)
1. L'inizio
Quando mio padre fu chiamato a Isgrot io ero ancora un bambino, ma ricordo bene il suo volto, mentre ci salutava. Mia madre non riusciva a trattenere le lacrime, anche se gli altri parenti si dimostravano felici per quello che stava accadendo, e ridevano e si congratulavano.
Io non capivo molto, ero un bambino timido e seguivo la scena aggrappato alle vesti di mia madre, ma il volto di mio padre mi è rimasto nella mente e non potrò mai dimenticarlo. Non era il volto di un uomo addolorato, nei suoi occhi profondi e nelle rughe agli angoli della bocca intuii il senso di impotenza di fronte a qualcosa troppo più grande delle forze umane.
Da quel giorno la mia crescita intellettuale sembrò arrestarsi, il mio fisico si sviluppava possente come quello di tutta la mia stirpe, ma la mente sembrava restare quella di un bambino. Non agivo, osservavo con espressione vuota quello che si muoveva intorno a me, senza osare intervenire in nessun modo. Ero fuori da tutto, ero assente, senza pensieri, facevo in modo di non esserci. La gente non si stupiva di me: semplicemente non mi vedeva. I miei maestri avevano bisogno di mesi di tempo prima di accorgersi della mia presenza, e questo accadeva solo quando mia madre si recava da loro per chiedere mie notizie.
- L’allievo Hamitav? – dicevano – Non conosco nessuno con questo nome.
Le prime volte mia madre si spaventava, pensava che mi fossi perso durante un trasferimento e che nessuno se ne fosse accorto, e perciò insieme al maestro si recava dal Direttore a controllare.
I grandi altoparlanti nelle camerate gracchiavano minacciosamente il mio nome e, come per una magica evocazione, facevano apparire un ragazzo molto più alto e robusto di tutti i suoi compagni, rattrappito dentro un cerchio di timidezza, che non osava guardare nessuno in volto, per timore di restare incenerito.
Dopo alcuni anni trascorsi in questo modo nel Settore Istruzione, alla fine accadde quello che capita sempre quando qualcuno fa di tutto per non farsi notare: divenni famoso fra tutti gli studenti, che si prendevano continuamente beffe di me. Quando passavo per i lunghi corridoi le classi si radunavano e i volti ghignavano, mentre si preparava il coro, e poi tutti si mettevano a gridare, con quanto fiato avevano in gola: - Arriva Hamitav l’Invisibile! Chi vede Hamitav l’Invisibile? Cerchiamo Hamitav l’Invisibile! – e intanto si mettevano a corrermi intorno, fingendo di non vedermi e tagliando l’aria con le braccia come per cercare qualcuno che fosse trasparente, e mi colpivano con pugni e calci, senza per questo dar mostra di accorgersene. Io restavo fermo a subire questo trattamento fin quando qualche Controllore non accorreva, richiamato dal baccano, e mi salvava con il suo intervento.
Nel Settore Istruzione non c’erano esami intermedi per passare da un corso al successivo, si procedeva in base all’età, senza distinzioni, fino al compimento del ventesimo anno, quando si sosteneva l’Esame Finale, il cui esito stabiliva la destinazione più adatta per ciascuno. Questo gli studenti lo sapevano bene e non avevano bisogno di altro per impegnarsi totalmente, o quasi, nello studio.
Io seguivo le lezioni con il solito atteggiamento assente, e nessuno si preoccupava per questo. In effetti non ricordo molto di quello che ci insegnavano, la mia mente si ravvivava solo durante gli esercizi pratici al piano elettronico, allora anche le mie mani sembravano ridestarsi alla vita, quasi quanto la mia volontà, e riuscivo a percepire fisicamente lo stupore che producevo negli ascoltatori, studenti e maestri, e l’ammirazione con la quale tutti mi ascoltavano.
- È sempre il figlio di Emil il Grande. – sentivo spesso mormorare da qualcuno, in queste occasioni, ma non riuscivo a capire di cosa parlassero.
Comunque non ascoltavo mai quello che i maestri ci dicevano, navigavo sempre in una sorta di stupore soffuso, e nulla riusciva a tirarmene fuori.
Alla vigilia dell'Esame Finale ebbi però un momento di lucidità estrema, e fu durante la Perorazione del Direttore alle ultime classi, quando cominciò a parlare di Isgrot.
- Come tutti voi sapete bene, - disse – il massimo scopo che un uomo si può prefiggere nella vita è quello di ottenere una chiamata a Isgrot. Se qualcuno di voi diventerà un Grande, nell’attività a lui destinata dalla Commissione, se si dedicherà con il massimo impegno a sviluppare le sue facoltà, e riuscirà a suscitare l’ammirazione dei Signori, allora un giorno, forse, riceverà la chiamata, a compimento della sua carriera. Ricordatelo sempre: quello che ognuno deve sperare è di essere chiamato! Niente altro può rendere più degna la vita di un uomo. A Isgrot avrete la vita eterna, sarete tra gli Eletti. Pensate: essere immortali! Si può avere qualcosa di più grande, di più desiderabile, della immortalità? Io spero con tutto il cuore che qualcuno di voi riesca a essere chiamato, solo allora il nostro compito sarà stato raggiunto…
Era la prima volta che sentivo parlare di Isgrot, dal giorno della partenza di mio padre, e questo ebbe il potere di risvegliarmi in parte dallo stato di continuo torpore nel quale mi muovevo da sempre.
Se è così, mi chiedevo, perché lui aveva quella espressione sul viso, il giorno della partenza? Se a Isgrot si raggiunge l’immortalità, se si raggiunge la felicità eterna, perché quella rassegnazione nel suo volto, perché le lacrime di mia madre? E allora un pensiero mi attraversò la mente, violento come una scarica elettrica, ridestandomi del tutto dal mio sonno profondo: mio padre è vivo! Egli è immortale, perciò è vivo, è sicuramente vivo ed è a Isgrot, e io… Io devo trovarlo a tutti i costi!
2. Mondi trasparenti
Siamo quasi alla fine e io sono distrutto dalla fatica ma certamente felice come non ero mai stato. Questa volta ho fatto un buon lavoro, ma che dico? Tutti hanno lavorato al livello migliore. Del resto sono io che li scelgo, questi uomini: i migliori, sono i migliori. Non era un compito facile, anzi, la richiesta era molto specifica e particolareggiata… spesso gli obiettivi proposti sono generici e allora non si va tanto per il sottile. Quando si è trattato di impiantare la colonia ad Avitar, per esempio. Lì era necessario solo che si mantenesse una presenza vitale… dieci, ventimila individui… nessun problema in quel caso, un numero equivalente di memorie psichiche personali e il più era fatto: un generatore, tracce di vita precedente… per queste cose la sezioni Individuazione
è pronta a soddisfare qualsiasi numero di richieste. Qui si trattava di miliardi di individui… e questa era la cosa più semplice. Ma la richiesta era più complessa, più articolata. Una storia per un intero pianeta di esseri a cinque sensi! I cinque sensi mi rendevano perplesso, ma ora ho sotto gli occhi il risultato di tutto il mio lavoro, ed è qualcosa che mi commuove.
Devo stare ben attento, però. So cosa mi sta succedendo, è già capitato al mio predecessore ed è per questo che ora sono qui ad occupare il suo posto. Egli si innamorò di un mondo e non riuscì a staccarsene. Chiese, implorò, pregò che gli concedessero di potervisi trasferire come uno dei residenti, e questo basta a dimostrare il grado di follia a cui era arrivato. Come si potesse permettere al Produttore stesso di vivere all’interno del suo prodotto era un problema che la sua mente non si poneva.
Io adesso potrei fare la sua stessa fine, lo sento… È che abbiamo lavorato proprio bene, è questo, abbiamo tirato fuori qualcosa di grande, di estroso, geniale perfino, e con la garanzia assoluta che tutto procede esattamente! Al momento giusto chiederò quello che mi spetta, ma ora! Ora sono qui e non riesco a ricordare che quello a cui sto pensando è solo una mia invenzione; è tutto troppo perfetto, troppo curato sin nei dettagli, e lì dove ci sono smagliature, lì traspare la genialità del disegno complessivo… Su questo ci scontrammo duramente, alla Prima Commissione, io da una parte e Gervas dall’altra.
Gervas… credo che ora anch’egli si sia convinto della giustezza delle mie idee, almeno lo spero per lui, altrimenti continuerebbe a rodersi invano. Voleva che tutto fosse lineare, lui!
- La costruzione deve apparire del tutto trasparente rispetto ai cinque sensi. – diceva – Questi esseri devono poter pensare che tutto è chiaro, tutto millimetricamente conosciuto, altrimenti non riusciranno mai a completare il loro ciclo.
Ma ora, a lavoro finito, con i dati concreti in mano, la mia ipotesi viene confermata dai risultati.
- La trasparenza è noiosa. – dicevo io – Le incrinature nell’edificio lo rendono più reale, considerando le cose con i cinque sensi, e quindi più accettabile.
Io so però che in parte mi sbagliavo, ora lo capisco. L’idea era fondamentalmente esatta, anche se la sua giustificazione teorica era miope e priva di basi scientifiche. Fortuna che il mio prestigio personale prevalse sulla manovra di Gervas. Lui voleva utilizzare la situazione come pretesto per applicare le tesi del suo Trattato di edificazione analitica di Mondi Trasparenti
che, a dire la verità, è un’opera molto interessante, perfino stimolante. Io stesso sono affascinato dalla possibilità di realizzare un mondo trasparente, ma quello che Gervas non sapeva, o non voleva capire, è che i cinque sensi sono troppo pochi per permettere una credibile e inattaccabile trasparenza. Quale trasparenza si può concepire per esseri la cui sensibilità acustica è tanto limitata? Ma se alla trasparenza si sostituisce una mistericità tanto complessa da risultare affascinante… allora questo non sarebbe un motivo di frustrazione, ma anzi un incentivo per procedere lungo la via indicata.
Questa era la mia tesi e il tempo
, come direbbero loro, mi sta dando sempre più ragione.
3. La partenza
La porta che conduceva a Isgrot era come tutte le altre, con la sola differenza della unidirezionalità: mai nessuno era tornato dopo averla varcata. Finiti i festeggiamenti, finiti i discorsi celebrativi, finiti gli addii, finito tutto, era arrivato il momento del trasferimento, e mia madre era l’unica, anche questa volta, a non essere felice.
Sotto gli occhi di tutta la popolazione di Mondo mi preparavo a entrare nella cupola luminosa, come se fosse un qualsiasi trasferimento da un Settore a un altro, ma non sarebbe stato un Settore il luogo dove sarei arrivato, sarebbe stato Isgrot, il luogo della immortalità.
Con me era stato chiamato anche Bermann, il poeta della parola, che adesso stava per diventare Bermann il Grande, così come io sarei stato Hamitav il Grande, creatore di suoni.
Bermann, secondo l’ordine stabilito dalla chiamata, si avviò per primo verso la porta. Osservai il suo corpo grassoccio e il volto sudato per l’emozione e per l’impaccio di dover portare la divisa da cerimonia; si mise di fronte all’occhio elettronico in modo che potesse inquadrarlo completamente. Quando la spia rossa si accese egli ebbe un attimo di esitazione e si girò verso la parte del pubblico, come a riceverne incoraggiamento, ma nessuno pensava che ne avesse bisogno. Tutti quelli che lo guardavano in quel momento avrebbero voluto essere al suo posto, e lo invidiavano; nessuno poteva sospettare, a parte me, la sua esitazione prima di compiere il passo definitivo. Alla vista di quelle facce compunte e atteggiate alla serietà che richiedeva la cerimonia, egli guardò verso di me, e io gli feci un lieve sorriso amichevole, non eravamo della stessa generazione e non eravamo mai stati molto insieme, ma amavo i suoi Poemi al di là del Cielo
e lo sentivo vicino a me.
Con una specie di saltello entrò dentro la cupola, e dopo un attimo tutti videro il tipico lampo azzurro accendersi lì dov’era il suo corpo e la nebbiolina che indicava che il trasferimento era avvenuto.
Un lungo applauso commentò l’ascesa a Isgrot di Bermann il Grande, autore dei più ammirati versi delle ultime generazioni. Toccava a me. Mi avviai deciso verso la porta e mi fermai di fronte all’occhio. La spia rossa mi diede il permesso di entrare, di sfuggita colsi per l’ultima volta il viso di mia madre, rigido nel suo dolore, e poi percepii il ronzio alle orecchie che era l’unica cosa che si potesse avvertire nel momento in cui aveva luogo il trasferimento. In quell’istante il mio corpo veniva diviso nei miliardi e miliardi di particelle che lo componevano e guidato verso la meta, la stessa verso cui si era diretto una volta mio padre.
4. L'arrivo
Mi aspettavo di trovare l’inconcepibile e invece, quando mi ricomposi e presi coscienza, ciò che videro i miei occhi era del tutto simile a un laboratorio musicale, così come ne avevo visti innumerevoli volte durante la mia carriera di creatore di suoni, e nessun essere umano era lì ad attendermi.
Istintivamente mi diressi verso la sontuosa poltrona di guida, ricoperta da un morbidissimo velluto rosso, e mi sedetti su di essa. Sfiorai con le mani le sottili luci multicolori che mi erano davanti e i suoni che ne ebbi per risposta bastarono per farmi capire che avevo a disposizione lo strumento più perfetto che mai fosse stato creato per generare onde sonore. Aspettai qualche minuto per vedere se qualcuno si accorgeva della mia presenza, ma non accadde nulla. Era questo Isgrot? Un meraviglioso strumento musicale a mia completa disposizione e la totale solitudine? Immaginai Bermann alle prese con i miei stessi dubbi di fronte a un sofisticato generatore-combinatore di elementi verbali.
Toccai di nuovo le colonne luminose, questa volta più attento alle sensazioni che mi avrebbero trasmesso, ed eseguii rapidamente, in modo molto accelerato, l’apertura della mia Sinfonia Accademica
con la quale avevo strabiliato la Commissione il giorno dell’Esame Finale.
I suoni erano puri e leggeri come avevo sempre sognato e, resa viva da quella materia splendente, la mia musica mi apparve rozza e balbettante. Fui costretto a smettere con un senso di malessere. Mi rendevo conto che avevo a che fare con qualcosa di natura incredibilmente superiore a quello a cui ero abituato; nessuna delle mie composizioni, per quanto belle e acclamate, avrebbe retto ad un’esecuzione con uno strumento così perfetto e in grado di generare suoni dotati di tanta pulizia e leggerezza. Quello che la mia mente e le mie orecchie non avevano mai potuto avvertire ascoltando musica adesso era reso esplicito e chiaro, tutto era rivelato e nulla nascondeva le imperfezioni della mia concezione. Avrei dovuto ricominciare tutto dall’inizio, imparare di nuovo, immaginare nuove sonorità, nuove successioni, nuove combinazioni.
Preso dalla sfida che mi veniva lanciata, dimenticai subito il motivo che mi aveva condotto in quel luogo, dimenticai Isgrot e mio padre, per affrontare con tutta la mia abilità quelle onde luminose e vibranti, sinuose come corpi di donna, che invitavano le mie mani a dare vita ai sogni che sembravano nascondere.
Per ore e ore mi concentrai nella musica, provando dapprima a eseguire le mie migliori composizioni, e poi, verificato che la