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E-book481 pagine7 ore

Settanta volte sette

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Info su questo ebook

In una sera d’estate, l’ispettore Joaquin Delgado riceve una telefonata che innescherà una pericolosa caccia all’uomo. Una voce contraffatta lo informa di avere compiuto un omicidio e si offre di dargli maggiori informazioni utili a recuperare il corpo solo se lo scrittore Pablo Holguins sarà coinvolto nelle indagini. Scopo della richiesta è quello di far conoscere al grande pubblico le motivazioni che sottendono al suo operato impedendo in tal modo che finisca nell’oblio. Lo scrittore, coinvolto suo malgrado, porta con sé una ragazzina che vive facendo ritratti e caricature alla Sagrada Familia. Il cadavere di Antonio Suarez, pedofilo e stupratore, viene ritrovato in un giardino antistante il Camp Nou: bruciato vivo e senza un occhio, come stabilirà il medico legale, che è stato asportato mentre era cosciente e deposto in una teca davanti al corpo. Una serie di fili tesi e di pali messi a una distanza precisa l’uno dall’altro rimandano a dei numeri che risulteranno versetti della Bibbia. Dodici giorni dopo, la stessa voce annuncia il secondo omicidio.
Chi è l’assassino? Agisce da solo? Cosa significa la scritta Solo Justicia apposta su una lettera consegnata ai giornali da un misterioso prete ammiratore di Lucio iii, il pontefice che ha istituito la Santa Inquisizione?
Gesù al discepolo che gli domandava Quanto dovrò perdonare? rispose Settanta volte sette, cioè sempre. Perdona senza sosta, perdona all’infinito, perdona anche quando credi di non riuscire a farlo. Ma quando il torto subito è così profondo che annulla ogni resistenza vitale, dove trovare la forza per seguire l’insegnamento di Gesù?
Luca Manfredini costruisce un intrigo ricco di emozioni e ironia, che mette in luce come il male del presente affondi sempre negli errori del passato.In una sera d’estate, l’ispettore Joaquin Delgado riceve una telefonata che innescherà una pericolosa caccia all’uomo. Una voce contraffatta lo informa di avere compiuto un omicidio e si offre di dargli maggiori informazioni utili a recuperare il corpo solo se lo scrittore Pablo Holguins sarà coinvolto nelle indagini. Scopo della richiesta è quello di far conoscere al grande pubblico le motivazioni che sottendono al suo operato impedendo in tal modo che finisca nell’oblio. Lo scrittore, coinvolto suo malgrado, porta con sé una ragazzina che vive facendo ritratti e caricature alla Sagrada Familia. Il cadavere di Antonio Suarez, pedofilo e stupratore, viene ritrovato in un giardino antistante il Camp Nou: bruciato vivo e senza un occhio, come stabilirà il medico legale, che è stato asportato mentre era cosciente e deposto in una teca davanti al corpo. Una serie di fili tesi e di pali messi a una distanza precisa l’uno dall’altro rimandano a dei numeri che risulteranno versetti della Bibbia. Dodici giorni dopo, la stessa voce annuncia il secondo omicidio.
Chi è l’assassino? Agisce da solo? Cosa significa la scritta Solo Justicia apposta su una lettera consegnata ai giornali da un misterioso prete ammiratore di Lucio iii, il pontefice che ha istituito la Santa Inquisizione?
Gesù al discepolo che gli domandava Quanto dovrò perdonare? rispose Settanta volte sette, cioè sempre. Perdona senza sosta, perdona all’infinito, perdona anche quando credi di non riuscire a farlo. Ma quando il torto subito è così profondo che annulla ogni resistenza vitale, dove trovare la forza per seguire l’insegnamento di Gesù?
Luca Manfredini costruisce un intrigo ricco di emozioni e ironia, che mette in luce come il male del presente affondi sempre negli errori del passato.
LinguaItaliano
Data di uscita10 mag 2018
ISBN9788832921458
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    Anteprima del libro

    Settanta volte sette - Luca Manfredini

    pietà.

    1

    La conferenza stampa

    Il giorno in cui Pablo fece il suo ingresso nell’affollata sala stampa del Gran Hotel Torre Catalunya era un afoso pomeriggio di settembre, di quelli in cui, a dispetto di un autunno già alle porte, anche gli alberi sembrano sudare dai tronchi nodosi e le parole si incollano alla calura che imperla i volti.

    La ressa di giornalisti si era fatta pressante, in un vociare inconsulto, tra taccuini e registratori, telecamere e microfoni. Gli agenti sembravano pochi per reggere l’urto dei cronisti alla ricerca di una dichiarazione rubata al volo, di una frase, di una parola masticata su cui costruire un pezzo di dubbia consistenza giornalistica. Prima che la sala fosse diventata un luogo vivibile e l’orda si fosse placata, passò un’ora abbondante. Nel frattempo il tecnico armeggiava coi ferri del mestiere per riparare il condizionatore che era andato in blocco. Sembravano sudare anche i muri, mentre i visi brillavano e si faceva fatica a respirare. Pablo, scortato dagli agenti del commissario Joaquin, si era seduto al tavolo lungo e stretto in attesa che i rumori di fondo e il chiacchiericcio pedante dei giornalisti e degli scrittori presenti alla conferenza stampa rendesse possibile iniziare. Il moderatore si scusò per l’inconveniente che avrebbe reso, quel momento tanto atteso, un vero e proprio inferno, non solo per l’argomento in questione, ma per il caldo insopportabile. Invitò quindi i presenti a fare silenzio e iniziò a introdurre i motivi che avevano spinto la polizia di Barcellona a indire la conferenza stampa più attesa dai tempi degli omicidi del mostro di New York.

    Dopo la conclusione della vicenda che aveva tenuto con il fiato sospeso un’intera nazione, i protagonisti erano tutti lì, con l’angoscia che ancora si leggeva sui visi tirati. Joaquin, il commissario che non sapeva sorridere, con due baffi alla messicana e quel viso spigoloso dai tratti decisi, giocava nervosamente con la cravatta slacciata, tormentata con le dita che cercavano disperatamente quel filo d’aria che non c’era. Lei, Alicia, la ragazzina diciannovenne, carina e maliziosa come una caramella profumata, con due treccine a tormentare la fronte e i piercing sul labbro sinistro e sul sopracciglio destro, in una sincronia da sballo. E poi lui, il famoso scrittore della trilogia I giochi del male, che suo malgrado si trovava lì a dover raccontare l’inenarrabile, ciò che nemmeno la sua mente di scrittore avrebbe potuto immaginare. Alicia lo guardò, era preoccupata. Aveva il viso bianco, gocce larghe di sudore scendevano dalle tempie e indugiavano sulla barba rada e incolta. Pablo sentiva il cuore battere all’impazzata e il mondo si contorceva nella tensione per l’inizio di quella che presumeva sarebbe stata una sequenza incontrollabile e debordante di domande. Si tolse la giacca. La camicia color fucsia mostrava larghe chiazze di sudore. Si sbottonò la camicia, mentre la falda bionda e capricciosa gli ricadeva sugli occhi verdi, dal taglio a mandorla. L’orecchino da pirata brillò trattenendo una goccia di sudore. Lei, la ribelle Alicia, scrutò quel viso ammiccante da poeta maledetto, una bellezza sfacciatamente esibita, da schiaffi. Pablo stava male e sentiva la pressione battergli forte nelle tempie, come lo sbuffare del treno e capì che aveva bisogno di ritrovare un barlume di serenità, di fregare l’emozione e l’angoscia, quei sentimenti che, al momento, lo stavano fottendo.

    Si rivolse a Joaquin: Ehi amico sto male devo andare un attimo alla toilette.

    Proprio adesso?

    Sì, proprio adesso. Sempre che tu non voglia vedermi svenire.

    Si alzò proprio nel momento in cui il commissario, adducendo la causa al caldo insopportabile, chiese al moderatore che gli fosse passato il microfono per annunciare la sospensione della conferenza stampa. Mentre il povero moderatore chiedeva numi e domandava se l’incontro fosse definitivamente sospeso o se la pausa dovesse essere considerata momentanea, Alicia sgattaiolò verso la toilette per capire cosa stava accadendo.

    Tutto fermo per una trentina di minuti; il tempo di riparare il condizionatore e riprendiamo. Vi prego, colleghi della carta stampata: rimanete ai vostri posti.

    Il caos e i commenti si sprecarono e si sentivano vecchie comari, giornalisti ormai sul viale di un lento declino, inseguire il pettegolezzo e lo scherno fine a se stesso. Pablo intanto era dentro il bagno delle star, appoggiato al lavandino di alabastro rosa, con il corpo ripiegato e lo sguardo perso nel vuoto. Alicia entrò d’infilata seguita a ruota dal commissario.

    Prima che potessero dire qualcosa Pablo si portò l’indice alla bocca e mormorò: Solo trenta fottutissimi minuti, non chiedo altro. Da solo! Ho bisogno di rimanere in silenzio. Così, tanto per calmare l’ansia. Tranquilli... Sto bene.

    Fissando intensamente la ragazzina per stoppare ogni sua replica aspettò che ambedue risalissero le scale. Per estraniarsi dal vociare concitato che proveniva dalla sala decise di chiudere la porta a chiave. Cercò di calmarsi, di lasciare che l’attacco di panico esaurisse i suoi effetti. La conferenza stampa era l’ultimo atto di quella che sarebbe rimasta nella sua memoria come l’esperienza più sconvolgente della sua vita, ma doveva trovare la forza di affrontare le domande dei giornalisti. Passò una mano sotto il rubinetto e la fotocellula lasciò che l’acqua sciacquasse la faccia e bagnasse la testa fradicia di sudore. Il cuore batteva ancora come lo stantuffo di un’auto da corsa, ma quel refrigerio contribuì ad abbassare la tensione. Si sedette su una sedia bianco avorio, laccata, con greche a rifinire il contorno, che stava di fianco alla vasca circolare fornita di idromassaggio. Sembrava un salotto tanto era grande nell’inutilità della sua funzione. A centro stanza due scalinate, con ai lati quattro piante da interno perfettamente curate e di un verde brillante, conducevano in un ampio spazio dove il water, lo specchio che lo sovrastava e il bidet annesso si perdevano nello sfavillio di grandi vetrate smerigliate che sembravano conferire all’ambiente una profondità ancora maggiore. Uno stretto corridoio introdotto da due colonne poste nel fondo della stanza conduceva nella zona sauna. Lo schermo gigante al plasma, posto in alto come un quadro d’autore, mandava video musicali in sequenza, così da allietare il bagno delle dive immerse nell’idromassaggio. Pablo afferrò il telecomando e abbassò il volume lasciando che la musica rimanesse in sottofondo, poi si sedette di nuovo, abbassò la testa e con le mani tra i capelli bagnati annusò l’odore di ciclamino che arieggiava la stanza. Era lo stesso profumo che un anno prima aveva respirato in un bagno molto meno elegante.

    Anche allora presenziava a una conferenza stampa, che sapeva di liberazione e di commiato. Quel giorno aveva dato l’addio al suo personaggio, aveva ormai deciso che la trilogia I giochi del male, saga che lo aveva consacrato nel ruolo invidiabile di scrittore rampante, esauriva un periodo produttivo e fortunato della sua vita. Il successo era arrivato inaspettato con la pubblicazione del primo volume e con l’appoggio di una etichetta indipendente, che in breve si era ritrovata tra le mani un personaggio di prim’ordine, ricercato e ospitato nelle riviste e nei magazine di moda, glamour e in decine di trasmissioni televisive. Mike in arte Tevez era quello della porta accanto, il divo mai banale, capace di risposte argute, di sedere fra politici e scrittori, giornalisti e filosofi spiccando per le argomentazioni intelligenti e mai scontate. Adesso dopo cinque anni di successi, dopo che i suoi libri erano diventati cult, dopo che il commissario Tevez, l’eroe della trilogia, aveva dato vita a una serie televisiva di grande richiamo, aveva deciso di staccare la spina. Nell’imminente conferenza stampa avrebbe annunciato il pensionamento dell’investigatore più intraprendente e originale della storia del crimine e il suo allontanamento dalle scene, dal marketing facile e un po’ trito. Tre anni per viaggiare, per conoscere il mondo, per vivere ciò che per lui era esistito solo tra i visionari siti internet. Voleva scrivere qualcosa che nascesse dalla realtà, dagli incroci e dagli incontri che la vita ci concede generosa e complice. Avrebbe vissuto la notte, così ambigua da avvolgere chiunque con il suo fascino perverso, così falsa da essere più vera della normale consuetudine. Così aveva deciso e nell’imminenza della conferenza stampa che aveva sancito il pensionamento dell’artefice primo dei suoi successi letterari, si sentiva leggero e finalmente libero di gustarsi il presente senza doverlo contaminare di scadenze e capitoli da chiudere in fretta. Il bagno di folla fu divertente e meno fastidioso del solito. Anche le guance arrossate e gli sguardi ammiccanti e trepidanti delle ragazzine che chiedevano autografi risultarono meno asfissianti di altre volte. I giornalisti inanellarono le solite domande. Cosa avrebbe fatto adesso? L’ispettore Tevez sarebbe mai tornato? Era possibile rivederlo tra qualche anno magari in una nuova trilogia? Erano solo illazioni giornalistiche quelle che lo volevano attore della serie televisiva tratta dai suoi romanzi? Ma la domanda di rito giunse puntuale, giusto per chiudere la conferenza stampa più divertente che gli fosse capitato di sostenere. Gliela fece una giornalista bionda, carina e dall’aria professionale, con degli occhiali dalla montatura rosso rubino.

    Cosa farà adesso?

    Era ciò che aspettava di sentirsi domandare e con cui mandò a tutti i giornalisti e i fan il ringraziamento e i saluti.

    Finalmente vivrò una vita vera. Voglio attraversare le notti di Barcellona, conoscere gente, sentire storie che scaturiscono dai vissuti, quelli reali. Insomma scriverò della vita, dopo averne masticato un po’ i sapori e gli aromi. E non so dirvi che cosa ne verrà fuori, cosa avrò bisogno e voglia di raccontare, ma sono eccitato. Grazie a tutti, siete stati davvero carini e cattivi quanto basta per non trasformare la presentazione di un libro in una melassa maleodorante. Lo apprezzo molto!

    Si allontanò fra i taccuini e i microfoni tesi di giornalisti a caccia dell’ultima dichiarazione e di ragazze urlanti e piangenti, che nel bel faccino di Pablo rivedevano l’eroe dei suoi racconti. Salutando con la mano sinistra aperta e tenendosi vicino alla scorta di poliziotti che creavano la breccia sufficiente per aiutarlo a salire in macchina, gridò un ultimo grazie di cuore a tutti per poi dileguarsi. In quel languido pomeriggio di fine primavera terminava la sua stagione di letterato pseudo horror dalla penna colta e raffinata e iniziava un incubo senza fine che lo avrebbe condizionato per il resto dei suoi giorni.

    2

    Tra i vicoli del Barrio

    La sera le Ramblas sono uno scoppiettante scintillio di vite che si scontrano e incontrano, di cuori in tumulto, di artisti, balordi e persone alla ricerca di emozioni forti. Pablo non aspettava altro che tuffarcisi dentro come un bambino sulla cioccolata, di inebriarsi e ubriacarsi come non faceva da tempo. Libero, si sentiva di nuovo padrone della sua vita e aveva giurato a se stesso che quella sera non avrebbe messo limiti agli eccessi. Il giorno seguente avrebbe recuperato restando a letto fino a tardi, nella sua casetta vicino al mare. Voleva perlustrare la notte, scrutare gli strani animali che vi si muovono con disinvoltura ed eleganza.

    Il suo nuovo romanzo sarebbe nato nell’oscurità viziosa e prolifica della notte, dove vero e falso sembrano la fotocopia sbiadita l’uno dell’altro, dove non c’è una verità assoluta e dove si possono ascoltare le storie più strane e bislacche. Se i dubbi lo avessero assalito con la loro ferocia si sarebbe sentito come il viandante che scopre in cuor suo, passo dopo passo, di attraversare le strade della redenzione: va avanti, incurante della fatica. Se si fosse infilato nel tunnel blasfemo e comodo dell’incertezza tanto meglio. Scrivere un saggio sui valori assodati della società post moderna non era l’obiettivo di Pablo. Aveva bisogno di essere travolto da ciò che non può essere contenuto e circoscritto, che esce dal consueto, che supera le consuetudini, che se ne frega di ciò che viene considerato giusto perché figlio della normalità. Quella sera bevve sangria con due prostitute senegalesi, tirò cocaina con i più sfigati trans di Barcellona, derubati da un cliente e quindi fottuti due volte. Infine fumò hashish con due lesbiche e le stressò a tal punto da costringerle a concedergli, loro malgrado, un bacio sulla bocca, di cui risero a crepapelle nell’estasi del momento. Mentre le variopinte bancarelle iniziavano a riaprire i battenti; mentre mercanzie e cianfrusaglie tornavano a imbandire con i loro colori i banchi sulle Ramblas; mentre i netturbini con i loro mezzi silenziosi, tra uno sbadiglio e una sigaretta, iniziavano a ripulire le strade e il sole di fine primavera riscaldava i loro sguardi malinconici, Pablo si diresse verso casa.

    Il giovane non sapeva descrivere quel bisogno di trascendere ogni tipo di regola e condotta a cui si abbandonava raramente, due, massimo tre volte l’anno, come ad assecondare un richiamo atavico e morboso. Non veniva certo da una famiglia osservante dei precetti morali in senso stretto. I suoi erano libertini, dediti per convenienza e tacito accordo a un amore poco condizionato da legami di fedeltà e rispetto dei canoni. Durante le feste dove alcool e droga circolavano abbastanza liberamente, Pablo si sentiva un pesce fuor d’acqua e finiva per stare ore in camera a scrivere davanti al suo pc. Se n’era andato appena maggiorenne, scegliendo la strada meno facile ma più congeniale; quella funzionale al suo bisogno di negare legami che solo il sangue sanciva. Aveva girato mezza Europa facendo lavori saltuari, fino a che, tornato nell’amata Barcellona, si era iscritto alla facoltà universitaria di giornalismo, che poteva fornirgli gli strumenti tecnici per coltivare la sua passione più grande: scrivere. Nessuno poteva immaginare che quel racconto, scritto in notti insonni e agitate, lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo, aprendogli le porte della notorietà. Da lì, da quel primo racconto era nata la trilogia che intere generazioni di adolescenti avevano divorato con ingordigia. Adesso si rendeva conto, mentre barcollava tra la cucina e la sala in preda a un mal di testa atroce, che iniziava un nuovo capitolo della sua vita. Era libero di incontrare il variegato e straordinario mondo degli umani, fino ad allora negatogli da impegni editoriali e scadenze letterarie inderogabili.

    Trangugiò due pastiglie contro il mal di testa e si fiondò sotto la doccia dove rimase inerme come un cane sotto la pioggia o un barbone incartato nel freddo della panchina di una stazione. Con l’asciugamano a cingergli la vita e i capelli a gocciolare sul viso maledettamente bello e inquietante, quel giovane, afferrando una guida della città che conosceva intimamente, come e meglio delle sue tasche bucate, sembrò l’uomo insicuro che assolve a un rito scaramantico e usuale. La sfogliò distratto come il corpo di una donna, dopo anni di convivenza. Di scatto richiuse la guida e pensò che c’era un quartiere fra i tanti che amava profondamente, dove la vita notturna si veste di un fascino indiscusso e dove la malinconia che si respira, tra il dedalo delle strette e anguste viuzze e l’aria medioevale grave e inquietante, è una mescolanza meravigliosa. È qui che la voglia di vivere e di colorare il mondo definisce l’impazienza provocatoria e libera, propria dei catalani. Il quartiere gotico era sicuramente il luogo da dove cominciare, da dove partire per conoscere, per catturare i segreti reconditi del genere umano, per carpire spunti preziosi, vomitarli sul taccuino e farli diventare, passo dopo passo, le basi per il suo nuovo libro.

    Pablo si era già completamente perso nel labirinto elegante, sensuale e austero del Barrio, sostanzialmente la città vecchia di Barcellona che a ogni angolo, a ogni negozio e a ogni locale forniva l’opportunità più ghiotta per ogni turista: fotografare. Quella mania perversa di cercare di fissare in un fotogramma la bellezza composta o sfacciata che gli occhi non possono ignorare. Le case vecchie, le strade strette e tortuose e in ogni angolo statue o simboli. Tutto incredibilmente bello, da incorniciare, da trattenere come un respiro, soprattutto a tarda notte quando, quella perla incastonata tra le pieghe della goliardica Barcellona, gode di una luce tenue, quasi rarefatta. Lui vagava osservando le finestre, gli antichi camini, i fili che collegavano anche idealmente una casa all’altra. Fissava i volti delle donne perse nei pensieri tediosi e annoiati mentre appendevano i vestiti ad asciugare. E poi si fermava, rapito, a guardare le vecchie botteghe, soprattutto quando le porte erano chiuse. Oppure sbirciava i muri, infarciti con un particolare affresco, con un graffito che aveva il potere di dare all’insieme un senso di abbandono o al contrario di inquietudine vitale.

    Adesso pioveva e l’atmosfera si era fatta avvolgente, più rarefatta e condita da un senso di malinconico smarrimento. Incrociò il museo di Picasso e poi la Englesias, luoghi a lui familiari; affollati di visitatori. La notte giocava con la sua procace e sbottonata sensualità. Pablo decise che era l’ora di infilarsi in qualche locale, bar o pub della zona, luoghi famosi per essere fra i più caratteristici di Barcellona. Optò per il Fonfone Discobar piazzato al centro del Barrio Gotico. Ciò che più lo colpiva era l’allestimento originale curato tra il 2000 e il 2004 da Alfonso de la Fuente, conosciuto come Pichiglas, fino ad allora noto soprattutto per gli oggetti costruiti con plastica colorata di riciclo. Lo stile dell’estroverso progettista catalano, caratterizzato da un minimalismo geometrico degli arredi ravvivato da luci esuberanti che incendiavano gli stretti locali dando all’ambiente un tocco di energetica follia, aveva conquistato Pablo. Entrò e il locale straripava di ragazzi di ogni tipo, colore e provenienza, una sovrabbondanza di vita in movimento che la particolare disposizione delle luci sembrava omologare quali rappresentanti di un’unica razza. Pablo si muoveva con disinvoltura. Le ragazze al suo passaggio si giravano a godersi la bellezza accattivante e aggressiva degli sguardi che dosava e usava con studiata ambiguità. Sapeva di essere bello e non negava a se stesso l’opportunità che questo dono gli garantiva. Pablo aveva come unica regola etica la chiarezza. Evitava coinvolgimenti sentimentali, e a costo di apparire brutale si proponeva disposto a un’avventura ma a niente di diverso: coinvolgimenti sentimentali, pianti e scenate isteriche non era in grado di gestirli. Eppure ogni volta che al mattino salutava la ragazza con cui aveva trascorso la notte si sentiva a disagio, come chi consuma impunemente un’esperienza di cui non merita l’esclusività e la ricchezza. Pur non riuscendo a innamorarsi sentiva che lo scambio di umori, di odori, di pelle, di sensazioni celestiali che rapivano un’intimità mai condivisa prima di allora, doveva avere un significato ben più nobile del semplice agognato orgasmo. Se non annoverava innamoramenti, aveva però amicizie femminili. Rigorosamente scevre dalle tentazioni del sesso perché solo con loro condivideva intense affinità. Quella sera non era in cerca di una compagna per la notte, era lì come attento osservatore, come chi cerca pezzi di storie, di vita da soffiare nel suo cappello magico e trasformare in storia, in racconto.

    Mentre si faceva largo tra i ragazzi ammassati al bancone, cercando di evitare le spallate di improvvisati fenomeni della pista, drogati di musica tecno e imbevuti di luci rosso arancio, la vide. Era seduta a un tavolo angolare dalle forme geometriche improbabili e sulla sua testa campeggiava una figura di donna eterea attraversata da una scritta simile a un graffito dai colori fosforescenti.

    3

    Alicia la scontrosa

    La ragazza colpì l’interesse di Pablo per il suo modo di gesticolare e la sua verve. In quel frangente stava discutendo animatamente con due amiche, almeno così interpretò, visto che erano sedute con lei. Ma pian piano sembrò che il confronto si trasformasse in un diverbio sempre più acceso. La ragazza muoveva i ciuffetti ribelli su un faccino da baci che Pablo vedeva farsi sempre più tirato nell’enfasi del momento. Si avvicinò, mettendosi in un angolo, per osservare meglio l’evoluzione. Notò che la ragazza, mentre si accostava in tono minaccioso a una delle due, si tormentava con la lingua il piercing che portava sul labbro inferiore. Di colpo le due si alzarono dal tavolo come istrici pronte a ferire orgoglio e pelle attraverso aculei irti e la spintonarono, mettendola spalle al muro. La situazione parve precipitare quando la più irritata delle due, una ragazza piuttosto longilinea, ma con i muscoli ben definiti e assai più alta di Alicia, le mollò un ceffone a mano aperta che le ruppe la parte superiore del labbro sinistro. Alicia si portò le mani alla faccia, ma continuò a inveire, malgrado la ferita e il dolore, mentre il sangue iniziava a scendere sul mento rotondo e a gocciolare sulla T-shirt colorata. I buttafuori si sa, sono abituati ad accompagnare alla porta energumeni fatti di bicipiti tatuati e dosi di marijuana ma sono meno pronti a intervenire quando si tratta di confrontarsi con ragazze dai tratti gentili e fuori controllo, pronte a fregiarsi di comportamenti discutibili e poco femminili… quelli propri di una sub cultura che ha a che fare con il macho man di turno.

    Pablo osservava incuriosito i due energumeni, tanto torniti di muscoli quanto imbarazzati, che si erano avvicinati in punta di piedi, come chi ha paura di disturbare, di interrompere qualcosa di importante. Ragazzi, in gran parte maschi, si stavano radunando, ma nessuno si fece avanti per intervenire, per ricomporre il diverbio. Del resto c’erano tutti gli ingredienti che potevano creare le premesse di una bella rissa fra donne. Cosa meno rara di quel che si pensi, ma sempre stimolante per l’immaginario maschile. Così fu Pablo a rompere gli indugi con un trucco degno di lungimiranza e intelligenza. Tirò fuori dal portafogli una tessera falsa della polizia spagnola, con cui un giorno aveva giocato in una famosa candid camera organizzata da un’associazione no profit, per raccogliere fondi. Le elargizioni ottenute dalle donazioni ricevute dai personaggi prima gabbati, poi amorevolmente convinti a elargire denaro, avevano consentito la realizzazione di un progetto importante in Perù: la costruzione di un edificio scolastico. Con fare da attore consumato si frugò nel taschino, poi sventolò sotto gli occhi dei presenti la tessera taroccata, presentandosi come un’agente della narcotici. Come era solito fare quando da giovane imberbe si esibiva in teatri di periferia, impersonando soggetti marginali, maledetti e in definitiva di contorno, cominciò la sua recita. I buttafuori furono assai contenti di cedergli la responsabilità di gestire la situazione.

    Buonasera, esordì con vigore. Sono Pablo Holguins, agente della narcotici. Vorrei sapere che cosa sta succedendo. Direi, aggiunse, che questa ragazza sia stata vittima di un’aggressione. Inoltre, a giudicare dall’irascibilità e dalle pupille dilatate di chi l’ha aggredita, credo sia meglio che favoriate i documenti. Subito!

    La ragazza che con un ceffone aveva lacerato le labbra di Alicia sosteneva che era stata l’amica a provocarla con parole irripetibili. L’altra, meno appariscente e sicura di sé, piangeva.

    La prego ci lasci andare. Non so cosa ci è preso... Alicia, scusa, disse fra le lacrime, sei stata sempre delle nostre e ti consideriamo un’amica. Non so che dire, proseguì singhiozzando, sono pronta a fare pace, credimi.

    Ma senti! ironizzò il giovane scrittore. La colpisci fino a farla sanguinare e adesso piangendo un po’ e pescando dal repertorio qualche frase di circostanza, pensi di poter rimediare? La cosa mi sembra patetica e dimostra una mancanza assoluta di autocontrollo e di rispetto... come se sotto ci fosse dell’altro. Prego, favorire i documenti! aggiunse alzando la voce. E voi che sbavate qui davanti sembrate dei tori da monta... forza circolate altrove! Non siamo mica a teatro!

    Più le domande si infittivano, più le due si incartavano. Finché la vittima vomitò addosso alle due presunte amiche il vero motivo della lite.

    False, siete due stronze bugiarde. Pensate davvero che possa tremare o farmela sotto? Già, picchiare qualcuno soltanto perché si scopa il ragazzo a cui avete inutilmente fatto il filo è un bello smacco eh... Mi fate schifo, siete patetiche.

    Ehi, intervenne Pablo, la vittima non è autorizzata a offendere e provocare, chiaro? Favorisca pure lei i documenti e tenga a freno la lingua. Straparlare non le gioverà! Lei sta sanguinando e ha bisogno di cure.

    Sì ma non certo delle sue! rispose Alicia con piglio insospettabile.

    Pablo rise fra sé. L’intraprendenza e il carattere della ragazza lo divertivano. Nel frattempo la provocazione aveva di nuovo acceso gli animi.

    Te lo dicevo che se lo scopava! disse la colpevole dell’aggressione; poi rivolgendosi ad Alicia: Sei una troia!

    Basta così, voglio vedere il direttore del locale, disse Pablo rivolgendosi ai buttafuori.

    Uno dei due si allontanò e bisbigliò all’orecchio di un tizio distinto, alto, con pettorali in evidenza e maniere spicciole. Il direttore e padrone del locale si avvicinò e chiese lumi, come se fosse all’oscuro di tutto. Pablo gli spiegò l’accaduto. Il direttore si schernì, tirandosi fuori da ogni responsabilità diretta, poi convenne con Pablo che era meglio accompagnare alla porta le due ragazze accusate di aver fomentato e portato a termine l’aggressione.

    Finito lo show Pablo lo ringraziò e si tirò appresso la giovane Alicia per accompagnarla da un medico. Non fu facile convincerla a farsi seguire, ma l’idea di opporsi troppo sgarbatamente a un tutore della legge, la fece trattenere quel tanto che servì per uscire dal locale. Alicia salì sull’auto di Pablo come la ragazzina costretta a doversi giustificare davanti alla preside per il comportamento sconveniente tenuto con gli insegnanti.

    Fammi vedere, le disse avvicinando la mano a quella con cui la ragazza teneva compressa la parte ferita, tamponata nel frattempo con garza e cotone, gentilmente messi a disposizione dal direttore del locale.

    Cosa vuoi? Non sapevo che eri pure un medico! Chi altro sei? Magari uno che mi vuole portare a letto, vero?

    Ma cosa dici? Sei proprio fissata. Mi sa tanto che hanno ragione le tue amiche, rispose Pablo, nascondendo a stento il sorriso che gli si affacciava alle labbra.

    E tu invece sei proprio uno stronzo! Caro il mio Luis Ferro; scrittore di romanzi che tutti i miei coetanei hanno letto, me compresa. Sai perché ti odio? Non tanto per la sceneggiata che hai messo in piedi nel locale e che a mio giudizio non ti garantisce un futuro da attore di teatro. Ma per aver fatto morire un personaggio come l’ispettore Tevez. Chi sei tu per regalare al pubblico un eroe del genere, coraggioso, limpido, pieno di difetti e togliercelo per un capriccio? Semplicemente per esserti stufato di raccontarlo?

    Sapevo che eri la persona giusta. Sapevo che potevo ripartire da te per farmi un giro in questa landa di cuori desolati.

    Non mi incanti con la poesia.

    E io non voglio farlo, ho solo bisogno di trovare un Caronte che mi guidi in nuovi deserti, quelli che fino a ora mi sono alieni. Pensavo che potresti essere tu. Non voglio portarti a letto, non è il sesso che cerco. Posso averlo senza grandi sforzi. Ho bisogno di annusare la notte, di scoprire quali segreti nasconde e in quali luoghi albergano i vampiri e gli angeli, perché io ho bisogno di raccontarli. Se vuoi che Tevez trovi i personaggi, le anime, i cuori e le menti che dopo di lui possano affacciarsi con dignità sulle pagine di un libro, aiutami. Intanto andiamo da un medico. Hai bisogno di cure e suppongo tu abbia bisogno di qualche punto sulla parte interna del labbro sinistro. Sei tosta ma mi piaci. Il tuo nome?

    Mi chiamo Alicia, disse lei senza sorridere.

    Io mi chiamo Pablo Holguins. L’altro è un nome d’arte.

    Dove mi porta, il mio caro Pablo Holguins, visto che il pronto soccorso era proprio lì sulla destra e l’abbiamo oltrepassato?

    Dal mio medico personale. Sai la notorietà permette lussi di questo genere. Pagare e avere a disposizione un povero diavolo, competente e presente, che puoi disturbare a ogni ora. Per te è gratis e non devi aspettare che pochi minuti. Sempre se hai superato la sindrome dello stupro che scrittori vampiri come me praticano abitualmente.

    Confermo sei proprio uno stronzo, ma okay verrò dal tuo medico. Alla fine il problema più grosso sarà doverti ringraziare.

    A proposito l’hai già fatto! rispose lui.

    A proposito non sono mai andata a letto con l’amico di quella stronza della mia ex amica, replicò lei e per la prima volta le comparve un abbozzo di sorriso sulle labbra gonfie.

    Sapevo che eri il tipo giusto, aggiunse Pablo e imbucò la strada buia che portava dritto alla villa dell’amico.

    Mendoza era anche colui che per primo leggeva le opere di Pablo appena lui le aveva ultimate. Gli aprì e lo accolse con un largo sorriso. Era un tipo affascinante, con lunghi capelli neri e occhi bui e profondi; come un vampiro dei suoi libri. La ragazza lo fissò da capo a piedi.

    Cazzo, ora capisco perché sei diventato frocio!

    I due risero.

    Ma dove le incontri bocconcini come questa? disse Mendoza, riprendendo subito dopo un atteggiamento professionale.

    Poi ti racconto... appena le avrai dato una mano.

    Provvedo immediatamente. Appoggiandogli una mano sulle spalle chiese: Hai più rivisto i tuoi?

    Lo fissò per un attimo prima di rispondere. Mendoza era sempre preoccupato per lui e non voleva apparirgli maleducato tergiversando.

    Tranquillo, ormai sono grande e so cavarmela da solo... i miei saranno impegnati in qualche festa privata, qualche giro di squillo... insomma la solita vita. Adesso concentriamoci su Alicia... fanculo tutto il resto!

    4

    Alla ricerca di Pablo

    Il commissario Joaquin continuava a toccarsi nervosamente i baffi neri e ricurvi, mentre lavorava alacremente al computer. Il caso che riguardava l’omicidio di due prostitute, avvenuto alla periferia di Barcellona, era giunto al suo epilogo. L’indomani però doveva fare la sua deposizione in tribunale. Odiava dover rispondere alle domande tendenziose dell’avvocato difensore, che si sforzava di metterlo in difficoltà, riuscendo spesso a seminare il tarlo del dubbio nella giuria chiamata a formulare il proprio verdetto. Desiderava che la sua insicurezza si sciogliesse in nome e a favore della verità e della certezza della pena. Mentre leggeva le carte entrò Alejandro, pedante come un martello pneumatico. Joaquin sospirò, anche perché sapeva che quel poliziotto con poco fiuto e l’irresistibile e inarrestabile desiderio di fare la battuta in ogni contesto e situazione era pesante come un macigno.

    Allora come sta il mio simpatico commissario Joaquin che con le sue battute fa sbellicare dal ridere tutto l’ufficio? Direi che il nostro ispettore non se la passa così bene... non ha una bella cera. Qualcosa la preoccupa?

    No Alejandro, sei tu che scassi le palle e se non vuoi che ti regali una settimana in strada, magari nel turno di notte e con un compagno simpatico come Luis, sarà bene che ti tolga di mezzo.

    Ricevuto, disse spostandosi nella stanza attigua.

    Dopo aver liquidato in fretta il povero diavolo si rimise a smanettare sul pc controllando nel frattempo le carte. Luogo e orari degli omicidi, dichiarazioni della scientifica, testimoni oculari, arma del delitto e così via. Guardò l’orologio che segnava inesorabilmente le diciannove e quindici, orario in cui Joaquin avrebbe già dovuto essere a casa, visto che quella sera lo attendeva una cena con amici. Sua moglie, Sarah, era abituata ai suoi abituali ritardi, ma non le figlie che avevano rispettivamente sei e dodici anni e una voglia irresistibile di giocare con il loro papà.

    Chiuderò tutto e vada come vada, pensò mentre si accingeva a riporre i fascicoli nella borsa.

    Il telefono squillò con la soneria che identificava Sarah.

    Sì sto arrivando, disse distrattamente, mezz’ora e sarò lì.

    La moglie protestò immaginandolo ancora appiccicato al computer. Come al solito toccava a lei accogliere gli ospiti, preparare la tavola, mettere a scaldare i cibi preparati la sera prima, lavare e sistemare le figlie.

    Lavoro anch’io sai?! gli aveva detto. Poi senza attendere risposta, aveva riattaccato.

    Cazzo, pensò Joaquin, perché mai mi ritrovo sposato? Gente come me deve starsene da sola, come i cani randagi e i clochard.

    Il telefono squillò di nuovo e nella confusione del momento pensò fosse ancora la moglie, anche se la soneria non corrispondeva. Pronto! disse come chi è pronto a una litigata senza freni inibitori, ma non era lei.

    Parlo con il commissario Joaquin Delgado?

    In persona.

    Bene, vengo subito al dunque. Stanotte rinverrete un corpo senza vita, una persona la cui esistenza assume un senso solo grazie e per bontà di chi gliel’ha tolta.

    Chi, cosa? Con chi sto parlando?

    Si calmi e mi ascolti!

    Fu allora che l’ispettore si rese conto che la voce dell’interlocutore era contraffatta.

    Mi ascolti attentamente e veda di non interrompere, inoltre non provi a rintracciare la chiamata. Sto usando un cellulare criptato, e impossibile da localizzare.

    Il commissario si sbracciò invitando Pedro a mettersi comunque al pc per fare un tentativo. Il corpulento agente si mise immediatamente all’opera.

    Okay, mi dica chi e dove troverò il cadavere, altrimenti non capisco perché mi ha chiamato.

    A suo tempo, non c’è fretta, perché ho qualcosa da chiederle in cambio!

    E cosa? Non so neppure chi lei sia e se si sta prendendo gioco di me. Sa quanti mitomani telefonano annunciando i delitti più efferati?

    Non è il mio caso, mi creda: io ciò che prometto faccio. Ma torniamo al dunque. Voglio un interlocutore, uno che con lei segua la striscia di delitti e sangue che perpetrerò nei prossimi mesi.

    L’ispettore ascoltava attonito, aveva però il sentore che non si trattasse del solito invasato del sabato sera imbottito di roba e film horror. Fece un cenno a Pedro che scosse la testa.

    Mi sta ascoltando o è lì con il suo fedele assistente, intento a rintracciare la telefonata? Mi sembra di averle spiegato che è impossibile! O sbaglio?

    Certo, me l’ha detto ma sa com’è ho il viziaccio di provare a fare il mio lavoro. Ho tentato di smettere ma non ce la faccio.

    Bene, avere davanti un professionista è un onore, quindi se ha pazienza le spiego per filo e per segno ciò che mi aspetto da lei e in particolare dalla omicidi. Voglio che contattiate Luis Ferro, lo scrittore di romanzi horror, perché sarà lui a darvi una mano nelle indagini. Il suo nome vero è Pablo Holguins e non dovrebbe essere un problema portarlo lì da voi entro, diciamo, tre ore a partire da adesso. Sono le otto, quindi considerando che la matematica non è un’opinione, alle undici spaccate, io vi richiamerò!

    Inutile dirle che lei è fuori di testa, vero?

    Già è tempo sprecato!

    Mi spieghi almeno perché io dovrei smuovere le forze di polizia al completo per rintracciare un tizio che di mestiere fa lo scrittore di romanzi! Perché non prova a convincermi che il tizio assassinato esiste davvero e tutto questo non è soltanto una sua invenzione?

    A suo tempo. Ci sentiamo fra due ore e cinquantanove minuti; gradirei avere l’onore di parlare con Luis Ferro in persona.

    Cosa succede se non faccio ciò che lei così democraticamente mi impone?

    Beh, vorrà dire che domani molti abitanti di questa bellissima città e fra i tanti anche donne e bambini si ritroveranno di fronte a un macabro spettacolo. A lei la scelta! E mi raccomando veda di avvertire sua moglie che stasera non rientrerà a casa molto presto. Il dovere l’aspetta.

    Il clic seguente rese impossibile formulare ulteriori domande.

    Sei riuscito almeno a delimitare la zona da cui proveniva la chiamata? chiese a Pedro.

    No, mi dispiace, il segnale è criptato e il computer individua una serie infinita di località. Niente da fare!

    Non importa, hai fatto del tuo meglio. Ehi Alejandro, disse rivolgendosi all’agente che stava entrando in quel momento, cerca di renderti utile. Telefona a mia moglie e dille che stasera molto probabilmente non rientrerò a casa. Evita le battute ironiche, visto che sarà incazzata nera. Tu, Pedro, convoca invece una riunione d’urgenza. Voglio una squadra che sia in loco fra meno di quindici minuti. Nel frattempo controlla se un certo Pablo Holguins ha usato la carta di credito o il bancomat da qualche parte nelle ultime due ore. Fallo subito!

    Okay.

    Che cazzo! Mai un momento di pace in questa città, brontolò il commissario Joaquin.

    Tutto ciò succedeva mentre il sole cominciava a tingere di arancio le strade e i palazzi di Barcellona. I locali, in quella sera di inizio giugno si stavano

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