Giallo 238
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Anteprima del libro
Giallo 238 - Paola Montorfano
dell’editore
1
Queste piantine grasse, dalle foglie verde scuro con piccoli fiorellini arancioni, dentro dei vasetti bordati con un nastro blu cobalto, disposti in tondo in un cestino sul tavolo della mia cucina, mi dicono che è esistito, che non è stato solo un pensiero tra i pensieri.
Il suo unico regalo.
Ora è scomparso.
Ieri mattina non l’ho trovato al solito bar milanese, non era mai successo.
Oggi sono tornata e lui non c'era.
Dove può essere andato senza avvisarmi?
Cosa si nasconde dietro il suo silenzio? Il cellulare è disattivato da due giorni.
Non è mia abitudine indagare sulle sparizioni e ho la sensazione che sia meglio non sapere.
Due giorni nel silenzio assordante di un uomo che mi manca in maniera terribile.
Ho trascorso con lui tutte le notti di questo agosto infuocato, di giorno lavoravo in laboratorio alla formula, di notte giacevo tra le sue braccia e le sue gambe.
Cosa posso fare?
Nessuno sa di noi, non voleva si sapesse nulla.
Dice di essere un agente di un corpo speciale che lavora per il Ministero dell’Interno.
Quale corpo speciale? Non l’ho chiesto.
«Niente domande» mi ha detto.
Mi serve un’idea.
2
Nei momenti difficili, quando sono sommersa dai dubbi, quando devo trovare una soluzione ma non so che fare, c'è un posto in cui vado per rilassarmi e fare chiarezza nella mente, alla ricerca della risposta che cerco: la libreria del mio quartiere.
Il proprietario mi accoglie con il suo sorriso d'intesa e inizia a propormi un paio di nuovi libri del genere che piace a me.
Lo blocco e gli chiedo: «Luca, ho bisogno d'aiuto, mi serve un libro sugli hackers, su come violare un sito».
Mi guarda stranito e mi risponde: «Dammi qualche minuto». Non fa domande, il libraio è un uomo discreto che ama la sua clientela e la privacy.
Mi porge un libro e mi dirigo nell'angolo lettura in fondo al negozio, illuminato da una grande vetrata che dà su un silenzioso giardino zen. Il luogo giusto per trovare un momento di pace nella Milano sempre più caotica.
Mi siedo al solito posto, sulla morbida poltrona rossa, e mi guardo intorno prima di estraniarmi dal mondo.
Di fronte a me, assorto nelle sue letture filosofiche, c’è un ragazzo con gli occhialini colorati che conosco di vista, ma con cui non ho mai scambiato una parola. Qui non si parla, si legge.
Per un attimo incrocio il suo sguardo, ma lo abbasso subito e così fa anche lui.
È la prima volta che mi guarda, o, almeno, è la prima volta che ci faccio caso.
Legge solo libri di filosofia.
Apro il mio libro, Hacker contro hacker. Manuale pratico di controspionaggio informatico, e inizio a leggerlo.
Vengo interrotta da una voce. «Scusami, ma non posso trattenermi dal chiederti il perché di questa lettura.»
Mi tolgo gli occhiali da lettura e alzo la testa: è il mio dirimpettaio di poltrona.
Lo guardo sorpresa. «Da quando ti occupi delle mie letture?»
«Sei una spia?» Sorride.
Ho solo bisogno di avere accesso a un sito e non so come fare, quindi leggo per capire fin dove posso arrivare, penso tra me.
Supponente, il Platone della libreria.
«Piacere, Alessandro» dice allungando la mano.
«Piacere, Charlotte.»
«Io leggo di filosofia perché la mente umana e i filosofi mi affascinano e sono lontani anni luce dal mio mondo informatico.»
Informatico, ha detto informatico.
Deglutisco. «Informatico, inteso come tecnico di computer?»
«Sì, mi occupo di software e tecnologie d'avanguardia, quel libro l'ho scritto io.»
Se non fossi seduta cadrei a terra.
Sono disposta a tutto pur di avere accesso a quel maledetto sito.
Gli sorrido, con quel sorriso che in genere incanta gli uomini.
Ma Platone, che è più furbo di me, dice: «Buona lettura, poi mi farai sapere se i miei consigli ti sono stati utili». Quindi se ne va.
No, ti prego, resta qui, parliamone, aiutami, dove vai? Quando posso rivederti? Aspetta, dai.
Ma resto muta.
Alessandro Neri, nome e cognome sono scritti sul libro, ora mi serve solo capire come farmi aiutare.
Hackerare il sito del Ministero dell’Interno è come rubare la Gioconda al Louvre.
Entrambi super sorvegliati.
Non devo rubare dati, devo solo fingermi un utente autorizzato e accedere sfruttando le falle di sicurezza dei controlli di accesso alla rete.
Monitorare gli ingressi e, al momento giusto, captare utente e password per entrare.
Ho bisogno di Alessandro.
Ora è tardi. Ci dormo sopra e domani nel tardo pomeriggio tornerò a cercarlo in libreria.
3
Eccolo, mi viene incontro e mi chiede se ci sono riuscita.
In teoria sì, in pratica no.
«Ho bisogno del tuo aiuto» taglio corto. «Posso pagarti, i soldi non sono un problema. Ti va di venire da me, stasera? Ti offro la cena e mi fai entrare nel sito, solo un giro, non tocchiamo nulla, guardiamo da dietro le quinte.»
Siamo seduti in cucina, gli avanzi di una pizza sul tavolo, due bottiglie di birra ormai vuote, il notebook accesso e una serie di stringhe blu che scorrono veloci sullo schermo, in attesa della falla da cui entrare.
Ho un’ansia addosso. Muoviti, dai, muoviti a farmi entrare.
Passano i minuti e i codici blu mi ipnotizzano come brutte ballerine. Alessandro smanetta e impreca sulla tastiera.
Di colpo siamo dentro.
Il Ministero dell’Interno è violato grazie al furto di utente e password dell’ignaro che è entrato lasciando la porta aperta.
«Cosa cerchiamo, Charlotte?» mi chiede risvegliandomi dall’ipnosi.
«Massimo Buti.»
La ricerca non produce risultati.
Riprova, per favore, Buti Massimo. Niente, un cavolo di niente. Cazzo.
Uno che sta nei corpi speciali non usa certo il suo vero nome e cognome. Cosa mi aspettavo di trovare? la sua busta paga con l’indirizzo? Illusa, stupida illusa.
Alessandro si alza, si stiracchia e mi dice: «Me lo offri un amaro sul divano?»
No, vattene a casa. Vorrei urlargli addosso tutta la mia frustrazione, ma non posso perdere un contatto così utile e mi immolo sul divano con un bicchiere di amaro tra le mani. Il veleno che ho dentro è miele in confronto.
Altre chiacchiere e lo saluto buttandolo fuori dalla porta.
4
Distesa sul letto, con l’afa che toglie il respiro, penso a Massimo.
Chissà dov’è, chi è realmente.
Forse è meglio che cerchi di dormire. Chiudo tutto, accendo l’aria condizionata e prendo un sonnifero.
Vorrei essere con lui, è il mio ultimo pensiero prima di crollare nel sonno più buio.
Mi sveglio di colpo, madida di sudore, il fiato corto, un incubo terribile.
Guardo la sveglia sul comodino: segna le 3:55.
Non è stato un incubo, ho solo rivissuto la notte peggiore trascorsa con lui, quella che ho faticosamente cercato di dimenticare, a favore di tutte le notti in cui ci siamo amati con passione.
Avevamo finito di fare l’amore a casa sua, nel suo letto, lui si era alzato per andare in bagno e io, spinta non so da quale stupida curiosità, avevo aperto il cassetto del comodino dalla sua parte e avevo visto la pistola: mi si era gelato il sangue.
L’avevo immediatamente chiuso, mi ero voltata verso la porta e lui, fermo sulla soglia completamente rivestito, con le braccia conserte mi fissava con uno sguardo senza emozione.
«La prossima volta che apri un cassetto a casa mia, la pistola la uso per te. Non costringermi a farlo.»
Completamente nuda sul letto, immobile per le sue parole, avevo annuito.
Mi aveva preso per un braccio e tirato su con violenza. «Rivestiti, sbrigati, è ora che te ne vada.»
Volevo restare a dormire ma non