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Il cantiere narrativo
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E-book155 pagine2 ore

Il cantiere narrativo

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Info su questo ebook

Sette racconti in corsa verso il romanzo. Tre giovinezze, la pesca al faro, il tiro a segno, la casa sotto la pioggia, la villa nella foresta, la lince, “una barca e il suo nome”. Due ristoratori inquieti, un cavallo falabella, una banca fragile, una sala chiusa dall'interno, una terrazza, un passato elementare, la merce, “le cene e la città”. Uno sceneggiatore, una produttrice e la sua segretaria, un treno, sonni difficili, il cinema, le trame, le idee, una sosta forzata, come in un film musicale, come in una tomba sotterranea, in giardino danza “la figlia del produttore”. Zero rischi e tutti i rischi, spionaggio, un colpo di stato, ferimenti, imboscate, teatrini, tesori, una banca in una baita, un Nobel postumo, “le missioni”. Numeri di varietà, una superficiale festa romana, la ragazza Anastasia, un editore e una aristocratica russa, la pesantezza mondana, rivoluzioni, scomuniche, stanze segrete, mattonelle di Vietri, biglie e accendini, un vescovo in rosa, una antica matrona e una parmigiana in uscita dalla vita e dalla cucina, “i nuovi eredi”. Dentro “il cantiere narrativo”. Finale “come la sinossi di un melodramma”. E questo è niente. (Tra virgolette i titoli dei racconti).
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2018
ISBN9788894151756
Il cantiere narrativo

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    Il cantiere narrativo - Silvano Panella

    Una barca e il suo nome

    Dopo pranzo tornai sulla spiaggia. Il cielo era ancora coperto di nuvole scure ma non pioveva più. Raggiunsi il relitto della barca che io e altri pescatori avevamo trovato la mattina, osservai lo scafo scheggiato sul bordo e tranciato in più punti, i suoi colori vividi, il bianco e la fascia orizzontale rosso scuro. La barca, arenata e scossa dalla risacca, poggiava su un fianco. Lungo la spiaggia non c'era nessuna delle parti mancanti del relitto. L'interno della barca era pieno di sabbia e di acqua. Solo uno dei due scalmi era rimasto al suo posto e non c'erano remi.

    Risalii sul lungomare. Volevo andare a pescare nella zona del faro. La strada del lungomare era in asfalto chiaro a due corsie, ora non passava nessuno. Anche al faro non c'era nessuno, perché bisognava salire sugli scogli e il mare era pieno di alghe. Io ci andavo perché là potevo pescare indisturbato. Col tempo imparai a lanciare senza incagliare, sfruttando la corrente e gli stretti e curvi corridoi naturali tra colonie d'alghe.

    Superato l'ultimo edificio del paese, non mi rimaneva che passare davanti la pompa di benzina, il distributore, la casa del signor Umberti, che abitava assieme alla figlia Camilla, ragazza simpatica e affettuosa che eccedeva con la fantasia quando raccontava storie sulla vita e il coraggio, come me. La settimana prima mi aveva raccontato del suo viaggio in Canada col padre a cacciare gli orsi e a cercare l'oro. Di vero c'era soltanto che era stata in Canada da piccola. Le storie le sapeva raccontare molto bene, ma ormai mi ero abituato e non mi facevano più troppa impressione. Solo dopo, ripensandoci, mi accorgevo che erano storie piacevoli. Ora però non avevo voglia di sentire le sue storie, né credevo che ne avesse di nuove.

    Quando fui davanti la casa guardai la finestra della sua camera. Camilla era alla finestra, mi salutò con la mano. Continuai a camminare. Presto mi accorsi di lei scorgendo i suoi capelli mori lunghi sciolti al vento del mare, camminava accanto a me.

    «Dove vai?», Camilla mi domandò. «Sugli scogli? Certo, vai a pescare. Vengo con te», disse. «Oltre il faro», poi indicò. «Oltre il faro c'è un capannone giallo. Sai cosa c'è in quel capannone giallo? C'è un tiro a segno. Ti ci porterò io. Che cos'hai?»

    Era più appiccicosa del solito. Scendemmo in spiaggia. Poi sugli scogli. L'aiutai tenendola per mano. Mi disse che era stata nel faro, una sera. Il faro era chiuso a tutti, Camilla era entrata dalla porta lasciata aperta dal custode. Mi descrisse l'interno: la scala a elica in pietra, i lampadari di latta, le ringhiere in ferro arrugginito, le finestrelle ovali, l'odore di chiuso, la grande lampada elettrica che girava nel suo cilindro di vetro. Faceva molto caldo, in cima al faro, tra la grande lampada elettrica e la vetrata. Da lì Camilla aveva visto il mare verde, le zone increspate da macchie di sgombri, la cresta spumosa delle onde.

    Sedemmo sugli scogli. Preparai la lenza per lanciare e quando fui pronto lanciai. Camilla mi osservò pescare, poi rovistò nella cassetta dell'attrezzatura.

    «Cos'è questo?»

    Faceva sempre la stessa domanda tenendo in mano il galleggiante rosso e bianco, sferico. Non le importava nulla di quel galleggiante, voleva soltanto provocare.

    «Non ce lo hai messo», disse. «Queste cose che non utilizzi ma porti lo stesso sono interessanti»

    Camilla giocherellò con i piombi a olivetta. Lanciai altre volte senza prendere nulla. Tolsi il cucchiaino dalla lenza e mi feci passare un cucchiaino più piccolo. Camilla scrutò il cielo nuvoloso.

    «Potrebbe piovere di nuovo, andiamo al tiro a segno», disse. «Non vorrai mica prendere qualche pesce»

    Camilla provò a incastrare l'uno nell'altro gli avvolgilenza.

    «Intanto potrei sistemarti la cassetta», disse. «Mettere sotto le cose che utilizzi poco e sopra le cose che utilizzi di più»

    Diedi uno strattone alla lenza credendo che qualcosa avesse abboccato.

    «L'hai acchiappato?»

    «Acchiappato? No»

    Camilla richiuse la cassetta dell'attrezzatura e pestò coi tacchi delle scarpe lo scoglio scuro sul quale stava seduta.

    «È un bel posto, questo», lei disse. «Ci si potrebbe costruire una casa di legno»

    «Sarebbe difficile piazzarla»

    «Piazzarla? Qui è abbastanza piatto», Camilla disse carezzando lo scoglio scuro con la mano.

    «Hai già una casa davanti al mare»

    «Qui non è davanti al mare, qui è sul mare»

    «Io dove pescherò?»

    «Sarà una casa molto piccola. L'hai acchiappato?»

    «Sì, ora sì»

    Mi posizionai per bene sullo scoglio e cominciai a riavvolgere il mulinello. Camilla si cinse a me come se volesse aiutarmi a prendere il pesce.

    «Non è uno squalo»

    «Squalo?», lei disse, e mi lasciò.

    Era una spigola che si dimenava poco sotto la superficie dell'acqua, agganciata agli ami del mio cucchiaino. Feci presto a riavvolgere il filo nel mulinello, tirai fuori dall'acqua la spigola e la slamai. Doveva pesare un paio di etti. La misi nel retino che Camilla mi porse aperto.

    «Si muove», lei disse.

    «È viva»

    Lanciai. La spigola si agitava sempre meno e a fatica. Camilla teneva il retino accanto a sé, imbambolata ad aspettare che la spigola si agitasse ancora.

    «La vuoi tu?»

    «No», Camilla rispose incerta come se non avesse capito la domanda. «Chissà se ci ha visto, questa spigola»

    «Gli occhi ce l'ha, quindi li usa. Ma non so se ci vede bene, fuori dell'acqua»

    Pensai ai tonni che avevo pescato dalla barca in estate. Quei tonni sbattevano per un po' e morivano guardando il cielo con un occhio solo. Anche la piccola spigola stava morendo.

    Piovigginava. Camilla non diceva nulla, io non prendevo altri pesci.

    La pesca, i pesci, il cattivo tempo, il silenzio di Camilla dopo aver parlato di cattivo tempo, di case sugli scogli, della spigola, i tonni con un occhio al cielo, io che pescavo. Il mare, la pioggia, gli scogli, il faro, tutto quanto era qua per creare un episodio tranquillo nel quale non accadeva nulla di troppo ingombrante, nessuna balena bianca abboccava al mio amo, perché parlare di pesca, di pesci, di case sugli scogli, di cattivo tempo era solo una distrazione, come il rumore del mare, come il cattivo tempo, come la pesca, che poteva essere una qualsiasi altra cosa ma non altro che quella. I pesci dentro il mare, dentro il retino, dentro il mio ricordo, la casa sugli scogli evocata da Camilla e da me sospesa, ero stato un solerte burocrate, i due cattivi tempi, uno nelle parole di Camilla, uno intorno a noi. Camilla muterà il cattivo tempo in un bel tempo, non saprà perché ma lo farà, quando racconterà questo episodio proprio a me, che ero qua, su questi scogli, sotto il faro, insieme a lei.

    Il pesce nel retino non si agitava più. La pioggia continuava a scendere piano. Sostituii ancora il cucchiaino. Lanciai.

    Credei di aver preso qualcosa e tirai a vuoto. Forse mi era sfuggito. Camilla non si accorse di nulla. Sentimmo chiamarci. Mi voltai verso la spiaggia, Camilla si alzò in piedi e salutò con la mano. La nostra amica Livia era arrivata.

    «Ti piace?», Camilla domandò.

    «Cosa?»

    «Chi, non cosa»

    «Livia? E se ti dico di sì, tu che fai?»

    «Ti ammazzo», lei disse seria, per scherzo. «Andiamo?»

    «Ora vengo»

    Camilla scese dagli scogli e si diresse da Livia. Io feci un altro lancio, mi gustai la solitudine, anche se era più l'illusione della solitudine ed era meglio della solitudine vera e propria, poi raggiunsi la passerella di legno tra la spiaggia e il lungomare dove mi aspettavano. Livia mi salutò con la sua contentezza stentata e domandò cosa stavamo facendo.

    «Io pescavo, Camilla guardava il mare e il cielo»

    «Camilla mi ha detto che hai preso uno squalo»

    Aprii il retino e le mostrai la spigola. Livia annuì e si volse al faro.

    «Mi piacerebbe andare al faro, salire sul faro, guardare il mare dall'alto», lei disse.

    «Dal pontile lo vedi meglio, il mare, è molto più comodo»

    Livia sorrise. Era zoppa e magra. Era anche bella, i capelli biondi e ricci, gli occhi verdi. Vestiva sempre di chiaro e impugnava un bastone in legno scuro dal manico argentato. Io e Camilla le dicevamo che nessuno era elegante come lei. In sua compagnia anche noi ci sentivamo un poco eleganti, il nostro carattere si raddolciva, riuscivamo a essere sinceri. Sentivamo il bisogno di passare del tempo con Livia.

    Sedemmo sul muretto di fronte alla spiaggia e al mare. Pioveva debolmente. Livia prese un cartoccio dalla tasca del cappotto e me lo porse. Dentro il cartoccio c'erano alcuni biscotti guarniti da gocce di cioccolato. Mangiai un biscotto. Era buono.

    «Hai visto? Un fulmine sul mare», Livia disse.

    «Cosa succede al mare quando cade un fulmine?», Camilla domandò.

    «Eccone un altro»

    «Dovrebbero accendere il faro, tra poco sarà tempesta»

    «Ci si vede ancora», dissi.

    «Ci si vede, sì», Livia disse.

    Livia stava tra me e Camilla e teneva il cartoccio dei biscotti in grembo.

    Camilla prese un biscotto e disse che quel biscotto e il brutto tempo le ricordavano un'esperienza. Raccontò di aver vissuto per alcuni giorni all'interno di una mongolfiera. Era una mongolfiera ben piantata in terra, su una collina. Una mattina pioveva. I fulmini lampeggiavano al di là delle querce che circondavano la collina. Il pallone sgonfio della mongolfiera copriva il cesto nel quale lei stava riparata. Poteva osservare fuori con il binocolo attraverso le fessure tra il pallone e il cesto, poteva mangiare le provviste che si era portata, provviste che sarebbero bastate per una lunga gita in mongolfiera, poteva immaginare di viaggiare senza incontrare i pericoli che questo tipo di voli comportano. Infatti adesso ci stava raccontando proprio il suo viaggio in mongolfiera. Lo alternava con la verità, volava nel racconto, in quello che diceva, ma nella mongolfiera, e sembrava anche questo un viaggio, anzi più di uno. L'esperienza immaginaria doveva essere stata per Camilla molto meglio di un qualsiasi vero viaggio in mongolfiera.

    Livia stese il braccio avanti a sé. Gocce d'acqua scivolavano dal palmo della sua mano.

    «Comunque...», Camilla disse al posto di un sospiro.

    Presi un altro biscotto. Un grande fulmine ramificato comparve da dietro il faro. Era caduto lontano. Sentimmo il rombo cupo ma smorzato.

    «È bello il rumore del fulmine», Livia disse. «Sembra che il cielo voglia aggiustare le cose che accadono giù da noi»

    «Allora fallisce sempre», Camilla disse.

    «Almeno mentre tuona sembra che ci riesca»

    La pioggia cominciò a cadere fitta. Aprii il piccolo ombrello che tenevo nella borsa di cuoio. Diedi l'ombrello a Camilla, lei lo tenne aperto per sé e per Livia.

    «Me lo potevi dire che avevi l'ombrello», Camilla mi rimproverò.

    «Prima non pioveva forte»

    «Che facevate?», Livia domandò ancora, con dolcezza, una dolcezza apprensiva, con gli occhi bassi.

    «Null'altro», Camilla disse tra il meravigliato e il sarcastico.

    Camilla aiutò Livia a raggiungere la breve scala in pietra, io tenni l'ombrello in modo da coprirle entrambe. Salimmo sul lungomare. Il capannone giallo era avanti a noi.

    «Come mai il

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