Il paese che non c'è più
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Anteprima del libro
Il paese che non c'è più - Renato Benini
633/1941.
Capitolo I
Correva l’anno 1960, il bambino con pantaloncini corti e maglietta di lanina fresca si infilava una pagliuzza di fieno su per il naso, gli piaceva il solletichino, sentiva anche una puntina mista tra fastidio e un qualcos’altro di indefinibile nel basso ventre.
C’era caldo e il profumo del fieno e dell’erba appena tagliata di altri prati vicini lo facevano sentire a casa, più avanti il nonno tirava le cinghie attaccate al collare legato intorno al collo della cavalla, che a sua volta trainava il carretto dove nonno Quinto caricava il fieno. Nonno Quinto era contento di Aira la giovane cavalla che aveva sostituito il povero Ansel l’asino ormai vecchio e forse morto per il troppo lavoro. Il cavallo è stato trainante per lo sviluppo industriale, dell'educazione e delle arti. Nonno Quinto era contento di Aira, non perché il cavallo fosse stato il motore trainante per lo sviluppo dell’Europa, dell’educazione e delle arti, ma perché la vedeva più elegante più forte, e poi diciamo che Quinto se la tirava un poco, se la tirava in tutti sensi.
Nei campi vicini altri bambini giocavano a pallone, sul prato appena tagliato e ripulito dal fieno, il fieno era già in cascina. Anacleto no, Anacleto preferiva stare vicino al nonno e a Aira, continuare con quel gioco che tanto gli stuzzicava il basso ventre. Nonno Quinto lo rimproverava guarda che il fieno ti andrà al cervello!!! Vai a giocare con gli altri, che mi sembra pure siano dispari?!
.
Infatti poco prima Carlo, uno della squadra di calcio, in quel momento più forte al mondo, lo aveva invitato a giocare ma Anacleto con un solo cenno aveva fatto intendere di no.
Alle parole del nonno, Anacleto si mise a piangere, solo il fidato cane Full del nonno se ne accorse e con la testa piegata in senso antiorario lo guardava con occhi tristi, Anacleto nemmeno lui capiva perché piangeva: forse troppa voglia di stare con il nonno? Ma perché il nonno lo cacciava? O forse perché troppo timido per avvicinarsi alla squadra più forte al mondo, avvicinarsi ai suoi amici?
Eppure lui da solo, contro il muro con il pallone ci giocava anche bene, tirava forte, palleggiava dribblava i piccoli pezzi della legna a terra, ci sapeva fare si sentiva Renato Cesarini un giocatore degli anni 30, forse Juventus, ora non giocava più, ma il nonno ne parlava sempre, diceva che faceva sempre goal verso la fine della partita, tanto che poi nacque il detto fare goal in zona Cesarini
Anacleto 5 anni da poco compiuti, nato il 28 giugno 1955 a Ponte San Luzio un piccolo paesino vicino al torrente Crespoli in Provincia di Brescia, 700 anime circa, a settembre inizierà la scuola elementare, una stanzetta sopra il negozio di alimentari frutta e verdura, riscaldata da un piccolo caminetto poi le altre quatto aule uguali; con lui anche quattro dei sette bambini della squadra più forte del mondo, gli altri tre frequenteranno la seconda elementare, saranno nella stanza a fianco a quella di Anacleto. La scuola elementare per le femmine, altre cinque stanzette, erano invece sopra la farmacia sempre verso il centro del paese, anche queste riscaldate da piccoli caminetti. Le scuole medie invece erano a Costera paese di circa 2.000 anime a sud di Ponte San Luzio, verso Brescia dove si trovavano gli istituti per le scuole superiori, pochi erano i ragazzi di Ponte San Luzio che frequentavano le superiori, e quei pochi frequentavano le scuole tecniche, La Moretto o l’ITIS, erano più le ragazze, gli istituti più gettonati: Magistrali e Ragioneria. L’unico ragazzo che frequentava il Liceo Scientifico Leonardo Da Vinci , niente meno aveva terminato a pieni voti il terzo anno, era Lorenzo figlio del Sindaco del paese Enrico Maria, democristiano di centrosinistra vicino a Fanfani e Moro.
La squadra più forte del mondo di quel pomeriggio, era composta da Carlo (che in arte Lorenzo Buffon) Palmiro (in arte Josè Altafini) Ettore (in arte Angelillo) Pietro (in arte Barison) Beppe (in arte Cervellati) Antonio (in artte David) e Oliviero (in arte Giorgio Ghezzi). Quest’ultimo, Oliviero, fratello di Lorenzo nonché figlio del Sindaco Enrico Maria.
I pali delle due porte erano quattro massi (due per porta) messi indicativamente alla stessa distanza uno dall’altro, sette passi da bambino che sarebbero dovuti essere i sette metri delle porte da calcio, quelle negli stadio; da una parte Carlo (Buffon) e dall’altra Oliviero (Ghezzi), gli altri cinque componevano le due squadre una da tre e una da due, ma nel secondo tempo ad estrazione i due diventavano tre e i tre diventavano due. Gli unici fissi erano Carlo e Oliviero.
Il carretto era carico, nonno Quinto con la forca pettinava il fieno ai lati e quello che cadeva a terra lo riprendeva e lo lanciava sulla gobba più alta del carico, infilava con forza la forca nel fieno e con il rastrello in spalla tirava Aira verso la cascina verso il fienile. Poteva mettere a meritato riposo Aira dopo aver lasciato il carretto all’interno della loggia sotto il porticato, caso mai nella notte venisse a piovere, e dopo aver sistemato con cura Aira entrava in casa per lavarsi e vedere cosa sua figlia, unica figlia, gli aveva lasciato per cena. Subito dietro lo seguiva Full un cane pastore meticcio, un po’ pastore bergamasco e un po’ pastore; Quinto era rimasto vedovo giovane a 36 anni circa 22 anni fa, la moglie la nonna Cecilia era morta di tumore al seno, così era stato raccontato ad Anacleto, lui nonna Cecilia non l’aveva conosciuta così come i nonni paterni Pietro e Adelina, anche la nonna Adelina era morta per un qualcosa del genere ma non al seno, morta dopo il nonno Pietro che invece fu fucilato da strani personaggi, si strani perché Anacleto non capiva o forse non volevano raccontargliela giusta la storia, nonno Pietro fu fucilato il 18 gennaio 1944 presso le rive del torrente Crespoli poco fuori Ponte San Luzio, ma non era solo perché dove è successo c’è una lapide con tre fotografie e tre nomi e una scritta FUCILATI SENZA PIETA’! CADDERO SOTTO I COLPI DELLA RSI, CON QUESTO GENEROSO LORO GESTO CI HANNO REGALATO LA LIBERTA!’
. Anacleto capiva poco