Scelta d'amore: Harmony Collezione
Di Daphne Clair
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Info su questo ebook
Sottrarre suo figlio Nicky ai Brunellesci. Questo è il desiderio che Lia, la sua gemella, ha espresso prima di morire. E Cara intende esaudirlo con tutte le forze. Sfruttando la loro forte somiglianza, decide così di prendere il suo posto accanto al bimbo... e ad Alessandro, tutore del piccolo e fratello dell'ex compagno di Lia. Sedurlo, però, risulterà molto più facile che convincerlo di essere all'altezza del ruolo di madre, visto che Sandro intende crescere il nipotino come un vero Brunellesci; per lui pretende la perfezione. L'attrazione tra loro è quasi palpabile, e forse i Brunellesci non sono nemmeno la terribile famiglia dipinta dalla sorella. Quanta felicità può dare un matrimonio di convenienza?
Daphne Clair
Autrice residente in Nuova Zelanda, ha scritto la sua prima novella alla tenera età di otto anni.
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Anteprima del libro
Scelta d'amore - Daphne Clair
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Brunellesci Baby
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2004 Daphne Clair
Traduzione di Raffaella Cattaneo
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3052-376-0
Frontespizio. «Scelta d'amore» di Clair Daphne1
«Lea, Lea Cameron?» Il controllore alla dogana aeroportuale lesse ad alta voce il nome sul passaporto che teneva in mano, poi esaminò la giovane donna con i capelli scuri e gli occhi verdi davanti a lui.
«Il mio nome è Lia» lo corresse l’interpellata, controllando a stento l’agitazione di chi ha qualcosa da nascondere e teme di essere scoperto. Il suo cuore accelerò il battito e un leggero rossore colorò il suo viso. «L-i-a Cameron» sillabò decisa.
«Lia Cameron» ripeté l’uomo sollevando di nuovo lo sguardo su di lei. «Mi scusi... Lia.» Timbrò il documento prima di consegnarglielo. «È già stata in Australia?»
«Sì» rispose lei quasi svenendo per il sollievo.
«Voi neozelandesi non potete stare lontani da qui, eh?» commentò l’altro, ironico. «Buone vacanze, allora!»
Le ginocchia che tremavano, Lia si diresse al tapis roulant per recuperare i bagagli.
Non era la prima volta che il suo nome veniva pronunciato male, dunque perché agitarsi tanto? La coscienza poco pulita le giocava brutti scherzi.
«Lia Cameron... sono io» dichiarò ad alta voce verificando il nome sulla propria valigia.
Prese un autobus diretto a Sunshine Coast, trovò una sistemazione in un hotel e pagò il suo soggiorno in anticipo, in contanti; niente carta di credito per non lasciare tracce.
Il giorno successivo intendeva noleggiare un’auto per andare alla ricerca della tenuta Brunellesci.
Il ghiaccio scivolò lungo la sua spina dorsale.
Sandro Brunellesci era un nemico formidabile, pronto a eliminare qualsiasi ostacolo che incontrava sulla propria strada, Lia compresa.
Una rabbia sorda, acuita dal dolore recente, disperse la sensazione di paura in lei; la tragedia che aveva vissuto da poco le conferì una forza che non sapeva di possedere. Sandro Brunellesci avrebbe presto dovuto affrontare un avversario degno di lui, che gli avrebbe dato del filo da torcere.
Lei non poteva concedersi il lusso di perdere la partita, la posta in gioco era troppo alta: la vita di un bambino, un essere meraviglioso, anche se frutto di un terribile errore. Sarebbe ritornata a casa, ad Auckland, solo dopo aver compiuto la sua missione, e non sarebbe tornata sola!
La tenuta Brunellesci era protetta da cancellate in ferro battuto infisse in alte mura di mattoni a vista. Giganteschi alberi della gomma e betulle argentee schermavano la casa da occhi indiscreti; solo stralci di calde pietre dorate e grandi finestre si intravedevano attraverso i cancelli. Il primo piano era rialzato quanto bastava per garantire la vista dell’oceano; una grande terrazza si affacciava, come sospesa, sul giardino.
Lia procedette lentamente sulla strada a fianco della tenuta, e parcheggiò poco più avanti, lungo un ampio viale.
Dall’altra parte della strada, su una distesa di terra arsa, disseminata qua e là di alberi, altalene, scivoli, una piccola palestra e un grazioso labirinto costituivano un’attrezzata area giochi per bambini. Più avanti, una fascia di sabbia si lasciava lambire dalla schiuma lattea dell’oceano.
La strada era poco frequentata, solo alcune macchine si alternavano indolenti in entrambe le direzioni, quando... una limousine nera, lucida, con finestrini fumé emerse dal cancello della tenuta. Impossibile vedere se a bordo c’era solo l’autista o anche qualche passeggero.
Lia frugò nella sua borsa alla ricerca di un paio di occhiali da sole; avvolse i capelli in una coda e li nascose in un cappello di paglia a tesa larga che, di proposito, abbassò sulla fronte. Scese dalla macchina e si appostò su una panchina del parco, da cui poteva controllare ogni movimento, nascosta dietro a un libro che fingeva di leggere.
Una donna con un passeggino apparve sul cancello. L’accompagnava un uomo anziano, alto, con i capelli bianchi, che si appoggiava a un bastone; probabilmente il nonno del bimbo, Domenico Brunellesci. Attraversarono la strada diretti al parco, oltrepassandola incuranti.
Lia depositò il libro in grembo e respirò a fondo, combattendo l’impulso di voltarsi, di andarsene. Sentì la donna parlare al bimbo in quel tono caricaturale con cui gli adulti spesso si rivolgono ai bambini, poi il profondo borbottio dell’uomo anziano intercalato dal fiume di balbettii e versetti del piccolo.
Le si contrasse il cuore. Si alzò in piedi di scatto e, senza guardare nella loro direzione, cambiò punto di osservazione; si sedette sull’erba, appoggiata a un albero, da cui non perse di vista il terzetto.
L’uomo guardava sorridendo il bimbo sull’altalena; un cappellino blu riparava dal sole un faccino tondo mentre le gambine paffutelle si agitavano dai pantaloncini di cotone blu. Il piccolo si stava divertendo un mondo e i suoi risolini deliziati risuonavano nell’aria pulita.
Lui era ben curato. Forse... forse lei avrebbe dovuto dimenticare la sua missione... andarsene... No! La prima impressione non bastava per raccontare l’intera storia.
Lia convogliò la sua attenzione sulla donna: trentacinque anni circa, un viso attraente incorniciato da corti riccioli castani, un fisico snello, un po’ curva di spalle, la vita sottile accentuata da una cintura bianca su un abito verde, sandali bianchi, senza tacco... Una tata, assunta per occuparsi del bambino.
Quando i tre proseguirono per la spiaggia, lei risalì in macchina, dove rimase a spiarli fino a quando, di ritorno circa un’ora più tardi, scomparvero dietro i cancelli della tenuta.
Ora sapeva dove si trovava il bambino: non era stato abbandonato, aveva una famiglia.
Era arrivato il momento di pensare a un piano.
La mattina seguente, Lia si appostò di nuovo con la macchina davanti alla tenuta. Puntuale, il terzetto comparve sui cancelli; la tata osservò attenta la strada prima di attraversare e per un istante fulmineo il suo sguardo si posò sulla macchina parcheggiata. Confabulò con l’uomo anziano, poi proseguì oltre spingendo il passeggino.
No, no, era la sua immaginazione, si convinse lei. Eppure... meglio essere prudenti e rimanere in macchina per non farsi notare, decise alla fine.
Il bambino passava instancabile da un gioco all’altro, mentre il nonno sedeva all’ombra di un gazebo, il bastone tra le ginocchia e un leggero sorriso sulle labbra sottili.
Per essere un uomo che aveva costruito dal nulla un impero economico, dopo essere emigrato in Australia cinquant’anni prima senza un soldo, e che si era guadagnato una certa reputazione per la sua determinazione negli affari, a prima vista appariva piuttosto benevolo.
Secondo studi medici, gli uomini tutti d’un pezzo si ammorbidiscono con la vecchiaia per la perdita graduale di testosterone. Ma Sandro Brunellesci, suo figlio, aveva trent’anni e ancora una vita davanti a sé prima che questo avvenisse. Forse Brunellesci senior era un bersaglio più facile e, con un po’ di fortuna, poteva ancora avere un certo ascendente sul figlio, rifletté Lia tra sé, speranzosa.
Assorta nei suoi pensieri, concentrata sul gruppetto nel parco, non si accorse della macchina nera che si era avvicinata alla sua, fermandosi poi di traverso per sbarrarle la strada.
Un uomo balzò fuori; in poche falcate coprì la distanza tra le due vetture e spalancò di scatto la portiera della sua macchina.
La mano di lei andò all’accensione in un tentativo automatico quanto inutile di fuga. Una forte presa si chiuse attorno al suo polso e la costrinse a scendere. Senza sapere come, Lia si trovò con le spalle contro la propria macchina, le braccia intrappolate.
«Lia?» Occhi fieri, terribili, incastonati in un viso forte, l’appuntarono sospettosi ed esterrefatti allo stesso tempo. La voce era acciaio temperato in fodero di velluto.
Lei deglutì più volte, spaventata, timorosa di sciogliersi sotto quello sguardo incandescente, simile a un raggio laser. «Sandro!» esclamò senza ombra di dubbio. Tuttavia, pur assomigliando molto al padre, quell’uomo non mostrava alcuna traccia di benevolenza.
Consapevole dei suoi occhi penetranti su di sé, della sua forza fisica, Lia sentì il sangue pulsarle nelle vene del polso ancora stretto nella sua morsa.
«A che gioco stai giocando?» la aggredì lui.
Non lasciarti intimidire. È solo un uomo, si disse Lia. «Io non sto affatto giocando.» Sollevò il mento orgogliosa, appellandosi a tutto il suo coraggio per affrontarlo. «Lasciami!»
Sandro Brunellesci apparve ancora più sbalordito; Lia non aveva mai osato sfidare la sua autorità, il diritto arrogato di fare ciò che voleva con lei o con qualsiasi altra persona della sua famiglia.
Ma questa era un’altra Lia, che non si sarebbe fatta da parte, che sapeva esattamente quello che voleva e il motivo che l’aveva condotta fin lì. E che non avrebbe accettato un no come risposta, indipendentemente da quanto le sarebbe costato.
«Mi dispiace, non volevo farti male» si scusò Sandro, pallido in volto, la voce alterata. Le prese il polso in un gesto più gentile. «È stato uno shock vederti» ammise.
«Anche per me» replicò lei piatta, massaggiandosi il braccio. «E, oltretutto, ho rimediato una frattura al polso.»
Sandro lampeggiò uno sguardo cupo verso di lei; qualcosa però era mutato in quelle oscure profondità, una scintilla si accese all’improvviso. «Sarà meglio entrare in casa e mettere del ghiaccio.» Nonostante le proteste di lei, si impossessò delle sue chiavi della macchina e la guidò verso il cancello.
Lia avrebbe voluto seguire il proprio istinto e opporsi alla sua autorità. Tuttavia, in quel modo Sandro la introduceva nella sua casa e le permetteva di incontrare il resto della famiglia; era un’occasione inaspettata e irrepetibile che doveva cogliere senza indugi.
Il confronto con i Brunellesci prima o poi sarebbe stato inevitabile e, dunque, pazienza se lei in quel momento non si sentiva pronta a incontrarli!
Il fatto era che non sarebbe mai stata pronta: avrebbe continuato a rimandare con la scusa di voler conoscere meglio il nemico e di mettere a punto i propri piani.
Il contatto della mano di Sandro inviò lingue di fuoco lungo il suo braccio e suscitò in lei sensazioni insolite, fino ad allora sconosciute.
E non era solo la sua vicinanza! A dire la verità, non si era mai trovata in una situazione del genere. Lei, scrupolosamente onesta, era sul punto di imbarcarsi in una truffa per la buona riuscita della quale le occorrevano tutta la decisione e la lucidità mentale che possedeva.
Sei ancora in tempo, le sussurrò la sua vocina interiore. Puoi tornare indietro, prendere il primo volo per Auckland e andartene.
Sbirciò di soppiatto Sandro Brunellesci: con una espressione di collera contenuta scolpita nel viso di granito, l’uomo era terribile nella sua riservatezza.
Lia si perse d’animo e le parole si