Mamma mia dammi cento lire
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Tre racconti compongono questa silloge che invita a riflettere sul tema sempre scottante della migrazione dei popoli: il primo ambientato nel 1948, narra la storia di Alfredo e Leda costretti a lasciare la loro Viareggio per cercare fortuna a Buenos Aires; il secondo la storia di un giovane albanese che decide di lasciare la sua terra per cercare fortuna e speranza in Italia; infine il gustoso cammeo di un italiano che dopo aver fatto fortuna in America ritorna nel suo paese natio in cerca di una moglie.
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Anteprima del libro
Mamma mia dammi cento lire - Maria Teresa Landi
Fuga
Introduzione
Emigrazione: un tema antico, ma drammaticamente attuale. Non è questa la sede per un approfondimento storico pur doveroso; ci limitiamo a osservare che cambiamenti climatici, fame, guerre e così via hanno spinto da sempre popoli interi a lasciare la propria terra con la speranza di un futuro migliore. Decisione mai facile per nessuno, sia per chi rimane e aspetta notizie, sia per chi parte lasciandosi indietro un pezzo di cuore, insieme all’impronta indelebile della propria identità culturale.
Anche noi italiani abbiamo un lungo passato di emigrazione, che ha coinvolto tutte le regioni. Non si dice forse che Colombo, sbarcando nel nuovo mondo, si trovò davanti venditori di statuine lucchesi? Scherzi a parte, è vero che gli italiani sono sparsi in tutti i continenti.
La migrazione continua, con l’aggravante che, mentre in passato dal nostro paese partiva soprattutto la manodopera non specializzata, oggi fuggono i cervelli, e non è un gran guadagno. In compenso c’è chi arriva, costretto dalle circostanze o attirato dal miraggio di un benessere troppo spesso illusorio.
Ben altro ci sarebbe da dire sulla drammatica attualità di un fenomeno che pare tanto inarrestabile quanto di complessa gestione, il costante arrivo di disperati sulle nostre coste, ma i racconti che seguono, appartenenti a un passato recente, vogliono sottolineare due aspetti peculiari. Prima di tutto l’evoluzione dell’Italia da paese di emigranti a rifugio di immigrati. Secondariamente l’evoluzione del modo di vivere e di pensare negli ultimi cinquant’anni. Il terzo racconto, ambientato nella campagna versiliese, prende infatti spunto da una storia vera, raccontata nello stile delle ballate popolari, ma leggerlo oggi fa quanto meno sorridere.
Ricominciare
Alfredo Zini giunse a Buenos Aires il trenta maggio 1948. Portava con sé una vecchia valigia di cartone legata con lo spago e tante speranze.
La decisione di andarsene da Viareggio era maturata lentamente, borbottando nello stomaco e nella testa. Glielo imponevano la miseria del dopoguerra e lo smarrimento di chi quella guerra l’aveva combattuta per poi ritrovarsi con un pugno di mosche.
Era tornato in una città disastrata, senza lavoro, senza gli amici più cari, persi in quei terribili anni, senza la famiglia, lui figlio unico, la casa distrutta dai bombardamenti. E Leda, sarà viva? E dove si trova?
Una mattina si profilò sull’uscio di casa sua: magro, irriconoscibile, ma vivo. A quel tempo, se voleva assurgere al rango di fidanzato, il corteggiatore doveva chiedere ufficialmente la mano della ragazza e Alfredo lo fece. In mancanza del padre, fu Gianni, il fratello, a dare il consenso. Gli offrì anche di lavorare nella loro bottega.
Si sposarono in quattro e quattr’otto a San Paolino. Un giovedì d’estate, la mattina presto, si trovarono in sacrestia loro due, vestiti così com’erano, e i testimoni, davanti a un prete insonnolito, cerimonia veloce e via. Il rinfresco: una tazza di caffè e latte, caffè vero finalmente, pane e marmellata fatta in casa. La gita di nozze, una pedalata fino al lago. Ma tant’è, si sentivano felici.
Il ménage a due iniziò in un vecchio magazzino dietro il negozio. Il tetto bucherellato faceva acqua ogni volta che pioveva, bruciava sotto il sole, il gabinetto fuori e