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Mamma mia dammi cento lire
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E-book47 pagine37 minuti

Mamma mia dammi cento lire

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Mamma mia dammi cento lire. Chissà quante volte abbiamo sentito questo ritornello simpatico e strampalato. Altri tempi, forse un gioco di parole un po’ ingenuo, desueto. Ma quello che la canzone testimonia ancora oggi è il dramma dell’emigrazione, che ha condotto centinaia di migliaia di nostri connazionali lontano dal suolo natio, alla ricerca di un futuro, con la speranza che questa nuova vita fosse migliore di quella che si erano lasciati alle spalle: solitamente poveri, contadini e analfabeti; partivano e viaggiavano in condizioni estreme e quando arrivavano li aspettavano pregiudizio, razzismo e violenze. La storia si ripete e coloro che oggi vedono l’Italia come un sogno trovano ad attenderli gli stessi pregiudizi, lo stesso razzismo: stessa disperazione che motiva la partenza, tutti i propri averi investiti in un viaggio della speranza, la stessa voglia di cambiare il proprio destino, le ansie, le paure, i successi e le sconfitte. Ma non si è esaurita la diaspora italiana: molti giovani hanno capito che è meglio partire con l’ansia di un futuro incerto altrove, che restare con la disillusione e le speranze spezzate. Riusciremo a riscoprire il nostro passato senza revisionismi ma con l’umiltà di chi crede che ogni essere umano ha diritto a sognare un futuro migliore?
Tre racconti compongono questa silloge che invita a riflettere sul tema sempre scottante della migrazione dei popoli: il primo ambientato nel 1948, narra la storia di Alfredo e Leda costretti a lasciare la loro Viareggio per cercare fortuna a Buenos Aires; il secondo la storia di un giovane albanese che decide di lasciare la sua terra per cercare fortuna e speranza in Italia; infine il gustoso cammeo di un italiano che dopo aver fatto fortuna in America ritorna nel suo paese natio in cerca di una moglie.
LinguaItaliano
Data di uscita1 nov 2018
ISBN9788832923391
Mamma mia dammi cento lire

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    Anteprima del libro

    Mamma mia dammi cento lire - Maria Teresa Landi

    Fuga

    Introduzione

    Emigrazione: un tema antico, ma drammaticamente attuale. Non è questa la sede per un approfondimento storico pur doveroso; ci limitiamo a osservare che cambiamenti climatici, fame, guerre e così via hanno spinto da sempre popoli interi a lasciare la propria terra con la speranza di un futuro migliore. Decisione mai facile per nessuno, sia per chi rimane e aspetta notizie, sia per chi parte lasciandosi indietro un pezzo di cuore, insieme all’impronta indelebile della propria identità culturale.

    Anche noi italiani abbiamo un lungo passato di emigrazione, che ha coinvolto tutte le regioni. Non si dice forse che Colombo, sbarcando nel nuovo mondo, si trovò davanti venditori di statuine lucchesi? Scherzi a parte, è vero che gli italiani sono sparsi in tutti i continenti.

    La migrazione continua, con l’aggravante che, mentre in passato dal nostro paese partiva soprattutto la manodopera non specializzata, oggi fuggono i cervelli, e non è un gran guadagno. In compenso c’è chi arriva, costretto dalle circostanze o attirato dal miraggio di un benessere troppo spesso illusorio.

    Ben altro ci sarebbe da dire sulla drammatica attualità di un fenomeno che pare tanto inarrestabile quanto di complessa gestione, il costante arrivo di disperati sulle nostre coste, ma i racconti che seguono, appartenenti a un passato recente, vogliono sottolineare due aspetti peculiari. Prima di tutto l’evoluzione dell’Italia da paese di emigranti a rifugio di immigrati. Secondariamente l’evoluzione del modo di vivere e di pensare negli ultimi cinquant’anni. Il terzo racconto, ambientato nella campagna versiliese, prende infatti spunto da una storia vera, raccontata nello stile delle ballate popolari, ma leggerlo oggi fa quanto meno sorridere.

    Ricominciare

    Alfredo Zini giunse a Buenos Aires il trenta maggio 1948. Portava con sé una vecchia valigia di cartone legata con lo spago e tante speranze.

    La decisione di andarsene da Viareggio era maturata lentamente, borbottando nello stomaco e nella testa. Glielo imponevano la miseria del dopoguerra e lo smarrimento di chi quella guerra l’aveva combattuta per poi ritrovarsi con un pugno di mosche.

    Era tornato in una città disastrata, senza lavoro, senza gli amici più cari, persi in quei terribili anni, senza la famiglia, lui figlio unico, la casa distrutta dai bombardamenti. E Leda, sarà viva? E dove si trova?

    Una mattina si profilò sull’uscio di casa sua: magro, irriconoscibile, ma vivo. A quel tempo, se voleva assurgere al rango di fidanzato, il corteggiatore doveva chiedere ufficialmente la mano della ragazza e Alfredo lo fece. In mancanza del padre, fu Gianni, il fratello, a dare il consenso. Gli offrì anche di lavorare nella loro bottega.

    Si sposarono in quattro e quattr’otto a San Paolino. Un giovedì d’estate, la mattina presto, si trovarono in sacrestia loro due, vestiti così com’erano, e i testimoni, davanti a un prete insonnolito, cerimonia veloce e via. Il rinfresco: una tazza di caffè e latte, caffè vero finalmente, pane e marmellata fatta in casa. La gita di nozze, una pedalata fino al lago. Ma tant’è, si sentivano felici.

    Il ménage a due iniziò in un vecchio magazzino dietro il negozio. Il tetto bucherellato faceva acqua ogni volta che pioveva, bruciava sotto il sole, il gabinetto fuori e

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