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Il pentagramma dell'anima
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E-book222 pagine3 ore

Il pentagramma dell'anima

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Info su questo ebook

Leonardo Alfieri, noto attore e scrittore, a seguito di un incidente, si trova nel mondo degli Alati, una dimensione governata dalle leggi dell’energia cosmica dove, ad ogni nuovo arrivato, viene affidata una missione di reintegro spirituale di un anima terrena. La missione di Leonardo ha un nome: Maria Sole, una giovane donna la cui anima terrena è dilaniata dal dolore e dal rancore per la perdita di importanti affetti familiari. Leonardo comprende che la via del recupero delle emozioni è la musica, perché quando l’energia di Maria Sole si libera sui tasti del pianoforte il suo cuore produce battiti d’amore infinito. L’incontro con un produttore musicale porterà Maria Sole ad esibirsi al festival di Sanremo, avvalendosi, per la realizzazione del suo videoclip, della collaborazione di Lucas Prandi, uomo altrettanto disilluso dalla vita. Una serie di coincidenze astrali caratterizzate dal “pentagramma della loro anima” e potenziate dall’energia emozionale, potranno condurre i due protagonisti a intraprendere un percorso di vita purificato, permettendo così a Leonardo Alfieri di portare a termine la sua missione e intraprendere la via del ritorno.

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LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2019
ISBN9788831609104
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    Anteprima del libro

    Il pentagramma dell'anima - Stefania Bonomi

    a.C.)

    UNO

    Il giorno in cui Maria Sole aveva compiuto il suo ventitreesimo anno, era stato l’ultimo. L’ultimo di una prima vita da ricordare per tutte quelle cose che devono essere ringraziate.

    Lo squillo del telefono in piena notte, aveva chiuso il sipario. Il 13 novembre era iniziato con una corsa disperata, che tagliava a metà la nebbia fitta di una Milano deserta, per arrivare in ospedale e sentire il ferroso rumore di una lettiga  portarsi via suo padre, coperto da un telo bianco.

    Maria Sole non aveva avuto nemmeno il tempo di piangere, perché la disperazione di Daniela, seconda moglie di suo padre, aveva occupato tutta la scena, dove il protagonista era stato il dolore per una vita vissuta con una metà che se n’era andata.

    Dopo Daniela, aveva dovuto pensare a sua sorella Vittoria che, per la seconda volta nella vita, aveva rifiutato quella devastante perdita, mettendo in valigia i ricordi, e buttando quella stessa logora valigia in discarica, con la speranza che il suo passato venisse triturato, insieme ad altra monnezza di cui disfarsi per sempre.

    A distanza di pochi mesi da quella lacerante perdita, una mattina Maria Sole si era svegliata ed aveva smesso di guardarsi allo specchio per cercare conferma in qualcosa che conosceva molto bene: il suo viso efebico, le sue spalle larghe e sproporzionate rispetto al bacino stretto, il sorriso sbiancato dal correttore delle foto, il seno abbondante da nascondere, il naso leggermente aquilino, le mani curate, un sedere faticosamente mantenuto sodo, grazie a sfiancanti ore di palestra.

    Tanto, tutto quello non sarebbe rimasto. Tutto si sarebbe trasformato. E lei sarebbe rimasta li, a cercare il ricordo della sua immagine dentro, ad uno specchio consumato dagli anni. Tutto aveva una fine.

    Lo squillo del telefono aveva spezzato il silenzio di una notte come tante altre e, per la seconda volta nella vita, Maria Sole non aveva più una famiglia. Non aveva più quella donna che per tanti anni aveva chiamato mamma che al telefono le raccontava gli affari noiosi e privati della sua vicina di casa. Non aveva più quel giardino dove fumava la sigaretta dopo pranzo, mentre suo padre andava a buttare la pattumiera. Non aveva più quei pallosi Natali (allora….quest’anno dove lo facciamo sto Natale….da te, da noi, da tua sorella?). Non aveva più quella porta che si apriva con il sorriso sono arrivata!!!. Non avrebbe più discusso con suo padre per banali motivi, non ci sarebbero più state foto davanti all’albero di Natale, l’auto nuova di papà d’andare a vedere.

    Aveva anche cancellato il numero, nella lista dei preferiti del cellulare, di papi e mamma, una coppia, una cosa unica, un collante, pancia e schiena.

    Per Maria Sole non era stato difficile realizzare che, quella che da sempre aveva considerato la sua famiglia, quel nucleo di persone con le quali in un qualche modo aveva condiviso quasi una vita, si era spenta, insieme all’ultimo respiro di suo padre.

    Il dolore che riduce il cuore a brandelli, si era inizialmente trincerato dietro alla rabbia, al rancore, allo stupore, alla consapevolezza, distratto dall’organizzazione della cerimonia, dai documenti da firmare, dai vestiti da scegliere per il funerale, dai fiori per la corona. Il trasporto al cimitero, le telefonate dei parenti, gli incartamenti della successione, i notai, l’eredità, gli armadi da vuotare, l’auto da vendere. E chissà se Daniela ce l’avrebbe fatta senza di lui.

    I mesi erano passati, ed i pensieri di Maria Sole si erano rincorsi per un tempo indefinito. Poi un giorno, la consapevolezza aveva bussato alla sua porta, pronta a riprendersi ciò che le era stato tolto. Maria Sole aveva accettato quel pacchetto infiocchettato. Lo aveva scartato, speranzosa di trovarci dentro chissà che, ed invece, per lei, solo un breve e conciso messaggio.

    Maria Sole, è finita

    Una saggia consapevolezza che le aveva mostrato solo il presente. Nessun passato e nessun futuro. Una sorella dallo psicanalista che ti chiama e ti dice.

    Con tutto quello che hai già passato, quella forte della famiglia sei tu, io non ce la faccio

    Era finita, perché Maria Sole aveva realizzato che sua madre, quella vera, l’aveva persa tanti anni prima.

    Daniela, dopo pochi mesi dal lutto, le aveva consegnato delle fotografie.

    Queste sono di tua madre, quando ancora faceva il suo dovere. Tuo padre le ha volute conservare. Io non le voglio tenere in questa casa come reperti storici della vita di un uomo che se n’e andato. Riprenditele

    Maria Sole si era seduta, con quelle immagini tra le mani incollate al suo stesso sudore ed il sangue cristallizzato.

    E tutti quei ricordi che aveva blindato nel cassetto della memoria, si erano impossessati della sua anima, come se l’ultima parola detta, fosse quella di ieri.

    C’era lei, appena nata, in braccio a sua madre che sorrideva felice. C’erano loro, le sorelline per mano, e dietro sempre lei, quella donna che profumava di latte, che le guardava con quello sguardo che puoi cogliere solo nel cuore di chi ti ha messo al mondo.

    Maria è il nome di mia nonna

    Le aveva raccontato sua padre in ricordo di quella donna bionda e algida che aveva spropositatamente amato.

    E il Sole è quello di Fabio Concato. Non sai quanto tua madre adorasse questa canzone! Ti addormentavi solo quando te la cantava, come una ninna nanna

    Quello era stato il momento in cui Maria Sole aveva sentito le lacrime inondarle i ricordi, trasformarsi in liquidi, che prima annebbiano con la loro violenza, poi si ritirano, lasciando finalmente spazio all’incredibile scenario di quel poco che era stata la sua vita fino a quel momento.

    Vittoria, sua sorella, aveva scelto di non perdonare. Maria Sole aveva scelto di non capire. Ma era davvero difficile. Perché Maria Sole era il suo ritratto.

    Vittoria è arrivata quando tua madre sembrava essersi ripresa dalla depressione - suo padre continuava le spiegazioni dei nomi di famiglia -  dopo le cure si era ripresa, e l’arrivo di tua sorella in quel momento rappresentava la Vittoria del nostro amore

    Maria Sole aveva qualche ricordo in più, rispetto a sua sorella. Quella bella signora, con la pelle di gelsomino e quella risata capace di catturare tutta l’allegria del mondo, era sparita dalla loro vita quando lei aveva iniziato la prima elementare. Vittoria aveva solo quattro anni, ed aveva sempre ripetuto che di quella madre non ricordava assolutamente nulla. E nulla voleva ricordare.

    E Daniela, la donna che aveva cresciuto lei e sua sorella, cercando di sostituirsi ad un affetto insostituibile, per Maria Sole era diventata una sconosciuta, come se suo padre si fosse portato nella tomba i capisaldi della loro unione famigliare. Nonostante il gelo avesse cristallizzato tutti gli affetti, Maria Sole e Vittoria avevano continuato a chiamarla mamma, anche se l’improvvisa scomparsa del loro amatissimo padre, aveva ributtato in superficie la consapevolezza della non consanguineità.

    Sei uguale a tua madre, che ha abbandonato due bambine per andarsene a fare la bella vita, a scopare con i giovanotti, a mostrare tette e culo perché era l’unica cosa che sapeva fare

    Daniela, rimasta vedova, sembrava avesse intriso la sua anima nel veleno. Maria Sole guardava l’unica foto di sua madre che aveva conservato. Le altre le aveva nascoste in una scatola chiusa a doppio nastro. Scandagliava i tratti di quella donna, poi osservava la sua immagine allo specchio per capire se le somigliasse davvero.

    Aveva imparato ad ascoltare Daniela, ormai estranea alla sua vita e a i suoi sentimenti, senza proferire parola. Forse non l’aveva amata come lei avrebbe desiderato ma, a modo suo, le aveva voluto un gran bene.

    L’aveva rispettata, era cresciuta con le sue carezze ed i giusti rimproveri, aveva obbedito e disobbedito, e la scelta di andarsene di casa a soli vent’anni, non era stata certo dettata dal fatto che Daniela non fosse la donna che l’aveva partorita.

    Per Maria Sole era stato difficile crescere. Crescere con tutti quei ricordi sepolti, e la responsabilità di una sorella che ogni notte si svegliava paralizzata dal sudore, urlando quel nome mamma, per poi rifiutare il suo ricordo e cercarla nei sogni agitati che tornavano puntualmente a trovarla.

    Maria Sole si infilava nel letto di sua sorella e, stringendola forte, le cantava una canzone, fino a che non sentiva il suo respiro diventare leggero e tranquillo. Capiva che la sua famiglia era ormai sepolta sotto le ceneri di suo padre. Lei e Vittoria erano rimaste solo delle appendici, di cui Daniela, non aveva più bisogno.

    Amavo tua madre più di me stesso, quando mi lasciò con due bambine piccole da crescere. Pensavo che non ce l’avrei fatta. Quando ho conosciuto Daniela  sono tornato ad avere fiducia nella vita

    Era stato difficile per Maria Sole accettare di essere orfana di madre e padre. Soprattutto perché il primo lutto non apparteneva ad una reale perdita, ma alla fuga di una donna che aveva deciso di abbandonare due bambine ed un marito, per andare a cercare la felicità altrove. L’aveva trovata? E dove? E con chi? Perché aveva abbandonato la sua famiglia? E come viveva ora? Ancora nel letto di una clinica psichiatrica imbottita di sedativi?

    Ogni tanto si ricordava del profumo della pelle delle sue bambine che aveva partorito, allattato, amato, coccolato fino al giorno in cui aveva deciso di sparire?

    Vittoria non era riuscita a superare il lutto, il dolore, la perdita. Aveva un attaccamento morboso per quella madre, nonostante l’avesse persa a soli quattro anni.

    Aveva pianto tanto da consumare le proprie lacrime e quelle di tutti. Si era disperata, fino al momento in cui aveva smesso completamente di parlarne. Un muro impenetrabile, che si sgretolava durante il sonno, ogni notte di ogni giorno, di ogni anno.

    Daniela aveva cercato, con pazienza e dolcezza infinita, di coccolare quella bambina disperata, dal primo momento in cui l’aveva presa in braccio. Ma Vittoria non aveva mai accettato quell’affetto sostitutivo.

    Aveva così riversato odio e amore sul padre, crescendo con un carattere astioso, impenetrabile e drammaticamente malato, che riusciva a trovare brevi attimi di serenità, solo quando stava con Maria Sole.

    Ma, con la morte del padre, anche l’armatura di Maria Sole era crollata.

    Erano passati ormai due anni dall’ultimo ricovero in clinica di sua sorella Vittoria.

    Ma per Maria Sole era passata una vita dall’ultimo suo flebile ricordo di felicità.

    DUE

    Anche qui ero di corsa. Come sempre, come era sempre stato.

    Mia madre, ogni volta che mi vedeva entrare e uscire da casa affannato e in ritardo, mi ripeteva la solita solfa:

    Ti ho partorito in auto, in mezzo al traffico di Roma perché tuo padre era in ritardo. Avevo perso le acque da più di tre ore ed il travaglio era cominciato. Avrei dovuto chiamare l’ambulanza ma lui no, mi ha detto, ti porto io. Lui che lavorava di notte e smontava la mattina, quando le strade della città si ingolfavano di traffico. Cosi tu sei nato al semaforo della Tiburtina, a cinque chilometri dal Gemelli, sul sedile posteriore di una Punto Blu che tuo padre aveva fatto un sacco di sacrifici per potersela comperare, quell’auto. Il tuo primo vagito non si è manco sentito, soffocato dal rumore dei clacson e dalle mie urla di dolore. Poi è arrivata l’ambulanza e sono scesi quelli là.. che ti hanno tolto il cordone dal collo….e via di corsa all’ospedale….per un pelo e te ne andavi in Paradiso….

    Non è che qui non viviamo più di corsa. Qui ci portiamo quello che eravamo, tali e quali. Qui un Alato ritardatario non diventa puntuale, un Alato cattivo non diventa buono, un Alato egoista non diventa altruista. Qui abbiamo solo la possibilità di diventare migliori e, prima o poi, di tornare puliti. Ma non lo decidiamo noi. Noi possiamo solo provarci, metterci in gioco, ma soprattutto crederci.

    Perché ormai siamo solo energia, patrimonio essenziale del nostro percorso terreno. Dobbiamo solo imparare ad usarla, come gli umani non sanno fare.

    Io ero uno di quelli che aveva deciso di non apparire. Quando sono arrivato, ero solo luce, pura e calda luce, avvolto da una profonda serenità. Mi è stato insegnato come potenziare l’amore per me stesso e per gli altri.

    Portavo con me tutti i miei ricordi. Tutti, ma proprio tutti, anche quelli che mi ero dimenticato. Quelli meravigliosi, e quelli che la mia coscienza o le mie paure avevano rimosso. Non avevo stimoli fisici, perché non avendo più un corpo, non vi è anidride carbonica, ne ossigeno che intossicano o purificano il mio sangue.

    Mi hanno lasciato solo tre cose: il pensiero, le emozioni e l’energia, che gli Eletti mi hanno insegnato ad usare sapientemente.

    Non apparire non significa non avere una ben precisa e distinta identità. Anche se non possiedo un corpo, posso scegliere di presentarmi con le sembianze di quello che vestivo ogni giorno. Posso aprire armadi e indossare ogni capo che la memoria mi rimanda, perché nessuno mi guarda, mi giudica o mi critica.

    Siamo tutti qui per imparare a confrontarci, aiutarci, ed arrivare al compimento del ruolo che ci è stato assegnato. Per poi ritornare e aggiungere un ulteriore pezzo purificato al puzzle dell’umanità.

    Oggi è il giorno della riunione mensile del Direttivo. C’è fermento generale per le strade adiacenti il Palazzo Imperiale perché, come ogni mese, le decisioni prese potrebbero cambiare il destino di molti Predestinati e di altrettanti umani.

    La legge cosmica richiede ai convocati di presentarsi tutti vestiti in egual modo. Questo, per me che ho scelto di essere solo luce, è sempre un grande sacrificio. Non lo è invece per la maggior parte dei convocati, che decide di utilizzare sapientemente il file del proprio e personale gusto estetico, per accedere al ricordo di una giacca, di un pantalone, di una cintura, di un cappello, di un paio di scarpe -posseduti o indossati nel corso della vita terrena - che il nostro pensiero trasforma in materia impalpabile.

    In questo modo ci viene data la possibilità di riappropriarci dell’immagine dell’uomo o della donna che eravamo, con gli stessi abiti, gli stessi lineamenti, i capelli di quella volta che ci erano piaciuti tanto, barba, baffi, ricci, lisci, anelli, collane, sciarpe, pochette.

    Qui le energie si materializzano nel periodo storico in cui hanno vissuto. Avendo io pochissime nozioni del passato, (adesso mi pento di non aver studiato la storia dell’umanità) faccio davvero fatica, a collocare le energie visibili che incontro, all’interno di un preciso anno storico. Anche se, più o meno, dall’immagine di chi mi passa vicino, posso calcolare da quante centinaia di anni terreni, si trovino in questo universo spirituale.

    Al Direttivo accedono solo i Predestinati e gli Alati che saranno insigniti a Predestinati. La regola è quella di presentarci vestiti di azzurro. Questo perché la luce blu, per via della sua lunghezza d’onda più breve, è diffusa in tutte le direzioni, e viene quindi rifratta dalle più piccole particelle degli strati più alti dell'atmosfera, al contrario degli altri colori. Ed in qualunque direzione si osservi, una frazione di questa luce giunge ai nostri occhi. Ecco perché il cielo sulla terra appare azzurro.

    Oggi che, per la seconda volta, sono stato convocato, mi presenterò in camicia e pantaloni, uniche due cose che ho avuto di azzurro nella mia vita terrena.

    Raramente, a queste convocazioni, si incontrano gli stessi Alati e Predestinati del Direttivo precedente. Perché le missioni sono talmente tante, e talmente difficili da portare a compimento, che ogni singolo caso viene preso in

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