Trattativa Privata
Di Sierra Rose
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Info su questo ebook
Tuffatevi nella nuova storia d’amore di Sierra Rose, autrice bestseller acclamata da WALL STREET JOURNAL e USA TODAY.
Paige: Avevo un disperato bisogno di soldi per salvare la vita a mia sorella. Un giorno, trattenendomi in ufficio oltre l’orario di lavoro, mi era capitato di ascoltare un dirigente che diceva al suo pubblicista di aver bisogno di ingaggiare una finta moglie per ripulire la propria immagine. Ho capito subito che ero la persona giusta per l’incarico, anche se quando lui mi ha scambiata per la donna delle pulizie mi sono quasi persa d’animo. Ma non importava. Dovevo farlo per la mia sorellina, per farle ricevere tutto l’aiuto di cui aveva bisogno. Perciò mi sono fatta coraggio e mi sono offerta di sposarlo…per morire subito dopo di imbarazzo, non appena scoperto che quello che credevo essere uno dei tanti dirigenti non era altri che Luke Conners, il nuovo Amministratore Delegato della compagnia. Merda! Avevo appena proposto al mio capo, un playboy miliardario e impenitente, di fargli da sposa! E lui mi aveva anche risposto di no…
Luke: Avevo un disperato bisogno di una moglie di facciata per ripulire la mia immagine. Una segretaria impertinente mi aveva incuriosito, ma non potevo frequentare una delle mie dipendenti. Non sarebbe corretto. Inoltre, col denaro di cui disponevo, potevo permettermi di ingaggiare un’attrice in uno schiocco di dita. Solo che non riuscivo a smettere di pensare a Paige. Così ho cambiato idea e le ho chiesto di accettare il lavoro, ma a quel punto lei mi ha detto di no. Nessuna si era mai negata a me, prima di allora. Farle cambiare idea era diventata una questione di principio…
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Anteprima del libro
Trattativa Privata - Sierra Rose
Trattativa Privata
Libro 1
Sierra Rose
Capitolo 1
Sapeva di potercela fare, se si fosse messa a correre.
Se l’autobus fosse arrivato in orario.
Se avesse fatto le quattro rampe di scale senza fermarsi a reggersi il fianco, sbuffando e ansimando come un anziano cardiopatico anziché una segretaria di trentadue anni.
Quando la donna finalmente – finalmente! – le fece il conto del pranzo, Paige Winters si sforzò di sorridere. Pagò la zuppa e l’involtino primavera, e mangiò quest’ultimo in due soli bocconi mentre correva alla fermata dell’autobus, quasi strozzandosi. Come facevano i corridori ad afferrare e bere al volo quelle minuscole bottigliette d’acqua durante la corsa senza soffocare e cadere morti? Chiaramente non era un tipo atletico, se un involtino l’aveva quasi fatta secca durante una semplice camminata veloce.
Ridacchiando della sua stessa battuta, liberò una mano per controllare ancora l’orario sul cellulare, continuando a reggere con l’altra la vaschetta di polistirolo con la zuppa in modo da non farla rovesciare. Il coperchio era uno di quei sottili affari di plastica che non combaciano mai perfettamente con il contenitore e una ciotola vuota che odorava vagamente di brodo di pollo non è che potesse dare a sua sorella granché forza e sollievo. Per questo Paige si assicurava di non agitare la zuppa senza versarne neppure una goccia. Paxtyn ne aveva già passate abbastanza perché la sorpresa che voleva farle per pranzo si rivelasse essere la totale mancanza del pranzo stesso.
Non c’era molto che potesse fare per renderla felice, visto che era così a disagio e piena di dolori. Ma quando la sorella maggiore aveva accennato malinconica che l’unico cibo che credeva non le facesse venire voglia di vomitare era la zuppa di quel ristorante cinese su Rivers Street, Paige era partita in missione.
Aveva un’ora di pausa pranzo. Sarebbe senz’altro riuscita a comprare da mangiare, prendere l’autobus, salire di corsa le scale, dare un bacio a Pax e tornare per tempo alla fermata. Se non avesse dovuto fare quella fila lunghissima al ristorante, avesse indossato scarpe più comode e fosse stata in una forma fisica migliore, avrebbe senz’altro rispettato i tempi. E invece aveva perso l’autobus che le serviva e aveva dovuto ripiegare su un altro che non fermava dove doveva scendere lei, così per arrivare all’appartamento della sorella aveva dovuto farsi due isolati a piedi.
Paxtyn le aveva confidato da poco che la sua pensione di invalidità sarebbe terminata entro la fine del mese. Non poteva più lavorare e il precedente impiego non era durato abbastanza da farle accumulare un fondo sanitario più sostanzioso. L’assicurazione le era stata sospesa e si era dovuta rivolgere al sistema sanitario pubblico, il quale non rifondeva le cure che stava ricevendo. Il fatto che Paxtyn fosse così malata, la uccideva.
Lei significa tutto per me. Se dovessi perderla...
Il pensiero colpì Paige come un treno merci e gli occhi le si riempirono di lacrime. No, non doveva neppure pensarlo. Sua sorella era una guerriera. Avrebbe vinto a tutti i costi la malattia.
Avrebbe voluto essere in grado di coprire lei stessa i costi delle medicine, in modo che Pax, nella sua situazione, non dovesse preoccuparsi di cose futili quali il denaro. Ma la sua unica rendita era lo stipendio da segretaria, e tutto ciò che al momento poteva permettersi di offrirle erano il suo sostegno e della zuppa.
Paige si lanciò in una corsetta, badando a non strapazzare la ciotola di polistirolo, nemmeno fosse il Santo Graal. Del resto, se la zuppa fosse riuscita a convincere Paxtyn a mangiare qualcosa il giorno dopo la chemio, avrebbe ben meritato di essere trattata come una sacra reliquia. L’ultima volta in cui aveva abbracciato la sorella, Paige si era stupita di quanto fossero diventati sottili i suoi polsi e le spalle ossute. Non era per colpa della chemio, lo sapeva. Era a causa degli effetti collaterali che Paxtyn si era lasciata andare e aveva perso l’appetito. Non c’era niente al mondo che Paige desiderasse – né diamanti o viaggi da sogno a Bali – di più che la sorella guarisse e tornasse forte e in salute. Se le fosse stato concesso un solo desiderio nella vita, sarebbe stato senz’altro quello. Perché le voleva un bene infinito, e la famiglia era l’unica cosa che contava davvero. Paxtyn l’aveva sempre sostenuta, amata incondizionatamente. Era la sua migliore amica e per lei sarebbe anche morta, senza esitazioni. E Paige avrebbe fatto altrettanto. Era così che funzionava nelle vere famiglie, e quello tra sorelle era un legame indistruttibile.
E così aveva rinunciato alla pausa pranzo, all’insalata antiossidante con le noci sopra che avrebbe voluto regalarsi per essere sopravvissuta a un’altra settimana in trincea. Aveva svoltato l’angolo ed era entrata di corsa nel palazzo di Pax, salendo gli scalini due alla volta, inciampando e imprecando perché aveva quasi rovesciato la zuppa.
Raggiunse l’appartamento e bussò alla porta. A Paxtyn ci volle una vita per andare ad aprirle, perciò ebbe tutto il tempo di ricomporsi e riprendere fiato.
Ehi, sorellina,
le disse. Ti ho portato una cosa.
La zuppa? Sul serio?
Pax spalancò la porta. La vestaglia blu adesso le entrava due volte, cadendole sulle spalle come se fosse appesa a una stampella.
Paige la abbracciò piano, dandole dei piccoli colpetti sulla schiena. Un giorno sua sorella sarebbe stata di nuovo forte abbastanza da poterla stringere forte senza temere che si spezzasse, ma per il momento doveva accontentarsi di baciarle la guancia e dirle di sedersi a mangiare.
Grazie! Entra a farmi compagnia!
Non posso stare molto.
Lo so. Hai fatto tutta questa strada solo per portarmi il pranzo. Sei la persona più dolce che conosca.
Nessun problema. Come ti senti?
Dipende sempre dalla giornata. Oggi è un buon giorno per me.
Fantastico.
Ho fatto un sogno bellissimo la scorsa notte.
Sì? E com’era?
Di noi due che correvamo sulla spiaggia.
Lo faremo diventare presto realtà.
Lo vorrei davvero.
E ci riuscirai.
Sei troppo buona. Cosa farei senza di te?
Vale anche il contrario. Cosa farei io, senza di te?
Tu mi dai forza, speranza per il futuro.
È il mio lavoro. Sono tua sorella e ti voglio bene.
Te ne voglio anch’io.
Farai meglio a mangiare la zuppa prima che si raffreddi.
Ricevuto.
Vorrei davvero fermarmi a pranzo con te, ma devo proprio tornare al lavoro.
Lo so. Grazie ancora per essere passata.
Paige aspettò che la porta si richiudesse, poi sfrecciò per le scale e corse fino alla fermata dell’autobus. Riuscì a trovarsi nell’ascensore dell’ufficio per l’una in punto, affannata e sudata, ma trionfante. Paxtyn le aveva mandato un selfie con un cucchiaio pieno di zuppa. Sua sorella stava mangiando, e quella da sola era già una grande vittoria, per quel giorno.
Era talmente di buonumore che quando la sua amica Gina la raggiunse in ascensore lamentandosi di aver saltato il pranzo per lavorare al progetto Johnson, Paige si offrì di trattenersi oltre il lavoro per aiutarla. Non aveva mai passato molto tempo ai piani alti dei dirigenti – era soltanto da pochi mesi che faceva l’assistente per uno dei vicepresidenti junior – ma con i grafici ci sapeva fare e Gina poteva usarla come rinforzo.
Del resto, a nessuno piaceva passare il venerdì sera da solo in ufficio.
Ordineremo della pizza, visto che nessuna delle due ha mangiato,
propose all’amica.
Ottima idea. Per colazione ho preso un muffin e un Frappuccino e sto già morendo di fame...Grazie tesoro,
rispose Gina.
Io invece uno yogurt quasi scaduto e tanta tristezza,
scherzò lei mentre usciva dall’ascensore. E quell’involtino primavera non terrà a bada il mio appetito a lungo.
Si sistemò nel suo piccolo ufficio: era stato un vero sollievo ottenere uno spazio tutto per sé con una segretaria all’esterno. Il precedente lavoro era stato alla reception per la registrazione dei visitatori del Winston Building, a fornire indicazioni per gli uffici e in generale a rifiutare appuntamenti a chiunque volesse incontrare qualche persona importante del Winston. La postazione della sicurezza si trovava appena alle sue spalle, perciò aveva sempre avuto un aiuto, ma per il resto non aveva mai fatto altro che reindirizzare telefonare e avere a che fare con una costante marea di persone. Ottenere quattro mura, una porta e una finestra, più un computer e il silenzio necessario a rispettare le scadenze del capo, arrangiare incontri, videoconferenze i catering necessari a questi ultimi, era stato un vero lusso. Un passo avanti. Non tanto avanti quanto si sarebbe aspettata a trentadue anni, ma sempre meglio che essere continuamente bersagliata come lo era stata quando faceva la receptionist. Adesso aveva modo di concentrarsi, una lista di mansioni che svolgeva con efficienza e una playlist su Spotify per quando si sentiva spensierata. Non avrebbe mai potuto mettere della musica nella hall del Winston Building. Perciò, firmare per la Conners International era stata decisamente un’ottima decisione.
Per mesi non aveva fatto altro che controllare il bollettino delle Risorse Umane per le assunzioni interne, in cerca di un posto qualunque nell’ufficio dirigenziale. Qualche tempo prima si era aperta una posizione di Direttore Operativo nella sede amministrativa della corporation, e per di più nel settore in cui Paige voleva lasciare il segno. Per un certo periodo aveva preso delle lezioni online di Economia per completare entro l’anno il Master in Amministrazione Aziendale, nella speranza di avere qualche opportunità di arrivare al trentesimo: il piano appena inferiore alla suite presidenziale del CEO, l’Amministratore Delegato.
Alle cinque l’edificio si era praticamente svuotato. Il venerdì pomeriggio si verificava una fuga di massa, in modo che il weekend potesse iniziare. Ma quel giorno, dopo aver fatto una chiamata alla sorella per farle promettere di bere molto e stare bene, Paige era montata in ascensore per salire al trentunesimo. Gina era stata la sua prima amica, alla Conners. Si erano conosciute allo Starbucks lì vicino e avevano attaccato bottone parlando della panna montata.
La collega era al sesto anno di impiego alla corporation, nonché al primo al piano dirigenziale. Il passaggio al nuovo CEO – un arrogante playboy – era stato duro per lei. Aveva ottenuto la promozione di assistente appena prima che Conners senior si ritirasse in pensione. Il vecchio era stato