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E-book419 pagine6 ore

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Info su questo ebook

Tutto ha inizio con un – apparentemente – banale colloquio di lavoro: Mattia Gherardi desiderava solo un posto che lo gratificasse,un lavoro di cui potersi ritenere soddisfatto.

Per questo ogni settimana, Corriere alla mano, il giovane si trova a sfogliare la sezione delle offerte di lavoro e quando nota l'annuncio di una società alla ricerca di personale per "analisi del rischio e raccolta informazioni", non ci pensa due volte a inviare il suo Curriculum, già sognando stabilità lavorativa e gratifiche personali.

La HTO manda subito la sua risposta: il signor Gherardi è atteso a Roma per un colloquio conoscitivo.

Al settimo cielo, Mattia prende il treno per la Capitale, pronto a dare il meglio di sé al colloquio. Una volta giunto alla HTO, incontra il dottor Baraldi, composto ed enigmatico direttore,incaricato di valutare il candidato.

Gherardi ottiene il posto: raccolta d'informazioni sensibili (e stesura dei rapporti relativi) presso l'aeroporto di Milano Malpensa, sotto copertura. Il suo doppio lavoro consiste dunque nel consegnare giornali e riviste ai negozi dei Terminal assieme al suo simpatico collega – ignaro della doppia mansione di Mattia –, e intanto raccogliere informazioni per conto della HTO e di Baraldi.

È proprio nello svolgimento del suo lavoro che le vite di Mattia e Alì si incrociano. Alì gestisce un kebab shop nella periferia di Milano insieme ai suoi aguzzini: Malim e Omar. Sì perché Alì non è certo un negoziante, bensì un ex militare marocchino ingiustamente imprigionato per un crimine non commesso e fatto evadere da un gruppo di terroristi che lo tiene in pugno, minacciandolo di ritorsioni contro la sua famiglia. Alì deve obbedire agli ordini o sua madre e sua sorella, tenute prigioniere lontano da lui, moriranno per la sua insubordinazione. Ma anche Omar e Malim sono solo pedine di un gioco molto più grande di loro: lo spietato russo Zelijcko, al soldo di Baraldi,muove le fila di un intrigo dalla portata devastante, la progettazione di un attentato all'aeroporto di Malpensa.

Di quale organizzazione è la copertura la fantomatica società HTO per cui lavora Mattia? Per quale motivo il giovane deve fare rapporto a Baraldi e tenere sotto controllo Alì, anche se il marocchino è "prigioniero"di un destino ineluttabile, dal quale vorrebbe fuggire? Per quale motivo Baraldi ingaggia, all'insaputa di tutti, un agente segreto, Giulietti, che deve far rapporto solo a lui e pedinare gli stessi pedinatori? Sono tanti i personaggi che si muovono tra le pagine di questa avvincente storia: la dolce Hannet, il cinico Giulietti, la sprezzante Altea, l'affidabile Giorgio… ognuno di loro ha un ruolo determinante all'interno di un racconto adrenalinico e palpitante. Un racconto che non lascia indifferenti non solo per l'innegabile ritmo narrativo e per la destrezza con cui sono caratterizzati i personaggi, ma anche per le vicende narrate che potrebbero rappresentare tranquillamente una pagina di cronacanera.

MXP è un thriller che non lascia mai, neppure per un attimo, il tempo di riprendere fiato. Un romanzo congegnato come un grande puzzle, in cui tutti i pezzi, messi insieme con abile meticolosità, formano un quadro d'insieme di pericolosa attualità.
LinguaItaliano
Data di uscita15 apr 2019
ISBN9788831614825
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    Anteprima del libro

    Mxp - Bargas

    A.M.J.

    PREFAZIONE

    Tutto ha inizio con un – apparentemente – banale colloquio di lavoro: Mattia Gherardi desiderava solo un posto che lo gratificasse, un lavoro di cui potersi ritenere soddisfatto.

    Per questo ogni settimana, Corriere alla mano, il giovane si trova a sfogliare la sezione delle offerte di lavoro e quando nota l’annuncio di una società alla ricerca di personale per analisi del rischio e raccolta informazioni, non ci pensa due volte a inviare il suo Curriculum, già sognando stabilità lavorativa e gratifiche personali.

    La HTO manda subito la sua risposta: il signor Gherardi è atteso a Roma per un colloquio conoscitivo.

    Al settimo cielo, Mattia prende il treno per la Capitale, pronto a dare il meglio di sé al colloquio. Una volta giunto alla HTO, incontra il dottor Baraldi, composto ed enigmatico direttore, incaricato di valutare il candidato.

    Gherardi ottiene il posto: raccolta d’informazioni sensibili (e stesura dei rapporti relativi) presso l’aeroporto di Milano Malpensa, sotto copertura.

    Il suo doppio lavoro consiste dunque nel consegnare giornali e riviste ai negozi dei Terminal assieme al suo simpatico collega – ignaro della doppia mansione di Mattia –, e intanto raccogliere informazioni per conto della HTO e di Baraldi.

    È proprio nello svolgimento del suo lavoro che le vite di Mattia e Alì si incrociano. Alì gestisce un kebab shop nella periferia di Milano insieme ai suoi aguzzini: Malim e Omar.

    Sì perché Alì non è certo un negoziante, bensì un ex militare marocchino ingiustamente imprigionato per un crimine non commesso e fatto evadere da un gruppo di terroristi che lo tiene in pugno, minacciandolo di ritorsioni contro la sua famiglia.

    Alì deve obbedire agli ordini o sua madre e sua sorella, tenute prigioniere lontano da lui, moriranno per la sua insubordinazione.

    Ma anche Omar e Malim sono solo pedine di un gioco molto più grande di loro: lo spietato russo Zelijcko, al soldo di Baraldi, muove le fila di un intrigo dalla portata devastante, la progettazione di un attentato all’aeroporto di Malpensa.

    Di quale organizzazione è la copertura la fantomatica società HTO per cui lavora Mattia?

    Per quale motivo il giovane deve fare rapporto a Baraldi e tenere sotto controllo Alì, anche se il marocchino è prigioniero di un destino ineluttabile, dal quale vorrebbe fuggire?

    Per quale motivo Baraldi ingaggia, all’insaputa di tutti, un agente segreto, Giulietti, che deve far rapporto solo a lui e pedinare gli stessi pedinatori?

    Sono tanti i personaggi che si muovono tra le pagine di questa avvincente storia: la dolce Hannet, il cinico Giulietti, la sprezzante Altea, l’affidabile Giorgio… ognuno di loro ha un ruolo determinante all’interno di un racconto adrenalinico e palpitante.

    Un racconto che non lascia indifferenti non solo per l’innegabile ritmo narrativo e per la destrezza con cui sono caratterizzati i personaggi, ma anche per le vicende narrate che potrebbero rappresentare tranquillamente una pagina di cronaca nera.

    MXP è un thriller che non lascia mai, neppure per un attimo, il tempo di riprendere fiato.

    Un romanzo congeniato come un grande puzzle, in cui tutti i pezzi, messi insieme con abile meticolosità, formano un quadro d’insieme di pericolosa attualità.

    -1-

    La sveglia suonò e, ancora prima che aprisse gli occhi, Mattia Gherardi immaginò i cristalli liquidi impietosi, anche se di un verde rilassante, lampeggiare rapidamente come a ricordargli di sbrigarsi.

    Alzarsi alle sei del mattino non era poi così male ma dopo la serata precedente era sicuro che al primo movimento della testa, la giornata sarebbe iniziata in salita.

    Rotolò fuori dal letto e si diresse con passo incerto in cucina; mise due aspirine in un bicchiere e della Citrosodina in un altro: quella era la sua colazione almeno fino all’appuntamento mattutino con Bruno Londino per recarsi al lavoro all’aeroporto di Malpensa.

    L’aria fresca del mattino e gli effetti dello special breakfast lo fecero sentire quasi bene, inspirò profondamente tirò fuori una sigaretta, l’accese, aspirò e si godette un attimo di pace assoluta nel silenzio del mattino.

    Arrivato al bar-ritrovo, vide la monovolume parcheggiata di Bruno e si diresse velocemente all’interno, dove fu accolto da un invitante profumo di cappucci e brioches.

    Ben arrivato principe!, lo apostrofò bonariamente Bruno, per poi ordinare un caffè per lui come d’abitudine.

    Dopo la seconda sigaretta cominciò a sentirsi meglio e, in auto, iniziarono a chiacchierare di sport con la radio in sottofondo sintonizzata su un canale di notizie; in quasi un anno non era mai riuscito a convincere Bruno ad ascoltare altro, ma del resto la macchina era la sua e andava bene così, oltretutto discutere con un cestista di quasi due metri per oltre cento chili andava contro ogni comune istinto di sopravvivenza.

    Giunti all’entrata del parcheggio dipendenti si fermarono ad aspettare che passasse qualcuno con il badge per aprire la sbarra per poi seguirlo ed entrare; ancora dopo sei mesi dalla richiesta di un parking pass fatta dalla ditta per cui lavoravano dovevano ricorrere a questo espediente per non essere costretti a parcheggiare a pagamento o ad andare in autobus. Spento il motore, Bruno infilò un falso pass sotto l’aletta parasole sperando che anche questa volta nessuno controllasse, in modo da evitare la rimozione forzata dell’auto.

    Il falso pass glielo aveva fornito un amico/collega che lavorava a Linate, altro aeroporto cittadino, garantendogli che nessuno controllava mai l’autenticità dei pass dei parcheggi, inoltre c’erano ancora molti dipendenti della S.E.A.¹  e delle varie compagnie e ditte esterne che avevano ancora i pass vecchi, data la difficoltà e i tempi lunghi per fornire a tutti quelli nuovi con foto e chip elettronici di difficile falsificazione; la precedenza era poi stata data ai badge personali per l’accesso alle varie sezioni dei Terminal.

    L’entrata ai magazzini del Terminal principale era nascosta alla vista delle entrate usate normalmente dai passeggeri ed era situata alla fine di una discesa sotto le porte d’accesso usate da impiegati e tassisti; una guardiola con una guardia giurata perennemente assorta a guardare un piccolo televisore e una sbarra per i veicoli garantivano la sicurezza dell’area in entrata, i pedoni si limitavano a salutare e tirare oltre, specie in inverno quando il tragitto dal parcheggio ai magazzini risultava un freddo percorso ventoso allietato solo dalla vista degli aerei in arrivo sulla pista e dal suono stridulo per tenere lontano gli stormi di uccelli emesso da altoparlanti nascosti da qualche parte.

    All’interno del magazzino della Pagani Distribuzione s.r.l. l’attività frenetica non era ancora cominciata e anche la consegna dei giornali quel lunedì sembrava essere in ritardo; Mattia e Bruno decisero di prendere un caffè nell’attesa e si diressero alla macchinetta d’angolo. Il loro lavoro consisteva nello smistare i giornali nei vari punti vendita del Terminal e provvedere alle rese di quelli ormai vecchi. Mattia si lamentò del ritardo che li avrebbe costretti a correre in seguito sorbendosi le lamentele di clienti e responsabili dei negozi ma soprattutto perché gli piaceva perdere qualche minuto a leggere i giornali sportivi, specialmente il lunedì; Bruno lo interruppe e lo spedì a controllare se il camion fosse arrivato prima di telefonare alla ditta di trasporti per sollecitare la consegna.

    La passeggiata fino agli ascensori durava circa cinque minuti con i carrelli pieni di giornali e, nonostante il numero considerevole di lavoratori che transitavano ventiquattrore su ventiquattro nel ventre del Terminal, dopo qualche mese iniziavi a riconoscere le facce. Mattia Gherardi aveva impiegato circa la metà del tempo ma aveva una capacità particolare a memorizzare facce e dettagli delle persone: la commessa del beauty shop che lavorava a giorni alterni e che amava indossare profumi diversi e calze sofisticate sotto la divisa del negozio, il grassone vestito da guardia di sicurezza perennemente a dormire nella piccola Panda, i due addetti alle piste troppo giovani per pensare alla responsabilità che comportava il loro lavoro eppure già immersi senza via di scampo nella loro routine e così via.

    Giunti al piano superiore ci si immergeva in una atmosfera completamente diversa: uomini in giacca e cravatta che parlavano velocemente ai cellulari trascinando trolley e valigette per laptop, famiglie sorridenti in partenza per destinazioni esotiche, coppie abbracciate, persone anziane con l’aria stranita, uomini e donne in divisa di compagnie aeree, insomma un minimondo laccato di serenità apparente.

    Mentre camminava tirando il carrello, Mattia iniziò a pensare alla notte precedente al Macheba – centro sociale che frequentava per diletto e per il suo secondo lavoro –, in particolare cercò di mettere a fuoco chi aveva incontrato, dato che l’alcol bevuto a un certo punto gli aveva rallentato i collegamenti tra facce, parole e comportamenti. Il primo pensiero andò a una biondina – Ariel o Hannet? – presentatagli da Michele, suo amico dai tempi di Soft2000, capelli corti forte personalità e impegno politico ma soprattutto occhi intriganti e fondoschiena dipinto. Non avevano avuto la possibilità di parlare molto dato che lei era molto richiesta e sembrava conoscere tutti, ma la sua parziale bugia sulla partecipazione attiva al G8 di Genova gli era valso un grande sorriso e il numero di telefono.

    Poi ripassò mentalmente in rassegna le conversazioni ascoltate mentre era seduto al grande tavolo centrale, fintamente assorto a sentire le lamentele lavorative di Gianni e dei suoi colleghi programmatori, alle sue spalle sulla destra c’erano tre uomini, due sui trenta anni e uno più giovane, di aspetto nord africano che parlavano in arabo, sicuri di non essere capiti dalle altre persone presenti: si sbagliavano.

    Mattia Gherardi aveva trascorso la sua infanzia al seguito del padre ingegnere per una compagnia petrolifera e, grazie al proprio orecchio particolarmente portato per le lingue, aveva imparato a parlare e capire sufficientemente arabo, francese e inglese; questo gli aveva permesso di comprendere quasi interamente la conversazione della sera prima. Il più alto dei tre, Omar, aveva chiesto notizie della famiglia al suo pari età, Malim, mentre il giovane ascoltava in silenzio e con un portamento estremamente rispettoso verso gli altri due; pareva che alcuni membri della famiglia di Malim dovessero arrivare in Italia per ricongiungersi con lui, ma ancora non sapeva quando, dato che vi erano difficoltà con i documenti necessari.

    Quest’ultimo particolare fece suonare un campanello di allarme nella mente di Mattia che si ripromise di segnalare la cosa nella prossima lettera che avrebbe spedito al HTO, poiché solitamente gli immigrati non avevano difficoltà ad arrivare nel suo paese e ottenere i documenti necessari a restarvi quando era già presente qualcuno della famiglia; poi la conversazione era passata a temi più boccacceschi.

    Il resto della serata era scivolata via fra chiacchiere, balli e bicchieri di birra.

    Senza neppure accorgersene era arrivato al posto di polizia che consentiva l’accesso ai Gate del Terminal 1; fortunatamente non doveva fare la fila con i passeggeri ma utilizzava il passaggio di servizio.

    Siete in ritardo con la Gazzetta!, lo apostrofò Ciro, uno dei poliziotti più simpatici.

    Come ogni lunedì prese una copia del giornale dal carrello per guardare i titoli principali.

    Buongiorno anche a te, devo fare la radiografia a tutto o vado, visto il ritardo?. Dopo gli ultimi attentati terroristici le misure di sicurezza si erano alzate e anche le merci per i negozi interni venivano fatte passare tutte sotto i raggi X, ma dopo un primo periodo si era tornati alla normalità: ogni tanto veniva fatto passare un pacco scelto a caso. Anche quella mattina andò bene e Mattia passò senza controlli alla merce ma solo a lui. Ovviamente il carrello che utilizzava per il trasporto non veniva mai ispezionato, troppo grande per passare sotto il metal detector o lo scanner e ovviamente positivo al rilevamento, essendo di metallo.

    Raggiunse rapidamente la prima edicola e iniziò a esporre i giornali nuovi e a rendere i vecchi.

    L’ora di pranzo arrivò in fretta e dopo aver salutato la signora Consoli, proprietaria di buona parte dei negozi, Mattia Gherardi ritornò velocemente sui suoi passi per incontrarsi con Bruno al primo piano e ridiscendere nell’area dei magazzini. Si diressero quindi al parcheggio e, ancora una volta, Mattia notò l’assoluta mancanza di curiosità degli addetti alla sicurezza, sempre più persi nei loro pensieri o nelle loro preoccupazioni.

    *

    Anche Alì era preoccupato: il suo viaggio in Italia e tutti i documenti necessari erano stati forniti alla sua famiglia da un’organizzazione umanitaria internazionale in apparenza laica ma rivelatasi presto percorsa e guidata da elementi islamici radicali. Il primo approccio era avvenuto nella sua città di origine, Casablanca, più precisamente all’interno del carcere di Casablanca.

    Le porte dell’immenso carcere – circa 10.000 detenuti – si erano chiuse alle sue spalle a causa di una coltellata data per difendere la sorella quattordicenne da uno stupro: lui insisteva che era sua sorella, i due ubriachi volevano pagarlo come se fosse una sua puttana. La discussione si era accesa e presto il più piccolo dei due aveva estratto un coltello di tasca: la sua reazione era stata rapida ed efficace, aveva afferrato la mano con il pugnale con la sua mano destra e il gomito con la sinistra tirando verso di lui per poi spostarsi leggermente a sinistra facendo leva sul gomito. A quel punto la mano di quello si era aperta lasciando il coltello nella sua mano e lo aveva pugnalato al collo tranciando la carotide. L’altro era corso via, salvo poi denunciarlo rovesciando la storia.

    I suoi trascorsi nell’esercito (lasciato per non volere commettere omicidi) non lo avevano certo aiutato, così si era trovato con una condanna a vita e sua madre e sua sorella sole.

    Dopo circa sei mesi di carcere duro aveva ricevuto una visita di un rappresentante della Human Rights che dopo un primo colloquio era tornato con notizie sulla sua famiglia e una interessante proposta. Potevano aiutare la madre e la sorella a rifarsi una vita in Francia, lontano da vendette e in un paese dove anche due donne sole potevano vivere degnamente e rispettate; lui, però, sarebbe dovuto morire per poi risorgere con una nuova identità, dire addio per sempre alla famiglia e lavorare per l’associazione dove più ce ne fosse bisogno.

    Inutile dire che era l’unica scelta e possibilità di vivere che ancora aveva. Accettò e morì.

    Gli fu consegnata una pillola rosso vermiglio da prendere, al resto avrebbero pensato loro: mentre la ingoiava al sicuro da sguardi indiscreti, sperò con tutto il cuore di essersi fidato delle persone giuste e pregò Allah.

    Dopo circa un’ora iniziò a sudare freddo, il ritmo cardiaco aumentò e intorno a lui tutto si fece nero: non provava dolore ma angoscia e mentre pensava al perché, il cuore cessò di battere e lui cadde riverso sulla panca di legno che era stata il suo letto fino ad allora. Quando si risvegliò era già su un’ambulanza ma tutto era confuso e sulla bocca aveva una maschera per l’ossigeno; non riusciva a tenere gli occhi aperti ma sentì che si stavano fermando, poi voci concitate, le porte si aprirono e fu spostato su un’auto ma intravide che qualcun altro aveva preso il suo posto sulla barella: in quel momento seppe che aveva solamente scelto un altro inferno e sperò di aver almeno salvato la sua famiglia, poi si assopì di nuovo.

    *

    Dopo pranzo e aggiornatissimi sui fatti sportivi, Mattia e Bruno si recarono al Terminal 2 per finire il lavoro quotidiano. Dato che la stagione delle vacanze era solo all’inizio, il numero dei giornali da rendere era elevato ma muoversi all’interno del Terminal era semplice data la quasi totale assenza di voli charter almeno fino a sera. Optarono così per una pausa caffè in più e lavorarono con molta calma; questo permise a Mattia di pensare a cosa scrivere riguardo alla conversazione ascoltata al Macheba.

    Il suo referente, il Dott. Antonio Baraldi, era molto pignolo e lo aveva sempre sollecitato a riportare il maggior numero possibile di particolari sulle informazioni che trasmetteva. Sorrise tra sé e sé pensando al fatto che doveva spedire delle lettere via posta con tutta la tecnologia che c’era a disposizione, ma quelli erano gli ordini ricevuti al momento del suo ingresso nei servizi informativi.

    Tutto era avvenuto circa due anni prima: in quel periodo Mattia Gherardi era alla ricerca di un posto di lavoro soddisfacente e come sempre, il mercoledì, scorreva gli annunci sul Corriere sognando un posto nel marketing o nelle investigazioni. Una società in anonimo cercava personale, anche senza esperienza, ma con conoscenze di lingue estere, per analisi di rischio e raccolta informazioni non meglio specificate: mandò immediatamente il proprio curriculum incrociando le dita e sperando di trovare finalmente un lavoro gratificante e stabile.

    Dopo circa una settimana ricevette una telefonata per fissare un primo colloquio:

    Parlo con il signor Gherardi?, aveva esordito la signora Setti.

    Per poi continuare, dopo l’ovvia risposta affermativa dato che lo stava chiamando sul cellulare, comunicandogli che avevano ricevuto il suo curriculum in risposta all’annuncio apparso sul Corriere e che sarebbero stati interessati a fissare un colloquio. Come al solito e preso dall’entusiasmo, Mattia accettò immediatamente, fissò l’incontro per il giovedì della stessa settimana e realizzò, una volta chiusa la comunicazione, che non aveva chiesto nulla su stipendio e inquadramento. Aveva scelto di andare a Roma in treno un po’ per non arrivare stanco al colloquio e in parte per rilassarsi durante il viaggio e sognare la sua vita cambiata da quel possibile nuovo lavoro.

    L’appuntamento era fissato per le 11.00 nella sede della HTO Consulting e da quello che aveva visto su una cartina, era una strada nelle vicinanze di Villa Borghese. La mattina si era svegliato alle 5.30, la sveglia era alle 6.00, ma come sempre quando aveva un appuntamento, il suo organismo sembrava avere all’interno un orologio svizzero che gli impediva di arrivare in ritardo – tranne un paio di volte l’anno in cui a dispetto di tutto e tutti il suo cervello si rifiutava di accendersi e di rispondere agli stimoli esterni, costandogli anche un licenziamento in tronco quella volta che si destò a mezzogiorno il suo primo ipotetico giorno di lavoro per la Blu Consulting.

    Il viaggio da Milano a Roma con l’Eurostar gli avrebbe richiesto circa tre ore, ritardi permettendo, e la partenza era fissata alle 7.00; aveva quindi un’ora per lavarsi, vestirsi e raggiungere la stazione centrale di Milano con la sua architettura monumentale del periodo fascista ormai costretta, dall’edifi-cazione successiva, tra palazzi di varia foggia e bellezza, ma sempre imponente come a ricordare doti e sicurezze certamente non appartenenti al sistema ferroviario moderno, aumentando così la confusione nella mente del passeggero o almeno in quella di Mattia.

    Uscito da casa, si incamminò verso la metropolitana con addosso una certa eccitazione, l’avventura aveva inizio, e percorse i cinquecento metri che lo separavano dalla fermata Gambara senza neppure accorgersene tanto era assorto nei suoi pensieri, tranne che per un particolare che stonava: un lavavetri al semaforo a quell’ora del mattino era un po’ insolito ma ognuno aveva i suoi problemi. La metro non era ancora piena di pendolari a quell’ora, così nonostante giacca e cravatta arrivò al binario 3 sorprendentemente fresco e profumato: il treno non c’era ancora e decise che aveva tempo per un caffè e una sigaretta prima dell’astinenza forzata durante il viaggio.

    Una volta salito in carrozza e trovato il suo posto a sedere, si mise comodo, spostò portafoglio e chiavi nelle tasche lato finestrino – più difficili da raggiungere per un ladro se si fosse addormentato – e guardò fuori in attesa della partenza. Scivolò lentamente nei suoi pensieri e si ritrovò a immaginare se stesso manager arrivato e orgoglio dei suoi genitori tornare a casa sull’Appennino alla guida di una Jeep con a fianco la sua compagna, che purtroppo non aveva ancora trovato e rimaneva quindi dai lineamenti indefiniti.

    La signora si sedette di fronte a lui rivolgendogli un cordiale buongiorno e distogliendolo dai suoi pensieri. Mentre sistemava il piccolo trolley nell’apposito spazio sopra i sedili, Mattia si ritrovò a studiarla: mora con i capelli fino alle spalle, probabilmente sui quarant’anni, né magra né grassa, pantalone e dolcevita neri con stivale dello stesso colore. Quando si rimise a sedere, Mattia ebbe occasione di studiarne il viso e completare così la base di uno dei suoi passatempi preferiti: ricostruire la vita delle persone osservandole, purtroppo aveva raramente la possibilità di verificare le sue deduzioni. Il trucco era leggero, giusto un filo di rossetto e un velo di ombretto, il viso rilassato ma serio incorniciato ai lati da due orecchini color argento con un pendente turchese: sull’orecchio destro, in alto, il segno di un buco per orecchini non utilizzato. Sulle mani, una fede all’anulare destro e un anello sempre con pietra turchese al medio. Mattia pensò che era una bella donna, probabilmente in carriera, in viaggio verso la Capitale per affari.

    Durante il viaggio scambiarono qualche parola su temi impersonali e sulle rispettive destinazioni ma per la maggior parte del tempo lei si dedicò alla lettura di un quotidiano economico, in perfetta linea con il ruolo di consulente aziendale che disse di ricoprire.

    Arrivato a Roma Termini si diresse alla pensilina dei taxi e si mise in coda; non aspettò molto prima di salire su una Mercedes station wagon di almeno dieci anni ma perfettamente pulito, con alla guida un vecchietto con coppola e accento siciliano che lo informò che ci sarebbero voluti una ventina di minuti per arrivare a destinazione, sempre che non ci fosse qualche manifestazione nel centro a complicare il già caotico traffico capitolino. Pagò la corsa, scese e controllò di essere nella via giusta; una targa scolorita all’inizio della strada non più lunga di duecento metri recitava: Via T. Guerra. Controllò l’orologio e vide che era in anticipo di circa venti minuti; con calma ma con un’agitazione crescente cercò il civico 19.

    Il palazzo era simile agli altri e abbastanza anonimo, senza portineria ma con un citofono nuovo: su dieci campanelli soltanto quattro avevano l’etichetta con il nome leggibile, tra questi c’era HTO Consulting. Fece un respiro profondo e premette il tasto immaginando il suono: una voce asettica lo invitò a salire al quarto piano. Prese l’ascensore e durante il breve tragitto controllò la sua immagine nello specchio constatando che, nonostante i capelli avessero iniziato a diradarsi (in ogni caso li portava corti), probabilmente dimostrava qualcosa meno dei suoi trentadue anni e con un buon vestito appariva più in forma di quel che in realtà fosse, si appuntò mentalmente di riprendere gli allenamenti di aikido e qualche serata da passare in piscina.

    Si accomodi, il signor Baraldi sarà subito da lei, non aveva ancora detto chi era ma evidentemente la segretaria pettoruta (la signora Setti?) non aspettava nessun altro.

    Dopo un paio di minuti, nei quali Mattia aveva guardato in ogni dettaglio le riproduzioni di noti quadri – Van Gogh, Matisse – appesi sulle pareti cercando una posizione rilassata sulle poltroncine della saletta d’attesa, senza trovarla, apparve un uomo distinto sui sessant’anni, con i capelli troppo scuri per l’età e ormai radi, completo di ottima fattura e occhiali dalla montatura moderna; al dito indice della mano sinistra portava un anello color argento con dei ghirigori incisi.

    Buongiorno sono Antonio Baraldi, il responsabile del personale disse allungando la mano.

    Mattia si alzò velocemente e in maniera un po’ goffa, stringendo la mano che gli era stata tesa. Molto piacere, Gherardi.

    Mi segua che ci accomodiamo nel mio ufficio, gradisce un caffè?, ancor prima che Mattia potesse rispondere continuò rivolgendosi alla segretaria pettoruta: Maria mi porti due caffè, liscio?, rivolto a Mattia che annuì ringraziando, E non mi passi telefonate, grazie.

    L’ufficio era in fondo a un corridoio a L, arredato con mobili moderni ma anonimi, ma ciò che colpiva era l’assoluta mancanza di carte o raccoglitori o altro, solo un portatile chiuso al centro della scrivania con a fianco un block notes e una penna Biro. Baraldi lo fece accomodare e iniziò a chiacchierare del più e del meno in attesa dei caffè: aveva fatto buon viaggio? Era già stato a Roma? Aveva avuto difficoltà a trovare i loro uffici? E via così.

    La porta si aprì e Maria entrò con un piccolo vassoio contenente i due caffè, li appoggiò sulla scrivania e ritornò sui suoi passi inseguita dal grazie di Baraldi. Bevuti i caffè in silenzio, iniziò il colloquio.

    Ho visto dal suo curriculum che ha girato parecchio, sia geograficamente che in tema di posti di lavoro, le va di raccontarmi i perché?.

    Mattia deglutì e si chiese perché ogni volta dovevano fargli quella domanda, ma iniziò a raccontare dei viaggi con il padre e delle sfortunate avventure lavorative, rimarcando l’errore, commesso spesso, di dare piena fiducia e lealtà ai suoi datori di lavoro e sostenendo che comunque aveva tratto buoni insegnamenti da ogni esperienza. Attualmente si occupava di vendita nel settore assicurativo ma cercava qualcosa di più stimolante.

    Grazie è stato esaustivo e immagino che sia curioso di saperne di più sul posto di lavoro per cui è qui, ma prima vorrei farle un’altra domanda: ho visto che ha studiato criminologia, disse Baraldi lasciando che Mattia continuasse.

    È una delle cose che mi è piaciuta di più dei miei studi ma in Italia non esisteva la figura del criminologo e così….

    Baraldi rimase in silenzio alcuni secondi e poi riprese la parola: "La HTO si occupa di consulenza a terzi, di solito aziende, per quel che riguarda raccolta, analisi e impiego strategico d’informazioni, spesso anche riservate; per questo siamo alla ricerca di qualcuno in grado di operare sul campo, ovvero che entri a far parte del team informations research; compito principale la raccolta d’informazioni sensibili e la stesura dei rapporti relativi. A differenza del suo attuale impiego non avrebbe contatti con i clienti ma solo con il suo responsabile, sia per l’assegnazione incarichi che riguardo alla reportistica".

    Mattia ascoltava attentamente Baraldi e al tempo stesso, in cuor suo, pregava per avere quel lavoro così affascinante.

    Naturalmente, continuò Baraldi, in questo lavoro sono indispensabili riservatezza assoluta e disponibilità a soggiorni e trasferimenti su tutto il territorio o dovunque si renda necessario e la capacità di lavorare sia in autonomia che in team. Ha domande?.

    No, è tutto chiaro, rispose Mattia.

    Bene allora passiamo al lato economico; l’assunzione è prevista come dipendente a tempo indeterminato con contratto del commercio, terzo livello, con ovviamente il rimborso di tutte le eventuali spese di viaggi, trasferte eccetera. Gli uffici di riferimento sono questo e quello di Milano. Mi sembra di capire dalla sua espressione che è interessato, mi dica allora: perché dovremmo scegliere lei?.

    Mattia rimase in silenzio un attimo mentre la sua mente viaggiava a velocità doppia, come il suo cuore, alla ricerca delle parole giuste; sapeva che questo era il momento cruciale di tutto il colloquio e passò in rassegna tutte le risposte possibili: verità e bugie.

    Poi, data la sua incapacità di mentire, disse: Sono curioso.

    Seguì un silenzio in cui gli occhi di Baraldi lo scrutavano da dietro le lenti degli occhiali; a Mattia sembrò un’eternità, il suo cuore si era fermato, la salivazione azzerata, ma sostenne lo sguardo di colui che sembrava leggergli dentro. Poi Baraldi si appoggiò allo schienale, tolse gli occhiali, sospirò e finalmente parlò.

    "Se non ha impegni per pranzo, mi farebbe piacere se fosse mio ospite così che nel pomeriggio possa incontrare l’information research manager".

    Mattia deglutì e rispose prontamente: Va benissimo.

    Allora ci incontriamo qui sotto alle 13.00, intanto si rilassi con una passeggiata a Villa Borghese e pensi a eventuali domande; così dicendo Baraldi si alzò e l’accompagnò all’uscita.

    Una volta in ascensore Mattia si rilassò e controllò l’orologio, era quasi mezzogiorno. Appena uscito, s’incamminò senza sapere dove andare con la mente in subbuglio e incapace di pensare. Fatti circa cinquanta metri riprese il controllo, si accese una sigaretta e tirò fuori la cartina dalla tasca, la spiegò e individuò il percorso per raggiungere il parco di Villa Borghese. Una volta giunto là, si sedette su una panchina con vista sul campo dell’esibizione annuale dei Carabinieri a cavallo e per qualche minuto osservò il via vai delle persone; poi tirò fuori penna e taccuino e iniziò a pensare al colloquio appena avuto, a domande intelligenti da fare e a immaginare pranzo e colloquio pomeridiano.

    Di colpo realizzò che non aveva preso in considerazione un tale evento e quindi non aveva idea degli orari dei treni per Milano nella fascia serale: poco male, se avesse ottenuto il posto, sarebbe stato ben felice di aspettare in stazione.

    Tornato agli uffici della HTO trovò il signor Baraldi ad aspettarlo e dentro di sé si maledisse per non essere arrivato prima, ma a quanto pare anche Baraldi amava arrivare in anticipo, mancavano infatti ancora dieci minuti alle 13.00.

    Scusi il ritardo, esordì avvicinandosi.

    Non si preoccupi, sono io in anticipo, rispose Baraldi che continuò, "spero che le piaccia la cucina romana e che la passeggiata le abbia messo appetito, perché stiamo andando in una delle ultime vere e veraci trattorie romane: Da Giulio".

    Così dicendo gli fece cenno di salire in macchina, una Mercedes classe C abbastanza nuova, e partirono. In meno di dieci minuti erano al ristorante, una graziosa trattoria dall’aspetto ruspante, e furono ricevuti e fatti accomodare a un tavolo d’angolo con vista su tutta la sala – una quindicina di tavoli occupati da studenti, liberi professionisti e impiegati. Appena seduti, un cameriere dal forte accento romano porse loro due menù e chiese se il vino lo avessero preferito bianco o rosso: Baraldi guardò Mattia mentre rispondeva che mezzo litro di rosso sarebbe stato perfetto; rimasti soli si rivolse a Mattia.

    Immagino che avrà delle domande da farmi ma il lavoro dovrà aspettare, ora godiamoci il pranzo e un bel bicchiere di vino rosso; fra l’altro dato che mangiamo insieme le propongo di darci del tu, va bene?.

    Certo, concordo con lei… cioè con te, si digerisce meglio se a tavola non si discute di lavoro e si usa il tu, rispose Mattia e avrebbe voluto aggiungere se si ha un buon lavoro e poche preoccupazioni.

    Optò per un antipasto di salumi e bucatini alla gricia, mentre Baraldi scelse lo stesso antipasto ma cacio e pepe come condimento per la pasta, ovviamente finirono con il caffè chiacchierando di cronaca e argomenti futili. Il viaggio di ritorno fu scandito da commenti e paragoni sul traffico romano e milanese con la conclusione che, folklore a parte, la sostanza era la stessa. Presero l’ascensore, invece che al quarto piano si fermarono al terzo ed entrarono in una porta recante una targa che identificava il posto come HTO divisione research; appena dentro Baraldi salutò una segretaria dall’aria assonnata e proseguì lungo il corridoio fermandosi di fronte a un ufficio collocato nello stesso punto rispetto al suo, ma un piano più sotto.

    Bussò e una voce femminile rispose di entrare. Esauriti i convenevoli e le dovute presentazioni si sedettero in un angolo dell’ufficio con due poltroncine e un divanetto a due posti raccolti intorno a un tavolino basso di foggia moderna. Qui l’arredamento era più curato e l’ufficio era più normale, insomma con carte, raccoglitori, penne, eccetera, in ordine ma presenti; Mattia rivolse poi la sua attenzione a Coletta Altea, così si chiamava l’information research manager, pensando che aveva un aspetto familiare, una faccia già vista. Indossava una giacca chiara, molto femminile, sopra a una camicia bianca leggermente sbottonata da cui faceva capolino un ciondolo etnico, la gonna in tinta; poi esaminò il volto: capelli biondi a caschetto con lineamenti regolari, nessun orecchino e nessun anello ma lo sguardo di Mattia tornò alle orecchie e notò che, oltre ai buchi sui lobi, ne aveva uno nella parte alta dell’orecchio destro. Mentre Baraldi stava riassumendo a Coletta il suo iter professionale, Mattia realizzò che quest’ultima era la signora incontrata in treno.

    Allora signor Gherardi, immagino che sarà curioso di sapere cosa facciamo in concreto e quindi le dico subito che si tratta di lavorare sul campo e non dietro a una scrivania, o almeno per la maggior parte del tempo.

    Questo non è un problema, anzi, è sicuramente meno noioso essere in giro che stare tutto il giorno chiusi in un ufficio. Inoltre si ha la possibilità di incontrare e conoscere persone diverse e questa è una cosa che mi piace, asserì Mattia guardando negli occhi la signora Coletta e ponendo l’accento sulle ultime parole dette.

    Sperava in una qualche reazione che gli facesse capire se avesse dovuto menzionare il loro incontro o meno, ma a parte un battito di ciglia, il volto dell’information research manager rimase impassibile.

    La conversazione proseguì per altri venti minuti toccando i vari aspetti del lavoro e le aspettative di Mattia, poi Coletta, prima di congedarli disse: Lei ha un volto familiare.

    Mattia decise che era giunto il momento e replicò: Forse ci siamo visti in giro a Milano o forse in treno.

    Seguì un silenzio carico di significato: Mattia seppe di aver colto nel segno ma non sapeva dire se era cosa buona, le altre persone nella stanza lo fissavano con un misto di stupore e compiacimento. D’improvviso Baraldi cominciò a ridere, subito imitato dalla signora Altea.

    Complimenti Mattia, vedo che tra le tue qualità vi è anche l’attenzione per i dettagli; a questo punto, se anche Altea è d’accordo, io vorrei continuare ad approfondire la nostra conoscenza domani, ovviamente se sei interessato anche tu e se non hai problemi a fermarti un giorno in più a Roma. Prima che tu risponda sappi che fino a ora sei andato bene ma, per politica aziendale, siamo molto cauti prima di assumere e preferiamo conoscere chi lavorerà con noi; inoltre così avrai modo di approfondire a tua volta la conoscenza di HTO e del tipo di lavoro che facciamo. Questo non significa che se non ti fermi sei fuori, ma la disponibilità è una dote particolarmente apprezzata qui.

    Mattia rifletté un attimo e decise che era giunto il momento di buttarsi: così diede la sua disponibilità a fermarsi e a continuare il colloquio il giorno dopo.

    Gli prenotarono un albergo nelle vicinanze, fu accompagnato da Baraldi che gli diede appuntamento al mattino successivo. Una volta espletate le formalità di registrazione, Mattia salì in camera e si buttò sul letto; rimase a occhi chiusi per cinque minuti, guardò l’orologio e stancamente si allungò per prendere il telefono. Per prima cosa avvertì in ufficio che l’indomani non ci sarebbe stato, come prevedeva nessuno si strappò i capelli, poi uscì a far la spesa: gli serviva un cambio di biancheria, magari una camicia, spazzolino e dentifricio.

    Trovò nelle vicinanze una Oviesse e una farmacia, poi si fermò a bere un caffè prima di far ritorno all’albergo. Il bar era a cinque minuti, così decise di sedersi fuori, complice il bel tempo e il vizio del fumo, per rilassarsi e riflettere.

    Si erano fatte le cinque e il passaggio

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