Rime baciate tra numeri primi
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Anteprima del libro
Rime baciate tra numeri primi - Letizia Vaioli
Maria.
1. Quando sarà il momento
- Che cosa succede quando moriamo? - chiese Mia con la sua voce di bambina appena cresciuta.
- Non saprei - rispose Anna - però possiamo provare a immaginarcelo.
Raramente Anna troncava la frase dicendo non lo so. Il più delle volte, quando non aveva la risposta, dava inizio al gioco della fantasia.
- Comincia te - aggiunse Mia.
- Allora vediamo…fammi pensare - Anna appoggiò la teiera sul tavolo e prese due tazze, lasciando scorrere le mani fino ad afferrare due Mug che avevano il disegno di un unicorno di una giraffa. Ci versò il tè e si fermò, con i gomiti sul tavolo e le mani sotto il mento.
- Secondo me siamo circondati da tanti colori, tutti i colori che abbiamo visto in vita.
- E poi? - incalzò Mia.
- E poi entriamo nel regno del grande e del piccolo, dove non siamo mai stati.
- Che significa?
- Significa questo, ti faccio vedere. Hai una moneta?
Mia si frugò nelle tasche ed estrasse una moneta da 2 centesimi: su una faccia il mondo con la cifra 2 e sull’altra la Mole Antonelliana.
- Lanciala per 3 volte - disse Anna.
La ragazzina la lanciò pronunciando a voce alta il risultato di ogni lancio:
- mole, mole, mole.
- Perfetto - riprese Anna, era quello che speravo. Che cosa uscirà, secondo te, al quarto lancio?
- Il mondo! - disse Mia - non è mai uscito…
- Quindi ti sentiresti di dire che è più probabile che esca il mondo? È così?
- È così.
- Ecco, entrare nel regno del grande significa vedere che questo non è vero. La nostra percezione della realtà è relativa alla nostra dimensione. Vediamo ciò che la nostra mente riesce a dominare. Se ti affacci alla finestra, l’ultima cosa che riesci ad abbracciare con lo sguardo è il ponte sull’autostrada, giusto?
- Sì - disse Mia mentre guardava fuori.
- Immagina come sarebbe se tu riuscissi a percepire quello che c’è oltre il ponte e poi quello che c’è ancora oltre e ancora oltre: la tua mente avrebbe troppe informazioni da gestire, impazzirebbe! Con le monete è la stessa cosa, per te tre lanci sono un numero sufficiente per pensare che il quarto sia diverso. Puoi immaginare che ne servano 10, 50, 100… ma sei portata a credere che dopo un certo numero di moli debba uscire la faccia con il mondo, anzi forse pensi addirittura di veder uscire il mondo tante volte di fila, come se gli esiti dei lanci dovessero in qualche modo trovare un equilibrio. Perché alla fine è questo che facciamo per tutta la vita, cercare un equilibrio.
- Ma prima o poi il mondo uscirà! - esclamò la giovinetta incredula.
- Certo. Può darsi che esca subito o che ci vogliano milioni di tentativi; i due casi hanno la stessa probabilità di presentarsi. Sai dov’è che si raggiunge l’equilibrio? Quando i lanci sono infiniti, là dove nessuno può sbirciare. Quello è il regno del grande che in vita non possiamo vedere. Non con i nostri occhi, almeno; possiamo accarezzarlo con la mente quando studiamo, intravederne l’ombra per approssimazioni successive senza mai coglierlo in pieno.
- E il regno del piccolo?
- Per il piccolo è la stessa cosa, perché la nostra mente non lo vede. Prendi quel cuscino giallo, laggiù sul divano. Puoi osservarne la forma, qualche cucitura, la macchiolina di cioccolato che non sono riuscita a eliminare in lavatrice. Ma non puoi scorgere se nella trama c’è qualche imprecisione o se il detersivo smacchiatore ha lasciato vivo qualche batterio. E ci sono cose ancora molto più piccole; ti ricordi quando abbiamo parlato di Pi greco?
- Certo che me lo ricordo.
- Ecco, lo sviluppo delle cifre, che sono infinite e non presentano uno schema di ripetizione, porta a un’approssimazione sempre maggiore ma di fatto irraggiungibile. Solo che questa volta non è uno sviluppo verso l’esterno, piuttosto un inviluppo tra 3,14 e 3,15. Anzi, tra 3,141 e 3,142, che poi si infittisce e si annida tra 3,1415 e 3,1416 e ancora tra 3,14159 e 3,14160, senza mai arrivare a una cifra decimale esatta. Pensa come sarebbe riuscire a vedere il grande e il piccolo allo stesso tempo! Planare sull’immensità come se fossimo giganti e dondolare sulle increspature come se fossimo moscerini.
Mia rimase in silenzio, Anna la guardò e bevve un sorso di tè. Da qualche tempo, ormai, le due erano molto legate. Poi Mia riprese a parlare.
- Che cosa ti piacerebbe trovare, quando entri nel regno del grande e del piccolo?
- Voci - rispose Anna di getto.
- Voci?
- Sì, voci. Le voci delle persone che ho amato e quelle di coloro che hanno amato me. Le ricordo tutte, sai. Ogni tanto prima di addormentarmi ci ripenso, mi lascio cullare dai suoni della memoria.
- Ci sono delle voci che vorresti risentire? Dimmi Anna, dimmi!
La donna fece una pausa, inclinò la testa e guardò nel vuoto come per cercare facce e sensazioni lontane.
- Vorrei risentire la voce di mia nonna quando ero piccola, che mi chiama per infilarle il filo nell’ago. Poi vorrei ascoltare la voce di mio fratello, che urlava il mio nome dal cortile per invitarmi a giocare. Aveva sempre fretta lui, non poteva perdere neanche un secondo! Mi piacerebbe sentire di nuovo la tua voce quando sei entrata per la prima volta in questa casa e la voce di Greg che ti portava da me. Ma ce ne è una che proprio non si può scordare, un suono capace di catturare per un istante il grande del grande e il piccolo del piccolo, perché è pura emozione. La conoscerai anche tu, quando sarà il momento giusto: è la voce di un uomo che ti ama sinceramente.
Anna si interruppe, come per finire il pensiero. Bevve un po’ di tè e poi aggiunse:
- Non c’è niente al mondo che abbia più dolcezza della voce di un uomo che si sta innamorando.
Mia pensò d’istinto a Greg; la sua voce era tremendamente normale.
2. Mia e Greg
Greg incontrò la signora Baroncini che usciva dal portone.
- Buon giorno signora.
- Ciao Greg.
- Mia è in casa?
- Sì, ma le ho detto che può uscire solo quando ha finito i compiti di matematica.
- Aspetta e spera - pensò il bambino - ok grazie, passo più tardi.
Attraversò la strada e tornò nel suo appartamento. Poco dopo a casa Baroncini squillò il telefono.
Due trilli, silenzio, un altro trillo.
Mia si affacciò ai vetri della sua stanza.
Nel palazzo di fronte, Greg era alla finestra con un cartello in mano: SCENDI.
Mia prese un foglio e scrisse frettolosamente
DEVO FARE GLI ESERCIZI DI MATE :(
Greg esibì la risposta, già pronta:
PORTA IL QUADERNO, TE LI FACCIO IO.
La bambina prese il quaderno e una penna, si infilò il giubbotto e scese.
- Che cos’è tutta questa urgenza? - chiese - Sai che la matematica non mi riesce…
- Proprio per questo non potevo aspettare, voglio portarti da una persona che può aiutarti a capirla, così poi usciamo a giocare quando vogliamo.
Lei non fece altre domande e lo seguì, con la fiducia cieca di una bambina di 9 anni che segue un bambino di 9 anni determinato e fiero: senza alcuna esitazione.
Agli occhi di Mia, Greg aveva il dono dell’autorevolezza; i suoi occhi nerissimi foravano un ciuffo altrettanto nero, costretto a oscillare da una parte all’altra della fronte. Aveva un naso diritto che si appoggiava in modo improbabile sulle labbra sottili, quasi a sfidare le leggi di composizione dei visi.
Mia lo guardava di nascosto quando giocavano insieme, nutriva per lui un’ammirazione sconfinata che dissimulava ostentando una certa altezzosità. Greg era serio e preciso, lei era allegra e spensierata; lui sapeva salire sugli alberi e costruire rifugi con le frasche; lei disegnava cammelli con le ali e leggeva romanzi di maghi. Facevano cose diverse con ritmi diversi: velocissimo lui, lentissima lei.
Ma Mia aveva un che di speciale, qualcosa che gli altri non avevano: sapeva ridere e Greg non resisteva. La sua risata era contagiosa; non era come quella degli altri, che ridono, ridono e alla fine smettono. La sghignazzata di Mia era un fiume in piena, un uragano travolgente che inglobava tutto e portava ogni cosa in alto, al rango del cielo; ci si poteva ripensare in qualsiasi momento della giornata e si ricominciava a ridere.
- Insomma, dove stiamo andando? - chiese la bambina dopo un po’ che camminavano.
- Un attimo di pazienza, siamo quasi arrivati.
Di lì a poco, infatti, si fermarono. Erano di fronte a un cancellino in ferro battuto da cui si accedeva a un vialetto fiorito con in fondo un portone. Greg suonò il campanello e la porta si aprì.
Mia non aveva la minima idea di dove si trovassero, ma quando entrarono in quella casa avvertì una bella sensazione, simile a quella che provava quando usciva con i suoi genitori la domenica pomeriggio. La stanza d’ingresso era grande e luminosa, le pareti erano chiare, quasi tutte gialle o bianche e c’erano tanti fiori qua e là che davano bella mostra di sé in bellissimi vasi colorati. Sul muro più lontano c’era un quadro che, pensò, forse aveva già visto da qualche parte, con un piccolo ponte di legno e un lago coperto di ninfee.
- Ziaaaa dove sei? Sono arrivato! - urlò Greg.
- Eccomi, eccomi - rispose una voce qualche stanza più in là.
- Mia si aspettava di veder comparire una signora simile alla sua mamma; forse più sportiva, a giudicare dall’ambiente. Magari con le scarpe da ginnastica o con i jeans, che sua madre non indossava perché le ingrossavano i fianchi. Quello che vide, invece, la lasciò sgomenta.
Dal fondo della stanza uscì un’ombra e poi una sagoma poco riconoscibile, una figura bassa in controluce che certo non camminava come una persona e che faceva un rumore leggero, simile a quello di una strusciata. Dopo pochi metri Mia capì: era una donna che procedeva su una sedia a rotelle.
Fece un sobbalzo per la sorpresa e agguantò il braccio di Greg, poi rimase zitta e immobile, mentre la donna si avvicinava.
- Piacere - disse la giovane signora - io sono la zia di Greg, mi chiamo Anna.
Ci sono cose in sembianza normali
che rendono i giorni talvolta speciali,
fatti che incrociano la circostanza
di tirar fuori la loro importanza.
Così quella volta successe qualcosa
imprevedibile da prefigurare
due fiumi si unirono in danza giocosa
e si gettarono insieme nel mare.
Anna avanzò verso la piccolina
le dette la mano e rimase a guardare,
lei gliela rese ed andò più vicina
senza sapere che cosa aspettare.
Lo sguardo di Anna negli occhi di Mia
la somiglianza fu sorprendente,
entrambe avvertirono un’analogia
che le serrò in una morsa struggente.
Mia guardò dentro e vide una luce
un fuoco, una fiamma, una scheggia di sé,
Anna pensò con un filo di voce
che in quella fiamma lei era com’è.
Per qualche minuto non dissero niente
zitte, in silenzio, ferme a guardare,
nell’aria c’era una calma apparente
poi la bambina riprese a parlare.
- Senti dolore? - chiese Mia.
- Qualche volta - rispose Anna. Poi Mia proseguì con le domande che ritenne fondamentali.
- Puoi mangiare la cioccolata?
- Sì.
- È vero che puoi aiutarmi con i compiti?
- Forse. Diciamo che posso provarci.
- Ti è sempre piaciuta la matematica?
- Non sempre, prima non mi piaceva. È una storia lunga, se hai tempo te la racconto.
Mia si mise a sedere sul divano, prese il cuscino giallo che c’era su un lato e ci appoggiò le braccia; Anna cominciò a parlare.
Nell’altra stanza Greg, che non si era accorto di niente, faceva gli esercizi sul quaderno dell’amica.
3. Anna
Quella di Anna era stata un’infanzia decisamente particolare. Aveva un fratello, Libero, di due anni più grande con cui giocava tutti i pomeriggi al rientro da scuola.
Nonostante fosse la sorella minore, Anna aveva sempre avuto un ruolo importante e grosse responsabilità perché Libero era un bambino speciale, uno di quei ragazzini fuori dalle righe che assumeva atteggiamenti normali in quasi tutte le circostanze della quotidianità e che ogni tanto, spinto da non si sa quale motivo, si isolava dal contesto e cominciava a fare cose difficili da raccontare. Era come se Libero cadesse improvvisamente in degli spazi di vuoto; esibiva di colpo un’espressione incomprensibile mentre i suoi occhi si perdevano in punti fissi lontano dalla vista degli altri; si estraniava e rimaneva zitto per un tempo che nessuno sapeva prevedere finché d’un tratto tornava nella circostanza del reale e diceva qualcosa, spinto dagli stessi incomprensibili motivi che l’avevano azzittito.
Anna era cresciuta con l’abitudine di veder Libero precipitare in quell’isolamento totale e repentino, aveva imparato ad assecondare le sue assenze temporanee e aveva acquisito familiarità con quella mancanza di sguardi e di gesti perché non c’era niente da fare: in quei momenti Libero si trovava da un’altra parte. Quando succedeva, la bambina prendeva il fratello per mano e continuava a fare quello che stava facendo: camminava, parlava con le persone e faceva i compiti; teneva un occhio avanti e un occhio su Libero per assicurarsi che fosse tutto sotto controllo.
Era un pomeriggio di metà maggio, lui aveva 9 anni e lei 7, quando decisero di andare al parco che era stato appena inaugurato sulla collina in fondo al viale; si diceva che ci fossero grandi scivoli ricurvi, altalene di corda su cui si poteva salire in gruppo e altri giochi tedeschi che in Italia non si erano ancora mai visti. La strada da percorrere era poca e c’era un solo semaforo da attraversare: la mamma dette il suo consenso insieme a mille raccomandazioni.
- Non perderlo di vista - disse ad Anna.
I due bambini si incamminarono. Giocarono per tutto il pomeriggio, corsero tra i prati e scivolarono senza sosta sulla sagoma curvilinea delle impalcature tedesche;