La figlia di mio padre
Di Katya Santi
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Info su questo ebook
Katya Santi, laureata in Medicina e Chirurgia nel 1994, ottiene la specializzazione in Ostetricia e Ginecologia nel 1999. Dopo aver vissuto in Francia, in Cile e negli Stati Uniti, attualmente vive e lavora a Roma come medico ginecologo. La figlia di mio padre è il suo romanzo d’esordio.
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Anteprima del libro
La figlia di mio padre - Katya Santi
Katya Santi
La figlia di mio padre
Katya Santi
La figlia di mio padre
Editrice GDS
Via Pozzo 34
20069 Vaprio d’Adda-Mi
Tel.02.90970439
www.gdsedizioni.it
www.gdsbookstore.it
Ogni riferimento descritto nel seguente romanzo a cose, luoghi o persone o altro è da considerarsi del tutto casuale.
Quadro in copertina L’oracolo
di Benito Saya
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
DISPONIBILE ANCHE IN FORMATO CARTACEO
A te madre, che non hai mai conosciuto tuo figlio.
A te madre, che lo hai partorito e perduto subito.
E a te madre, che lo hai cresciuto, amato e pianto.
Alle madri, a tutte, con le braccia vuote.
Il bambino chiama la mamma e domanda:
‘Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?’
La mamma ascolta, piange e sorride
mentre stringe al petto il suo bambino.
‘Eri un desiderio dentro al cuore.
(Tagore)
A Leonardo
CAPITOLO 1
Anima: è la parte spirituale ed eterna di un essere vivente; dal latino anima, connesso col greco ànemos, soffio
, vento
...
Santiago del Cile, marzo 2010.
La telefonata arrivò a Santiago alle tre del mattino. Andres si svegliò con il cuore in gola. Gli batteva talmente forte che sembrava dovesse volargli fuori dal petto. Allungò una mano alla ricerca spasmodica della cornetta. Quando riuscì ad afferrarla, dopo i primi inutili quanto maldestri tentativi, gli occhiali che erano appoggiati sul bordo del comodino caddero a terra e una lente andò in frantumi.
Si lasciò scappare un’imprecazione.
Ancora prima di parlare, la sua mente iniziò a vorticare alla ricerca di un nome da dare alla persona che lo stava chiamando, anche se non gli sembrava che in quel periodo ci fossero pazienti in procinto di partorire.
Con la voce roca e impastata di sonno rispose.
«Sì, pronto, chi è?»
La linea era disturbata, il fruscio ricordava le fronde degli alberi scosse da raffiche di vento.
«Per favore, sto cercando il dottor Andres Gonzalo.»
Il tono era flebile, sommesso, quasi un sussurro, lo spagnolo chiaro ma incerto.
«Sono io, con chi parlo?»
Di nuovo il fruscio, questa volta più forte.
Andres si mise a sedere sul bordo del letto e passò una mano tra i folti capelli neri. Avvertiva la tensione che attraversava il cavo, nonostante le migliaia di chilometri che lo separavano da questa voce mai sentita, eppure così familiare.
«Mi dispiace chiamare a quest’ora. So che lì è notte... ma non potevo aspettare...»
Silenzio.
«Qui da noi sono le nove del mattino...»
L’uomo ebbe un sussulto. Le sue mani forti e nodose si avvinghiarono alla cornetta.
«Chi è lei?»
Silenzio.
«Pronto, è ancora in linea?» Il volume della voce adesso era cresciuto.
«Mi chiamo Angelica. Angelica Maria.»
No, il nome non gli ricordava proprio nulla.
«Noi non ci conosciamo dottor Gonzalo... Mamma se n’è andata nel giorno del suo compleanno... Poco prima di lasciarmi mi ha pregata di incontrarla perché devo consegnarle una lettera.»
Andres era stordito. Provò a obiettare qualcosa mentre cercava di rimettere insieme i pensieri che lo inseguivano convulsi e dai quali non riusciva a fuggire.
«Mi scusi signorina, qui è notte fonda e io sono stanco morto. Non ho capito nulla di quello che mi sta dicendo. Chi è lei e soprattutto, chi è sua madre?»
Seguirono attimi infiniti senza spazio né tempo.
«Io sono Angelica Maria Orsini.»
L’ovale della bocca lasciava intravedere un buco nero.
«E mia madre... Mia madre era Anastasia, dottor Gonzalo.
Sa petite Any.»
CAPITOLO 2
Valparaiso qué disparate eres, qué loco, puerto loco, qué cabeza con cerros, desgreñada, no acabas de peinarte, nunca tuviste tiempo de vestirte, siempre te sorprendió la vida.
(Pablo Neruda)
Valparaiso, dicembre 1972.
Agnes si era appena svegliata e voltandosi si accorse di essere sola nel letto.
Le tende di seta turchesi erano state scostate e un po’ di luce filtrava nella grande camera attraverso le persiane, scomponendosi in strisce orizzontali che lasciavano intravedere miriadi di granellini di polvere che piroettavano in giri voluttuosi. Rimase con gli occhi chiusi ancora per qualche minuto, con l’intento di godere di quello stato di pacatezza che la accompagnava da alcuni giorni. Allungò le braccia e le gambe e si stiracchiò con soddisfazione, mentre un sorriso le distendeva i bei lineamenti del volto. Decise a malincuore di alzarsi. La sonnolenza di cui soffriva nell’ultimo periodo era al limite del torpore.
Don Gustavo era già in piedi da parecchio e la stava aspettando nella sala da pranzo. La prima colazione era stata servita alle sette, come d’abitudine. La tavola era apparecchiata con una tovaglia di lino bianco ricamata a punto croce, uno dei pezzi più belli del suo corredo. Era appartenuta a sua madre. Le stoviglie di porcellana azzurra si sposavano bene con le posate d’argento e conferivano un tocco di freschezza al tutto. Latte, caffè, marmellata di fichi e di albicocche, pane tostato e orzo erano il pasto ideale del generale, mentre Agnes preferiva yogurt, frutta e majar, la delizia cilena della quale, soprattutto adesso, era molto golosa.
Avevano ricevuto la notizia della gravidanza da qualche giorno e suo marito non stava più nella pelle dalla soddisfazione. «Sarà un maschio senz’altro, degno erede della famiglia Gonzalo!» Furono queste le sue prime parole, pronunciate nello studio del ginecologo.
E non ne seguirono altre.
I sentimenti di Agnes erano contrastanti: felice sì, ma anche preoccupata. Erano sposati da pochi mesi e lei avrebbe desiderato godersi almeno per un po’ la vita coniugale. Non si conoscevano ancora bene, il loro era stato un vero e proprio colpo di fulmine e non avevano seguito il classico, collaudato e formale protocollo dell’alta borghesia cilena, che prevedeva alcuni anni di fidanzamento prima del matrimonio. Non c’era stato il tempo di fare questo, suo marito era un militare in carriera con l’improrogabile quanto acquisito progetto di metter su famiglia.
Gustavo Delgado Gonzalo era un generale della marina e faceva parte del corpo d’armata guidato da Augusto Pinochet, che era considerato dal presidente Salvador Allende un personaggio di rilievo e di fiducia nell’ambito della politica militare, soprattutto dopo essere stato nominato generale di divisione. Nell’ultimo periodo don Gustavo non era quasi mai presente in casa e anche quando c’era si occupava esclusivamente del suo lavoro. Si chiudeva nel suo studio per ore e ne usciva solo per cenare e per andare a dormire. Era cambiato molto e Agnes lo trovava distante e scostante e benchè ne comprendesse il motivo ciò non bastava a rasserenarla. Sapeva che la situazione politica non era rosea e che non faceva ben sperare. L’economia era in rapido peggioramento; gli Stati Uniti stavano facendo crollare il prezzo del rame per danneggiare le esportazioni cilene, l’inflazione era alle stelle, i camionisti erano in sciopero e tutto questo stava paralizzando e gettando il paese nel caos.
Il presidente Allende era stato eletto due anni prima con il 36% dei suffragi e benché non avesse raggiunto il 50%, il Congresso si trovò a scegliere tra lui e il secondo più votato, Jorge Alessandri. La scelta di Allende accese i riflettori del mondo sul Cile: un marxista a capo di un governo nell’emisfero ovest, un fatto eccezionale, avvenuto a seguito di una vittoria elettorale e non di una insurrezione armata. Il presidente aveva avviato una serie di riforme che prevedevano la nazionalizzazione delle banche nonchè l’esproprio dei terreni e del capitale straniero, in primo luogo statunitense, divenuto nel tempo unico proprietario delle miniere.
Agnes riconosceva, pur andando contro ciò che pensava suo marito, che il gesto che stava compiendo Salvador Allende era estremamente coraggioso. Nessuno prima di lui si era mai assunto una responsabilità del genere; nazionalizzare la massima ricchezza del paese, il rame, che sino a quel momento era stata sotto il controllo di società statunitensi, in particolare la Kennecott e l’Anaconda. In assenza di una vera borghesia nazionale che amministrasse le ingenti risorse del paese, le grandi imprese straniere avevano avuto campo libero nello sfruttamento delle stesse.
Il Cile stava velocemente virando verso il comunismo; le terre erano state espropriate ai grandi proprietari e distribuite ai contadini. La nazionalizzazione delle aziende aveva portato alla creazione di numerosi posti di lavoro, con l’assunzione di personale anche nell’amministrazione pubblica.
Una sera aveva sentito raccontare da suo marito, mentre era nel suo studio con altri militari, che nei circoli politici della destra vi era un crescente fermento e che alcuni stavano addirittura pensando di intraprendere la via della forza per riportare il paese verso l’ordine. Non aveva l’abitudine di origliare dietro la porta ma passando lì davanti non aveva potuto evitare di ascoltare le voci concitate degli uomini . Allora si era sentita pervadere da una grande sensazione di angoscia. Aveva saputo quello stesso giorno di essere in attesa di un bambino e avvertiva un impellente bisogno di serenità.
Indossò una vestaglia di raso bianco e raggiunse don Gustavo. Lui la salutò con cortesia e distacco e le porse una tazzina di caffè.
«Buongiorno Agnes, hai dormito bene?»
Lei prese la bevanda tra le piccole mani diafane e lo guardò.
«Buongiorno Gu... veramente... no. Questa notte ho avvertito qualche dolorino al basso ventre. Il medico mi aveva avvisata del fatto che nelle prime settimane di gestazione ciò sarebbe potuto accadere e mi aveva detto che qualora fosse successo non mi sarei dovuta preoccupare. Si è però raccomandato che io stia a riposo il più possibile.»
Seguì una pausa da parte di entrambi.
«Gli ho anche raccontato che mia madre è riuscita ad avere me solo dopo quattro aborti. Mi ha risposto che questo non significa nulla perché ogni donna, così come ogni gravidanza, è diversa dall’altra.»
Versò un cucchiaino di zucchero nella tazzina. Le cose amare non le piacevano più.
La vita stava cambiando. Anche per lei finalmente.
«Credo che più tardi uscirò per una passeggiata, fuori c’è un bel sole e vorrei godermi la giornata. Forse chiamerò Paulina, è da molto che non ci vediamo. Inoltre una di queste sere mi piacerebbe invitare lei e Fernando a cena, così voi avreste il tempo di parlare indisturbati delle vostre faccende militari mentre noi donne avremmo l’occasione di scambiare due chiacchiere.»
Gu
, come lo chiamava Agnes, non la ascoltava già più. Era immerso nella lettura di El Mercurio, il quotidiano di stampo conservatore che in quegli ultimi anni aveva assunto un atteggiamento di ferrea opposizione, prima alla candidatura presidenziale di Salvador Allende e in seguito al suo governo. Don Gustavo conosceva il direttore del giornale e spesso si incontravano al circolo militare per scambiarsi le loro opinioni sull’andamento del paese.
Agnes si congedò dal marito con una carezza, mentre lui bofonchiò distrattamente un a dopo
.
Tornò nella sua stanza e fece un bagno caldo. L’estate era imminente, la città portuale si svegliava presto e ovunque echeggiava il garrito dei gabbiani che si libravano sopra le navi colme di container colorati. La brezza marina con il suo profumo raggiungeva e invadeva senza fatica le colline più alte.
Il mare aveva sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia di Valparaiso. I primi abitanti della zona, i chango, vivevano di pesca e subito dopo l’arrivo dei conquistatori spagnoli la città divenne un porto di scalo per i galeoni mercantili carichi d’oro e di altre ricchezze provenienti dal Nuovo Mondo. Poi giunsero i pirati inglesi e olandesi, tra cui Sir Francis Drake, che saccheggiarono a più riprese la città. All’inizio Valparaiso crebbe lentamente, ma la richiesta di grano cileno favorì un periodo di grande prosperità. Essendo il primo grande porto in cui facevano scalo le navi che doppiavano Capo Horn, divenne un centro commerciale che serviva tutte le coste del Pacifico e si affermò quale fulcro del nascente settore bancario. Il XX secolo però non fu altrettanto roseo. Nel 1906 un violento terremoto distrusse buona parte degli edifici cittadini e poco dopo, l’apertura del Canale di Panama inferse un altro grave colpo all’economia locale. Solo la Marina militare cilena rimase una presenza costante.
Agnes conosceva molto bene la storia della sua città. Quando era bambina, suo padre spesso la faceva addormentare narrandole le scorribande dei pirati e, da bravo uomo d’affari, non mancava di decantarle la prosperità del loro paese legata al commercio navale. Una volta divenuta adulta, non avrebbe mai potuto immaginare di vivere in un luogo diverso da quello in cui era nata. Abitare a Valparaiso significava avere l’opportunità di una apertura costante verso il resto del mondo. Due città in una, che condividevano lo stesso nome, come due amanti che uniscono le loro anime mantenendo la rispettiva identità. Quella bassa sul bordo del mare, El Plan, con il porto e il mercato del pesce e quella alta, con i quarantadue cerros che si inerpicavano alle sue spalle facendole da anfiteatro. Tra il 1883 e il 1916 vennero costruiti quindici ascensores che sferragliando salivano sulle colline lungo i labirintici vicoli. La città bassa appariva geometrica, cupa, tutta grigia e bianca. La città alta era invece un dedalo di viuzze, scale, terrazze e funicolari. Le sue case in stile coloniale erano state dipinte con colori fortissimi. I murales ricoprivano le porte, le finestre, i marciapiedi, i muri, i garage. La scuola d’arte, legata a una università della città, aveva iniziato negli ultimi due anni a colorare e a pitturare tutte le superfici a disposizione. Le colline erano state così trasformate in breve tempo in un museo a cielo aperto che riempiva gli occhi e scaldava il cuore.
Agnes decise di uscire a piedi da sola. Non voleva essere accompagnata da Concita, la sua governante, che conosceva da quando era nata. L’aveva portata con sé dopo essersi sposata. Per lei, che aveva perduto sua madre ancora in fasce, questa donnina dai tratti grossolani tipici delle genti degli altipiani andini, di carnagione scura, bassa e grassottella, era stata un’àncora di salvezza. Rimasta orfana anche del padre all’età di dieci anni, aveva riposto in Concita tutto il suo insaziabile bisogno d’affetto.
La señorita
, come lei la chiamava di solito, era molto carina e aveva bisogno di trovare presto un marito e di sistemarsi
. Il padre, prima di morire, aveva stabilito che Agnes avesse un vitalizio che le desse la possibilità di mantenere un buon tenore di vita nella originaria casa paterna, con la servitù a disposizione e un tutor, che avrebbe cessato nella sua mansione una volta che si fosse sposata.
Concita, che nonostante le sue umili origini era una donna forte e intelligente, aveva orchestrato, in combutta con la