Navi, porti, bordelli: Vita di marinaio. Dall'Adriatico al Sudamerica
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Giacomo Scotti
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Navi, porti, bordelli - Giacomo Scotti
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Tutti i diritti riservati
Copyright ©2019 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788899932640
Titolo originale dell’opera:
Navi, porti, bordelli
Vita di marinaio. Dall'Adriatico al Sudamerica
di Giacomo Scotti
Collana * Letture del mondo
GIACOMO SCOTTI
Poeta, romanziere, narratore, favolista, pubblicista, critico letterario, traduttore dalle lingue slave e giornalista, Giacomo Scotti è nato nel 1928 a Saviano (Napoli) dove recentemente è stato al centro di un convegno organizzato dall’Università L’Orientale
di Napoli per due anniversari: l’85.esimo compleanno e i 65 anni della sua attività letteraria condensata in circa 170 opere, fra le quali numerose pubblicate a Trieste, città nella quale si trasferì da ragazzo per raggiungere nel 1947 la ex Jugoslavia, vivendo in Istria e a Fiume fino al 1982. Quell’anno ristabilì la residenza in Italia, dapprima nel suo paese natale e poi a Trieste da dove fa il pendolare fra l’Italia e la Croazia, tessendo intensi rapporti culturali.
Per la sua produzione letteraria, per i meriti acquisiti nella divulgazione della letteratura italiana nell’ex Jugoslavia e in altri campi della cultura, a Scotti sono stati conferiti numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. I più recenti sono i Premi internazionali Scritture di frontiera Umberto Saba
(Trieste, 2004), il Calabria
nel 2005 e 2013 e il Fulvio Tomizza
del Lyon Club Trieste-Europa nel 2006. A Scotti sono state pure conferite la cittadinanza onoraria del Comune di Monfalcone (Sigillo d’oro, 2005) e l’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà della Repubblica Italiana (2006). In occasione del suo 85.esimo compleanno, Scotti è stato ospite d’onore anche del Comune di Saviano, le cui autorità gli hanno conferito la Targa della Città, dedicandogli una serie di eventi celebrativi nell’aula consiliare, nell’Auditorium cittadino e in alcune scuole elementari e medie, con lettura di sue poesie. Nell’occasione gli sono pervenuti numerosissimi messaggi augurali da parte di scrittori e poeti dell’Ovest ed Est europeo, fra i quali Predrag Matvejević, Diego Zandel, Daniel Nacinovich, Tommaso Di Francesco, Antonio Moscato, Irene Visintini, Maria Teresa Iervolino, Fabio Fiori, Gabriella Musetti, Marina Moretti, Rosanna Morabito...
Fra le sue opere primeggiano una trentina di sillogi di poesia, fra le quali - per ricordare le più recenti - risaltano la poderosa raccolta Tra due mari uscita a Trieste nel 2006 con prefazione di Claudio Martelli per le edizioni Unione Italiana e Università Popolare, e Versi di una vita, antologia in due volumi apparsa nel 2010 a Fiume a cura delle Edizioni Italiane (Edit) di Fiume. Fra le opere di narrativa vanno ricordati i Racconti di una vita apparsi nel 2001 per i tipi della LINT, Trieste, e il recentissimo volume Racconti fra due mondi curato dall’Edit di Fiume nel 2013, raccogliendo il meglio della narrativa di Scotti degli ultimi cinquant’anni. Fra i pur numerosi volumi di favole per ragazzi emergono Favole e leggende dell’Istria, Favole e leggende del Mar Adriatico (Santi Quaranta, Treviso), La Grotta del Vento (con prefazione di Erri De Luca) apparsa a Napoli e Dalla terra al cielo, quest’ultima edita da Asterios, Trieste, nel 2006. Tra le più recenti e apprezzate opere di Scotti va annoverato il romanzo autobiografico Per caso e per passione edito nel 2012 dalla Lint triestina, la medesima casa editrice dei celebri volumi di Scotti Goli Otok, ritorno all’Isola Calva (ampliato in quattro edizioni) e il Lager in mezzo al mare che hanno svelato una delle tragedie meno note del dopoguerra: quella che - insieme a decine di migliaia di comunisti antistalinisti jugoslavi - coinvolse alcune centinaia di italiani dell’Istria, Quarnero, friulani e triestini tra il 1948 e il 1956.
Il suo ultimo libro è Matvejević ed io, due marinai (Infinito, 2018) nel quale racconta la vita e l’opera del grande scrittore di origine croato-erzegovese Predrag Matvejevic, di cui fu grande amico e traduttore.
Sommario
autore
PRIMA PARTE
James mi ha raccontato
Il primo imbarco
Dal Mosor al Vis, poi un motoveliero...
Nella Marina da guerra
Uomini come cani randagi
Fuga da Las Palmas a Casablanca
Dalle Canarie all’America
Uragano e naufragio
A piedi da Montevideo a Buenos Aires
Ritorno in Uruguay per mare
In motoveliero tra mare e fiumi
SECONDA PARTE
Sulla Cordigliera delle Ande
Su un vagonetto volante dalle Ande a Valparaiso
Antofagasta, salnitro e poi la prigione
Da iquique a Punta Arenas passando ancora per un carcere
Gli andarinos e la giungla panamense
Disboscando la foresta
Tra Colombia ed Equador
Nella terra promessa. Un addio al mare ?
TERZA PARTE
Nuova vita A San Pedro
A Hollyvood, L..A. Lavapiatti, cameriere...
Ritorno a San Pedro, in casa di Mamma Eva
Disoccupazione, miseria e coltelli
Nella trappola della malavita
In cerca di fortuna
Don Cabrera, generoso e rispettato malavitoso
James finisce A San Quentin
Carcerato, vita dura
Cercando lavoro di nuovo in galera
Nel penitenziario di Fallsome
QUARTA PARTE
Navigando per mare nel vortice della guerra
I giorni dell’Australia
Ritorno negli USA e di nuovo sull’oceano
Nelle fauci dell’uragano
Dalla Nuova Caledonia all’India
Viaggio a Townsville sulla Nancy Lykes
Ancora vagabondaggi: Nuova Guinea, Hawaii, Guam...
A Okinawa si combatte anche con il ciclone
La guerra è finita
Rimpatriano combattenti e prigionieri
Conclusione di un’avventura?
QUINTA PARTE
In patria con i profughi
Fiume: in porto e sui rimorchiatori
Undici navi, sette anni e più e un giro del mondo
Sotto bandiera svedese nell’occhio del ciclone
Sul vecchio Old warrior e un altro giro del mondo
Tra due yacht e una petroliera gigante
Gli ultimi viaggi: a Cuba sotto bandiera libica
Doris dagli occhi a mandorla
JAMES MI HA RACCONTATO
La storia che mi accingo a narrare mi sembra più interessante di un romanzo, ma non è un romanzo. È il racconto dei fatti salienti della vita di un uomo di mare che ne passò di cotte e di crude sia in mare che sulla terraferma. Quest’uomo è un dalmata, anzi lo era, perché dal 10 febbraio 1998 le sue spoglie riposano nel cimitero di Fiume, la città marinara nella quale, dopo una gioventù tutta avventurosa, poté crearsi una famiglia ed ebbe un porto di approdo per oltre mezzo secolo, gli ultimi anni di una lunga e spericolata vita protrattasi per nove decenni. Una vita sbocciata in una famiglia benestante nel novembre 1908 a Sinj, Signo nei documenti veneziani, nell’antichità nota col nome di Segovia. Siamo nel retroterra della Dalmazia, trentaquattro chilometri a sud di Spalato. Le avventure della vita di quell’uomo sono condensate quasi interamente nella prima parte, fra i tredici e i trentasette anni; ma sia in quella che nel periodo successivo fu un’esistenza trascorsa quasi sempre sui mari. Navigò fino all’età di 73 anni, quando chiese e ottenne la pensione e, da pensionato, si fermò finalmente sulla terraferma, si radicò alla sua casa nel rione di Crimea, la contrada fiumana dei lupi di mare.
Lo conobbi quando venne ad abitare, da pensionato ormai, nel quartiere in cui anch’io avevo l’abitazione. Avemmo assidui e lunghi incontri e colloqui. Veniva da me, conoscendomi come giornalista, con l’unico scopo di raccontarmi le sue avventure.
– Se un giorno scriverai un libro su di me – soleva dire, – non mettere il mio nome, ma quello di cui mi sono più volte servito nel Nuovo Mondo.
Alla nascita i genitori lo chiamarono Drago, in America visse col nome di James. Ci fu un periodo, però, durante il quale prese un nome russo.
All’inizio lo ascoltavo soltanto, poi fu lui a portarmi dei fogli con appunti, infine fui io a prendere appunti. Da quegli appunti ho ricavato il lungo racconto che vi propongo di leggere. Un racconto che scorre liscio e convincente, spero, perché mi fu raccontato con parole semplici che sgorgavano senza troppi fronzoli dalla sua memoria, direi meglio: dal suo cuore. Io l’ho scritto, ma è lui che continua a raccontare in prima persona, rievocando venti anni di una vita burrascosa di marittimo, di vagabondo, di avventuriero, di combattente e di carcerato…
Nel caso del nostro protagonista si tratta di avventure davvero straordinarie nelle quali si cacciò volutamente, non per caso.
La famiglia in cui nacque gli aveva permesso di studiare, offrendogli quindi la possibilità di una vita normale al di sopra della media, ma fu lui a non voler continuare gli studi, quasi che la salsedine del mare gli fosse penetrata nel sangue fin da bambino: non poté resistere all’invito del mare. Andò sul mare all’età di tredici anni, fu vittima di un naufragio, cambiò navi e bandiere, attraversò l’oceano Atlantico, attraversò a piedi le più aspre regioni dell’America meridionale e centrale, fece i più svariati mestieri, ebbe incontri con le persone più disparate. Passò dall’America latina agli Stati Uniti, arrivandovi in tempo per cadere nel vortice di una crisi economica protrattasi per dieci anni e, quindi, finito nei labirinti di una vita oscura, trascorse lunghi anni nei penitenziari di San Quentin, di Fallsome e in altre prigioni. C’era veramente di che scrivere!
Per James, dunque, il periodo fra la Grande Guerra e la seconda guerra mondiale fu una vera odissea. Durante il secondo conflitto, invece, fece una vita più regolare
, senza fughe, diserzioni e peripezie drammatiche, ma la guerra stessa sul mare fu una grande avventura: navigò sulle navi mercantili alleate, americane e inglesi, nei convogli scortati dalle navi da guerra dalla California alla Nuova Zelanda, tra l’Australia e gli arcipelaghi del Pacifico entrati nella storia per le sanguinose battaglie con i Giapponesi. Alla fine del conflitto fu premiato
con l’estradizione dagli States e la deportazione in Jugoslavia. Poi vennero finalmente i giorni della normalità
: il lupo di mare dalmata fece la vita comune a tutti i marinai, navigando sui piroscafi e sulle motonavi della maggiore compagnia armatoriale jugoslava con sede a Fiume. E fu allora che, riandando col ricordo agli anni burrascosi della gioventù, nacque in lui l’idea di dettare a qualche giornalista o scrittore il racconto della sua vita.
Il vecchio marinaio e avventuriero parlava quattro lingue: la materna croata, l’italiano, lo spagnolo e l’inglese e un po’ anche il russo. La vita era stata la sua scuola.
Dopo aver annotato i suoi racconti, non mi è stato difficile riscriverli; perché James alias Drago era un narratore nato: mi bastava rispettare la semplicità del suo dire, la naturalezza della sua espressione, poco aggiungendo, poco togliendo o cambiando, limitandomi a qualche adattamento suggerito dalla lingua italiana nella quale il racconto viene ora presentato dopo essere rimasto sepolto fra le scartoffie di casa mia per oltre trent’anni.
Voglio anche spiegare, prima di passare al racconto, come incontrai il vecchio marinaio.
Dopo la sua estradizione dagli Stati Uniti nella nativa Croazia, per un certo periodo James lavorò come capo-brigata nel porto di Fiume, successivamente presso un’agenzia marittima come controllore delle operazioni di carico e scarico e, alla fine, come nostromo sulle navi della Jugoline. Nelle mie frequenti visite al porto ed alle navi all’attracco in un’epoca in cui, dopo il 1974, vivevo di lavori precari, emarginato dal regime dopo aver subito il carcere, mi dissero di un uomo che nei momenti liberi soleva intrattenere i compagni di lavoro e d’osteria raccontando loro i suoi viaggi sul mare, le sue avventure. Un giorno mi unii agli ascoltatori e facemmo conoscenza. Da allora prese a venire a casa mia; capii che i racconti di quell’ex marinaio non erano sogni, invenzioni o frutto di letture, ma fatti veri, esperienze di vita. Il libro non lo scrissi perché fui al centro di non poche disavventure, smarrii gli appunti e a James non pensai più. Li ritrovai tre decenni dopo la sua morte. Qualche anno prima di morire James mi recitò un vecchio proverbio cinese che presuppongo dice questo: Dalla nascita alla morte, se non hai costruito almeno una capanna o scritto qualcosa, hai trascorso inutilmente la vita
. Ecco, caro James, anche per te ho scritto qualcosa, qualcosa di quello che tu mi hai raccontato. E ricorderò subito, qui all’inizio, anche una frase che spesso ripetevi: Il mare è un viaggio nel mondo attraverso asprezze e sacrifici. Un granello di saggezza: meglio vedere una volta che cento volte ascoltare
.
PRIMA PARTE
IL PRIMO IMBARCO
Una sera silenziosa e fredda, ero un ragazzino, mia madre mi raccontò la tragedia del piroscafo Titanic, parlandomi della triste sorte dei naufraghi e degli eroi che, per salvare i passeggeri, trovarono anch’essi la morte nelle gelide acque dell’oceano.
Potrà sembrare strano, ma fu proprio il triste racconto di quella sciagura a suscitare in me per la prima volta un forte desiderio di navigare, di conoscere gli oceani e i paesi lontani.
Terminata la scuola elementare a Sinj (Signo), dovevo continuare gli studi a Spalato. Il viaggio fino alla città sul mare, tra navi e marittimi, fu per me un grande avvenimento. Giunto sopra Clissa, spalancai gli occhi stupefatto di fronte alla superficie azzurra del mare che vedevo per la prima volta; il mio giovane cuore tremava per l’indescrivibile gioia. Era il mio primo viaggio nella nuova vita, nel mondo, in tutte quelle conoscenze con le quali ogni uomo si scontra sulla soglia del nuovo.
Il mio paese natale, era ed è noto per il torneo dell’anello: ogni anno, nella prima domenica successiva al 15 agosto, a Sinj viene celebrata con la giostra dell’alka
, come viene chiamata in croato, una vittoria conseguita contro i Turchi nel 1715. Correndo a cavallo, al galoppo, vestiti in costumi militari settecenteschi, gli alkari mirano l’uno dopo l’altro con la lancia l’anello di acciaio appeso a un filo. Il vincitore viene promosso cavaliere
. Sinj è famoso anche per le danze popolari, per la parola più forte della legge e per un idioma croato purissimo. Ma proprio in lingua croata ottenni un voto insufficiente al Ginnasio di Spalato. Mio padre, benestante, si dimostrò disposto a pagare per gli esami di riparazione, ma a me sembrava tutto inutile e ingiusto; i miei passi a scuola divennero via via sempre più pesanti e insicuri.
In quel tempo si parlava dell’America come della terra promessa, di una terra benedetta da Dio
. Gli uomini degli equipaggi della cosiddetta flotta di scorta della U.S.Army correvano per le vie di Spalato dietro le gonnelle, si ubriacavano nelle osterie, e sulla riva, pomposamente chiamata Riva Wilson, vuotavano i loro stomachi strapieni...
I miei genitori, in particolare mio padre, si opponevano decisamente alla mia decisione di prendere la via del mare. Quando però mia madre venne a sapere che marinavo la scuola già da dieci giorni, spedì un telegramma a suo marito per chiedergli di concedermi l’autorizzazione. Senza il suo permesso non avrei potuto ottenere la matricola necessaria per l’imbarco e per raggiungere la terra del paradiso
. Mio padre rispose:
– Parta pure – augurandosi che i miei superiori mi trattassero con la massima severità, che imparassi a vivere.
Dopo enormi sforzi compiuti per ottenere quel documento indispensabile alla gente di mare, entrai finalmente radioso nell’ufficio della Capitaneria di porto per prelevarlo.
– Figliolo – mi disse il vecchio ispettore della Capitaneria, porgendomi il libretto nero – il mare è salato.
Quelle parole dette in tono compassionevole mi sembrarono strane sulla bocca del severo funzionario. Tuttavia non riuscirono a turbare l’immensa gioia che provavo stringendo in mano quel prezioso documento, il libretto di navigazione. Era l’anno 1921 e non avevo ancora compiuto i tredici anni.
Il vero significato delle parole dettemi dall’anziano ispettore le avrei comprese più tardi, ma allora mi sembrava soltanto uno scherzoso ammonimento che dimenticai subito, appena mi trovai sulla riva con la matricola in mano e diretto verso la prima nave.
– Avete bisogno di un mozzo di cucina o di un camarotto?
Ogni nave che arrivava nel porto di Spalato rappresentava per me una nuova speranza e una disillusione. Scendendo dalla nave, dove mi avevano riso in faccia nel sentirsi dire che volevo imbarcarmi, ero disperato. Ma appena all’orizzonte appariva una traccia di fumo cresceva nuovamente in me la speranza di trovare un lavoro a bordo. In tono di scherno, i marinai mi chiedevano:
– Piccolo, quanti anni hai? Da dove vieni?
Io mostravo il libretto per non dover rispondere alle tante domande scomode preannunciate dalla loro ironia. Ancor più mi turbavano le parole di certi comandanti che paternamente mi consigliavano:
– Piccino, aspetta di crescere, poi ti prenderò. Non è facile la vita del marinaio.
Trascorsero così alcune settimane di inutili attese e di umilianti preghiere. Talvolta cominciavo a perdere la speranza di realizzare i miei piani, ma erano debolezze passeggere. Bastava che mi ricordassi della scuola o di Signo al di là dei monti brulli per riprendere con tenacia ancora maggiore la ricerca di un imbarco. Ora evitavo perfino gli ex compagni di scuola che ad ogni incontro mi prendevano in giro:
– Sei già tornato dall’America?
Cercavo la compagnia dei più anziani, soprattutto marittimi, ma anche questi incontri erano per me sgradevoli. Venivo dalla Zagora, da oltre i monti, e in quel tempo nessun dalmata ultramontano arrivava al mare per imbarcarsi; mi pareva quasi che non avessi il diritto di togliere di bocca il pane a qualcuno di quegli uomini di mare. E poi, avevo sentito dire che nessun capitano voleva prendere a bordo uno che veniva di là dai monti, perché portava sfortuna.
Che fare? Come nascondere la mia origine? Ero convinto che l’ostacolo principale stava nell’annotazione da Signo
scritta sulla Matricola. Quel prezioso libretto, testimone di tutte le mie speranze e dei sogni più belli sognati negli ultimi mesi, mi tradiva? Quel pezzo di carta? Un giorno trovai l’uovo di Colombo: cancellai Signo e scrissi Vranjic, località nella Baia dei Castelli presso Spalato: cambiai luogo di nascita.
Ma fossi io nato a Signo o a Vranjic, i giorni continuarono a trascorrere tristemente inutili. Ormai estraevo sempre più raramente il libretto dalla tasca. Di navi in porto ce n’erano poche mentre i marittimi disoccupati erano molti. Ora salivo a bordo dei piroscafi con l’unica speranza di ricevere i resti del pranzo dell’equipaggio, per sfamarmi. Mio padre aveva cessato di mandarmi i soldi da quando avevo abbandonato la scuola. Finii per accettare i lavori più umili ad ore o a giornata nel piccolo squero presso la diga foranea. E così, invece di muovermi su una nave, mi trascinavo nel luogo dove nascevano.
Quando ebbi in mano la prima paga di una settimana, feci i calcoli di tutti i bisogni da soddisfare e dei piani da realizzare con quei pochi dinari di guadagno. Ma ben presto, una volta messi i soldi in tasca, le belle intenzioni furono sommerse dalla marea di nuovi desideri. Volendo imitare in tutto i più anziani, finii all’osteria Sotto i Volti. Vi si riunivano i lavoratori del porto e i marinai per bere un bicchiere di vino. Con loro mi sentivo quasi un congiurato, ascoltando i loro commenti sarcastici sulla maledetta vita e sul regime.
Ascoltai anche varie canzoni, alcune rivoluzionarie, ma una particolarmente mi piacque, quella che parlava dell’America. Ricordo due versi che dicevano:
America, tu sei il sogno del mondo,
tutto è in ordine in te, come in paradiso.
Della Jugoslavia e del suo governo, invece, nessuna parola buona.
– Eccoti il nostro nuovo Stato! Finita l’Austria, è finita anche la marineria!
Con la prima sigaretta fumata, ordinai pure la prima bottiglia di vino. Avevo le guance rosse, infuocate, sedevo accanto a un vecchio nostromo, un certo Luca di Vinjerac, che non riusciva a vivere lontano dal mare e dal bicchiere di vino. In mezz’ora il vino cancellò la differenza di mezzo secolo che esisteva fra me e lui.
– Vedo, ragazzo, che sei intelligente! – mi disse.
Non diedi grande importanza alle sue parole, avevo l’impressione che volesse adularmi mentre gli riempivo un bicchiere dopo l’altro. Poi, posandomi una mano sulla spalla, mi consigliò:
– Ascoltami bene. Cerca di trovare lavoro alla Navigazione Dalmata. Là c’è un ispettore che è un cane arrabbiato. Ma non temerlo, qualche volta dimentica di essere un lupo e fa anche qualche buona azione.
Ascoltai il consiglio e l’indomani mattina bussai alla porta dell’ufficio dell’ispettore Giorgio Macella, l’uomo da tutti temuto e che tutti evitavano. Entrai a testa alta, quasi con arroganza, avvicinandomi al suo tavolo da lavoro. Mi fissò con lo sguardo indagatore, si fregò gli occhi come per vedermi meglio, poi prese il bastoncino e, mentre in me cresceva la voglia di girarmi e scappare, prese a tamburellare col bastoncino sul tavolo. Tutti gli impiegati alzarono la testa e lui, rivolgendosi ad essi e puntando il bastoncino verso la mia persona, disse col tono burbero di chi dà un comando:
– Guardatelo! È così che si va sul mare! Costui sarà un marinaio! Mandatelo subito sul piroscafo Mosor, servizio in cucina!
Mi ritrovai sulla riva senza saperlo, ubriaco di felicità, al punto che mi dimenticai perfino di comunicare la mia partenza a quelli dello squero. Dimenticai perfino il maltempo che quel giorno aveva tenuto inchiodate nel porto tutte le navi. Oltre la diga foranea il mare spumeggiava sferzato dallo scirocco. Sul Mosor nessuno voleva prendere il mare, eccetto l’intrepido comandante. Erano saliti pochi passeggeri, qualcuno vomitava.
A bordo salirono anche i miei amici per salutarmi e augurarmi buona navigazione. Osservando però il mare agitato nel Canale della Brazza, cercarono di persuadermi a rinviare il primo viaggio. Riuscirono soltanto a farmi arrabbiare, era evidente che non capivano il mio stato d’animo, quel che per me rappresentava quell’attimo del primo imbarco. Per fortuna fischiò la sirena di bordo liberandomi dagli incomodi amici e, mi parve, da tutto il passato. Cominciava la mia nuova vita.
DAL MOSOR AL VIS, POI UN MOTOVELIERO...
Nel Canale della Brazza ci investì il fortunale. Non meno tempestosa fu l’accoglienza che mi riservò il cuoco. Era letteralmente ubriaco e boccheggiava peggio del piroscafo. Ebbi l’impressione che da un momento all’altro, vuoi per l’urto delle onde o per la propria instabilità, sarebbe finito oltre il parapetto. Temevo per la sorte delle stoviglie, per la nave, per il cuoco, ma fui io il primo ad avere la peggio. Non feci in tempo a digerire il mio primo pasto da marinaio, né riuscii a rigettarlo in mare. Il vomito mi assalì in mezzo alla cucina e sporcai ogni cosa. Il cuoco divenne una belva.
– Moccioso disgraziato! Ma chi ti ha mandato a bordo?
Non sto a ripetere tutte le sue bestemmie. Urlava come una furia, bestemmiava e malediceva come se avessi compiuto il più grave delitto. Mi aspettavo schiaffi e calci, ma non successe nulla. La tempesta si ridusse alle parolacce e alle minacce:
– Presto ci lasceremo, te lo dico io !
Le parole del cuoco furono per me una frustata. Tremavo al solo pensiero che potessero cacciarmi dalla nave al ritorno. La mia paura dovette essere maggiore del mal di mare, perché continuai il mio lavoro senza combinare altri guai. In seguito avrei affrontato tempeste ben più terribili, ma mai più ebbi il mal di mare. Il mare, dunque, volle ammonirmi subito di essere proprio salato. E quel cuoco, mio primo superiore sul mare, non ebbe più modo di arrabbiarsi con me, anche se qualche schiaffo non me lo risparmiò, era un mezzo educativo allora assai in voga. Con quell’uomo vissi ancora parecchi giorni duri, perché di solito si ubriacava ogni volta che ripartiva da Spalato per dimenticare, come soleva dire, la fortuna che lo accompagnava.
Dopo alcuni mesi di navigazione sul Mosor, quando ormai mi ero abituato al lavoro ed agli uomini di bordo, senza più alcun timore di vomitare il pasto in mezzo alla cucina, vennero a chiamarmi un giorno all’improvviso:
– Prendi la tua roba e sbarca!
Mi afferrai con la mano a qualcosa per non cadere. Cominciai a chiedermi che cosa avevo fatto di male, perché dovevo abbandonare la nave, la mia nuova casa. Forse sarà per il luogo di nascita falsificato sul libretto di navigazione, pensai. Vidi il mondo che mi crollava addosso. ma una voce mi scosse:
– Vai sul piroscafo Vis come camarotto. Che è quella faccia? Non hai sempre detto che avresti voluto navigare sulla rotta per Lissa e Comiso?
Sulla nuova nave cominciai a comportarmi come se fossi un vecchio lupo di mare. Più non mi limitavo ad ascoltare, obbedire e piegare la testa, anzi mi divertivo spesso a mandare in bestia i cuochi, il cui lavoro conoscevo bene. Talvolta, quando il mare era cattivo durante la navigazione per l’isola lontana, mentre gli altri barcollavano pallidi come stracci, incapaci di qualsiasi lavoro, io mi davo da fare canticchiando e divertendomi alle loro spalle, fingendo che la cosa mi divertisse davvero.
In seguito il Vis