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First Lady
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E-book318 pagine4 ore

First Lady

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Info su questo ebook

Dalla signora Washington fino alla appena eletta Jill Biden, passando per donne molto influenti quali Eleanor Roosevelt, Jackie Kennedy, Nancy Reagan, Michelle Obama e Hillary  Rodham Clinton.
In questo libro  —  come sempre informatissimo e ricco di aneddoti molti dei quali scosciuti — Dario Salvatori racconta il lato meno noto del potere statunitense e come le figure femminili, spesso dietro le quinte, in alcuni casi invece come vere e proprie co-protagoniste della scena politica, hanno collaborato a decidere i destini  dell'America e del mondo.


Dario Salvatori, giornalista, scrittore, conduttore radio-tv.
Nel cast di molti programmi di Renzo Arbore ("L'Altra Domenica", 1976; "Quelli della notte", 1985; "Meno siamo, meglio stiamo", 2005).
Fra i suoi programmi: "Famosi per 15 minuti", "Swing!" (con Maurizio Costanzo), "Diario TV".
Ha pubblicato oltre quaranta libri. È al suo terzo libro  a carattere americanistico.
LinguaItaliano
Data di uscita15 apr 2023
ISBN9791280075611
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    Anteprima del libro

    First Lady - Dario Salvatori

    COVER_first-lady.jpg

    Tutti i diritti riservati

    Copyright ©2023 Oltre edizioni

    Oltre S.r.l., via Torino 1 – 16039 Sestri Levante (Ge)

    www.librioltre.it

    ISBN 979-12-80075-61-1

    isbn_9791280075611.jpg

    Titolo originale dell’opera:

    FIRST LADY

    di Dario Salvatori

    Collana * Letture del mondo *

    ISBN formato cartaceo: 979-12-80075-14-7

    PREFAZIONE

    di Annapaola Ricci

    Ritratti di anziane signore col viso incorniciato da trine. Scoloriti dagherrotipi in bianco e nero, istantanee di un passato remoto anche per i libri di storia.

    È lunga, la galleria delle First Ladies americane.

    Martha Washington, in disaccordo con la decisione del marito di accettare la presidenza (non fu presente al giuramento) e poi Abigail Adams, la prima ad abitare alla Casa Bianca; senza dimenticare Dolley Payne Todd, moglie del presidente James Madison: per lei, nel 1849, nacque ufficialmente la locuzione di First Lady.

    Visi e volti spesso dimenticati, fino alle più famose Prime Signore del ventesimo e ventunesimo secolo.

    Le ultime due, totalmente agli antipodi: Michelle Robinson Obama, capace avvocato di Chicago che si innamora del suo intelligente stagista Barack e impone un esempio di donna sicura di sé, del suo fisico così poco longilineo ma forte e sano, i colori squillanti nel suo guardaroba, le campagne contro il junk food e l’obesità infantile.

    Di contro, Melania Knauss, ex modella slovena sposata Trump. Silenziosa, gli occhi stretti, sorriso gelido. I più ottimisti favoleggiano di accordi precisi che le permetteranno di guadagnare la libertà una volta terminata l’esperienza alla Casa Bianca. Forse è una leggenda, ma hanno fatto il giro dei media le immagini in cui respinge bruscamente la mano del marito che cerca la sua.

    La First Lady of the United States, abbreviata in Flotus, da tempo ha i suoi uffici alla Casa Bianca, un suo staff, un’immagine da curare e campagne d’opinione a cui legarsi per non essere sempre e solo un’ombra del Presidente.

    Il libro di Dario Salvatori, un capitolo per ogni monografia, è un dietro le quinte che riserva sorprese altrimenti confinate in archivi polverosi o in dimenticate tesi di laurea. L’altra faccia delle carriere presidenziali, di cui spesso la Prima Donna è un importante pilastro.

    Mariti spesso impenitenti donnaioli o dalla vita privata quantomeno complessa. Scelte di vita radicali, come nel caso di Eleanor Roosevelt con la sua lunga relazione con la giornalista Lorena Hickok.

    Donne costrette a pagare sulla propria pelle per gli errori dei consorti: dopo il Sexgate che vede coinvolta la giovane Monica Lewinsky, Hillary perdona Bill Clinton, ma l’opinione pubblica americana la taccia di opportunismo. Quella presunta patina di falsità (aiutata forse da una scarsa empatia nei confronti degli elettori) non l’ha più abbandonata. Nonostante eccezionali qualità politiche sia come avvocato che come Senatore di New York, Hillary perde le primarie contro Barack Obama ma, soprattutto, l’America si getta tra le braccia di Donald Trump pur di non votarla.

    Il tutto, da Jackie Kennedy in poi, condito da una iperesposizione mediatica che non risparmia e anzi complica la vita dei figli (come Chelsea Clinton, le gemelle Bush, l’adolescente Barron Trump) e degenera nel voyeurismo social. Il mondo diventa un immenso reality e la curiosità quasi morbosa del pubblico inonda la Casa Bianca, si estende a cani e gatti.

    Il mandato Trump si chiude con un’invettiva presidenziale diretta ai giornali di moda, rei di non aver dedicato neanche una copertina alla più elegante First Lady nella storia degli Stati Uniti, ma i riflettori ormai attendono Jill Biden, italo americana e seconda moglie del presidente eletto.

    A differenza di Michelle Obama, che lasciò la sua attività, ha già dichiarato di voler continuare con l’insegnamento.

    Altra donna da poco al potere, la vicepresidente Kamala Harris. Data l’età avanzata di Biden, la si osserva con curiosità: sarebbe la probabile prima donna alla Casa Bianca, ma non certo nel ruolo di First Lady.

    Anzi, toccherà rivedere il vocabolario a proposito del marito Douglas Emhoff.

    Si è dimesso dal suo prestigioso studio legale, per seguire il lavoro di Kamala.

    Potrebbe essere lui, il primo esempio americano di una figura del tutto inedita: il First Gentleman.

    FIRST LADY ANTE-LITTERAM

    L’America è una proiezione dei nostri sogni e delle nostre paure. Le storie che riguardano gli Stati Uniti, personaggi e interpreti, eroi o truffatori, agiscono da paravento e la verità è che il mondo non ha ancora smesso di sognare l’America. Molte delle donne che sono arrivate alla Casa Bianca erano più forti e preparate dei loro mariti. A volte addirittura più radicate e infinitamente più influenti rispetto a quanto suggerisca l’opinione popolare che si ha di loro. L’emancipazione femminile – costumi, atteggiamenti, scelte professionali e affettive – riguarda spesso, drammaticamente, coloro che hanno cercato di sfuggire ad ogni tipo di controllo maschile, infrangendo un ordine consolidato di rapporti, deciso da mariti, fidanzati, amanti. Tutto ciò all’interno di ogni tipo di ceto sociale. Unire un fascino intellettuale ad un fascino sessuale è sempre stata l’ambizione più alta di queste donne, che sapevano di raggiungere in quel modo un potere assoluto. Di contro, per chi sovvertiva l’ordine familiare o il potere politico, la condanna doveva essere più che esemplare. In tutte le epoche. Nelle serie televisive americane le signore arrivate alla Casa Bianca ci sono riuscite per caso o per imbroglio. Mai è stata presentata la scalata al potere: per una donna l’ambizione è ancora una patologia.

    La storia antica ci ha trasmesso figure femminili di grande spessore: audacia, bellezza, violenza, potere,scandalo. Tutto si miscelava al femminile, ieri come oggi. Alcune di queste donne hanno fatto cadere regni, repubbliche, governi, mutato la storia e qualche volta anche la geografia del mondo, ma forse, dopo secoli di interpretazioni misogine, molte figure hanno bisogno di esser depurate. Prendiamo Cleopatra (69 a.C.-30 a.C.), la quale, a dispetto del ritratto che ne fece Shakespeare e dopo cinque secoli di storia dell’arte è ancora alle prese con ricostruzioni molto fantasiose. Sappiamo che aveva un corpo minuto, sottile e chiara di pelle, con un naso adunco e labbra carnose, discendente dai macedoni Tolomei e da Alessandro il Grande, dunque non era più egiziana di quanto lo fosse Liz Taylor. All’interno della sua vicenda, come ci è stata tramandata anche da Hollywood, gli affari di stato lasciarono ben presto il posto a quelli di cuore. L’amore con Cesare, da cui nacque il figlio Cesarione, e quello con Antonio, con cui la regina ebbe tre figli. Amori da cui comunque scaturirono una serie di importanti riforme a Roma, una sconfitta epocale e un finale che ha cementato la leggenda nella tragedia. Si chiede la storica Livia Manera: Si può dire niente di buono su una donna che è andata a letto con i due uomini più potenti del suo tempo?. In effetti non conosceva tabù né vergogna: fece uccidere fratelli, mariti, sorelle e amici. E che dire di Valeria Messalina (25 d.C.-48 d.C.), moglie dell’imperatore Claudio, uccisa a ventitré anni? Bellissima, dissoluta, crudele, avida, che osò innamorarsi dell’uomo più affascinante di Roma e negarsi al talamo coniugale. Unica fra le consorti imperiali a godere di totale autonomia e icona di una sfrenatezza sessuale senza controllo.

    Recenti saggi – primo fra tutti quello di Giorgio Ravegnani, Teodora, la cortigiana che regnò sul trono di Bisanzio – riabilitano la figura della moglie di Giustiniano, che difese a lungo i diritti delle donne bizantine. Teodora(497-548) da giovane era stata una prostituta ma sul trono dimostrò notevoli capacità politiche e seppe infondere una grande sicurezza al marito. Bellissima, sempre rappresentata in teatro come una femme fatale, conquistò Giustiniano non ancora imperatore e poi gli fu affianco sul trono dell’Oriente romano per una ventina d’anni.

    Fra le principesse illuminate più influenti del Seicento da ricordare sicuramente Caroline di Ansbach (1683-1737), appassionata di ricerca scientifica e astronomia, esercitava un grande fascino nel mondo aristocratico del suo tempo. Nel 1727 il marito salirà al trono di Londra come Giorgio II, dopo un lungo periodo conflittuale con il padre, Giorgio I. Caroline, regina consorte – scrive Enrica Loddolo – sarà libera di aprire le sue stanze a letterati e pensatori, scienziati e innovatori, così nello studio a Kensington Palace si alterneranno gli scrittori Jonathan Swift e Alexander Pope, mentre Isaac Newton condurrà esperimenti di rifrazione della luce proprio nelle stanze regali. È l’inizio di una nuova era per le figure femminili di corte.

    Intrighi, ferocia e grande bellezza facevano parte del lato oscuro del Rinascimento. Dame belle e crudeli, nate dall’Umanesimo, ma disposte a tutto per il potere. Lucrezia Borgia (1480-1519) fu la più cruenta dama nera del Rinascimento a mano armata. A vent’anni aveva già archiviato due matrimoni. Uccisero il suo sposo prediletto, Alfonso d’Aragona, nipote del re di Napoli, Ferdinando, praticamente sotto i suoi occhi. Lei utilizzò il suo terzo matrimonio, con Alfonso d’Este, per vendicarsi, soprattutto contro suo fratello, Cesare Borgia. Niente male per la figlia illegittima di Papa Alessandro VI. La zeitgeist dell’inizio del Cinquecento non faceva sconti a nessuno.

    Isabella d’Este (1474-1539), che diventò marchesa di Mantova sposando Francesco II Gonzaga, era capace di calcoli politici raffinatissimi. Fu lei la regista dei funambolismi che consentirono alla piccola Mantova di sopravvivere al cataclisma delle guerre d’Italia.

    A 23 anni Maria Teresa d’Austria divenne arciduchessa, praticamente imperatrice di fatto. Maria Teresa(1717-1780) fu la sovrana simbolo delle capacità femminili e del riformismo illuminista, esercitando un potere fuori dal comune per la sua epoca. La capacità di svecchiare l’Austria e di aggiornare tutte le istituzioni monarchiche fu alla base del suo disegno riformatore, sfruttando al tempo stesso virtù tipicamente femminili: lo charme, l’amore materno, l’emotività e una straordinaria lucidità politica.

    L’esotismo fu alla base del successo e dell’influenza di Augusta di Saxe-Gotha (1719-1772), moglie di Frederick principe di Galles e primogenito di re Giorgio II e Caroline, inventrice delle charity, ovvero cause filantropiche che nei secoli sarebbero diventate molto vantaggiose per la corona inglese. In pratica una sovrana senza corona che cambiò il modo di fare beneficenza, trasformando in uno stile ben preciso l’atteggiamento relativo alle generose donazioni.

    Charlotte di Mecklenburg-Strelitz (1744-1818), la donna che visse al fianco di Giorgio III (il sovrano che perse tredici colonie americane) che finì i suoi giorni divorato dalla demenza, aveva anche sangue portoghese nelle sue vene. Influenzò notevolmente i primi anni di vita degli Stati Uniti, colpendo l’immaginazione delle prime first lady, ancora a metà strada fra l’esser dame settecentesche e rudi donne legate ai possedimenti agricoli. Ebbe quindici figli, ispirò i moti contro la schiavitù e fu l’ultima principessa tedesca illuminata ad essere stimata dagli americani.

    Fin da subito la figura della first lady entrò in quell’ampio spazio pubblico come parte di un’unità familiare, piuttosto che attraverso quella che oggi chiameremmo categoria femminile in senso lato. Analizzando le esperienze e il vissuto di queste donne si scopre che c’è stato un fondamentale e forte rapporto di fondo tra famiglia, politica e governante durante il primo periodo del Paese. Il concetto emergente di maternità repubblicana rifletteva quella realtà e cercava di reclutare mogli e madri come esempi morali di virtù per contribuire a creare quei cittadini attivi e responsabili di cui i leader americani credevano che la nuova repubblica avesse bisogno per poter prosperare.

    Le prime first lady erano tutte donne di principio e capaci, ma aderivano alle pratiche del XVIII secolo di modello europeo. Le loro posizioni di sostegno erano viste come naturali e corrette e non erano cariche di nozioni moderne sui diritti delle donne. Eppure, impararono presto come fondere i loro ruoli di donne, mogli, madri e personaggi pubblici.

    Il ruolo lo definì bene Thomas Jefferson (1743-1826), il padre della Costituzione americana. Per le donne esisteva un ruolo apolitico molto circoscritto e la famiglia era l’elemento essenziale per sostenere una nazione democratica, il tutto estremamente interconnesso. Al centro di questa partecipazione c’era il rapporto di coppia, che in alcuni casi si estendeva anche ad altri membri della famiglia, tra cui, in particolare, figli e figlie, fratelli e sorelle, parenti e congiunti ancor più lontani, acquisiti attraverso il matrimonio. È il caso di Bushrod Washington, nipote di George Washington ed erede del patrimonio del primo presidente, giudice della Corte Suprema fino alla sua morte, avvenuta nel 1829. La nipote di Martha Washington, Fanny, che sposò il vedovo Tobias Lear, segretario personale di Washington, membro stretto della famiglia. Sebbene Lear non fosse un politico eletto all’interno del governo, rimase sempre molto coinvolto negli affari presidenziali. Per non parlare della pronipote di Martha, che sposò Robert E. Lee, il famoso comandante della guerra civile dell’esercito confederato. Nel 1808, ad esempio, Abigail Adams e sua figlia Nabby Adams Smith, intrapresero una sofisticata corrispondenza in cui entrambe discutevano in modo estremamente dettagliato le questioni politiche fondamentali dell’epoca, da quelle locali a quelle nazionali e persino a quelle internazionali, tra cui la famigerata legge sull’embargo proposta da Thomas Jefferson, le lotte di partito negli Stati Uniti e le macchinazioni di Napoleone in Europa, il tutto intrecciando notizie della famiglia.

    Nell’America di fine XVIII e XIX secolo, la società e la politica erano strettamente connesse tra loro. Di conseguenza, i rituali e le regole sociali e cerimoniali svolsero un ruolo fondamentale e integrale all’interno della nuova repubblica degli Stati Uniti, certamente a un livello molto visibile. Sia nelle capitali nazionali temporanee di New York e Philadelphia, sia, soprattutto in seguito, nella sede permanente di Washington, DC, dove la formazione della vita sociale che circondava le prime amministrazioni politiche garantiva la perpetuazione dei valori della classe dirigente. Tale sviluppo sociale venne influenzato in modo significativo da gran parte delle first lady, grazie al loro ruolo di leader di élite come coniugi presidenziali e alla loro importanza ampiamente riconosciuta come membri di famiglie ufficiali che esercitavano un grande e significativo potere sociale e politico. Di conseguenza, gli stili e i gusti individuali di queste signore hanno finito per influenzare il modo in cui si è sviluppata la cultura del governo repubblicano, stabilendo protocolli sociali che resistono ancora. Di fatto hanno contribuito a forgiare i rituali della democrazia americana.

    Grazie alle loro posizioni di grandiosa visibilità come mogli dei presidenti, le first lady hanno avuto un accesso ineguagliabile superiore a qualsiasi altra persona che lavorasse nel ristretto ambito presidenziale. I loro ruoli non erano ufficiali e sono stati dettati dallo sviluppo delle consuetudini piuttosto che dalla legge. Non a caso, più della metà delle first lady, ad un certo punto hanno pronunciato la frase: Gli americani hanno eletto il presidente, non me. Ogni singola first lady – ovviamente entro i limiti della propria epoca – ha avuto l’opportunità di ritagliarsi un ruolo specifico che si collocava in un contesto che spaziava dal coinvolgimento non politico a quello quasi politico, a quello apertamente politico. Le loro figure servivano da cassa di risonanza per le idee politiche dei loro mariti, promuovendo e sostenendo la carriera politica e l’agenda presidenziale del coniuge attraverso le reti sociali tastando il polso all’opinione pubblica. Il pensiero ispirato dagli illuministi, sposato in particolare dai filosofi scozzesi, ha postulato nuove significative idee sulle donne e sulla famiglia che gli americani hanno adattano alle loro particolari esigenze. Allo stesso tempo la visione idealizzata di donne istruite che mantengono l’uguaglianza sociale con gli uomini non si estendeva all’equità politica, in realtà erano spesso viste come contrapposte.

    Le principali famiglie politiche americane dell’ultimo secolo, come i Roosevelt, i Kennedy, i Bush, i Clinton e gli Obama non sono un fenomeno nuovo. L’influenza politica della famiglia ha messo le radici all’alba della storia americana. La vicenda delle first lady più carismatiche ha fornito un’idea della natura del potere politico sia al centro che ai margini. Una posizione che è servita spesso come parafulmine per una vera e propria influenza oltre che per le polemiche. Un fenomeno che dura ancora oggi.

    Le elezioni americane del 2020 non hanno introdotto nessun nuovo rilievo politico. A questo ha contribuito l’età avanzata dei due leader, Joe Biden (78), soprannominato Sleepy Joe da Donald Trump. Pochi gli elementi destabilizzanti, povero l’eloquio dei due contendenti, misero l’ormai arcaico duello televisivo, forse non così influente come poteva essere nel 1960 il celebre duello fra John Kennedy e Richard Nixon, quando prevalse il senatore democratico per la maggior telegenia a dispetto di un impacciato e sudato Nixon. Attenzione all’America divisa era l’ammonimento di Alexis de Tocqvilleue nel suo fondante La democrazia in America, quasi duecento anni fa. Oggi lo scontro è fra i liberal agiati e la working class, fra le etnie inserite e quelle che, a parte l’aspetto linguistico, sono ancora oggi ai margini del benessere. È noto che ogni tipo di campagna elettorale americana si basa sulle donazioni, qualche volta trasparenti altre volte meno, ma non c’è dubbio che in queste ultime e pandemiche consultazioni le donne americane abbiano giocato un ruolo determinante nelle donazioni ai candidati. Nel 1990 erano appena il 24%. Nel 2016 costituivano il 37%, nel 2020 il 44%. Sia di Melania che di Jill si è parlato molto – scrive Maria Latella – soprattutto per l’analisi del body language, fra la statuaria e immobile Melania e la coriacea Jill, quasi una guardia del corpo del marito. Quanto peso avranno le first lady in futuro? Difficile dirlo ora che si è insediata la più anziana fra la storie di queste donne, ovvero la sessantanovenne italo-americana Jill Jacobs, ma certo non si vede all’orizzonte una nuova Michele Obama o una Nancy Reagan. A dire il vero nemmeno una nuova Hillary Rodham Clinton.

    Nemmeno una Hillary Rodham Clinton.

    MARTHA WASHINGTON (1731-1802)

    First lady: (1789-1797)

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    Quando Martha Washington arrivò a New York nella primavera del 1789 per raggiungere suo marito, neo presidente degli Stati Uniti, aveva già 58 anni. Non aveva idea di cosa aspettarsi e neppure cosa si doveva aspettare da sé stessa come First lady.

    Anche lo stesso George Washington si trovava di fronte ad una sfida simile. La Costituzione delineava la maggior parte dei suoi compiti istituzionali, però non diceva molto sul cerimoniale. Aveva dedicato otto anni della propria vita alla liberazione del popolo americano e dopo averlo sollevato dal peso della monarchia era considerato uno di loro. Certo, era pur sempre un ricco contadino del sud, aristocratico per natura, in una società che teoricamente aveva eliminato queste distinzioni sociali. Non avendo alcun modello a cui rifarsi, doveva comprendere ciò che significava essere presidenziale e come comportarsi come leader di un paese di persone libere. Aveva assunto una carica diversa rispetto a qualsiasi altra che il mondo avesse mai conosciuto. Il presidente americano è il capo di stato e ha tutti gli obblighi cerimoniali, inoltre è anche capo del governo ed è direttamente responsabile delle necessità della gente. George Washington era anche molto attento al fatto che il modo in cui avrebbe gestito il suo incarico avrebbe stabilito un precedente per tutti i presidenti americani che lo avrebbero seguito. Si discusse per mesi su come i cittadini si sarebbero dovuti rivolgere a lui e di conseguenza anche ai suoi successori. Forse Sua Altezza il Presidente degli Stati Uniti e protettore delle Libertà? Prevalse il meno formale e più democratico Signor Presidente.

    Il dibattito si estese anche a come ci si sarebbe dovuti rivolgere alla First lady e anche qui si giunse alla semplice formula di signora. Quando arrivò a New York venne accolta con entusiasmo come Signora Washington, un titolo onorifico che le era stato attribuito dai soldati sotto il comando di suo marito. Era quello che ci si aspettava dalla figlia di una delle più importanti famiglie della Virginia. Il suo vero nome era Martha Dandridge, figlia di un ricco coltivatore di tabacco, John, ed era cresciuta in un mondo di insegnanti privati e cavalli non addomesticati. A 15 anni venne presentata in società e da quel momento la sua vita si riempì di una costante serie di cene, balli e feste. A 17 anni sposò Daniel Parks Custis, un uomo ancora più ricco di suo padre e di fatto divenne la padrona della piantagione dei Custis, non lontana dalla capitale della Virginia, Williamsburg, epicentro della vita sociale coloniale.

    Quando Parke morì, otto anni dopo, lasciandole delle proprietà che la rendevano la vedova più ricca della Virginia, la sua posizione si fece sempre più importante, soprattutto fra gli scapoli disponibili, anche in considerazione del fatto che era la vedova più ricca dello stato e aveva solo 25 anni.

    Scelse di non rispondere alle loro avances, concentrandosi invece sulla gestione della piantagione dei Custis, crescendo i due figli superstiti (ne aveva avuti quattro): John di 4 anni, chiamato Jacky, e una bimba di due anni che aveva il nome di sua madre, ma che, come lei, era chiamata Patsy. Ma presto un altro uomo attirò la sua attenzione. Il suo nome era George Washington.

    Il colonnello Washington si era fatto conoscere come eroe nella guerra contro i francesi e Martha lo aveva incontrato diverse volte quando andava a Williamsburg per delle consultazioni con il governo. Era rimasta colpita dal suo aspetto, alto e snello, con dei freddi occhi blu, con un atteggiamento rispettoso, formale, inaccessibile. Timidissimo con le donne. Tutte qualità molto scarse fra i corteggiatori della ragazza. Si incontrarono di nuovo ad una cena all’inizio della primavera del 1756 e rimasero a parlare anche dopo che gli ospiti se ne erano andati. Una serata di conversazioni educate fra due proprietari di piantagioni e soltanto lui aveva il sentore che si trattasse di qualcosa di più. Martha e George si incontrarono nuovamente qualche tempo dopo, anche se lei aveva quasi abbandonato l’idea di una storia d’amore. Lui fece in modo che ci ripensasse, grazie al modo in cui trattava i suoi domestici e il facile legame che aveva creato con i suoi bambini. Vi furono due ulteriori visite prima che chiedesse a Martha di sposarlo e a quel punto lei era pronta ad

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