Nel Paese degli Orchi
Di hurk
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Anteprima del libro
Nel Paese degli Orchi - hurk
pedinamento.
C’era un sole troppo bello per rientrare subito in caserma. Era pomeriggio, subito dopo il pranzo.
Decisi di prolungare il nostro turno di servizio e nessuno dei miei quattro uomini fu contrario, anzi, stare sulle moto con una giornata così era una goduria.
Il vento mi accarezzava il viso e la mente ritornava ai giorni trascorsi con Giovanna, quando poggiavo la testa sulle sue gambe e lei, delicatamente, mi sfiorava la guancia provocandomi uno stato di benessere completo, tale da farmi addormentare. Lo sapeva e se ne compiaceva.
«Con me stai bene, io lo vedo. A che ti serve conoscere altre donne?».
Giovanna, come dimenticarla. È stata una presenza davvero importante nella mia vita; a lei ero affezionato ma non a tal punto da considerare la possibilità di mettere la testa a posto e prendere casa insieme. Lei, io e il mio rottweiler Birillo.
Al rientro, sul lungomare Caracciolo, si vedeva lo storico lido Mappatella
; il mare brillava ma preferivamo infilarci nei vicoli adiacenti percorrendoli in lungo e largo facendo sempre attenzione a tutto quello che accadeva senza marcare a guardia
. La gente di solito ci temeva perché sembravamo tutt’altro che Carabinieri. Gli unici a insospettirsi erano i nostri clienti
che, vedendoci, entravano in agitazione. È capitato molto spesso che ci confondessero per la manovalanza dei clan avversari, e allora li vedevi correre immediatamente al riparo per paura che gli potessimo fare la cartella
.
In queste situazioni occorreva stare attenti perché gli ‘omm e merd’ in preda allo spavento potevano decidere di armarsi e rispondere con il fuoco.
Quel giorno non dovevamo carcerare nessuno, così era stato scritto. Rientrammo in caserma a mani vuote e mentre mi dirigevo in ufficio con il Riccio, Zero e Romano provvedevano a fare il pieno di carburante e a parcheggiare le due moto nel garage. Negli Uffici della Sezione c’era poca gente, aprii il cassetto della mia scrivania e vi deposi gli attrezzi di lavoro, pistola e manette.
«Che faccio Hurk, me ne posso andare?» chiese il Riccio stravaccato sulla poltrona.
«Controlla il brogliaccio e dimmi il turno di domani» risposi mentre compilavo il foglio di servizio.
Prontamente il Riccio guardò il brogliaccio appeso al chiodo.
«Domani ci tocca la mattina».
Chino sulle carte continuavo a compilare a modo mio il foglio di servizio.
«Va bene, siete tutti liberi. Ci vediamo domani».
La mia squadra
Il più ecclettico della squadra era Zero. All’epoca aveva trentaquattro anni, era originario della provincia di Napoli ed era appena stato promosso Appuntato. Portava lo stesso nome del cantante in virtù della somiglianza e delle sue straordinarie doti canore.
Voi non l’avete mai sentito cantare il nostro Zero, identico, se non meglio dell’originale. Portava lunghi capelli lisci e neri, che teneva legati con una coda. Sempre lucidissimi, profumavano di shampoo peggio di quelli delle femmine. Sono certo che spendesse un patrimonio per tenerli perfetti. Aveva una sottile barba e al lobo destro due immancabili cerchietti in argento. Oltre che cantare bene c’era un’altra cosa che Zero faceva alla perfezione: imitava i femminiell come nessun altro. E per questa sua predisposizione oltre a essere un po’ paraculato veniva spesso utilizzato negli acquisti simulati
di droga perché non marcava a guardia
.
Era un vero amico Zero, una persona della quale ti potevi fidare a occhi chiusi. E dio solo sa quante volte mi sono fidato di lui. Sempre sorridente e disponibile, arrivava ogni mattina in ufficio dopo aver visto una nuova puntata di Ken il guerriero
, il suo cartone preferito; stava lì a farti le mosse del suo beniamino come solo un bambino entusiasta può fare. E tra una mossa di hokuto e una canzone cantata a squarciagola il lavoro pareva più leggero.
Una sola cosa metteva Zero ko, il suo tallone d’Achille: se nominavi il figlioletto di sette anni il suo sguardo s’intristiva e l’allegria tutto d’un colpo svaniva. Luca era il suo buco nero. Si era separato dalla moglie qualche tempo prima e il bambino era andato a Roma con lei.
Avrebbe fatto carte false per poter stare col figlio ma ci ripeteva sempre che la mugliera lo teneva apposta lontano per vendicarsi del divorzio subito. E Zero soffriva, in silenzio.
Poi c’era il Romano che senza troppa fantasia era chiamato così perché era romano de Roma da generazioni intere.
Piccoletto, aveva solo trentuno anni. Onestamente, alcune volte, lo tenevo un po’ sulle palle perché da buon romano era sbruffone assai e non stava mai zitto.
E poi, aveva la brutta abitudine di fumare come un turco tanto che la puzza di sigarette la sentivi da lontano. Ma era uno in gamba il Romano, ci sapeva fare e quando parlava ti fregava e manco te ne accorgevi. Aveva una passione sconfinata per le armi e non appena metteva da parte due spicci era pronto ad acquistare pezzi rari che collezionava e conservava a casa sua, nella città eterna. Anzi, se vogliamo dirla tutta, le armi le comprava pure se i due spicci non li teneva visto che capitava spesso che mettesse debiti pur di avere quell’esemplare. Possedeva anche tutti gli attrezzi necessari per caricare le munizioni: era davvero malato per questa cosa. A breve si sarebbe dovuto sposare con la fidanzata storica e se non lo vedevi in giro a cazzeggiare certamente lo trovavi seduto alla sua postazione a fare conti per il matrimonio. Le bomboniere, le partecipazioni e togli lo zio Mario e aggiungi il cugino toscano e metti tre giorni in più nel viaggio di nozze… Con la calcolatrice a portata di mano batteva numeri su numeri e mai era contento.
«Tutti ‘sti sordi, maledetti a ‘sti cazzo de sordi che nun tengo!» era solito dire in ufficio da qualche tempo a questa parte. E capitava pure che ogni tanto si scordava degli appuntamenti presi con la futura sposina e lo sentivi strillare paonazzo in viso. «Ahò, me so scordato. Che me voi fà? Me voi cioncà? E cioncheme ma poi me tieni cioncato!». L’incazzatura durava pochi minuti, lo sapevamo tutti: poco dopo lo vedevi nei corridoi con la coda tra le gambe che mandava messaggi d’amore alla futura mogliettina.
C’era il Riccio, il più incasinato Appuntato scelto che abbia mai conosciuto. Trentotto anni portati abbastanza male, un poco chiattone, capelli neri lunghi e ricci, napoletano verace e felicemente sposato con tre figli piccoli a carico: una sciagura. La caratteristica principale del Riccio era la mancanza di puntualità che pareva essere aumentata a dismisura negli ultimi mesi.
Arrivava trafelato in caserma con la classica scusa della sveglia rotta e credeva di prenderci per il culo con le sue storielle, ma sapevamo tutti che si svegliava tardi al mattino e che la colpa non era della