Rapimento e riscatto
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Info su questo ebook
John Paul Getty III, nipote sedicenne di un ricchissimo petroliere americano, scompare a Roma nella notte del 10 luglio 1973 nei pressi di piazza Farnese. Capelli lunghi e atteggiamento anticonformista, il ragazzo frequenta l’ambiente bohémien della capitale, tra Campo de’ Fiori, Santa Maria in Trastevere e Piazza Navona. All’inizio la notizia non ha grande eco sugli organi di informazione: tre mesi dopo la sua sparizione, la famiglia e gli investigatori non sono ancora certi se si tratti di un vero sequestro o piuttosto sia una messinscena del giovane per estorcere una montagna di soldi all’avaro nonno. Ma quando viene recapitata al quotidiano Il Messaggero una busta con un orecchio mozzato del giovane Getty non ci sono più dubbi. Il gesto brutale impressiona l’opinione pubblica italiana e internazionale e quello del sequestro Getty diventa il caso più seguito dai media di tutto il mondo. Ambientato nella Roma della Meglio Gioventù, lo straordinario racconto di un dramma familiare, umano e politico che ha segnato un’epoca e l’ingresso trionfale della ’Ndrangheta nelle cronache e nel tessuto sociale del nostro Paese degli anni a venire.
Il racconto del sequestro più incredibile della storia
«Se dopo questa lettera non succederà nulla, aspetterò la morte a soli 17 anni.»
John Paul Getty III
Una vicenda che ha tenuto tutto il mondo con il fiato sospeso e ha ispirato film e serie TV
«Bruschini dimostra come la capacità di saper riprodurre la ricca ambiguità che accompagna la vita sia il modo vincente di raccontare una storia.»
la Repubblica
Vito Bruschini
Giornalista professionista, dirige l’agenzia stampa per gli italiani nel mondo «Globalpress Italia». Ha scritto testi per il teatro e per la televisione. Con la Newton Compton ha pubblicato, riscuotendo un notevole successo di critica e pubblico, The Father. Il padrino dei padrini; Vallanzasca. Il romanzo non autorizzato del nemico pubblico numero uno; La strage. Il romanzo di piazza Fontana; Educazione criminale. La sanguinosa storia del clan dei Marsigliesi; I segreti del club Bilderberg, I cospiratori del Priorato, Il monastero del Vangelo proibito e La verità sul caso Orlandi. In versione ebook ha pubblicato il romanzo a puntate Romanzo mafioso. Rapimento e riscatto è il nuovo romanzo sul sequestro di John Paul Getty. I suoi libri sono tradotti all’estero
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Anteprima del libro
Rapimento e riscatto - Vito Bruschini
1837
Questo romanzo, seppur ispirato a una storia vera e alle varie inchieste giudiziarie e giornalistiche che si sono consumate negli anni, è un’opera di pura fantasia. Tutti i nomi, personaggi, luoghi, eventi e fatti narrati sono il frutto dell’immaginazione e della libera espressione artistica dell’autore. Ogni riferimento a eventi realmente accaduti, a persone realmente esistite o esistenti e a luoghi reali è puramente casuale e utilizzato al solo fine di contestualizzare in una determinata epoca storica la narrazione dell’intera opera e, in ogni caso, senza alcuno scopo diffamatorio e/o ingiurioso.
Prima edizione ebook: dicembre 2017
© 2017 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-227-1721-4
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Vito Bruschini
Rapimento e riscatto
il romanzo del sequestro di John Paul Getty
III
erede dell’uomo più ricco del mondo
Indice
1. Tutto iniziò per caso…
2. Estate romana
3. L’accordo nefasto
4. ’Ndrangheta e matriciana
5. La dolce vita di Paul
6. Roma bastarda
7. Probabilità e imprevisti
8. Scherzi pericolosi
9. Calma piatta
10. In montagna
11. Messaggi e telefonate
12. La seconda comunicazione
13. Quindici minuti di notorietà
14. Nei boschi dell’Aspromonte
15. Amico gruccione
16. Andare a quaglie e prendere fagiani
17. L’intervista televisiva
18. Arte e sentimenti
19. Entra in scena la CIA
20. Date retta ar Bora
21. Verso la grande grotta
22. L’idea di Giacinto Alagna
23. Il coraggio non lo puoi comprare
24. Il caso del giornalista Jack Begon
25. Cuore di ghiaccio
26. Ultimatum scaduto
27. I maiali di Cardamone
28. Ai confini della civiltà
29. Colazione fatale
30. Un espresso al «Messaggero»
31. Dalla farsa alla tragedia
32. La taverna di Ponte Sisto
33. Il barattolo sull’autostrada
34. Lettere dall’Aspromonte
35. La battuta di caccia
36. La taglia da un milione di dollari
37. Il prestito al tasso corrente
38. Si può sciogliere un cuore di ghiaccio?
39. Tre sacchi di vergogna
40. A un passo dalla libertà
41. Finalmente libero
42. La fine di un incubo
43. La vita continua
1
Tutto iniziò per caso…
Roma, 15 giugno 1973
L’idea venne a Sarchiapone
. Era il più grosso della batteria, nel senso di grasso. Superava i cento chili, ma il soprannome, che ricordava l’inquietante e misteriosissimo animalaccio dello sketch di Walter Chiari, che in quel periodo spopolava in televisione, non gli derivava dalla sua stazza, bensì da un consistente apparato preposto al piacere. Sarchiapone divideva con la nonna un banco di frutta e verdura a Campo de’ Fiori, all’ombra della statua del domenicano mandato al rogo. E fu avvolgendo un cartoccio di fagiolini in un foglio di «Paese Sera» che gli venne il lampo di genio. Lui i giornali non li leggeva mai, al massimo gli capitava di scorrere i titoli del «Corriere dello Sport» quando giocava la Roma, ma quella mattina un titolo attrasse la sua attenzione. Diceva: Scontri all’
EUR
per bloccare il congresso missino, e il catenaccio sottolineava: Arrestato Paul Getty, il nipote dell’uomo più ricco del mondo, per aver lanciato una molotov contro la polizia
. Era la prima volta che sentiva nominare quel tizio, ma la cosa che più lo colpì fu l’espressione uomo più ricco del mondo
. La donna che stava aspettando i fagiolini lo fece tornare alla realtà: «A’ Nino!», a Roma, specie a Trastevere, si chiamano tutti in quel modo. «Ma che te sei imbambolato? Me li voi dà ’sti faggiolini?»
«E datte ’na calmata, Nina!», le rispose arricciando il vertice del cono di carta. «Eccoli i faggiolini, bell’e freschi. So’ dell’orto nostro. L’avemo colti stamattina, vero no’?».
La nonna, un’arzilla donnona ultrasessantenne, annuì continuando a tagliare l’insalata, quella non proprio fresca di giornata
, immergendola nel catino pieno d’acqua. «So’ boni, signo’, come mi’ nipote!», gorgheggiò cantilenando.
Quella sera Sarchiapone s’incontrò con gli amici a piazza Farnese per fare due tiri a palletta
, rito irrinunciabile prima di andare a cena. Lui lo mettevano sempre in porta. Con Sarchiapone c’erano Bavoso
, le labbra sporgenti viola e gli occhi allampanati per una malattia congenita. Ogni volta che parlava sparava saliva. Topo Gigio
lo riconoscevi per le orecchie a sventola e perché era piccolo proprio come il suo omonimo; poi c’era Ferce Azzurra
, il suo problema era l’igiene… Findus
, freddo come il ghiaccio anche nei momenti più critici e Dalmata
, allergico al sole, bianco come un lenzuolo e pieno di nei, erano gli ultimi due amici che formavano la batteria di Ponte Sisto. Avevano tutti un’attività: chi ai mercati generali, chi aiutava lo zio dietro il bancone di un bar, chi lavorava in tipografia. Ma il grosso della grana se lo procuravano con furti poco rischiosi, truffe a persone anziane, furti nelle abitazioni, scippi… insomma le attività tipiche della piccola manovalanza criminale romana. L’azione più eclatante della batteria di Ponte Sisto era stata il furto di un camion che trasportava venti forme intere di parmigiano. Ne avevano regalato alcuni quarti alle famiglie amiche e il resto lo avevano svenduto ai commercianti dei mercati del quartiere, guadagnandoci quasi cinque milioni di lire. Quello era stato il colpo della loro vita, almeno fino a quel momento.
«Ragazzi, ma voi l’avete mai sentito nominare questo Paul Getty?», domandò Sarchiapone quando si fermarono per bere alla fontanella della piazza.
«Il nonno è l’uomo più ricco della terra», affermò Dalmata, che era sempre informatissimo e il più istruito di tutti, avendo terminato le scuole medie; non per altro lavorava nella tipografia del cugino.
«Ma vive qui a Roma?», continuò a chiedere Sarchiapone.
«Io l’ho visto», ribatté Dalmata. «Frequenta gli hippy di piazza Navona. È un roscio, pieno de lentiggini, un capellone. Vende quadri davanti ai 3 Scalini
… Certa monnezza… Fanno ribrezzo».
«C’ha er nonno che è Paperon de’ Paperoni e lui vende croste?», domandò perplesso Ferce Azzurra.
«Dice che i soldi dell’antenato je fanno schifo», disse Dalmata che sembrava molto informato.
«E tu come fai a sapé tutte ’ste cose?», gli domandò Topo Gigio.
«Mica so’ ignorante come voi», si vantò Dalmata. «Io giro, m’informo, faccio domande».
«È arrivato Mike Bongiorno», ironizzò Ferce Azzurra. Gli altri sorrisero per compiacerlo.
«Eppoi c’è ’n’amico mio che lo frequenta. Je venne ’a robba», rivelò Dalmata con fare confidenziale. «Me dice che lui e i compagni sua stanno sempre a spippettà e a tirà su de coca».
«Se vede che c’ha li sordi. Per prende’ quella bisogna fà un mutuo», rifletté Topo Gigio.
«Ma perché t’interessa tanto quel ragazzino?», domandò Dalmata a Sarchiapone.
«M’è venuta ’na mezza idea», rispose misterioso il ciccione.
«Sputa il rospo Sarchiapò», fece Dalmata.
«Quando Sarchiapone ha una mezza idea, bisogna ascoltarlo in religioso silenzio», disse finalmente Findus, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, perché lui preferiva ascoltare, piuttosto che parlare a vuoto come facevano i suoi amici. «L’ultima volta che ci ha detto la sua mezza idea se n’è uscito con la dritta del parmigiano. Allora Sarchiapò, qual è ’sta tua mezza idea?».
Gli amici si raccolsero attorno al grassone che in quel momento godeva ad avere l’attenzione dei suoi compagni. Era un modo per dimenticare la sua condizione di ciccia-bomba-cannoniere
, un ritornello che l’aveva tormentato da quando era ragazzino. In questi momenti si sentiva il saggio della montagna.
«Gente come quella dovrebbe avere ’na paranza de guardie del corpo intorno, pe’ proteggela dai malintenzionati», iniziò a spiegare. «Quel tizio invece se ne va in giro a lancià le molotov, mischiato agli scicchettoni della sinistra extraparlamentare. Non pensate che potrebbe esse’ ’na preda facile? Sequestrarlo sarebbe una passeggiata di salute. So’ sicuro che il nonno pur de riavello indietro pagherebbe qualsiasi cifra. E il sequestro di Paul Getty passerebbe alla storia come il rapimento del secolo!».
«Ma vaffanculo, Sarchiapone!», fecero gli amici in coro, voltandogli le spalle.
Soltanto Findus restò in silenzio a riflettere. «Un momento», disse. Lui parlava poco, e quando lo faceva non sparava cazzate. «Avete visto la televisione? Proprio ’na settimana fa i genitori di Mirko Panattoni, per liberà il figlio, hanno sganciato ai sequestratori trecento testoni sull’unghia e ancora nun l’hanno abbottegati».
«Che infami, sequestrà un regazzino di sette anni», commentò Dalmata.
«Ma dici davero?», domandò Bavoso. «Nun penserai sur serio a ’n sequestro?»
«Conosci er Gibbone?», chiese Sarchiapone.
«Quello de piazza della Rovere coi peli così fitti che te ce pòi lavà la Cinquecento?», fece Bavoso.
«Proprio lui», continuò Sarchiapone. «Er Gibbone è calabrese e un giorno al bar di Oreste l’ho sentito parlà de sequestri che certi amici sua stanno a’acchittà in Calabria. Altro che rapinà ’e banche. Quella del sequestro è destinata a diventà l’attività principale delle grosse paranze. Nessun rischio e soldi a palate. Il sequestro de Panattoni è durato poco più di du’ settimane. E poi, tutti felici: la famiglia del rapito perché può riabbracciallo vivo e la batteria perché i soldi l’hanno tolti a chi nun je mancano».
«Ma nun capisco ’ndo’ vòi arivà», continuò Ferce Azzurra che non era poi tanto sveglio.
«Pediniamo per un po’ ’sto Paul Getty», propose con fare da congiurato Sarchiapone. «Scopriamo le sue abitudini, dove va, chi frequenta, dove dorme, dove magna, dove caca, tutto insomma. E quando j’avemo fatto ’a radiografia, vendiamo il piattino a una delle paranze calabresi. Er Gibbone ci farà da sponda. Certo se dovemo accontentà delle briciole, ma mejo che fà piagne’ ’na vecchietta portandoje via la pensione… che ve ne pare dell’idea?».
Gli amici discussero a lungo sulla questione sollevata da Sarchiapone. In effetti il sequestro di persona, come attività criminale organizzata, fino a quel momento aveva attecchito soltanto in Sardegna, dove bande di pastori ne avevano messo a segno alcuni che avevano fruttato molti milioni. Gli apparati di sicurezza e le stesse istituzioni erano impreparati a fronteggiare crimini del genere. Il territorio selvaggio, e conosciuto soltanto dalle popolazioni del posto, era l’elemento fondamentale che aveva favorito l’aumento dei rapimenti. Non a caso il Supramonte sardo fu il teatro della maggioranza dei sequestri, anche quelli organizzati nel Nord Italia.
L’intuizione di Sarchiapone venne accolta con entusiasmo da Findus, Topo Gigio e Dalmata, mentre Ferce Azzurra e Bavoso restarono perplessi e freddi sulla proposta, perché la reputavano troppo azzardata per le loro modeste possibilità logistiche.
Gli altri invece decisero di sposare l’idea di Sarchiapone e dalla sera successiva si misero a pedinare il giovane Paul Getty.
2
Estate romana
Trastevere in quel periodo pullulava di artisti. Erano gli anni in cui tutti sentivano dentro di sé ardere il sacro fuoco dell’arte. Tutti erano pittori, poeti, scrittori, registi, sceneggiatori, geni, tutti vivevano come bohémiens, tutti erano amici per la pelle di tutti, magari senza conoscerne neppure il nome. Chi aveva la fortuna di possedere un buco di casa dove vivere in piena autonomia, lontano dai genitori, o anche una maleodorante cantina da adibire a casa-studio, era ricercatissimo dai coetanei che si passavano il nome e l’indirizzo. La maggioranza di quegli artisti
che affollavano la direttrice piazza Navona-Campo de’ Fiori-Santa Maria in Trastevere-piazza San Cosimato, erano dei sognatori frustrati. Molti, se andava bene, facevano una comparsata nei film di Edwige Fenech e Gloria Guida. Gli aspiranti Picasso invece ricopiavano le cartoline dei monumenti romani per venderle come quadri sulla scalinata di Trinità de’ Monti o a piazza Navona. Erano tutti alla ricerca spasmodica del sistema per arrivare a sera con qualche spicciolo in tasca da poter spendere in una trattoria, in una delle bettole del quartiere o per un quartino di roba. Molti, quelli che possedevano un po’ di manualità, s’ingegnavano a modellare, con del fil di ferro e perline colorate, bigiotteria in stile etnico da vendere alle turiste. Quando proprio non si riusciva a mangiare per un paio di giorni di fila, allora si ritornava a casa dei genitori a supplicare un po’ di comprensione dalle madri; mai però dai padri, con i quali il conflitto era perenne.
Paul Getty, il nipote dell’uomo più ricco del mondo, anche se era originario degli Stati Uniti, poteva essere considerato un romano, avendo vissuto nella capitale, sin dall’età di otto anni, al seguito della madre divorziata.
Paul, come gli altri suoi amici di strada, viveva apparentemente come un poveraccio, ma nella sostanza le sue origini di privilegiato gli erano rimaste appiccicate alla pelle. All’età di sedici anni, era uno che passava da un bar all’altro su una Ducati Scrambler 150. Ma nei suoi sogni c’era una Yamaha 350 che sarebbe stato il regalo dei suoi genitori al compimento dei diciotto anni. Nella stessa serata entrava e usciva dai night più alla moda, senza disdegnare quelli più popolari, come fosse un cliente abituale. Organizzava viaggi senza la minima preoccupazione di carattere economico e riceveva inviti a ricevimenti o a weekend da trascorrere in crociera, da parte delle numerose amiche e degli amici della buona borghesia frequentati dalla madre. Ma Paul preferiva circondarsi di persone di classe sociale più popolare, e sempre in una cornice esotica, pittoresca, hippy, dove le ragazze fossero ricercate nel vestire e sempre all’ultima moda.
Dopo un breve periodo trascorso nell’atelier di un pittore, al quale la madre Gail aveva chiesto il favore di ospitarlo, la prima vera tana in cui trovò rifugio fu la cantina di Michele, un pittore abruzzese, anche lui trasferitosi a Roma per vivere l’atmosfera artistica che si respirava nella capitale. Si conobbero sulla scalinata di Trinità dei Monti, dove spesso i ragazzi esponevano i loro quadri o gli oggetti d’artigianato. Michele si offrì di ospitarlo a casa sua e da quel giorno la cantina di vicolo del Porto divenne uno dei suoi ricoveri abituali. Qui Paul aveva trovato quello che aveva sempre sognato: la libertà di poter disporre della propria vita. Era il sogno di tutte le fanciulle e dei ragazzi che affollavano la comune del pittore a ogni ora del giorno e della notte. Le ragazzine aspiravano a diventare fotomodelle come Veruschka, i ragazzi fotografi come David Hemmings. Il film di Antonioni, Blow Up, aveva scatenato la fantasia e il desiderio di emulazione dei giovani dell’epoca. Tutti erano ugualmente impegnati nella sinistra extraparlamentare e accoglievano i nuovi venuti come tanti vecchi amici. Le unioni potevano durare una serata e poi sfumare per sempre tra il profumo di sandalo che impregnava le coperte e i sacchi a pelo della cantina. E con le medesime effimere modalità, le improvvise separazioni sentimentali venivano accettate senza traumi. Questo era il risultato della rivoluzione sessuale dei mitici anni Settanta.
La frenesia di quel periodo aveva influenzato anche due gemelle francesi. Avevano ventiquattro anni quando decisero di trasferirsi a Roma, la capitale mondiale della dolce vita. Marianne aveva una vaga somiglianza con la protagonista dell’Ultimo tango a Parigi, Maria Schneider, stessi ricci e stesso ovale del viso, ed era pragmatica e più razionale della sua gemella Jennie. Entrambe erano ben determinate a prendere a morsi la vita, gettandosi in ogni esperienza esistenziale, senza pentimenti o remore morali. Avevano entrambe un matrimonio fallito alle spalle e Marianne anche una dolce bambina che trascinava da un appartamento all’altro, senza mai farsi il problema ad affidarla a gente sconosciuta. Un giorno la nonna, saputo lo stato precario in cui cresceva la nipotina, andò a prendersela per portarla in salvo a Le Havre, in Normandia. L’obiettivo delle gemelle era elementare: trovare uomini facoltosi, inseriti nel jet-set o nel mondo dell’arte per vivere nella società che conta. Andava bene chiunque: pittori, attori, registi, scrittori purché affermati e con i soldi, che potessero dispensarle dall’incombenza di un lavoro massacrante e ripetitivo. Le due gemelle venivano da una famiglia povera e non volevano fare la fine dei loro genitori. Per questo erano perennemente alla ricerca di feste e si autoinvitavano a ricevimenti frequentati da gente benestante. Erano due bombe sexy, decise a scalare la montagna della vita, anche se il prezzo era lasciarsi alle spalle il cadavere di qualcuno troppo ingenuo.
Paul Getty non era mai stato uno studente modello. Fino a quel momento sette scuole di prestigio avevano fatto a meno della sua retta, pur di non sopportare più le sue intemperanze. Con i professori era arrogante, perché li considerava al suo servizio e con i compagni non riusciva a legare, ritenendoli troppo immaturi rispetto alla sua esperienza. La sicurezza di una famiglia potente alle spalle gli dava la certezza che tutto gli era dovuto e che poteva fare tutto ciò che gli saltava in mente. Alla St George’s British International School di Roma, l’ultimo liceo frequentato, prima di essere espulso anche da lì, aveva conosciuto Margy Spencer, una ragazzina di diciotto anni, più inaffidabile e scriteriata di lui. Agli appuntamenti lei si presentava con ritardi di ore oppure non si presentava affatto, accampando le scuse più inverosimili. Fu un rapporto burrascoso che si esaurì spontaneamente, così, per stanchezza. Fino a quel momento nessuno dei compagni hippy sapeva chi realmente fosse Paul Getty, anche se incuriosiva il fatto che avesse una moto di quella classe, invidiata da tutti i coetanei. Fu quando uscì l’articolo sulla manifestazione contro il congresso dell’
MSI
che divenne famoso presso i suoi compagni. In realtà, come spiegò anche al commissario, lui si trovava lì, al centro della manifestazione, perché stava facendo il filo a una ragazzina con le trecce impegnata in un gruppo extraparlamentare. Oltretutto le sue idee politiche erano piuttosto confuse. In fondo, di quello che stava accadendo nel mondo, non è che gliene fregasse un granché. Viveva quella vita, assaporandone l’avventura, il contatto con ragazze libere, che poi erano tutte più grandi ed emancipate di lui; qualcuna anche con ex mariti e figli al seguito. Ma per lui i problemi non esistevano, non erano mai esistiti, perché gli esempi che aveva ricevuto dalla propria famiglia erano esempi di assoluto disimpegno: i problemi non andavano affrontati, ma semplicemente aggirati o scavalcati. Insomma, che li risolvessero gli altri, lui pensava a vivere alla giornata. Al centro dell’universo c’era Paul, lui era il sole, tutto il resto era noia, pianeti spenti. Questo suo modo di concepire i rapporti umani non era molto affascinante per le ragazze, che alla lunga decidevano di piantarlo. Ma quelli erano i tempi dei rapporti mordi e fuggi
e nessuno ne faceva un dramma. Per Paul in particolare valeva la massima del chiodo scaccia chiodo
, per cui, terminata anche l’avventura con la ragazzetta con le trecce della sinistra extraparlamentare, cominciò a flirtare con una francese soltanto perché una sera, nella cantina di Michele, se l’era ritrovata vicina di letto. Se ci fosse stata un’altra, sarebbe stata la stessa cosa.
«Come ti chiami?», le chiese Paul, mentre uno dei coinquilini depositava un 45 giri sul piatto del Lesa, lo stereo appena acquistato dal padrone di casa. Nello stanzone si diffusero le note di Stand By Me cantata in modo struggente da Ben E. King.
«Mi chiamo Marianne e vengo dalla Normandia», disse passandogli una canna.
Paul fece qualche tiro e gliela ripassò. Conosceva bene quell’effetto soporifero perché il padre aveva iniziato a farglielo provare già due anni prima, quando aveva appena quattordici anni. Gli piaceva quella ragazza dai capelli arruffati, il bel viso morbido, gli occhi verdi. Marianne era disinibita, vestiva come una vera hippy ed era più anziana di lui di otto anni.
«Non ti ho mai visto da Michele», gli disse lei, facendo un tiro profondo alla canna e lasciando poi uscire il fumo lentamente dalle labbra carnose.
«Ti va di fare l’amore?», le chiese dolcemente Paul, scostandole il ciuffo di capelli castani che le erano caduti davanti agli occhi nel movimento di ridargli la paglia.
«Perché no?», rispose con semplicità la giovane. A uno con quel viso da cherubino non si poteva negare nulla.
Nella cantina, oltre a Michele, c’erano altri quattro compagni che avevano chiesto ricovero per quella sera. Nonostante fossero le due di notte, fumavano e ascoltavano musica a tutto volume, sdraiati a terra su grandi cuscini, senza parlare tra loro, isolati in un nirvana in cui immagini di piacere si mescolavano alla musica e al forte odore di marijuana.
Michele aveva preso i suoi colori a olio e li stava impastando per iniziare a imbrattare una delle sue tele. Paul invece si spostò entrando sotto il pareo di Marianne, lei si girò di schiena e così si unirono arrivando rapidamente all’orgasmo.
La mattina successiva Paul la portò con la moto al vicolo della Pace a fare colazione. A Trastevere la primavera è spettacolare e molto romantica per due innamorati perché l’aria è già tiepida, i balconi traboccano di piante multicolori in fiore e i vicoli sono popolati di gente sempre allegra, che ha voglia di parlare e di raccontarti i fatti propri. Al bar della Pace, tra un cornetto, una tortina di visciole e un cappuccino, i due approfondirono la loro conoscenza.
«Se non usciva quell’articolo, nessuno di noi poteva immaginare che tu fossi il nipote di Paul Getty», gli disse Marianne addentando la fetta di torta.
«Preferivo che non si venisse a sapere. Anche perché i soldi di mio nonno mi fanno schifo. Il mio futuro me lo costruirò da solo», replicò deciso Paul.
«Questo ti fa onore. Ma i soldi non fanno mai schifo».
«Tu che fai per vivere?»
«Io ho una gemella, Jennie. Poi te la presenterò», rispose la ragazza. «Con lei in Francia cinque anni fa abbiamo fondato una comune. Siamo impegnate politicamente. Io scrivo e a volte mi chiamano per posare come fotomodella. Ho fatto anche qualche film come attrice. Il mio sogno è diventare regista. Potresti finanziare il mio primo film», propose lei strizzando l’occhio.
Paul sorrise. «Non ci provare. Ti ho già detto che non ho un soldo».
«Come puoi mantenere allora quel mostro di motocicletta?», gli chiese indicando la Ducati.
«Di tanto in tanto faccio qualche affaruccio», minimizzò lui.
«Non mi dire che spacci».
«Certo che no. Anche se ti confesso che qualche proposta in merito l’ho già avuta da qualche amico che spinge la coca. Tutti vogliono fare qualcosa con me. Ma non mi sporco le mani per pochi spicci. Tu, invece, hai progetti con la tua gemella?», le chiese per cambiare discorso.
«Io e Jennie abbiamo un sogno». Marianne socchiuse gli occhi ispirata. «Sotto
LSD
entrambe abbiamo fatto un incontro. La luce di una divinità ci ha incaricate di compiere una missione: quella di conciliare nel mondo la spiritualità e il denaro». Riaprì gli occhi e, vedendolo scettico, gli accarezzò la mano. «Tu non credi che sia