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Serenity Hill
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E-book352 pagine5 ore

Serenity Hill

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Info su questo ebook

Casa Baker è la costruzione più antica di Harmony, piccolo borgo del Vermont. Sita sulla Serenity Hill, dirimpetto al cimitero, deve la propria fama al suo oscuro padrone: Hollis Baker.

In città tutti conoscono la storia di casa Baker e se ne tengono alla larga. Tutti tranne un ragazzino, Brian Mitchell, che durante la notte dell'Halloween si rifugia tra le mura della vecchia dimora per sfuggire al bullo locale e risveglia qualcosa che da tempo dormiva...
LinguaItaliano
Data di uscita8 nov 2019
ISBN9788831642576
Serenity Hill

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    Anteprima del libro

    Serenity Hill - Gaetano Russo

    633/1941.

    1

    Mezzanotte.

    L’ora delle streghe.

    L’ora in cui i non morti divelgono i coperchi delle bare per uscire dal loro sonno putrido e tormentato.

    Le luci delle abitazioni sono accese da un pezzo a illuminare graziosi e accoglienti portici. La strada è deserta, cosa non certo insolita vista l’ora. Ci si potrebbe stupire se fossimo in una grande città, come New York, ma la graziosa cittadina di Harmony, Vermont, non è New York e non lo sarà mai. Qui l’unica cosa che resta in piedi oltre la mezzanotte è la fiera di paese, nella quale puoi ritrovare più o meno tutta la popolazione, dal capo dei vigili del fuoco al parroco congregazionista. Tutti i negozi chiudono alle otto in punto, così come l’ufficio postale.

    Il municipio, una forma squadrata nell’oscurità, domina il centro della cittadina come un idolo che sorvegli i suoi adepti. Nelle ore diurne lascia del tutto indifferenti ma a quest’ora, per chiunque si avventuri nei dintorni, è una sagoma abbozzata dalle mani di un pazzo su uno sfondo di nera tenebra.

    Quando è fiocamente illuminata come stanotte, la grossa chiesa congregazionalista assume le sembianze di un luogo perverso e lontano dalle smanie religiose. Con l’oscurità incipiente, i consolidati vessilli religiosi diventano tetri spauracchi disarmonici, assai distanti dal loro comune senso di quiete. L’imponente campanile si inerpica verso il cielo nel tentativo di raggiungerne l’immensità, scandagliando quella tenebra come un dito alla ricerca di un improbabile contatto ultraterreno. Il parco cittadino alle spalle della chiesa è una macchia indistinta. Al mattino è pieno di vita, ora è solo una distesa bruna di vegetazione che si apre sotto lo sterile volto lunare.

    Sul lato ovest, dove il cimitero si dipana in tutta la sua lugubre estensione, è assiepata casa Baker, la più antica costruzione della città. Da quasi un secolo se ne sta accoccolata sul rigonfio pendio della Serenity Hill come un gargoyle sul suo ceppo di pietra. Qualcuno sussurra sia sorta prima del cimitero, e pur avendo difficoltà nel dar retta a simili chiacchiere da comari, questo spiegherebbe il perché la costruzione più antica di Harmony sorga dirimpetto al camposanto.

    Un cono di luce si spande e l’occhio lunare sospeso sopra casa Baker rivela la vera natura della Serenity Hill: un ventre gravido e corrotto. E casa Baker ne è il parto mostruoso.

    All’ombra di un cipresso, lontano da sguardi indiscreti, una sagoma nera scruta il paesaggio. Sicura e insospettabile se ne sta immobile mentre il soprabito, tirato sino al naso, la avvolge come il bozzolo un bruco. Dal suo avamposto gode di un’ottima visuale, e le è permesso di spaziare lungo tutta la Main Street.

    La tetra figura sorride e poco lontano, nel camposanto, una lapide s’inclina. Poi mostra il viso al cielo. Alla pallida luce della luna le fosche iridi si illuminano di un sinistro bagliore, e il grande faccione lunare sembra nascondersi quando un banco di nubi le passa davanti.

    Un frullio convulso scuote l’aria, ma la sagoma non batte ciglio. La sua attenzione è fissa su un’abitazione in particolare: una casa con la cassetta della posta a forma di pallone da football. La civetta si posa sul ramo più basso del cipresso, si guarda intorno e riprende il volo, forse alla ricerca di un succulento roditore.

    Nell’aria viaggia una strana quiete, di quelle che spesso precedono gli eventi più ridondanti.

    E mentre la cittadina di Harmony dorme placida, un’ombra si fonde con l’oscurità incipiente come il tassello mancante di un osceno mosaico.

    2

    Come da tradizione, Brian Mitchell aspettava di compiere il giro del quartiere per quella che era la più folcloristica ricorrenza americana: il rituale del dolcetto o scherzetto. La vigilia d’Ognissanti era il suo giorno preferito, ma non il solo. Diciamo che se la giocava alla pari con il Natale. La differenza stava nel fatto che quella festa pagana appagava non solo la sua iperbolica golosità, ma anche le sue smanie da discolo. Finalmente una festa che gli permetteva di rimpinzarsi di mele caramellate e cioccolatini assortiti fino a scoppiare e di sfogare la frustrazione verso quei compagni di classe che ti rendevano la vita impossibile, come quel Mark White, tanto per citarne uno.

    Abitava tre isolati più giù lungo la Main Street e frequentava la stessa classe di Brian. Era il classico somaro in agonia durante le ore di lezione. Ogni classe ne ha uno, e se non ce l’ha dovrebbe averlo per il solo fatto di rendere l’istruzione un valore aggiunto agli occhi dei meno diligenti. Scaldava la sedia dell’ultimo banco in fondo alla classe, aspettando la campanella dell’intervallo per girare in cerca dello sventurato di turno da tormentare. Di solito non faceva differenza chi fosse, ma anche Mark aveva le sue preferenze. E sfortuna voleva che Brian fosse la sua prima scelta.

    Quel bestione analfabeta gli soffiava i soldi del pranzo e lo spintonava finché non si vedeva consegnare fino all’ultimo centesimo. Se Brian gli diceva di non avere più denaro, lui lo minacciava che se lo avesse visto comprare anche solo una caramella l’avrebbe appeso per i piedi e lo avrebbe usato come una pignatta. E c’era da giurare dicesse il vero. Era grosso il doppio di Brian, e per essere un quattordicenne era molto più alto della media dei suoi coetanei. Tutti, professori a parte, ne erano intimoriti e cambiavano volentieri strada quando lo incontravano per i corridoi della Yard School. Mark spadroneggiava al pari di un monarca. E si sentiva un po’ così, come il governante di un regno di mocciosi renitenti ai quali elargiva con equanime magnanimità la grazia dell’indifferenza o la collera della stolidità.

    Ma quella sera sarebbe cambiato tutto. Brian aveva in mente uno scherzetto niente male per il suo amico Mark, e sarebbe stata una vendetta del tutto lecita. Sì, perché per una sera ogni singolo ragazzino americano era legittimato a terrorizzare il suo vicino di casa e a bombardare qualsiasi abitazione dalla quale non avesse riscosso il compenso pattuito. Dolcetto o scherzetto non era solo un semplice ritornello da recitare a memoria come la preghiera serale. Era un patto vincolante, e se il cestino dei dolciumi saltava anche una sola porta, fosse pure quella del papa in persona, le conseguenze te le portavi appiccicate alle finestre per un bel po’.

    Brian si sporse fuori dell’uscio per assicurarsi di non essere disturbato. Quella peste di sua sorella era sempre tra i piedi. Se si distraeva un attimo se la ritrovava alle calcagna come un terrier che fiuta la selvaggina.

    Sembrava tutto tranquillo.

    Bene, così non avrebbe avuto problemi, dato che Carolyn aveva la consolidata abitudine di fare la spia su qualunque cosa lo riguardasse.

    Chiuse la porta sforzandosi di fare meno rumore possibile mentre faceva scattare la serratura. Si fermò ai piedi del letto assaporando per un istante il suo piccolo segreto. Si chinò e cominciò a tastare le assi di legno alla cieca, senza trovare quello che stava cercando. Il cuore ebbe un sussulto e Brian cominciò a sentirsi accaldato mentre le sue dita indagavano le doghe. Doveva essere lì, ce l’aveva messo lui ed era sicuro di averlo fatto lontano da occhi indiscreti.

    E se sua sorella, o peggio ancora sua madre, l’avevano trovato? Non avrebbero avuto nessun motivo per guardare lì sotto, però...

    Forse sua madre. Da fissata per le pulizie qual era poteva aver ribaltato il materasso e trovato il suo nascondiglio segreto. Già la vedeva mentre gli diceva con quel suo tono equanime che dovevano parlare.

    Le dita sfiorarono qualcosa e proseguirono, si fermarono, tornarono indietro e serrarono qualcosa di freddo e liscio. I battiti rallentarono e la calura febbricitante si affievolì. Tirò verso il basso e lo scotch venne via con un sonoro straaaaatch!, portandosi dietro il piccolo oggetto e incollandolo al palmo di Brian. Si liberò la mano dallo scotch e rimase a fissare la piccola arma.

    Si trattava di un coltello a scatto. L’aveva acquistato dopo essere stato derubato e malmenato per l’ennesima volta da Mark Pachiderma White. Il commesso del negozio, un tipo con più brufoli che cervello, gli aveva fatto storie, ma quando Brian aveva posato sul banco venti dollari in biglietti da cinque, il giovane li aveva fatti sparire senza dire una parola. Poi aveva preso dalla vetrina il coltello che Brian gli aveva indicato, l’aveva poggiato sul bancone e si era girato di spalle aspettando quel tanto da far capire a Brian che la trattativa era andata a buon fine.

    Brian se lo rigirò tra le mani come se stesse maneggiando una granata, cincischiando con il pollice sul bottoncino che faceva scattare la lama. Lo pigiò. La lama guizzò fulminea e Brian la carezzò sfiorandone la punta ruvida e leggermente consumata. Per venti dollari non poteva certo permettersi di fare lo schizzinoso.

    «Briaaaaaaaaaaaan!»

    Sussultò con tale sorpresa che quasi rischiò di conficcarsi la punta nell’indice.

    «Briiiiiiiiii!»

    Richiuse rapidamente la lama, si catapultò alla scrivania e aprì un cassetto. Iniziò a rovistare freneticamente tra la marea di cianfrusaglie alla ricerca il nastro adesivo, senza peraltro trovarlo, quindi richiuse con uno sbuffo di frustrazione lo scomparto superiore e ripeté l’operazione con quello inferiore.

    «Oh Briiiiiiiii!» cinguettò ancora una volta la voce, ora più vicina.

    Corse ai piedi del letto, raccolse la striscia di nastro adesivo usata e la riavvolse attorno al manico pregando che tenesse. Si inginocchiò carponi per terra e cercò di ricollocare il coltello con risultati poco entusiasmanti. Il primo tentativo andò a vuoto: il coltello restò attaccato alle doghe per circa due secondi prima di ricadere accompagnato da un sommesso fruscio.

    Provò ancora e ci riuscì, ma poi, proprio mentre stava per ammainare le preoccupazioni, il coltello venne giù e nell’impatto col pavimento la lama guizzò fuori. Brian si sporse e lo raccolse lasciandosi sfuggire una mezza imprecazione. L’avesse pronunciata alla presenza di sua madre si sarebbe ritrovato con un bel tatuaggio delle sue cinque dita impresso su una guancia.

    Rumore di passi oltre l’uscio.

    Brian strisciò sotto il letto e si sdraiò a pancia in su lasciando fuori i piedi nella comica caricatura di un meccanico e, tenendo il coltello per le due estremità, vi applicò una pressione prolungata. Nella fretta si era dimenticato di ripiegare la lama all’interno del manico, ma non se ne diede peso.

    Proprio quando pensava di aver trovato il sistema giusto, il pomello fece un mezzo giro incontrando la resistenza della serratura.

    «Ehi! Perché sei chiuso dentro, Bri?» chiese dall’altro lato una voce querula.

    Era Carolyn, naturalmente.

    «Va’ via», le intimò. «Sono impegnato.»

    «A far che? A guardare le riviste sporche?» cinguettò sorniona.

    «Vattene, Carolyn, o ti prendo a schiaffoni», minacciò Brian, anche se era tutt’altro che nella posizione di avanzare minacce.

    «E io dico alla mamma che ti chiudi in camera a guardare le riviste sporche», cantilenò Carolyn con una punta di malizia non estranea al gentil sesso neanche in così tenera età.

    Brian sbuffò dal naso come un toro inferocito. Quella piccola peste sapeva sempre come rovinargli la festa.

    Ora pareva che il nastro adesivo avesse attecchito, anche se non sapeva dire quanto avrebbe retto. Nella frenesia di poco prima aveva pensato di cambiare il coltello semplicemente di posto, ma dei nascondigli vagliati nessuno gli pareva a prova di Carolyn.

    Staccò lentamente le mani e si tranquillizzò un tantino nel costatare che il suo piccolo trinciapollo (già pensava di ribattezzarlo trinciaMark) aveva tutta l’aria di volersene restare al suo posto. Emise un sospiro di sollievo e scivolò fuori.

    «Okay, allora vado dalla mamma», disse Carolyn.

    «Aspetta, ora ti apro», grugnì Brian.

    Aprì la porta e se la ritrovò davanti. Indossava un abitino rosa candido e aveva una treccia bionda che le scendeva dietro la schiena.

    «E chi saresti?» volle sapere Brian.

    «Sei proprio un ignorante», sibilò lei. «Sono Raperonzolo

    «Oh! È vero, non l’avevo riconosciuta», fece Brian fingendo di aver capito, e lei parve rasserenarsi.

    «Ho bisogno del nastro adesivo, la treccia continua a staccarsi dalla parrucca.» Lanciò lo sguardo oltre Brian, che subito si sovrappose chiudendole ogni spiraglio.

    «Te lo porto non appena ho finito. Ora sparisci.»

    Carolyn, che sapeva quando era il momento di battere in ritirata, valutò saggiamente che quello era senz’altro uno di quei momenti. La pazienza del fratello non era infinita, e lei ne aveva già abusato.

    «Okay, ma se non me lo porti vado dritta dalla mamma e le dico che...»

    Per tutta risposta Brian le sbatté la porta in faccia, troncando il flusso di parole prima ancora di coglierne il senso.

    «Impicciona», grugnì, e si rese conto di aver avuto un’idea nel momento stesso in cui aveva visto il costume dell’Halloween di Carolyn.

    Aspettò di sentirla sgambettare giù per le scale e, quando giudicò fosse andata via, tornò a sincerarsi che il suo piccolo segreto fosse ancora al suo posto.

    Era dove doveva essere.

    Lo rimosse e si diresse verso l’armadio a muro, fece scorrere la porta a specchio e infilò il coltello nella fondina del suo costume da cowboy, occultandolo dietro la pistola giocattolo come meglio poteva. Si allontanò di qualche passo per dare un’occhiata. Ripiegato, il coltello era più piccolo della pistola, oltre che dello stesso colore del calcio dell’arma giocattolo, e a parte qualche piccola screziatura si mimetizzava bene. Bastava non toccare la fondina e mostrarsi disinvolti. Poi, quando avesse avuto a tiro Mark White...

    Cosa avrebbe fatto? Non aveva un piano preciso.

    Tanto per cominciare, il pensiero di essere in strada, alla presenza di decine di bambini e di genitori vigili, non l’aveva minimamente sfiorato. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era ritrovarsi a dover dare spiegazioni ad un agente allertato da uno di quei genitori.

    Se voleva un faccia a faccia con Mark White doveva far in modo che avvenisse in un luogo appartato, lontano da occhi indiscreti e, cosa più importante, in un luogo che gli offrisse ampi spazi di manovra. Così, se qualcosa fosse andato storto, avrebbe potuto contare su di una facile ritirata, e prevedeva di far mangiare la polvere a quella specie di Gulliver in miniatura.

    Fece scorrere l’anta dall’armadio finché un altro se stesso non gli apparve di fronte. Sostò per un momento a contemplarsi nello specchio scorrevole, chiedendosi fugacemente se un bestione come Mark White potesse essere minimamente intimorito da un ragazzino che poteva far volare con la forza dei soli polmoni.

    Si disse che era inutile starci a rimuginare. Non faceva alcuna differenza. Era intenzionato ad andare fino in fondo e non si sarebbe tirato indietro. Dopotutto, che alternative aveva? Continuare a subire le vessazioni di quello spostato fino alla vacanze estive era una di quelle, ma non era contemplabile.

    Si voltò per osservare la fornace che il tramonto aveva instillato nella sua stanza. Di lì a poche ore tutti i ragazzini di Harmony avrebbero inforcato i loro costumi e avrebbero cominciato a bussare ad ogni porta.

    Quel pensiero lo turbò un tantino.

    Decise che un banchetto a base di latte e biscotti era ciò che ci voleva per affogare le preoccupazioni.

    Scese da basso e si diresse in cucina. Sua madre lo beccò mentre si riempiva il bicchiere fino all’orlo.

    «Vacci piano Bri, o ti verrà un mal di pancia ancor prima che te la sia riempita di caramelle», disse Norma.

    «Non preoccuparti, c’è spazio in abbondanza», replicò Brian.

    «Fa’ come credi, ma poi non venire a piangere da me.»

    «Non succederà.»

    Ripose il cartone con il latte in frigo e prese posto a tavola. Mentre mangiava, sua madre prese ad indugiare attorno al tavolo della cucina con fare apparentemente disinvolto. Brian era conscio che quando faceva così era perché cercava il modo migliore per aprire un discorso che sapeva essere poco gradito all’interlocutore, per cui la lasciò fare aspettando che si decidesse.

    Norma prese posto accanto al figlio e iniziò a ammirarsi le unghie smaltate con una nonchalance tale da strappare un sorrisetto molesto a Brian, che comunque fece finta di niente.

    «C’è bisogno che qualcuno accompagni tua sorella per il giro porta a porta di stasera», esordì Norma nel tono distaccato e vagamente rassegnato di chi, già conoscendo la risposta, si prepara a un quarto d’ora di tafferugli verbali.

    Brian, che non voleva problemi quella sera, la stupì rispondendo: «Okay, nessun problema». Quando Norma lo guardò come se fosse impazzito, si affrettò ad aggiungere: «Magari in due ci daranno doppia razione di dolci, e spartendo ce ne sarà di più per entrambi.»

    Norma si trattenne ancora un istante, poi si alzò visibilmente stupefatta per il risultato che evidentemente non si aspettava di conseguire con tanta facilità.

    «Allora vado ad avvisare Carolyn che l’accompagnerai tu stasera», si sincerò Norma.

    «Vai con Dio», rispose Brian, strappando persino un sorriso a sua madre.

    «Ricordati di riportarla a casa per le dieci e mezza massimo se vuoi continuare il giro per conto tuo.»

    «Sissignora.»

    «Ma mi raccomando», disse Norma, e il tono perentorio che assunse portò Brian ad alzare lo sguardo, «non voglio che vi avviciniate a casa Baker.» Brian la guardò come se improvvisamente stesse guardando attraverso una parete trasparente. I suoi circuiti mentali avevano preso a fibrillare. «Dico sul serio, Brian. Dovete starne alla larga. Quella casa non mi piace, è un posto sudicio e cadente, e Dio non voglia ma prima o poi qualcuno si beccherà una tegola in testa.»

    Brian la guardava ma non era lì.

    «Mi hai capito?» chiese Norma.

    «Ho capito», rispose meccanicamente Brian.

    Qualcosa gli scattò dentro come un relè messo in pausa e riavviato d’improvviso, e un’immagine gli balenò di colpo in mente. Pian piano prese forma un’idea.

    Aveva trovato il posto perfetto nel quale tendere il suo agguato.

    Sua madre era stata categorica al riguardo, ma lei non l’avrebbe mai saputo. Si trattava semplicemente di riportare a casa Carolyn per l’ora stabilita, mettere al sicuro il bottino della serata (hai visto mai che la sua adorata sorellina si lasciasse ingolosire) e ripartire alla volta di Mark White.

    E di casa Baker, naturalmente, ma quello in un secondo momento.

    Prima aveva bisogno di un’esca. Qualcosa di irresistibile al quale quel pachiderma non avrebbe saputo resistere. Brian stesso riteneva di essere quel qualcosa, visto che sembrava attirare le ire di Mark come un sacco da boxe i cazzotti, ma non bastava. Quel grassone non l’avrebbe inseguito con la sola prospettiva di prenderlo a pugni. Per quello poteva tranquillamente aspettare il primo giorno utile, quando si fossero riaffacciati nel cortile della scuola.

    C’era bisogno di un incentivo maggiore.

    «Mamma, dov’è la mia sacca per i dolci?» chiese Carolyn dal soggiorno.

    Bingo! Ma certo, ecco come avrebbe attirato Mark White. Doveva arrivare a sottrargli il malloppo, e se con un po’ di fortuna fosse riuscito a beccarlo sul finire del giro, con il cestino pieno, le probabilità di riuscita sarebbero schizzate alle stelle.

    «Sarà nell’ultimo posto dove l’hai lasciata, cara», replicò Norma.

    Ora che aveva messo a posto tutti i dettagli ingollò il suo latte avidamente, sentendolo scivolare giù per la trachea con una certa soddisfazione. Non sembrava per nulla cosciente delle tante domande insolute che non si era posto.

    La verità era tanto evidente quanto scomoda: non aveva previsto tutto. Non aveva previsto un bel niente. Di certo non aveva previsto che quella sua sortita avrebbe decretato la prematura e sconcertante dipartita di Mark White.

    «Brian, hai visto il cestello a forma di zucca di tua sorella?» fece eco sua madre dall’altra stanza.

    «Non ne ho idea», urlò di rimando Brian, e sgattaiolò di sopra accompagnato dai rimbrotti di Norma all’indirizzo di Carolyn su quanto la piccola fosse disordinata e smemorata.

    Prima di asserragliarsi nella sua stanza gli giunsero i lamenti di Carolyn ridotti a bisbigli ovattati.

    Normale amministrazione in casa Mitchell.

    * * *

    Non riuscì a chiudere occhio. Non che ne avesse bisogno. Se hai dodici anni e la voglia di andare a letto ti prende alle sei del pomeriggio, vuol dire che hai dei problemi. Però gli avrebbe fatto comodo, se non altro per resettare il cervello. Aveva ingannato l’ansia dell’attesa ascoltando un po’ di musica, e quando aveva acceso la radio beccando inaspettatamente Alice Cooper che cantava che la scuola era saltata in aria, si era baloccato all’idea della Yard School che esplodeva in mille coriandoli di cemento. Magari con Mark White all’interno.

    Quando arrivò l’ora di uscire si sentiva come un pupazzo a molla a cui fosse stata data troppa carica. Era talmente teso da aver dimenticato persino la nuova sistemazione del coltello e quando aveva indossato i calzoni corredati di cinturone, cartucce annesse e pistola al seguito, il suo vergognoso segreto era scivolato fuori, finendo sul pavimento. Brian si era immobilizzato, fissandolo inebetito, come se quell’oggetto inanimato gli stesse comunicando una verità che solo lui poteva comprendere.

    Lo aveva raccolto con un certo cruccio, convinto di aver sorvolato su qualcosa di importante, un messaggio diretto a lui e a lui soltanto.

    Più il momento si avvicinava, più sentiva il dubbio insinuarsi. Tutte le motivazioni che lo avevano spinto ad entrare in quel negozietto sulla Main Street sembravano appartenere a qualcun altro. Mai come in quel momento vedeva le cose con chiarezza. Era svuotato di tutti i suoi propositi e quel coltello stretto nella sua mano somigliava sempre più a una tappa obbligatoria e fortunatamente passeggera della sua vita.

    Se lo soppesò nel palmo della mano e gli parve molto più leggero.

    «Brian! Tua sorella è pronta!» chiamò Norma da basso, ma Brian quasi non la udì. Stava serrando i denti in un moto a metà tra tensione e frustrazione. Se ne accorse e si costrinse a smettere.

    Inguainò il coltello nella fondina di destra e fece passare il coltello attraverso il grilletto della pistola, di modo che l’impugnatura facesse da giogo e ne impedisse lo scivolare incontrollato.

    Corse di sotto, entrò in cucina in uno sferragliare di speroni (sì, gli stivali erano muniti di speroni) e suo padre, intento a bere direttamente dal cartone del latte, si voltò a guardarlo.

    «Hola señor», fece John Mitchell. Brian già sorrideva. «Y bienvenido al saloon de Harmony.»

    John prese una tazzina da caffè dal ripiano sul lavandino, la riempì con due dita di latte e la fece scivolare sulla superficie liscia e levigata del tavolo. La tazzina compì una mezza giravolta e si fermò sotto il naso di Brian.

    «Questo lo offre la casa, señor», concluse mentre Brian ingollava il suo latte come aveva visto fare nei western che lui e John guardavano alla TV.

    Era rimasto folgorato da quei film sin da quando aveva visto la prima volta Il Buono, il Brutto e il Cattivo in una delle rare occasioni in cui si sbracava sul divano accanto a suo padre per guardare qualcosa che piacesse ad entrambi. La scena più evocativa mostrava i tre pistoleri disposti a triangolo, nel mezzo di un cimitero pullulante di croci di legno, e quando era partita la musica, anticamera del duello vero e proprio, Brian si era sentito elettrico come una batteria sotto carica. Aveva puntato il dito all’indirizzo dell’uomo dallo sguardo freddo come il ghiaccio e aveva esclamato: «Quello! Voglio mascherarmi da pistolero come quell’uomo!»

    Suo padre l’aveva guardato con una punta d’orgoglio e gli aveva sorriso. Capitava raramente, ma quando accadeva per Brian era come veder spuntare un raggio di sole in una giornata piovosa. «Vuoi un vestito da pistolero come quello di Clint Eastwood?» gli aveva chiesto John e quando Brian aveva annuito energicamente, suo padre gli aveva affibbiato una manata cameratesca e aveva detto: «Sono d’accordo con te.»

    Poi, come se avesse voluto sottolineare quell’aspetto e istruire il figlio, aveva aggiunto: «Lui sì che è un duro. Vecchio stampo e pellaccia dura.» Brian l’aveva osservato con riverenza e aveva provato un grande affetto per suo padre, come mai ricordava.

    «È di suo gradimento, señor?» chiese John in quel suo raffazzonato accento messicano.

    «Non male, compañero», rispose Brian, «ma avrei bisogno di qualcosa di più forte.»

    «Sei un duro, straniero.» John prese un’altra tazzina e la riempì con altre due dita di latte. «Prova questo, ma attento: potrebbe farti schizzare gli occhi fuori dalle orbite.»

    «Pensa a versare, o l’unica cosa che schizzerà sarà il tuo cervello dopo che gli avrò conficcato dentro una pallottola», minacciò Brian provando a imitare lo sguardo torvo di Clint Eastwood.

    Suo padre rise, poi sgranò gli occhi e, simulando una posa spaventata, fece scivolare la seconda tazzina. «Non spararmi, ho moglie e figli.»

    «Ti è andata bene che non ho tempo, ma la prossima volta non sarò tanto generoso.»

    «Gracias señor», fece suo padre. «Naturalmente anche questo lo offre la casa.»

    Brian mandò giù anche la seconda offerta di latte, si girò e mosse per andar via; poi, come per un ripensamento, si fermò.

    «Sai una cosa», disse, «a pensarci bene, di tempo ne ho.»

    Si voltò di scatto, scalzò la linguetta della fondina di sinistra, estrasse la pistola e premette il grilletto. La cartuccia a salve esplose dalla canna in una fugace fiammata e suo padre rinculò all’indietro, scomparendo in basso dietro il tavolo.

    Proprio in quel momento Norma fece il suo ingresso e vedendolo a terra, disteso come un quarto di manzo, sbottò: «John! Quando la smetterai di fare il bambino?» Sorrideva però, e questo diede a suo marito il la per la battuta conclusiva.

    «Dite a mia moglie che la amo e che non è stata la sua cucina a uccidermi.» Norma gli assestò un calcetto nelle reni e John rantolò come se avesse ricevuto una bastonata all’inguine.

    «Ma se non ti ho neanche toccato», si schermì Norma. «Smetti di fare il pagliaccio e alzati, ti farai venire un bel mal di schiena a stare sdraiato lì in terra.»

    «Zì badrona», ubbidì lui mentre Norma alzava gli occhi al cielo. «Figliolo, accetta un consiglio che ogni padre dovrebbe dare al proprio figlio: non sposarti. E se lo fai, assicurati che sia un impegno a breve termine.»

    Stavolta Norma gli assestò una gomitata.

    «Ahi! Mi hai fatto male.»

    «E tu smetti di scherzare in questo modo, o nostro

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