Rebecca (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Rebecca è l'ultimogenita di Kate Fortune, che per oltre un anno ha lasciato credere ai suoi cari di essere rimasta vittima in un incidente aereo per poter osservare e conoscere meglio tutti i discendenti della sua potente famiglia. Rebecca è una scrittrice di gialli di grande successo e, come tale, è sempre stata la sola convinta di ritrovare in vita l'adorata madre, così come è sicura dell'innocenza del fratello accusato di essere l'assassino dì un'attrice sul viale del tramonto di cui era stato l'amante. Per dimostrare ancora una volta la fondatezza delle sue tesi si mette in coppia con Gabe Devereaux, l'investigatore privato di famiglia, che stenta ad accettare interferenze nel suo lavoro, soprattutto se di sesso femminile e molto attraenti.
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Anteprima del libro
Rebecca (eLit) - Jennifer Greene
successivo.
1
Era uno scenario da tregenda. Per questo non le piaceva. Tra la pioggia che scrosciava e mulinava assordante dentro le grondaie e i lampi che, fiammeggiando inquieti nel cielo di mezzanotte, aureolavano a tratti le pretenziose torrette barocche della grande villa in stile hollywoodiano, sembrava tutto così fasullo, così irreale...
Come in un film di serie B.
Tra l'altro, era in corso un'effrazione. La sua. E questo contribuiva a svilire il tutto.
Rebecca Fortune scriveva romanzi gialli. Aveva gettato le sue eroine nelle situazioni più strane e pericolose che la sua mente deviata potesse mai concepire. E ne aveva parecchia, di fantasia. Ma avrebbe gettato il computer nel bidone della spazzatura prima di inserire uno dei suoi personaggi in una trama scontata come quella.
Di brutto c'era anche ch'era zuppa. Dalla testa ai piedi. Impregnandole i rossi capelli ricciuti, la pioggia le colava infatti lungo il collo e sul viso. Col risultato ch'era scossa da brividi convulsi.
Il mese di marzo era quasi sempre freddo nel Minnesota. Ma l'intera giornata s'era rivelata mite, se non addirittura primaverile. Prima di uscire di casa, Rebecca aveva sentito alla radio ch'era in arrivo un temporale, ma il suo impermeabile giallo canarino le era sembrato quantomeno inadatto per una rischiosa incursione notturna. Così aveva optato per una dolcevita nera, da abbinare a un paio di vecchi fuseaux grigio scuro. Entrambi i capi le pendevano addosso come alghe bagnate.
Ma di certo s'era trovata anche in passato in condizioni così miserevoli. Solo non ricordava quando. E le sue numerose esperienze col crimine - e in particolare, con le tecniche di scasso - s'erano sempre svolte nel grato calore del suo accogliente studiolo da artista, davanti a una bella tastiera immacolata e a una pila di volumi da consultazione. La realtà, purtroppo, si stava rivelando assai più problematica rispetto alla teoria.
E dire che aveva pensato d'aver organizzato tutto nel migliore dei modi...
L'alto cancello di ferro battuto che regolava l'accesso alla villa era chiuso a chiave. Ma Rebecca aveva scavalcato la recinzione. E sin lì, tutto bene. Subito dopo l'omicidio di Monica Malone, polizia e investigatori avevano setacciato il posto che adesso appariva tuttavia deserto. L'edificio si stagliava cupo e minaccioso nella luce dei lampi, e tutto lasciava presagire che fosse disabitato.
S'era portata dietro un intero zaino di strumenti utili. La villa aveva cinque ingressi esterni. Sfoderando la sua pila da campeggio e il formidabile passe-partout che aveva acquistato per posta da uno dei suoi cataloghi di ricerca giallistica, Rebecca s'era concentrata sulle serrature. Ma il primo impasse s'era verificato proprio allora. Il passe-partout aveva fatto cilecca. S'era anche munita di un piede di porco, perché le sue eroine ne facevano tutte smodatissimo uso. Non lei. Aveva ripassato ogni singola finestra del pianterreno. E non era riuscita a forzarne nemmeno una. Sinora s'era rivelata maestra in una cosa soltanto, ovvero nell'arte di scalfire la vernice biancastra degli infissi di legno.
V'erano decine di altri aggeggi strani nel suo capace zaino - le sue ricerche professionali l'avevano preparata a puntino. Ma fino a quel momento, non aveva funzionato nulla, e le cinghie dello zaino le segavano in due le spalle. Il temporale continuava frattanto a infuriare, e s'era anche levato il vento. Ogn'altra donna al posto suo avrebbe gettato la spugna.
Ma Rebecca non sapeva nemmeno che cosa volesse dire, rinunciare. Alcuni dicevano ch'era più testarda di un mulo. Lei preferiva peraltro pensare d'essere come sua madre, Kate, che mai aveva esitato a fare ciò che doveva fare.
E quella era una cosa che Rebecca doveva per for-za fare. V'erano altre persone che stavano cercando di scagionare suo fratello dall'accusa di aver ucciso Monica Malone. Ma non stavano approdando a niente. Nessuno credeva fino in fondo all'innocenza di Jake. Nessuno tranne lei.
Serrando le labbra con feroce determinazione, tornò a ispezionare il perimetro della casa. Doveva pur esservi il modo di entrare, santo cielo!
Una folata di vento le buttò in faccia i capelli. Mentre sollevava la destra per liberarsi il viso, la fredda luce del lampo catturò il dorato bagliore del suo braccialetto portafortuna, lo stesso che apparteneva alla madre e che aveva un tempo recato un ciondolino per ognuno dei cinque figli di Kate. Agli occhi di Rebecca, che mai se n'era separata in quell'ultimo anno, simboleggiava - oltre alla famiglia, per lei importantissima, e ai legami di lealtà e d'amore che da sempre la vincolavano ai suoi cari - il gioioso stupore che accompagnava ogni nascita, e quindi la vita stessa.
Le sue dita corsero ad accarezzare le maglie del bracciale. Non era il momento di pensare alle nascite, ma aveva trentatré anni, e di recente non v'era momento della giornata in cui non l'assillasse l'argomento maternità. Il suo orologio biologico non sembrava curarsi del fatto che fosse single e tuttora sprovvista di corteggiatore fisso. Rebecca voleva un bambino. Voleva un bambino e una famiglia. A prescindere dall'esotismo esistenziale degli altri membri del suo clan, aveva sempre puntato al rassicurante calore della domesticità.
Cullare un bambino le veniva naturale. Violare una proprietà privata a notte fonda, no... E un improvviso brivido di paura le corse giù per la schiena. Oh, non era certo il temporale a spaventarla. E nemmeno la grande casa abbandonata, che pure era stata teatro di un misterioso omicidio.
No, quel brivido era dettato dall'amore, e dall'amore soltanto. Le premeva moltissimo scagionare Jake, ed era terrorizzata all'idea di fallire. Quella maledettissima villa doveva pur contenere una traccia, un indizio, qualcosa che le consentisse di aiutare il fratello. Erano stati in tanti - fuori e dentro la sua famiglia - a desiderare la morte della vecchia strega. Da donna avida e crudele qual era stata, Monica aveva fatto del suo meglio pur di avvelenare l'esistenza dei Fortune per oltre una generazione. Anche un bambino di due anni sarebbe riuscito a trovare una rosa di sospetti con movente e tutto.
Il guaio era che Monica aveva colpito Jake non tanto nel portafogli quanto nell'orgoglio e nei sentimenti. Quindi, ce l'aveva avuto anche lui, un movente. E fortissimo, per giunta. Tra l'altro, era stato sorpreso sulla scena del delitto, e le prove fisiche sembravano tutte puntare a lui. Dalle indagini di poliziotti, avvocati difensori e investigatori privati non era emerso nessun altro sospetto. Non v'era persona che rimpiangesse la vecchia attrice hollywoodiana. Ma non v'era nemmeno persona che credesse all'innocenza del povero Jake.
Se non lei.
Rebecca sapeva che il fratello non era un assassi-no. Per questo si trovava a villa Malone.
Per provarlo.
Se possibile, quella notte stessa.
Forte di quel proponimento, si deterse la pioggia dal viso col dorso della mano e, cambiando angolazione alla pila, illuminò i finestrini del seminterrato, gli unici che non avesse ancora esaminato. Erano stretti, notò con rabbia.
Molto stretti.
Ma lei era piuttosto esile, e forse...
Chinandosi in avanti, si concentrò sui cinque finestrini della facciata. Il primo era bloccato da un gros-so cespuglio di serenella, e il secondo, che s'apriva a circa tre metri di distanza, dall'elegante traliccio di legno dipinto che sosteneva i rami spogli di una rosa rampicante. Ancorché sgombro, il terzo era sigillato con cura. Ma il quarto...
Il quarto sembrava espugnabile
, ecco. L'umidità, infatti, aveva gonfiato l'infisso. E il telaio invetriato era tutto rientrato sulla destra. Sforzandosi di tenere a bada l'entusiasmo, Rebecca si tolse lo zaino e vi frugò dentro con febbrile agitazione.
Le sue dita si chiusero intorno al piede di porco. Avrebbe ritentato con quello, decise mentre lo estraeva in silenzio e ne osservava la strana estremità divaricata, la stessa che le aveva ispirato innumerevoli scassi per così dire letterari. Un bel colpetto secco e...
Accovacciandosi dinanzi al finestrino, inserì il ferro tra l'infisso e il telaio, laddove aveva intravisto una grossa fessura, e fece leva.
Sul momento, non accadde nulla.
Che ci volesse più forza?
Uhm, possibile.
Incurante del fango che le imbrattava scarpe e abiti e della pioggia che continuava a scrosciarle sul capo, Rebecca s'aggrappò al piede di porco e aumentò al massimo la pressione.
Cedendo di schianto, il telaio scattò all'indietro e cozzò con violenza contro la parete interna del seminterrato.
Rebecca aggrottò la fronte. Gli scassi delle sue eroine erano molto più silenziosi.
Ma tant'era...
Brandendo la pila, infilò la testa nel pertugio e illu-minò quella che aveva tutta l'aria di essere una vecchia cantina.
Le pareti erano spoglie e grigiastre, e il pavimento, che s'estendeva circa due metri più in basso, dava l'impressione di essere - come dire? - duro. Molto duro.
Una ruga le solcò la fronte. Di testa non poteva davvero tuffarsi. Si sarebbe rotta l'osso del collo. Ma se avesse introdotto prima i piedi e poi il resto, forse...
Ansiosa di passare dalla teoria alla pratica, Rebecca infilò la pila nello zaino e gettò il tutto nel seminterrato. Poi, senza indugiare oltre, si girò carponi e, sdraiandosi per terra, nel fango, inserì i piedi nel finestrino. Sin lì, tutto bene. Passarono subito anche le gambe, e questo la galvanizzò un tantino. Poi, però, venne la volta del sedere, e fu allora che rallentò la discesa. I glutei si compressero allo spasimo, e sul momento sembrò quasi che procedesse tutto per il meglio.
I problemi arrivarono peraltro con le anche, che sfregarono contro l'infisso per poi incastrarsi del tutto.
Aggrottando la fronte, Rebecca spinse con forza. Ma era inutile. S'era bloccata, e non riusciva più a muoversi. Né avanti né indietro.
Che diavolo, s'era sempre lamentata di non avere abbastanza fianchi