Altre realtà
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Anteprima del libro
Altre realtà - Faustino Ferrari
© 2019 Faustino Ferrari
E-mail: maris9@libero.it
ISBN 9788831651721
Youcanprint Self-Publishing
Copertina: elaborazione grafica di Faustino Ferrari
Incipit
Una biblioteca che, da qualche parte, conserva un libro adombrante l'irrealtà della biblioteca stessa. Gente comune scomparsa nel nulla – oppure è il nulla stesso a costituire quanti si scoprono essere alieni? Risvegli mattutini che si confondono in una ripetizione di sogni e momenti in cui si preferirebbe che quanto si sta vivendo fosse soltanto un sogno. Conosciamo veramente i nostri vicini di casa? Un'invasione di cammelli può essere messa in relazione con il giovane Mozart? Che cosa sta passando per la mente del nostro cane? Si può essere obbligati a vivere nella felicità?…
Ci sono molti modi per guardare la realtà. Esiste uno straordinario che può rivelarsi molto ordinario, mentre non sarebbe così difficile scorgere ciò che la vita quotidiana racchiude in sé, aldilà delle apparenze più superficiali.
Racconti accomunati da una percezione della realtà che va oltre l’evidenza. E qual è la linea che separa il sogno dalla realtà?
Scorie
I primi furono i cinesi. Il rapido processo di industrializzazione aveva lasciato pesanti conseguenze sull’ambiente del loro paese. Intere aree erano rimaste inquinate, altre contaminate. Le falde acquifere si mostravano sempre più avvelenate ed i campi prima coltivati apparivano ora desertiche distese. Sembrò loro la soluzione più opportuna e meno devastante.
All’inizio si verificarono molte proteste, soprattutto in Europa ed in Latinoamerica. Manifestazioni, comizi, conferenze… A Nairobi ci fu anche l’assalto all’ambasciata. Se tutto faceva pensare che quest’ultimo episodio si inserisse all’interno delle varie forme di protesta, in realtà non furono mai stabilite le vere cause dell’assalto – probabilmente legate a motivi geopolitici dell’area ed alla spartizione del controllo di alcune materie prime. Al parlamento di Bruxelles venne votata all’unanimità una nota di diffida nei confronti del governo cinese, con la minaccia di rottura di ogni rapporto economico, culturale e sociale. Ma quando di lì a pochi giorni anche gli indiani ripeterono quanto fatto dai cinesi e gli Stati Uniti si affrettarono a dichiarare il proprio diritto ad egemonizzare una parte rilevante della Luna, fu evidente che non ci sarebbero più state resistenze. Si trattava soltanto di spartire la torta. Le proteste avrebbero ancora coinvolto alcune fasce della popolazione – i soliti, insoddisfatti facinorosi -, ma tutto ben presto si sarebbe acquietato.
Da allora in poi fu una corsa a cui si unirono molti altri paesi. Alcuni direttamente, con proprie astronavi, gli altri utilizzando compagnie private che dietro ingenti pagamenti fornivano un servizio assicurato. Gli Europei, per la verità, non vollero direttamente partecipare, in nome di una loro contrarietà di principio, ma siglarono un accordo con il Sudafrica e con l’Australia. Ufficialmente le scorie radioattive europee si imbarcavano per i siti di stoccaggio situati in quei due paesi. Tutti sapevano che in realtà anche queste scorie venivano spedite sulla Luna.
Scaricare tonnellate di materiali sul suolo lunare divenne il modo più semplice per risolvere il problema delle scorie radioattive. Plutonio, cesio, uranio, stronzio… tutto quanto risultava contaminato veniva caricato su colossali vani cargo e spedito sul satellite. Ci furono, invero, alcuni scienziati che espressero tutte le loro perplessità. Il problema non era soltanto nel fatto che la Luna era stata trasformata in una colossale discarica. Costoro si chiedevano se le variazioni di massa (insignificante per la Terra, ma ben più consistente per la Luna) non finisse con il produrre alcune spiacevoli conseguenze sul ritmo delle maree o addirittura, sui moti del pianeta e del suo satellite. Ma tutti vennero tacitati con l’ironia, il dileggio e le accuse di incompetenza. Era troppa la certezza di aver finalmente risolto l’annoso problema delle scorie.
Tutto funzionava a meraviglia. C’era soltanto il costo del trasporto, ampiamente compensato dal ricavo di un’energia ottenuta ormai senza alcun limite. Veniva ritenuto irrilevante il fatto che ormai l’intera Luna fosse stata trasformata in un’immensa zona out per un migliaio di anni almeno. Poco male, per uno squallido, freddo deserto senza vita. Ma ci fu chi si accorse che qualcosa non andava. L’antica orbita lunare mostrava una piccola, significativa variazione. Il problema venne studiato a fondo dai più eminenti astronomi che confermarono la scoperta, ma al tempo stesso si affrettarono ad assicurare che non c’era da temere nulla per alcune migliaia di anni. Questo lungo lasso di tempo avrebbe permesso di trovare altre soluzioni – sicuramente si avrebbe avuto la possibilità di emigrare tutti quanti su nuovi mondi.
Piccolo, ignorante dilettante che nelle sere, dopo il lavoro, si balocca con le magnitudini, con le effemeridi e con le sinusoidi mi sono cimentato anch’io a calcolare le variazioni dell’orbita lunare. Per un intero anno ho calcolato e ricalcolato – pensando ogni volta di essermi sbagliato da qualche parte, in qualche passaggio, ma giungendo ogni volta ai medesimi risultati. Una variazione che si completerà non tra qualche migliaia di anni, ma tra poco meno di cinquanta mesi.
Forse ho sbagliato tutto. O forse questo dato volutamente resta tenuto nascosto per i più. Per non suscitare il panico – il propagarsi di isterie collettive, di fenomeni irrazionali, del caos totale. Per conservare un ordine apparente, un prolungarsi del solito tran tran quotidiano – fino all’approssimarsi della catastrofe finale.
Intanto, mia moglie vorrebbe mettere al mondo un figlio. Ed io che devo fare? Tenerle nascoste le mie preoccupazioni – la mia certezza di una fine prossima ed inevitabile? Illudermi che sono io a sbagliarmi e continuare a vivere come se niente fosse?
Intanto, questa sera me ne sto sulla veranda. Dondolandomi nella sedia a sdraio contemplo l’immensa palla avvelenata che splende nel cielo autunnale. E come il poeta non riesco a chiederle: "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / Silenziosa luna?"…
Soltanto un ritornello mi ritorna continuamente nella testa. Che abbiamo fatto mai? Che abbiamo fatto!…
L’invito
Il giudice mi ha convocato in tribunale per domani mattina. L’invito mi è stato inoltrato, a voce, poche ore fa, da parte di un messo. Io ritengo che si sia trattato di un messo o di un qualche incaricato particolare, ma non ho avuto modo di appurare l’attendibilità della persona che mi si è parata davanti. Quando gli ho chiesto di qualificarsi – ed anche, se avesse con sé un documento per attestare la propria posizione – si è messo a sghignazzare e mi ha risposto: Tu bada a presentarti, altrimenti te ne pentirai per il rimasuglio di giorni che ti resta a vivere. E ti posso assicurare che saranno molto pochi
. Ho tentato, allora, di farmi mostrare un pezzo di carta con l’invito. Ma il messo ha affermato categoricamente che in questi casi non sono previste comunicazioni scritte. Viene ritenuto più che sufficiente l’avviso a voce. E se n’è andato con un’alzata di spalle.
Da quando non esistono più leggi, tutto è permesso. Si può trasgredire in ogni cosa. Anche se, a ben vedere, sarebbe più opportuno affermare che non esistono più violazioni. Ma, al tempo stesso, ogni trasgressione può essere punita. Nessuno, tuttavia, si permetterebbe di parlare d’inosservanza, di violazione o di disobbedienza. E neppure si possono usare termini quali infrazione, inadempienza o colpa. Spetta al giudice – in primo luogo, alla sua discrezione – stabilire chi debba essere convocato in tribunale. Non sono previste sanzioni, pene, punizioni o castighi di sorta. È improprio chiamare con il nome di giudice la persona che convoca. Ma l’abitudine ha conservato questo termine popolare nella prassi. Al pari, da quando sono stati aboliti i tribunali è rimasto nel gergo l’antica denominazione per indicare l’edificio. Sarebbe opportuno, infatti, chiamare edifici i tribunali, ma a nessuno viene in mente di farlo.
Il giudice, dunque, non è giudice e non c’è alcuno che lo possa nominare a tale carica. Né una persona può arrogarsi la pretesa di occuparne il ruolo. Potremmo affermare che il giudice è e non è al tempo stesso: cosa molto difficile da spiegarsi a chi non è addentro alle consuetudini della nostra vita sociale.
Si vive, secondo il parere di molti, nell’assoluta libertà. Altri chiamano tutto ciò stato permanente d’incertezza e vorrebbero un ritorno al tempo della legge. O, almeno, che venissero definiti gli elementi per i quali sapersi convocati in tribunale. Nessuno, in ogni caso, da mostra di preoccuparsene. Ma ciascuno di noi teme di poter finire col ritrovarsi in una tale imbarazzante situazione.
Da qualche ora sto,