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Il ritmo perfetto: Lucas Brother Series 1
Il ritmo perfetto: Lucas Brother Series 1
Il ritmo perfetto: Lucas Brother Series 1
E-book365 pagine4 ore

Il ritmo perfetto: Lucas Brother Series 1

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Info su questo ebook

Prendi un uomo che ottiene sempre ciò che vuole, una donna che ha imparato a non desiderare, una madre e dei fratelli pazzi… E oh, sì, aggiungi una puzzola solo per rendere le cose interessanti e potresti avere “Il ritmo perfetto!
 
CC
Gray Lucas è tutto ciò che odio in uomo. Arrogante, ricco, privilegiato e playboy. È un’atleta professionista e le sue imprese sono leggendarie… Una sono io.
Abbiamo avuto l’avventura di una notte ed è stato selvaggio, passionale, eccitante e un grosso errore. O forse no.
Perché più tempo trascorro con lui e la sua pazza famiglia, più voglio che rimanga…
Ma gli uomini non restano… Vero?

Gray
Nel momento in cui ho rivisto Claudia Cooper, le altre donne hanno smesso di esistere. È irriverente, coraggiosa e bellissima. È perfetta.
Sono l’uomo per lei, l’unico uomo per lei. Lei, però, ancora non lo sa.
Amale e lasciale. Questa è la mia reputazione; con le donne gioco duro, veloce e sporco.
Ciò che CC non sa ancora è che con lei non sto giocando. La sto rivendicando.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2018
ISBN9788831980340
Il ritmo perfetto: Lucas Brother Series 1
Autore

Jordan Marie

Jordan Marie was born on October 8, 2003. Jordan, her brother, and parents live in Memphis, Tennessee. She has a pet Yorkie named Bella “Boo Bear”. She loves animals; she plays volleyball, soccer, and softball. She wants to be a doctor when she grows up. She also creatively expresses herself through painting and drawing. Her goal through this book is to help the Humane Society of Memphis & Shelby County to provide the supplies that are needed to take care of animals in need.

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    Anteprima del libro

    Il ritmo perfetto - Jordan Marie

    Jordan Marie

    autrice bestseller USA Today

    Il ritmo perfetto

    Lucas Brothers Series 1

    11

    Titolo: Il ritmo perfetto

    Autore: Jordan Marie

    Copyright © 2018 Hope Edizioni

    Copyright © 2016 Jordan Marie

    www.hopeedizioni.it

    info@hopeedizioni.it

    Progetto grafico di copertina: Angelice Graphics

    Immagini su licenza Depositphotos.com

    Fotografo: Slava_14 | Cod. immagine: 97485444

    Traduttore: Carmelo Massimo Tidona

    Impaginazione digitale: Antonella Monterisi

    Published by arrangement with Hershman Rights Management

    Tutti i diritti riservati.

    Nessuna parte di questa pubblicazione può essere utilizzata o riprodotta in alcun modo, inclusi a titolo di esempio l’archiviazione in un sistema di ricerca o la trasmissione con qualunque forma e mezzo, elettronico, meccanico, fotocopia, registrazione o altro, senza l’autorizzazione scritta dell’autrice. 

    Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, gruppi, aziende ed eventi sono il prodotto dell’immaginazione dell’autrice o sono utilizzati in maniera fittizia. Qualunque somiglianza con luoghi o persone reali, vive o morte, è del tutto accidentale. 

    Editing test originale: Daryl Banner 

    DISCLAIMER: Questo libro è riservato a un pubblico adulto. Contiene linguaggio e scene di sesso espliciti. 

    Non è adatto a lettori di età inferiore ai 18 anni. Ci si rimette alla discrezionalità del lettore.

    Indice

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    Epilogo 1

    Epilogo 2

    Epilogo 3

    Ringraziamenti

    Hope edizioni

    A tutti coloro che hanno creduto in me, mi hanno letta e incoraggiata.

    Vi devo il mondo.

    Baci,

    Jordan

    1

    CC

    1

    Il problema di vivere in un paesino è che tutti conoscono tutti. Io vivo qui da sempre. Non è stato bello, ma non è stato brutto. Non avevamo molto, eravamo solo io e Banger. Banger era mio padre. Be’, più o meno. In effetti era il vecchio con cui la mia donatrice di utero conviveva. Lei era scappata con un venditore ambulante di aspirapolvere quando avevo sette anni, e da allora c’eravamo stati solo io e Banger. Sì, so che la mia vita è stata un cliché. Lo accetto. Banger era stato un prigioniero di guerra. Era una montagna d’uomo, grosso, barbuto e ringhiante, che non mi ha mai fatta sentire indesiderata. Non sapeva molto sull’avere dei figli, meno che mai figlie, ma ce la siamo cavata.

    A dieci anni ero in grado di cambiare l’olio, invertire gli pneumatici e ricostruire un carburatore. A quindici sapevo rimontare un motore. Ero una maestra delle trasmissioni a sedici anni. Banger diceva che avevo un talento naturale, ma in realtà volevo solo renderlo fiero di me. Possedeva l’unica autofficina del paese e volevo essere certa di aiutarlo quanto più potevo.

    Scoprì di avere il cancro il giorno del mio diciassettesimo compleanno. Ci ubriacammo assieme. Banger era tante cose, ma non era uno che si preoccupava della legalità o delle regole della società. Forse è una delle cose che più amavo di lui. Morì l’estate in cui compii diciannove anni e in qualche modo mi ritrovai a farmi carico dell’officina. Ora, a ventisei anni, la gente di Crossville, Kentucky, mi conosce piuttosto bene. Hanno imparato a fidarsi del mio lavoro, e l’officina Claude è sempre impegnata. È così che mi chiamo, a proposito. Claudia Cooper. Banger mi ha sempre chiamata Claude e il nome mi è rimasto addosso. Se mai mi ha infastidita, ormai ho imparato ad accettarlo. Ho scoperto che dalla vita bisogna prendere quello che ti dà. Le cose potrebbero sempre andare peggio.

    Ma torniamo al perché sono a Lexington stanotte. Lexington è forse la città più vicina a Crossville. Mi ci vogliono almeno tre ore di auto per arrivarci. Ci vengo solo ogni tanto, e per una ragione precisa: se non fuggissi da Crossville di tanto in tanto, probabilmente finirei per diventare uno di quei casi di follia di cui si parla al telegiornale delle diciotto. In effetti sto rendendo un servizio al pubblico. La gente dovrebbe essermi grata.

    «Pronta a una ricarica, bellezza?».

    Sorrido al barista, che è in effetti l'unica ragione per cui sono rimasta in questo locale. Non è il mio genere. Sono più tipa da bar dei motociclisti, come quello circa tre traverse più avanti. Tuttavia, uno dei miei clienti mi ha consigliato questo posto perché fanno musica dal vivo il sabato sera, perciò mi sono detta al diavolo. Dopo dieci minuti che ero entrata, quando la band ha iniziato a cantare un pezzo dei Black-Eyed Peas che ricordavo a stento, ho capito di essere nei guai. È stato allora che Mr Spilungone mi ha sorriso: jeans sbiaditi e strappati, T-shirt nera e capelli ricci color sabbia scura. Mi ha portato da bere e sono rimasta qui. Certo, mi ha portato da bere perché è il barista, ma continua a guardarmi le tette.

    Penso sia piuttosto chiaro quello che sta succedendo.

    «Spara», gli dico, rivolgendogli un sorriso spontaneo. Spontaneo perché dopo un bicchiere di whisky seguito da uno di whisky e coca sono piuttosto rilassata… al punto che, dopo quest'altro bicchiere, sono sicura che il mio culo si troverà un albergo in cui dormire per stanotte. Magari riesco a convincere il barman a venire con me. Non giudicatemi. L'ultima volta che ho fatto sesso, ne sono piuttosto sicura, è stata due presidenti fa. Se volete fare i conti, parliamo di sei anni. Sei anni. Le donne possono dire quello che vogliono dei vibratori, ma quegli affari non potranno mai in nessun caso prendere il posto del sesso vero. E questo ragazzo che continua a sorridermi dà proprio l'idea di saperne qualcosa di sesso vero.

    «Diavolo, piccolo. Hai da fare stasera…», esordisce una voce profonda davanti a me. Quando alzo lo sguardo, c'è un altro uomo che sembra essere appena uscito dalle pagine della rivista Sexiest Man Alive e che sta parlando, purtroppo, al barista su cui avevo messo gli occhi. Si scambiano un bacio breve, ma intenso. Piango un po' dentro di me, abbandonando il mio sogno di passare la notte con lui, e torno al mio bicchiere.

    Quel vecchio detto sul fatto che tutti i migliori siano sposati o gay è terribilmente vero. Deve essere per questo che io sono ancora single e il mio amico Raymond ha uno splendido ragazzo a casa.

    «Posso offrirtene un altro, labbra di zucchero?».

    Labbra di zucchero?

    «Direi di no», rispondo, alzando a stento lo sguardo. Non importa che aspetto abbia: essere chiamata labbra di zucchero è sufficiente a spegnere il mio interesse in partenza.

    «Uno scotch per me e un altro di… qualunque cosa stia bevendo, per la signora».

    «La signora sta bene così. Insistente, eh?».

    «A volte paga esserlo», mi dice, e infine la sua inflessione da campagnolo e la sensazione da oh, che bravo ragazzo mi fanno alzare gli occhi. È alto e robusto, con capelli castani tagliati cortissimi, una barba da cinque del pomeriggio, scura abbastanza da essere quasi le sei, occhi castani e un volto che sembra essere stato scolpito nella roccia. Un dio, forse. È talmente carino. Anche se accende ogni parte femminile di me, il suo bell'aspetto è un deterrente. Sono uscita con un ragazzo perfetto in passato. L'unica cosa a esserlo davvero però era il suo riflesso nello specchio. Non voglio ripercorrere quella strada… mai più.

    «Ero proprio sul punto di andarmene», gli dico, e non è una vera bugia.

    «Resta ancora un po'. Sei la prima cosa che vedo stasera a darmi una ragione per essere in questa città. Come ti chiami?».

    «Be', sicuramente non "labbra di zucchero"», gli dico, prendendo il bicchiere che il barista dei miei sogni, per quanto gay e impegnato, poggia sul bancone. Il tipo sorride al mio commento e si siede accanto a me, poi si sporge nella mia direzione come se fossimo amanti separati da tempo. Cerco di ignorare il suo odore, ma lo trovo alquanto impossibile. Ha addosso una colonia che non ho mai sentito. Deve alimentare ogni mio singolo feromone perché, unita al suo rude odore maschile, sta rendendo una donna come me ubriaca… ed eccitata. Pericolo. È senza dubbio pericoloso. Potrà anche andarmi un po’ di divertimento, ma questo tipo sembra urlare playboy… e playboy ricco, oltretutto. Il barman è molto più il mio tipo. Non che io sia una snob. Tutto il contrario, direi. Anzi, trovo che la gente ricca sia davvero insopportabile.

    «Però scommetto che le tue labbra sono dolci, bellezza».

    Insopportabile… anche se i tipi come lui sono carini quando cercano di portarti a letto. Mi appoggio a lui facendo un sorriso, poi mi passo abbondantemente la lingua sulle labbra.

    «È qualcosa che non scoprirai mai», sussurro, e bevo un altro sorso dal mio bicchiere.

    Lui si blocca per un istante, come se la mia risposta lo avesse sconvolto, poi mi rivolge un ampio sorriso che gli fa perfino brillare gli occhi castani. Cazzo.

    «Mi sono sempre piaciute le sfide», dice, e percepisco l’eccitazione vibrare dentro di me. Sento gli allarmi e i campanelli di pericolo che suonano… ma non sembro in grado di smettere di guardarlo negli occhi.

    Ho già detto… cazzo?

    2

    Gray

    1

    Non sa chi sono.

    È una sensazione strana, anche se non del tutto sgradevole. Siamo seri, mi rendo conto che il golf non è uno degli sport più emozionanti al mondo. Le maggiori attrazioni qui, nello stato del Kentucky, sono le corse di cavalli e il basket al college; era quindi probabile che non venissi riconosciuto, ma la cosa mi ha sorpreso lo stesso. Dopotutto, è quasi periodo di tornei, e il golf ha monopolizzato i notiziari. Non che voglia vantarmi o niente del genere ma, cazzo, ho visto la mia faccia talmente spesso nei programmi sportivi che pensavo l’avessero vista tutti, ormai. Ma non c’è dubbio che questa donna non sappia chi sono. Non ricordo più da quanto tempo una donna non mi volesse per il mio nome o per il mio conto in banca... C’è solo un problema: Labbra di zucchero, qui, non sembra volermi affatto. Sfida lanciata e accettata. Non mi arrenderò finché non sarà sotto di me a urlare il mio nome.

    «Mi sono sempre piaciute le sfide», le dico con un sorriso ben collaudato. Non mi sto davvero vantando quando ammetto che questo sorriso mi ha letteralmente fatto entrare nelle mutande di centinaia di donne, alcune anche più carine della bellezza che mi sta fissando adesso.

    È una testolina rossa da urlo, con occhi verdi e gambe lunghe chilometri, curve che dovrebbero essere illegali, tette perfette e un culo che di sicuro fa implorare gli uomini. Cazzo, ho voglia io adesso di implorarla. A parte questo, c’è qualcosa in questa donna che mi attrae come non succedeva con nessun’altra da tanto tempo. Potrei dire che ha a che fare col fatto che non sa chi io sia. Forse è proprio così, e passerà… dopo che l’avrò scopata fino a farla impazzire.

    «Non era una sfida», mi dice sorseggiando il suo drink.

    «Non era un sì», le rispondo.

    «Strano, non mi pareva fosse una domanda a cui rispondere sì o no».

    «Tutto si riduce a un sì o un no. "Scommetto che le tue labbra sono dolci" significa di certo che intendo scoprirlo. Che tu me lo permetta si riduce a un sì o un no».

    «Perciò la mia risposta sarebbe… no?». Il modo in cui inclina la testa da un lato e inarca le sopracciglia come per sfidarmi mi accende un fuoco dentro. È davvero perché la sua reazione è così diversa dal modo in cui di solito le donne mi si gettano ai piedi?

    «Preferirei che la tua risposta fosse avvicinare la bocca alla mia e lasciare che le assaggi», rispondo abbassando la voce e inclinando la testa in modo che possa sentirmi solo lei.

    La osservo attentamente. Credo di riuscire a vedere un brivido che la attraversa. Non è del tutto disinteressata a me. È un gioco, per lei? Fa la difficile per cercare di risvegliare il mio interesse? Non è impossibile anche se, se fosse vero, ne resterei deluso. Non che me ne freghi un accidente. La fine del gioco è sempre la stessa: io tra le sue gambe.

    «Ti meriteresti almeno un dieci per l’impegno».

    «Preferirei mostrarti qualcos’altro in cui posso meritarmi un dieci».

    «C’è un momento in cui l’impegno inizia a essere eccessivo», sottolinea lei, alzandosi.

    Cazzo.

    La sto perdendo?

    È mai successo? Non credo proprio, neanche prima che sfondassi.

    «Almeno concedimi un ballo», dico facendo del mio meglio per non sembrare disperato. Cazzo, in realtà mi sento un po’ disperato, e ancora non capisco cos’abbia lei di speciale.

    Mi studia e io resto immobile, lasciando che si prenda il suo tempo. Mi riprometto che se rifiuta smetterò di andarle dietro. Potrà essere interessante, ma non ho bisogno di faticare tanto. Quando inclina il capo per indicare che è d’accordo, mi alzo, offrendole la mano. Mette la sua nella mia e, mentre la guido verso la pista da ballo, sento che un’ondata di calore passa tra noi e invade il mio corpo. Quasi mi domando se sia stato l’unico a percepirla, quando la sento inspirare di colpo e la sua mano si agita nella mia. Non appena cerca di sfilarla, rafforzo la presa.

    Non se ne andrà. Non ancora.

    3

    CC

    1

    Probabilmente dovrei farmi esaminare il cervello. Non posso neanche dare del tutto la colpa al non essere stata con nessuno per un’eternità. No, credo sia follia pura quella che mi sta facendo andare a ballare con questo tipo.

    «Mi è consentito sapere il tuo nome?», gli domando per distrarmi, perché quando mi stringe tra le braccia e mi tira a sé, sento di nuovo quella scossa elettrica attraversarmi. Lo guardo negli occhi e vedo un bagliore.

    Esita, poi infine risponde: «Gray».

    «Gray? Come il colore?», gli chiedo.

    Fa una strana espressione prima di sorridere di nuovo. «Non ti piace? Io credo che suonerà benissimo quando lo urlerai stanotte mentre ti s…».

    «Eviterei di finire la frase se vuoi una pur minima possibilità di avere fortuna stanotte, Gray».

    «Allora ammetti che c’è una possibilità?».

    «Sta diventando sempre più piccola».

    «Ci posso lavorare», dice lui, mentre sono impegnata a ignorare il suo odore. È buono. Non è solo la colonia, c’è dell’altro, qualcosa di profondamente maschile che mi fa vibrare dentro. Forse mi lascerò andare e metterò fine al mio periodo di siccità. È solo per una notte, no? Non importa che sia troppo perfetto. Non significa che sto ripetendo la storia. Non dovrò più rivederlo.

    «Sei diventata silenziosa», mi sussurra mentre ondeggiamo al ritmo della musica.

    «Stavo ascoltando la musica», mento. «Ti chiami davvero Gray?».

    «È così strano?».

    «Non penso di averne mai conosciuto uno, perciò sì. Anche se il mio vecchio si chiamava Banger, perciò…».

    «Mi prendi per il culo? Banger?».

    «Credo fosse il suo nome di strada, ma, se ne aveva un altro, l’aveva cambiato da anni».

    «Credo che mi piaccia».

    «Era un grand’uomo», ammetto con un sorriso, sentendo la familiare fitta di tristezza al ricordo di ciò che ho perso.

    «Che è successo?».

    «Cancro», sussurro. Odio quella maledetta parola.

    «Mi dispiace, dolcezza».

    È quello che dicono tutti, e mi infastidisce esattamente come quando lo dice questo tipo. È finto. Potrà anche dispiacergli, ma non capiscono davvero. In pochi lo fanno.

    «Allora… il nome?», lo sollecito.

    «Mia madre pensava che sarebbe stato forte chiamare i suoi figli come dei colori».

    «Colori?».

    «Mhm-mhm. Così io sono Gray, diminutivo di Grayson».

    «Be’, ehi, è un bel nome. Molto meglio di… Green?».

    «Quello è mio fratello».

    Mi allontano da lui per guardarlo in faccia. «Stai mentendo».

    «Neanche un pochino. Ho cinque fratelli e ognuno ha il nome di un diverso colore».

    «Non è possibile, non ci sono sei colori che possano…».

    «Gray, Green, Black, Blue, White e Cyan».

    Credo che mi si spalanchi la bocca. Non riesco a impedirlo, mentre assimilo il fatto che là fuori ci siano cinque uomini con nomi come quelli. Quando mi rendo conto che mi sta guardando, gli sorrido e gli do una piccola pacca sulla spalla, come se stessi tentando di consolarlo.

    «Be’, ehi, almeno ti è toccato il migliore dei nomi».

    «Non mi sentirai obiettare. Specie parlando di Black e Blue. Sono gemelli, per inciso».

    Scoppio a ridere e non riesco a fermarmi. «Oh, mio Dio, te lo stai per forza inventando».

    «Temo di no. Perciò, capisci, ho bisogno che mi aiuti».

    «Aiutarti?».

    «Per come la vedo io, se dici abbastanza a lungo il mio nome col tuo splendido accento del sud, imparerò ad amarlo. Cavolo, varrà la pena di essere stato definito un membro della Banda dei Pastelli».

    Rido prima di riuscire a impedirmelo. «La Banda dei Pastelli? Ahia».

    «Va tutto bene. Mi è andata meglio che ai miei fratelli».

    «Sempre dal punto di vista del nome, intendi?».

    «Be’, per quello e per il fatto che il mio pastello è uno di quelli lunghi e grossi che…».

    «Oh, buon Dio…».

    Stavolta ride. È davvero una bella risata. Una risata che abbatte ogni resistenza… non che ce ne fosse tanta da parte mia già prima.

    «Io sono CC», gli dico mentre torno nella sua presa.

    «CC?».

    «Già. Casomai, sai, volessi urlarlo parecchio stanotte».

    Il suo sorriso si allarga. «Mi assicurerò di farlo. Spesso». Addio siccità… e a mai più rivederci.

    4

    CC

    1

    «Ti sei goduta il fine settimana fuori?», mi chiede Jackson.

    È il mio uomo di punta all’officina. Facciamo tutto da soli. Ci farebbe comodo qualcun altro che lavorasse con noi, ma sembra non ci siano mai abbastanza soldi per permettercelo. Però pago Jackson davvero bene… forse più del doppio di quanto mi costerebbe chiunque altro. Ma li vale tutti. È il migliore… oltre me. Me lo ha detto Banger ed è qualcosa che ricordo sempre con orgoglio. Lui mi ha insegnato che, quando devi fare qualcosa, devi metterci il centocinquanta percento. Quando diceva che ero la migliore in qualcosa, significava che ciò che avevo fatto lo rendeva fiero di me. Jackson ha un codice simile a quello di Banger, e già solo questo basta a fargli meritare i soldi che gli do.

    Ripenso al mio strepitoso fine settimana con Gray e non riesco a fermare il sorriso che mi affiora sul volto, né il modo in cui il ricordo mi infiamma il corpo.

    «Direi che è un sì», dice Jackson.

    «Potresti farti i cavoli tuoi?», gli rispondo. Cazzo, sto ancora sorridendo.

    «Uhm, in effetti potrei…», dice lui, «ma i cavoli non mi sono mai piaciuti. Ah, a proposito, che facciamo per pranzo?».

    «Be’, io devo togliere la coppa dell’olio a quella bellezza», lo informo, indicando la Ford sulla piattaforma numero uno.

    «Significa che oggi devo fare il fattorino?», chiede Jackson.

    «Come tutti gli altri giorni. Sai che lo fai solo per poter andare a flirtare con Mary Ann alla tavola calda».

    «Quella donna fa una torta di mele meravigliosa», risponde lui, già in marcia verso la porta.

    Ci vado giù duro. «Dubito che il tuo interesse sia per la torta».

    «Avere degli uomini attorno per tutta la vita ti ha distrutta».

    «Come ti pare. È lunedì, perciò non dimenticarti di portarmi il polpettone».

    «Capito. Torno presto», mi dice, ma riesco a stento a sentirlo col rumore del compressore e dell’avvitatore che ho in mano.

    Un altro giorno, un altro dollaro.

    5

    Gray

    1

    «La vuoi piantare, Seth? Ti ho detto che ci sono. Farò il bravo. Sopporterò perfino Cammie».

    «Ti serve la Riverton Metals per questo tour, Gray… soprattutto visto che la Raver Athletics si è tirata indietro».

    «Sono degli idioti».

    «No, sono un’azienda multimilionaria che non può permettersi di legare il proprio nome a un professionista del golf, più famoso per averla mandata in buca con la figlia di un funzionario del tour, che non sul percorso di gioco».

    «Come vuoi. Sarebbero folli a tenermi fuori dal tour per quella merda e lo sai. Il mio nome attira i fan».

    «Anche quelli degli altri. Ti stai tagliando la gola da solo, Gray».

    «Entrare nella buca di Rachelle è stato più divertente».

    «Si chiama Michelle».

    «Siamo lì». Sinceramente ricordo a stento quella ragazza. Ero ubriaco perso e l’unico cervello che mi funzionasse al momento era quello dell’uccello… un uccello che ha fatto un allenamento da sogno lo scorso fine settimana; un uccello a cui oggi manca una certa testarossa. È stato un fine settimana favoloso e, se CC non fosse già andata via quando mi sono svegliato domenica mattina, avrei fatto del mio meglio per farlo durare un altro paio di giorni.

    Cammie Riverton e suo padre possono aspettare, per quel che me ne importa. Capisco che Seth stia cercando di aiutarmi, ma non me ne frega un cazzo. Potrà anche servirmi il nome di Riverton per tornare nelle grazie dei funzionari, ma, diversamente da altri sport, come membro della lega sono un professionista indipendente. Decido io quali partite voglio fare e dove apparire. Mi gestisco da solo. E sarebbe splendido, se non fosse che il voto contrario di quelli ai piani alti spinge in fondo alla lista le mie iscrizioni ai tornei, il che in breve significa percorsi pieni e starsene fuori al freddo. Perciò sto tentando con la soluzione di Seth. Quello che vorrei fare davvero è dire a tutti di baciarmi il culo. Non sono mai stato bravo ad adattarmi alle regole, mia madre potrebbe testimoniarlo senza problemi.

    «Il mio consiglio è di fare il bravo, ottenere questo contratto con Riverton e assicurarti il suo sostegno. Senza, non avrai neanche metà della pubblicità degli altri professionisti in gara, e tu vuoi quella giacca verde, anche se cerchi di negarlo».

    «Ottenere quella giacca dipende più da…».

    «Sappiamo bene entrambi che puoi anche essere il miglior giocatore che c’è, ma se non hai pubblicità i poteri forti si assicureranno di rendertela difficile in ogni modo possibile».

    Sospiro. «Va bene. Ho detto che l’avrei fatto. Ora sono in questa piccola città del Kentucky. Non ho idea di quanto ci metterò ad arrivare da Riverton, però».

    «Non puoi inserirlo nel…?».

    «Cazzo, alcune di queste strade neanche compaiono nel navigatore. Ti giuro, Seth, prima ho passato un paese che si chiamava Pussy Holler».

    «Dovresti trasferirtici».

    «Capisci le battute. Cazzo!».

    «Che succede?».

    «L’auto ha qualcosa che non va».

    «Cosa? Che è successo? Ti avevo detto di prendere l’aereo».

    «Non lo so. Si è spenta. Nessun preavviso o niente del genere», gli dico, accostando al lato della strada. «Le luci e le spie del cruscotto sono accese, ma non fa niente. Forse una candela o qualcosa di simile. E comunque ti ho detto

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