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Prendimi!: Harmony Privé
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E-book177 pagine2 ore

Prendimi!: Harmony Privé

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Info su questo ebook

"Se mi aiuti, ti darò tutto quello che vuoi."
Come avrebbe potuto resisterle?

Perché un uomo pericoloso come Jake "Tiger" Clarke, membro di uno dei più malfamati biker club della città, dovrebbe rischiare tutto quello che ha per proteggere la figlia del capo della polizia? Semplice, perché Summer Grant è dolce e innocente come un fiore ancora da cogliere e gli ha promesso in cambio un dono che lui non ha potuto rifiutare: se stessa. Tiger è consapevole che questo significa giocare col fuoco, un fuoco stuzzicante e deliziosamente perverso. Ma lui è disposto a tutto pur di ottenere ciò che vuole. Anche se potrebbe distruggere entrambi.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2019
ISBN9788830501065
Prendimi!: Harmony Privé

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    Anteprima del libro

    Prendimi! - Jackie Ashenden

    successivo.

    1

    Summer

    Il coraggio non è mai stato il mio forte, però credo ci voglia fegato per infilarsi nella camera di un biker in un club motociclistico fuorilegge solo per nascondersi dal proprio padre.

    Oppure ero semplicemente stupida, per quanto potesse essere difficile ammetterlo per una con un quoziente intellettivo superiore a centosettanta.

    Comunque fosse, mentre me ne stavo seduta sul letto di Crash nella sua squallida stanzetta, il cuore che galoppava e le orecchie tese ad ascoltare il ritmo martellante della musica e gli scoppi di risate maschili al di là del muro, cominciai a mettere in dubbio la mia decisione.

    Due porte separavano la camera dal salone della clubhouse, ma i biker erano così dannatamente rumorosi che riuscivo a sentire perfettamente ciò che stava accadendo. Non sapevo se fosse in corso una festa o cos'altro – ero stata nella clubhouse solo un paio di volte – ma qualunque cosa fosse, non faceva che aumentare il mio nervosismo.

    Crash si era allontanato brontolando qualcosa sul fatto di rilassarmi mentre lui andava a prendere qualche birra.

    Non avevo voglia di una birra – non ero una da feste, e di certo non ero una facile, e poi nemmeno bevevo – ma standomene su quel letto ad ascoltare ciò che accadeva fuori, mi resi conto che forse un po' di coraggio liquido non sarebbe stato una cattiva idea.

    Considerato anche che Crash se n'era andato già da un po' e la mia ansia cominciava a trasformarsi in paura bella e buona.

    La stanza era poco più grande di uno sgabuzzino, il pavimento disseminato di vestiti sporchi, lattine di birra e una miriade di altre cose che non volevo nemmeno guardare. Il letto su cui ero seduta era disfatto e la stanza era impregnata di quell'odore di sudore misto a puzza di chiuso che mi ricordava quello della camera di mio fratello Justin quando era ragazzino. Un odore sgradevole e nauseante.

    Sfregai i palmi sudati sulla minigonna di jeans.

    Okay, forse era stato davvero stupido andare lì. Ma d'altronde non avevo avuto altra scelta. Ero stata così idiota da raccontare a mio padre dell'offerta di lavoro nella Silicon Valley sperando che sarebbe stato felice per me, ma naturalmente non era andata così.

    Mi aveva detto di togliermi dalla testa di poterci andare e che avrebbe fatto di tutto per tenermi lì a Brooklyn con lui.

    Sapevo che cosa significava quel fatto di tutto. Manipolazione emotiva, ricatto emotivo e, se fossi stata davvero sfortunata, coercizione fisica. Mio padre non aveva mai sopportato i no.

    L'adolescente tranquilla e introversa che ero stata avrebbe abbassato automaticamente la testa e gliela avrebbe data vinta. Ma ero appena tornata dopo tre anni al college e quel tempo trascorso lontano da lui mi aveva dato un attimo di respiro. Ero cresciuta e avevo scoperto che là fuori esisteva una vita migliore, una vita che non era costantemente oscurata dalla sua presenza.

    Certo, ero ancora tranquilla e introversa, ma quando mi aveva detto che non potevo andare, avevo scoperto che, dopotutto, un po' di carattere ce lo avevo anch'io.

    Non potevo permettergli di privarmi del lavoro dei miei sogni. Non potevo permettergli di impedirmi di cercare di vivere la mia vita. Avevo già comprato il biglietto aereo e in un paio di giorni me ne sarei andata. Tutto quello che dovevo fare era stargli alla larga per impedirgli di recitare la solita scena strappalacrime che alla fine mi avrebbe indotta a cambiare idea.

    Non ci sarebbero stati problemi se fossi stata più forte e determinata, ma non lo ero. Lui riusciva sempre a scovare i miei punti deboli e a usarli contro di me. Sapevo di essere influenzabile, quindi era meglio che mi tenessi alla larga, e che mi nascondessi dove lui non avrebbe mai pensato di cercarmi, nemmeno in un milione di anni.

    La sede dei Knights of Ruin MC.

    Come capo della polizia, in passato mio padre aveva avuto svariati scontri con i Knights, ma ora andava d'amore e d'accordo con Keep, il loro presidente. Papà non si sarebbe mai aspettato che potessi rifugiarmi lì, non nella sede più famosa dei rider, e soprattutto non quando sapevo che Keep mi avrebbe consegnata a lui non appena avesse scoperto la mia presenza.

    Motivo per cui mi ero camuffata, vestendomi come le ragazze alla ricerca di una botta di vita con biker fuorilegge – minigonna di jeans inguinale, top scollato e aderente e tacchi a spillo. Avevo dovuto smorzare l'effetto infilandomi una felpa e tirando su il cappuccio, poiché non potevo correre il rischio che qualcuno mi vedesse in faccia. Non che qualcuno avrebbe potuto riconoscermi dopo tanto tempo, ma la prudenza non era mai troppa.

    Entrare non era stato facile. L'unico biker di cui rammentavo il nome – a parte Keep – era Tiger. Un tempo, quando ero al liceo, era stato la mia guardia del corpo per un mese e me lo ricordavo ancora. Be', a dire la verità, difficilmente lo avrei dimenticato e così il suo nome era stato il primo che mi era venuto in mente quando ero stata interrogata dal novellino alla porta. Ma sfortunatamente, Tiger era impegnato e così avevo dovuto pensare in fretta e inventarmi una bugia.

    Non avevo esperienza con gli uomini, non avevo idea che forse scuotere un po' le tette sarebbe bastato per ottenere ciò che volevo, ma fortunatamente un volto quasi familiare era apparso proprio in quel momento. Avevo incontrato Crash solo un paio di volte, insieme a Tiger, e non avevo modo di sapere se lui si ricordasse di me. Mi ero comunque lanciata su di lui, implorandolo di farmi entrare e che non se ne sarebbe pentito.

    Senza farselo ripetere due volte, lui mi aveva afferrata per la vita e, prima che me ne rendessi conto, mi aveva trascinato lungo il corridoio e nella sua stanza.

    Purtroppo solo adesso cominciavo a capire di essere stata non solo stupida per essermi infilata là dentro, ma anche ingenua nella mia trattativa. Giravano voci sui Knights e le loro feste a base di alcol, sesso e ogni genere di sostanza.

    E adesso mi ci trovavo in mezzo.

    Sola.

    Alla faccia del mio alto quoziente intellettivo. Il panico mi aveva ottenebrato il cervello. Di nuovo.

    Altri suoni giunsero dall'esterno. Le grida di un uomo seguite dai rumori di un tafferuglio e poi da risate. Qualcosa sbatté con violenza contro il muro e io sobbalzai spaventata.

    Accidenti, ma che cosa ci facevo lì?

    Stavo cominciando a chiedermi se sarei riuscita a scivolare fuori da quel posto senza che nessuno si accorgesse di me quando la porta si spalancò e Crash entrò. Era un bel ragazzo, particolare che mi rendeva nervosa, poiché quello era l'effetto che avevano su di me i bei ragazzi. Anzi, gli uomini in generale mi rendevano nervosa, belli o brutti che fossero.

    E allora hai scelto proprio il posto peggiore per nasconderti, non trovi?

    Considerato che la sede del club pullulava di uomini violenti e chiassosi, sembrava proprio di sì.

    «Ancora qui?» chiese lui, sorridendo e dondolandosi sulle gambe.

    Decisi di non sottolineare che stava affermando l'ovvio – poiché agli uomini solitamente non piaceva quando lo facevo – limitandomi a lisciare la gonna e a cercare di sorridere.

    Va bene, ero ingenua. Ma non così ingenua. Sapevo che cosa facevano le ragazze nei club MC e sapevo che Crash non mi aveva portato in camera sua per scambiare due chiacchiere sulle equazioni matematiche, il mio argomento di conversazione preferito. Mi aveva portato lì perché pensava che fossi pronta per un po' di sesso.

    In quel preciso istante cominciò ad avanzare, stringendo in mano due birre, e porgendomene una. Aveva ancora stampato in faccia quel sorriso un po' idiota e gli occhi avevano uno sguardo strano, assente. E poi a un tratto capii ciò che avrei dovuto comprendere appena mi aveva afferrata e trascinata lungo il corridoio: Crash era ubriaco. Ubriaco fradicio.

    Maledizione.

    I tipi sbronzi erano sempre divertentissimi, o così sostenevano le ragazze del college. Stronzate.

    Presi la birra, la lattina fredda contro il mio palmo sudato, e cercai di resistere al desiderio di svuotarla tutta in un sol sorso per soffocare la paura.

    «Allora...» disse Crash lentamente, portando la birra alla bocca e bevendone un sorso. «Per quanto tempo ancora pensi di tenerti addosso i vestiti?»

    I miei palmi divennero ancora più umidi e cominciai a sudare ovunque.

    Sesso. Sapevo che era quello che lui si aspettava, ma... Be', il mio piano geniale si fermava a come entrare nella sede dei rider; non avevo pensato a ciò che avrei dovuto fare per restare là dentro.

    Vale la pena perdere la verginità con un tizio che conosci appena in una lurida stanza di un club di rider solo per sfuggire a tuo padre?

    Bella domanda. Una domanda alla quale non volevo dare risposta. Forse, se gli avessi semplicemente spiegato che volevo nascondermi là per un po,' mi avrebbe dato una mano. O no?

    Mi schiarii la gola, cercando di pronunciare le parole. «Io... ehm... ecco...c'è un motivo se sono qua.»

    «Sputa il rospo». Crash si lasciò andare pesantemente sul letto accanto a me, rendendomi consapevole della sua presenza in un modo che non mi piaceva. Indossava l'abituale uniforme dei biker costituita da jeans, maglietta e gilet di pelle nera e riuscivo a sentire il calore emanato dal suo corpo accanto al mio. Doveva avere fatto il bagno nel dopobarba e quell'odore, mischiato alla puzza d'alcol che sprigionava, mi dava la nausea. «Se il motivo è che volevi succhiarmi il cazzo, be', piccola, sono qua per questo».

    La paura mi chiuse lo stomaco.

    No, non volevo farlo. Il solo pensiero mi faceva rivoltare lo stomaco. Non lo avevo mai fatto e di certo non volevo cominciare con un biker ubriaco, solo perché ero impazzita e avevo preso una decisione che, con il senno di poi, sembrava la più stupida nella storia della creazione.

    «E se... e se non fosse quello?» domandai titubante.

    «Ma dai...». Si chinò verso di me, sfregando il naso contro il mio orecchio, il tanfo di birra che mi investiva e aumentava il mio disagio. «Ma... come hai detto che ti chiami?».

    Non glielo avevo detto ma, soprattutto, non potevo dirglielo. Perché se probabilmente non sapeva chi fosse Summer Grant, ero sicura che conoscesse molto bene Campbell Grant, capo della polizia nonché mio padre. Non che avrebbe necessariamente collegato i due nomi, perlomeno non nel suo stato attuale, ma non potevo correre il rischio.

    Cercai disperatamente di farmi venire in mente un altro nome, ma niente, la mia testa era vuota. «Vuoi proprio saperlo?»

    Posò un bacio bagnato dietro al mio orecchio, un bacio che mi fece accapponare la pelle. «No, non me ne frega niente. Vedi solo di farmi assaggiare la tua figa.»

    Venni travolta da un'altra ondata di nausea, sia per il suo modo volgare di parlare sia per come mi stava sempre più addosso. «Ehi.» Cercai di allontanarmi da lui. «Che cosa diresti se io... ehm... non volessi fare sesso con te?»

    Scoppiò a ridere, prendendomi la mano. «Stai scherzando? E che cosa dovrei farne di questo?» E schiacciò la mia mano destra contro la patta dei suoi pantaloni. Ce l'aveva già duro come un sasso.

    Fantastico. Andava di male in peggio.

    Deglutii, la bocca secca, cercando di resistere al desiderio di interrompere subito il contatto, poiché ero sicura che un simile gesto lo avrebbe offeso e non volevo correre un rischio simile, soprattutto non sapendo che cosa avrebbe fatto.

    Così lasciai là la mano per qualche secondo, prima di sfilarla lentamente. «Wow, è davvero... stupefacente.» Buttai giù un sorso di birra nella speranza che mi desse un po' di coraggio e mi trattenni dallo storcere la bocca in una smorfia di disgusto al sapore della bevanda. «Ma forse potresti trovare un'altra che se ne occupi, no?»

    Lui scosse la testa e mi posò una mano sul ginocchio, lasciandola scivolare verso l'orlo della gonna. «Oh, no, piccola. Siamo a una festa e tu sei in camera mia. Sai cosa significa.»

    Spostai la gamba, cercando di mettere un po' di distanza tra di noi. «No, non ne ho idea». Perché se sapevo quello che voleva, non capivo che differenza facesse il fatto che ci fosse una festa in corso.

    Fuori, il ritmo martellante della musica era aumentato di volume, così come le grida e le risate. Dalla stanza accanto si udivano invece rumori ritmici uniti a gemiti e imprecazioni.

    Sentii la mia faccia avvampare.

    «Be'» biascicò Crash, cercando di nuovo di infilare le dita sotto la mia gonna. «Le ragazze si intrufolano nella stanza di un fratello solo per un motivo. Ti do un indizio: non per chiacchierare.»

    Lo sapevo. Certo che lo sapevo.

    Ma quando hai preso questa stupida decisione non ci hai pensato, perciò adesso devi trattare.

    Il cuore prese a martellarmi nel petto, la paura che s'impadroniva sempre più di

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