Eudaimonia
Di Irene Milani
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Anteprima del libro
Eudaimonia - Irene Milani
633/1941.
Capitolo 1 Chi ben comincia…
Lunedì 10 gennaio 2011
Ha inizio di una nuova fase della mia vita. Sei lunghissimi mesi lontana da Tristan, lontana dalla persona a cui voglio più bene al mondo. Un tempo siderale, una distanza siderale…
Sei mesi da impiegare al meglio, per farmi perdonare da tutti quelli che ho ferito nel corso dell’anno scorso.
Ho fatto e detto cose che mi piacerebbe poter cancellare, ma so che questo è impossibile! Confido solo nel fatto che le mie amiche e quelli che ho fatto soffrire, volontariamente, possano dimenticare l’orribile persona che ero diventata.
È incredibile come a volte la sofferenza generi altra sofferenza. Io stavo male e invece di cercare aiuto e comprensione, mi divertivo a ferire gli altri.
So di non avere nessuna giustificazione, nessuna scusa; a mia discolpa posso solo dire di aver capito i miei errori e di essere disposta a fare di tutto per rimediare.
Fortunatamente il grosso, o meglio la parte peggiore, l’ho già fatta: ho già chiesto (e ottenuto) le scuse.
Ma ora voglio fare di più, voglio dimostrare di essere davvero cambiata, di essere tornata l’Isolde buona e generosa che ero prima.
Prima di perdere la mia bambina, nell’incidente che ha rischiato di portarmi via anche il ragazzo che amavo.
Prima di trasformarmi in una specie di Terminator dei sentimenti, armata di lanciarazzi.
Ora sono guarita. Il mostro che era in me è stato definitivamente annientato: dall’amore di Tristan, dall’amicizia di Olga, Alice, Cecilia e Thomas, dalla comprensione della nonna, dalla complicità di Stella, dal sostegno di Manfred.
Tutte persone che avevo fatto soffrire, deliberatamente, e che invece si sono dimostrate tolleranti e disposte al perdono.
Sono in debito verso tutti loro e farò in modo di saldarlo.
Questo è quello che scrissi, rapidamente sulla mia agenda, prima di recarmi come al solito, alla stazione di Lavis per raggiungere l’Università di Bolzano, dove studiavo Arte e Design.
Sapevo che, purtroppo, quella mattina, come molte di quelle che sarebbero venute, non avrei trovato ad aspettarmi Tristan, il mio ragazzo che abitava a poche centinaia di metri da me.
Abitava, il passato, o meglio l’imperfetto, era d’obbligo
Visto che da qualche ora il suo domicilio era un lontano campus americano. Aveva infatti vinto una prestigiosa borsa di studio di sei mesi al Mit, il Massachusset institute of tecnology di Boston.
Quando aveva accettato noi non stavamo più insieme: ci eravamo lasciati alcuni mesi prima, a causa di alcune incomprensioni.
Da un piccolo litigio avvenuto ad agosto, per orgoglio, la cosa era degenerata e non ci eravamo praticamente più parlati fino alla vigilia di Natale, quando io avevo scoperto della sua imminente partenza, grazie ad una telefonata del fratello.
Né io, né tantomeno lui, avevamo smesso di amarci, nonostante la separazione.
Ci volevamo troppo bene, avevamo superato troppi ostacoli per buttar via tutto così.
Se fosse partito, le cose tra noi non avrebbero più potuto essere sistemate, quindi mi ero fiondata a casa sua per chiedergli perdono, e di cose da farmi perdonare ne avevo davvero tante!
Lui, incredibilmente, mi aveva abbracciata… ed era stato come se non ci fossimo mai lasciati, ma questo ormai era acqua passata.
Dal giorno di Natale, per i quindici giorni che ci separavano dalla sua partenza, eravamo diventati praticamente indivisibili, ritornando al nostro antico livello di affiatamento.
Quella mattina, al risveglio, provai immediatamente un senso di vuoto, al solo pensiero che dovevano passare ben 186 giorni prima di poter rivedere Tristan. Non avevo voglia di alzarmi e affrontare la giornata, sapendo di non avere lui accanto, ma sei mesi a letto non sarebbero stati una buona idea. Sei mesi…
Mi sembrò un’infinità: come avrei fatto a resistere senza una parte di me, quella migliore? Così decisi di mettere per iscritto, sulla mia agenda, i miei buoni propositi.
Oltre a quelli di farmi perdonare dai miei amici, quello più importante, era il volontariato. Avevo infatti deciso che, almeno per i lunghi mesi senza Tristan, avrei passato il mio tempo libero facendo un po’ di volontariato in parrocchia.
Era un modo per riconciliarmi con me stessa, dopo le orribili cose che avevo fatto l’autunno precedente.
Detta così può sembrare che mi fossi trasformata in un’assassina. No, fortunatamente non avevo commesso nessun reato, salvo dire e fare cose che sapevo avrebbero fatto soffrire gli altri così come stavo facendo io, per la perdita della bambina e per la mia separazione da Tristan.
Prima di uscire guardai l’ora, sull’orologio che mi aveva regalato lui prima di partire.
Era particolare, in quanto aveva due quadranti: uno riportava l’ora italiana, l’altra quella di Boston. Qui erano le sette del mattino, lì mezzanotte. Impossibile quindi che avesse già risposto alla mail che gli avevo mandato il giorno prima.
Probabilmente arrivato, esausto per il viaggio, era andato subito a dormire, pensai. Per scrupolo controllai la mia casella di posta. Incredula, con il cuore che mi batteva all’impazzata, aprii la sua mail.
Lessi quelle righe con le lacrime agli occhi.
Quanto mi mancava? Era partito da un giorno e già ero in astinenza.
Se almeno avessimo potuto guardare la stessa luna, lo stesso cielo, l’avrei sentito più vicino. Magari avevo visto troppi film americani, dove gli innamorati guardavano il cielo contemporaneamente… ma noi non potevamo: quando era notte qui, da lui era giorno e viceversa. Non potevamo condividere nemmeno quello!
Come avrei resistito per oltre sei mesi? Non lo sapevo, in quel momento dubitavo di riuscirci.
Gli risposi immediatamente, prima di scendere per la colazione.
Inviata la mail, impiegai qualche minuto per riprendermi dall’emozione e per ricacciare indietro le lacrime che sentivo agli angoli degli occhi.
Dovevo essere forte, mi ripetei come un mantra. Non volevo pesare sugli altri con la mia tristezza, non volevo sentirmi come una piaga. Feci un sospiro e scesi in cucina, dove la nonna mi aspettava per la colazione.
Ero stata via un mese, avendo deciso di allontanarmi da Tristan e tornare a Bolzano da mia madre, ma per la nonna era come se fossi sempre stata lì.
Era il primo giorno di lezione del nuovo anno e, per incoraggiarmi, vista anche la lontananza del mio fidanzato, aveva preparato la torta al cioccolato!
Che mito, mia nonna!
Nonostante avesse scoperto che amavo il nipote dell’uomo che era responsabile della morte del padre di suo figlio, ovvero mio nonno biologico, era riuscita (non senza difficoltà) ad accettare la cosa e quasi a voler bene a Tristan.
Questo perché voleva bene a me e sapeva quanto io amassi lui.
Buongiorno.
– mi disse, scompigliandomi i capelli col suo solito gesto affettuoso.
Ciao nonna… wow, la torta al cioccolato! Stamattina ne ho proprio bisogno!
Immaginavo. Notizie da Boston?
SI!!! Ho appena letto una sua mail. È arrivato. Ora mancano solo 185 giorni.
"Coraggio. Vedrai che passerà in fretta.
Lo spero. Mi manca già da matti.
Vedrai, luglio arriverà prima che te ne accorga.
– concluse lei, dolcemente, sedendosi accanto a me, mentre ingurgitavo un’enorme fetta di dolce.
Pensai che il suo, di fidanzato, da cui aspettava un figlio, un giorno era uscito e non era più tornato.
Incarcerato e ucciso dai nazisti, tra i quali il nonno di Tristan.
Non doveva essere stato facile per lei accettare quella perdita.
Troppo presa dalla mia storia d’amore, non mi ero mai soffermata a pensare sul dolore immenso che doveva aver provato mia nonna. Sfido che inizialmente aveva reagito decisamente male alla notizia che la sua nipotina era innamorata di un discendente di uno degli assassini!
Già aveva sofferto quando la famiglia di Tristan era tornata dalla Germania, figuriamoci accettare il nostro legame.
Era stata dura per tutti, ma per fortuna, era andato tutto per il meglio e le due famiglie, divise da odi storici, erano riuscite a mettere da parte il rancore per il bene mio e di Tristan.
Alle mie spalle sentii dei passi, era mio nonno, o meglio il fratello del mio vero nonno.
Quando mia nonna aveva saputo di aspettare un figlio, lui aveva accettato di sposarla, per evitare uno scandalo, ma anche perché era innamorato di lei che, col tempo, aveva ricambiato i suoi sentimenti.
Stavano insieme da più di sessant’anni e si volevano un bene enorme.
Ciao piccola – mi disse, sedendosi, con l’aria ancora un po’addormentata. Di solito si alzava più tardi – ti accompagno a Bolzano?
Non c’è bisogno… un minuto e sono pronta.
– risposi, fissandolo stupita
Se preferisci non prendere il treno…
– chiese lui, con evidente riferimento all’assenza di Tristan.
Grazie per il pensiero, nonno. Ma devo farci l’abitudine a non trovarlo lì ad aspettarmi…
Che pensiero gentile avevano avuto, stavo per commuovermi: la seconda volta in meno di mezz’ora.
Ma dovevo essere forte, non farmi abbattere dalle prime difficoltà. In fondo era solo il primo giorno senza Tristan. Solo a pensarci mi prendeva il panico.
Finii la colazione e corsi di sopra a prendere la borsa, per poi fiondarmi fuori, nel gelo dell’inverno.
Arrivai all’università, infreddolita, dopo il solito viaggio in treno passato a leggere, cercando di non pensare al fatto che lui non era lì con me; nell’atrio mi attendeva il picchetto d’onore.
Alice, Cecilia, Olga e Thomas erano lì ad aspettarmi. Era tanto tempo, da quando Olga e Tom si erano lasciati che il nostro gruppo si era un po’ perso, per non parlare poi di quando era finita anche tra me e Tristan: un vero sfacelo.
Fortunatamente ero riuscita a riconquistare l’affetto e la fiducia di tutti i miei amici, che mi accolsero sorridenti, abbracciandomi. L’intento era chiaro, farmi sentire meno sola.
Abbiamo pensato che, siccome prevenire è meglio che curare, prima che ti trasformi nuovamente in una specie di Terminator, è meglio che ti teniamo d’occhio…
– mi spiegò Cecilia, con un sorriso malizioso sul viso.
Vogliamo controllare che tu non diventi nuovamente una psicopatica come nei mesi passati – aggiunse Olga, mano nella mano con Tom, finalmente anche loro si erano ritrovati – quindi ti staremo vicini, almeno fino a che lui non ritorna…
Grazie ragazze e Tom, ovviamente. Non potrei chiedere degli amici migliori.
– risposi io, commossa. E tre! Ormai avevo la lacrima tascabile. La minima emozione e rischiavo di inondare tutto.
Nonostante mi fossi comportata da schifo con loro, soprattutto con Olga (avevo iniziato ad uscire col suo ragazzo, anche se all’epoca era il suo ex) erano riusciti a perdonarmi.
L’hai già sentito?
– mi domandò poi Cecilia, scostandosi una ciocca di capelli dal viso sorridente: era decisamente spettinata per colpa del pesante cappello invernale che indossava.
Io gli ho mandato una mail ieri e, stamattina, ho trovato la sua risposta. È arrivato, tutto bene. Gli manco.
– sintetizzai, incapace di aggiungere altro senza rischiare di farmi venire le lacrime agli occhi un’altra volta.
Coraggio – mi mormorò Olga all’orecchio, abbracciandomi nuovamente – vedrai che in un attimo passano… scommetto che stai contando i giorni, e forse anche le ore, come tuo solito!
Effettivamente sì – ammisi, con un velo di malinconia nella voce – ma più che altro sto cercando di tenermi impegnata… Mi manca da morire, non so come faccio a resistere, senza sentire la sua voce, così ho deciso che voglio iniziare a fare un po’ di volontariato!
Se vuoi c’è camera mia da sistemare – intervenne Tom, con una delle sue solite battute: era sempre capace di sdrammatizzare anche le situazioni più tristi: gli volevo un gran bene anche per questo – poi conosco qualche giovanotto che avrebbe bisogno di un po’ di compagnia…
Credo sia ora di andare a lezione – disse Alice, prendendo sottobraccio Cecilia che frequentava la sua stessa facoltà, interrompendo a malincuore quell’attimo di serenità – ci vediamo a pranzo in mensa?
Ok!
– ci salutammo, dirigendoci ognuno verso la propria aula.
La prima giornata di università senza Tristan, la prima di tante purtroppo, trascorse senza troppi problemi. Certo, sentivo la sua mancanza, ma essendo piuttosto impegnata, riuscivo anche a non continuare a pensare a lui.
Avendo perso parecchi giorni di lezione prima di Natale, a causa della brutta influenza che avevo preso, dovetti faticare parecchio per rimettermi in pari.
Fortunatamente Olga, sebbene allora non ci parlassimo nemmeno, aveva preso gli appunti più accuratamente del solito e li aveva già fotocopiati, insieme al materiale che era stato distribuito dai vari docenti.
Era un’amica splendida, comprensiva e soprattutto lungimirante!
Grazie, davvero – le dissi al termine dell’ultima lezione, mentre riponevo il quaderno degli appunti nella borsa e mi apprestavo a raggiungere la stazione – siete stati tutti eccezionali. Io invece…
Dai, ora basta! – mi interruppe lei, dandomi un leggero pugno sulla spalla – Ci hai chiesto scusa a sufficienza! Certo, non sei stata un modello di correttezza e di bontà, ma tu sei sempre stata generosa e disponibile con tutti. Una volta che avevi bisogno di aiuto, non siamo stati in grado di capirti. Pensavamo che, una volta che il tuo legame con Tristan fosse stato accettato, i vostri problemi fossero finiti. Ti vedevo malinconica a volte e, ti dico la verità, proprio non capivo perché. Mi facevi innervosire, pensavo avessi tutto, invece…
Già, la piccola Sissi – mormorai io, mentre la solita fitta al cuore mi prendeva, come ogni volta che pensavo alla bimba che avevo perso nell’incidente e che non sapevo nemmeno di aspettare – avrei dovuto parlarne subito, con Tristan e con voi ma non riuscivo, era troppo!
Non pensarci. Immagino sia dura, ancora oggi, da affrontare. Ma tu sei forte: guarda quanti ostacoli hai superato, gli ultimi anche da sola. Se qualche volta ti senti giù, ti prego, chiamami. Per qualunque cosa. Anche banale. Non tenerti più tutto dentro ok? Non devi dimostrare niente. Lui ti manca, lo sappiamo, quindi chiamaci pure per sfogarti.
Grazie.
– fu l’unica cosa che riuscii a dire, senza scoppiare a piangere.
Poi abbracciai Olga: nel frattempo eravamo arrivate nell’atrio, dove le altre ci aspettavano.
Ciao, a domani!
– le salutai, avviandomi verso la stazione, infagottandomi nel giaccone.
Ah, ti saluta lo speziale – mi gridò Tom, vedendo il mio viso un po’ triste – dice che è un po’ che non ti vede!
Mi voltai, con un sorriso stampato sul volto, scrollando il capo in segno di compatimento.
Almeno era riuscito a farmi ridere, come al solito.
Era stato lui a farmi risalire dal baratro in cui ero sprofondata, l’autunno precedente: grazie a piccoli sorrisi era riuscito a farmi guarire, a farmi tornare l’Isolde di sempre.
Era la sua caratteristica, sdrammatizzava tutto, facendo sembrare i problemi un po’ più piccoli e facili da risolvere e in quel momento ne avevo proprio bisogno.
Arrivai a casa esausta. Era da tanto che non andavo a lezione partendo da Lavis: l’ultimo mese avevo vissuto (se così si può dire) a Bolzano, da mia madre. Era stato il periodo più brutto della mia vita, che aveva segnato una netta separazione da tutto quello che mi era caro: amici, famiglia, fidanzato, ma almeno mi risparmiavo il viaggio in treno!
Cenai, anche se non avevo molto appetito, ma avevo promesso a Tristan che avrei ripreso almeno un po’ di quei quasi dieci chili che nel corso dell’anno precedente avevo perso.
Il colpo di grazia me lo aveva dato la recente influenza, che aveva portato il mio peso (già scarso) ai minimi storici. Finito di mangiare, rimasi un po’ coi nonni in sala, mentre loro bevevano il caffè, poi mi rifugiai nella mia stanzetta.
Avevo bisogno di stare un po’ da sola.
Certo, i nonni e le mie amiche erano indispensabili per sopportare quella situazione, ma avevo anche la necessità di isolarmi, di perdermi nei miei pensieri senza rischiare di sembrare asociale.
La prima cosa che feci fu accendere il computer, l’unica forma di contatto con Tristan. C’era una sua mail, mi aveva già risposto! Al settimo cielo iniziai a leggere, sentendolo più vicino a me.
Mentre leggevo quelle poche righe, che però avevano un grande significato, non riuscivo a smettere di piangere: le cose che mi scriveva erano davvero belle, dolci e romantiche, ma acuivano il mio senso di solitudine.
Era davvero difficile sopportare il distacco, soprattutto dopo una separazione di tre mesi durante i quali ci eravamo praticamente ignorati. O meglio: io lo avevo evitato, lo avevo fatto soffrire. Mi ero comportata come una bambina: orgogliosa e capricciosa. Stavo male io? Benissimo, che gli altri provassero le mie stesse sofferenze!
Invece che cercare conforto negli amici, in Tristan, nei nonni, avevo fatto di tutto per ferirli; soprattutto con il mio fidanzato ero stata davvero ingiusta.
Tutti loro, ma Tristan più di tutti, avevano capito (o ci avevano provato) e mi avevano perdonata.
Sapevo di non meritare