La ricetta del milionario: Harmony Jolly
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Anche gli scapoli più attraenti e influenti devono arrendersi davanti all'amore.
La principessa Tuccianna Leonardi ha bisogno di nascondersi, dopo essere fuggita evitando il matrimonio combinato con un conte francese. La cucina del lussuoso ristorante del milionario Cesare Donati, dove diventa chef pasticcera, le offre il rifugio che cerca. E molto di più...
Ma l'amore che sboccia giorno dopo giorno tra Tuccianna e Cesare non può essere vissuto alla luce del sole, sia la sua famiglia che la polizia sono infatti alla sua ricerca. Riuscirà Cesare a proteggere la principessa e ad assicurare loro una storia a lieto fine?
Rebecca Winters
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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La ricetta del milionario - Rebecca Winters
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1
Salon des Reines, Parigi, Francia
L'autista del Conte Jean-Michel Ardois posteggiò la limousine davanti all'atelier di abiti da sposa in Rue de l'Échelle.
Nelle ultime due settimane la venticinquenne Principessa Tuccianna Falcone Leonardi si era recata tre volte in quel negozio insieme alla madre per le prove dell'abito nuziale. E ogni volta si era inventata una scusa per recarsi alla toilette, per avere l'opportunità di memorizzare la planimetria del negozio.
Quella mattina aveva appuntamento per la prova finale, in modo che il vestito fosse perfetto per la cerimonia del giorno seguente.
Peccato solo che Tuccia non avesse alcuna intenzione di essere presente alla fastosa cerimonia che i genitori avevano organizzato per convincerla a sposare il Conte di Ardois, al termine di un fidanzamento imposto iniziato dieci anni prima.
Da allora lei non aveva fatto che sognare di essere libera, e adesso era venuto il momento di fuggire.
Madame Dufy, la titolare della prestigiosa boutique, le fece accomodare in un'elegante e spaziosa sala prove.
«Delphine porterà subito il suo abito da sposa, davvero perfetto per una principessa» le assicurò Madame.
Non appena la donna si fu allontanata, Tuccia si rivolse alla madre, la marchesa di Trabia.
«Devo andare in bagno» le disse.
«Non adesso!»
«Non posso aspettare. Lo sai che mi capita sempre quando sono nervosa.»
«Sei impossibile, Tuccia!» esclamò la madre.
«Se non ci vado, sto male.»
«Vai allora» sospirò la marchesa. «Ma non metterci troppo. Abbiamo un mucchio di altre cose da fare, oggi.»
«Cercherò di fare in fretta» le promise la figlia.
Sì, molto in fretta, aggiunse fra sé. Qualsiasi cosa pur di sfuggire alle grinfie del Conte di Ardois!
Aveva scoperto che, dopo le nozze, Jean-Michel le avrebbe assegnato una guardia del corpo, con la palese intenzione di farla sorvegliare a vista per il resto della vita. Era stato quando lo aveva sentito discutere di quel particolare con i suoi genitori, aggiungendo che lei aveva bisogno di essere guidata in tutto, che aveva deciso di fuggire. Meglio ancora, di scomparire.
Tuccia raggiunse la toilette ed entrò solo per posare a terra l'anello di fidanzamento. Dopodiché utilizzò la porta di servizio per uscire dal negozio. Attraversò di corsa un vicolo adibito a scarico merci e raggiunse il posteggio dei taxi più vicino.
«Aeroporto Le Bourget, s'il vous plaît» ordinò in fretta all'autista.
Mentre il taxi si immetteva nel traffico, Tuccia si voltò a dare un'occhiata dal vetro posteriore, con il cuore che le batteva come un tamburo, per controllare che nessuno la stesse inseguendo.
Riuscì a rilassarsi solo quando salì a bordo del volo charter che aveva prenotato sotto falso nome e che era stato pagato da sua zia Bertina. Una volta arrivata a Palermo, avrebbe preso un taxi dall'aeroporto per raggiungere il palazzo della zia.
La sua parente preferita le avrebbe offerto rifugio e per un po' di tempo sarebbe stata costretta a dipendere da Bertina, immaginò con un sospiro.
Ma non per molto, promise a se stessa.
Milano, Italia, il giorno seguente
La cena era terminata nella sala da pranzo privata del castello che da secoli era la dimora dei duchi di Lombardi, ora trasformato in un lussuoso hotel ristorante.
«Auguro buona fortuna a Cesare per il suo viaggio.» Vincenzo Nistri Gagliardi, l'attuale duca, alzò il calice con impresso lo stemma nobiliare di famiglia. «Il buon andamento della nostra impresa di ristorazione dipende anche da lui. Possa tu tornare con qualcuno in grado di sostituire degnamente mia moglie come chef pasticciere qui al castello. Gemma avrà il nostro bambino fra due mesi e desidero che inizi prima possibile la maternità.»
«Amen» rispose Takis, il terzo socio nell'impresa, alzando a sua volta il bicchiere. Sfiorò il calice di Cesare e poi entrambi sorseggiarono l'ottimo vino locale, proveniente dalle cantine del castello.
Cesare Donati sorrise agli amici. Da più di una decade erano come fratelli per lui. Insieme avevano studiato negli Stati Uniti, fatto fortuna come imprenditori e adesso erano anche soci nell'impresa che aveva trasformato l'antico castello di Lombardi nell'Hotel Ristorante Castello Supremo, uno dei resort più lussuosi d'Europa.
«Ho una buona notizia da darvi» disse Cesare. «Fra due giorni tornerò al castello con il nuovo chef pasticciere. L'ho già comunicato a Gemma stamattina.»
«Così presto?» replicarono all'unisono Vincenzo e Takis, sorpresi.
«Era da qualche settimana che facevo delle ricerche, considerato che Gemma ha diritto a riposare negli ultimi due mesi di gravidanza. Niente di affrettato, quindi» li rassicurò Cesare.
I suoi amici sorrisero, sicuri che lui avesse trovato la persona adatta. Tuttavia l'uomo aveva deciso di non rivelare l'identità del candidato che aveva scelto fino a quando non avrebbe presentato Ciro Fragala in persona, insieme ad alcune delle sue squisite specialità dolciarie.
Gemma, la moglie di Vincenzo, aveva appreso l'arte della pasticceria dalla madre, che era stata la cuoca del precedente duca, padre di Vincenzo, e poi si era perfezionata studiando con assiduità. Era quindi un'eccellente professionista, in grado di soddisfare i gusti della una clientela d'élite che frequentava il Castello Supremo.
Ciò nonostante, Cesare era convinto che il migliore chef pasticciere del mondo fosse sua madre, siciliana purosangue, che aveva appreso l'arte della pasticceria dalle suore dell'orfanotrofio in cui era cresciuta e aveva vissuto fino all'età di diciotto anni.
Era stata proprio la donna a segnalarle Ciro Fragala, secondo lei il migliore pasticciere della Sicilia.
Dopo il pranzo in un ristorante di Palermo, in compagnia della madre, anche lui era di quell'opinione.
Assumere Ciro al Castello Supremo avrebbe significato un nuovo, sensazionale menu di dolci. Cosa molto importante, vedovo senza figli, Ciro si era dichiarato subito disponibile a trasferirsi a Milano per lavorare al Castello Supremo alcuni mesi, cioè fino a quando Gemma non fosse stata pronta a riprendere l'attività dopo il parto.
Ciro aveva dato le dimissioni dal ristorante in cui lavorava attualmente e Cesare si era offerto di accompagnarlo a Milano, sicuro che il nuovo pasticciere, dotato di una personalità allegra e solare, sarebbe andato d'accordo con il capocuoco francese.
«Ti accompagneremo all'aeroporto» si offrì Vincenzo.
Cesare scosse il capo. «Grazie, ma siete già abbastanza impegnati tutti e due» ribatté, rivolto agli amici. «Entrambe le vostri mogli aspettano un bambino, e sono state così gentili da concederci questa cena insieme per salutarci. Adesso però si staranno chiedendo dove siete finiti.» Diede un'occhiata all'orologio e si alzò in piedi. «L'autista mi sta aspettando.»
«Veniamo con te all'auto» disse Vincenzo.
Cesare prese il trolley che aveva posato in un angolo e uscì dalla sala da pranzo, seguito dagli altri due uomini. Per raggiungere la hall, percorsero un corridoio alle cui pareti erano appesi i ritratti degli antenati di Vincenzo, i duchi di Gagliardi dai leggendari occhi grigi.
«Fai buon viaggio» gli augurò Takis, mentre Cesare saliva in auto.
«Grazie.»
«Io e Gemma non vediamo l'ora di conoscere il nuovo pasticciere. Mi basta che sia bravo la metà di mia moglie» sostenne Vincenzo, rivolgendogli un cenno di saluto.
Cesare rise, e fece cenno all'autista di partire.
Due ore più tardi il jet ducale privato atterrò all'aeroporto di Palermo, dove un'altra vettura ai bordi della pista era in attesa dell'unico passeggero sbarcato dal velivolo.
Cesare salì sulla berlina e diede all'autista un indirizzo dell'elegante quartiere di Mondello. Era in quella zona che aveva acquistato una villa in stile art nouveau per la madre e la sorella, che adesso era sposata e abitava in città con il marito e la loro bambina.
In altre parole, aveva voluto il meglio per la sua fantastica mamma, Lina Donati.
Lina, infatti, non avrebbe mai lasciato Palermo per trasferirsi altrove. Dopo essere stata cresciuta dalle suore dell'orfanotrofio e avere imparato da loro come essere un'ottima cuoca, a diciotto anni aveva cominciato a lavorare in un ristorante.
Il suo matrimonio era stato di breve durata. Abbandonata dal marito, si era dedicata con impegno al lavoro per provvedere ai figli.
Cesare era convinto che la madre fosse una cuoca impareggiabile e aveva provveduto a farle installare nella villa un'attrezzatura da cucina professionale, anche se ormai Lina cucinava esclusivamente per donna Bertina Leonardi Spadaro, che non era una datrice di lavoro esigente.
Per quanto lo riguardava, aveva invitato più volte la madre a concedersi una meritata pensione, garantendole che non le avrebbe mai fatto mancare nulla. Ma lei gli aveva sempre risposto che non riusciva a stare senza far nulla e che voleva bene a donna Bertina, sorella maggiore della Marchesa Leonardi di Trabia.
La famiglia Leonardi era originaria di Trabia, una località a poca distanza da Palermo, le cui origini nobiliari risalivano all'epoca di Federico III di Svevia. I discendenti possedevano ancora il palazzo dei loro antenati situato nel cuore della città.
Nel corso degli anni, Lina e Bertina erano diventate amiche e si volevano bene come sorelle.
Lina trascorreva il tempo libero in compagnia della figlia e del nipotino, o nel suo stupendo orto di piante aromatiche che curava personalmente.
Mondello era una zona di alta classe, con spiagge stupende, ristoranti e boutique di lusso, circoli nautici esclusivi, e una marina nella quale c'erano numerosi yacht, fra i quali quello del marchese Leonardi.
Quando Cesare aveva acquistato la villa per la madre, lui stesso era rimasto affascinato dalla bellezza della spiaggia privata, del giardino, dell'orto e del frutteto, dall'aria profumata di salmastro e gelsomini. Ogni volta che tornava a Palermo, aveva l'impressione di essere arrivato in un dei luoghi più belli del mondo.
Ma quella sera, mentre attraversava le strade antiche e caratteristiche della città, gli diedero il benvenuto anche i profumi di pesce e spezie che gli riportavano sempre alla mente la sua infanzia e adolescenza. Un insieme di colori che gli ricordava i vecchi souk arabi.
Da bambino quei dedali di vicoli erano stati il suo campo d'azione.
Suo padre, un marinaio della flotta commerciale, aveva abbandonato la famiglia quando lui aveva solo un anno, delegando a Lina, che in quel periodo aveva aperto una piccola trattoria, il compito di crescere anche Isabella, sua sorella maggiore. A quell'epoca avevano abitato in un modesto appartamento situato sopra il locale, in uno dei quartieri popolari di Palermo, affollato e a dir poco torrido d'estate.
Siccome era stata troppo piccolo per ricordare il padre, non ne aveva mai sentito la mancanza. Anche se qualche volta da bambino gli era capitato di provare una certa invidia quando vedeva i compagni di scuola alla domenica a messa con entrambi i genitori.
Con il passare degli anni, l'invidia aveva lasciato il posto a un profondo senso di indignazione. Ancora adesso non riusciva a capire come un uomo potesse abbandonare moglie e figli, senza più interessarsi del loro benessere.
Comunque fosse, a trent'anni si considerava un uomo molto diverso dal genitore. Grazie a una borsa di studio, si era laureato negli Stati Uniti, dove aveva imparato come fare investimenti redditizi e conosciuto i suoi attuali soci in affari.
Dopo la laurea aveva fatto fortuna in fretta, e adesso il suo conto in banca si contava in milioni di dollari. Tuttavia non riusciva a dimenticare il periodo difficile dell'infanzia, anche se lo aveva forgiato nell'uomo che era diventato.
Nel corso degli anni aveva scoperto anche che l'amore romantico era solo un'illusione.
Con le dovute eccezioni, naturalmente.
Come quelle dei suoi soci, tutti e due felicemente sposati.
Per quanto lo riguardava, era convinto che il matrimonio non facesse per lui. Non aveva avuto l'esempio di due genitori che si volevano bene e per quella ragione aveva deciso che preferiva stare da solo, come sua madre. Come famiglia, gli bastavano la sorella, il cognato e la nipotina Elana.
Se si fosse sposato, chi gli garantiva che la moglie non lo avrebbe abbandonato come aveva fatto suo padre?
O, peggio ancora, che non assomigli a mio padre più di quanto immagini, aggiunse fra sé, ammettendo che ogni tanto quel pensiero lo assillava. Forse perché nessuna delle sue ex fiamme era riuscita a fargli perdere la testa.
Sospirò, pensando che prima o poi avrebbe dovuto affrontare quell'argomento con la madre, farsi raccontare tutto quello che riguardava un padre di cui non ricordava nemmeno il volto.
Quando la berlina si fermò davanti alla villa di Mondello, Cesare cercò di mettere da parte quel corso negativo di pensieri. Pagò l'autista e prese il proprio bagaglio.
La madre era informata del suo arrivo e sapeva che era venuto, oltre che per farle visita, per accompagnare Ciro Fragala a Milano il giorno seguente, ma era quasi la una di notte e Lina andava a dormire presto.
Lui le aveva raccomandato di non restare alzata ad aspettarlo, che avrebbero parlato la mattina seguente, mentre aspettavano che Ciro arrivasse alla villa per partire insieme per Milano.
A quell'ora della